Italia indietro sui Piani urbani di adattamento climatico

L’Italia è abbastanza indietro, su scala europea, sul fronte dei Piani di adattamento ai cambiamenti climatici, sia in termini di numero di Piani urbani sviluppati, sia in termini di qualità. E’ quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista ‘Nature Npj Urban Sustainability’, curato da un gruppo di ricerca multidisciplinare coordinato dall’Università di Twente (Olanda) a cui hanno partecipato studiosi di vari stati europei, tra cui l’Italia con l’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imaa) di Tito Scalo (Potenza) e con il Dipartimento di ingegneria civile, ambientale e meccanica dell’Università di Trento.

I Piani di adattamento climatico rappresentano uno degli strumenti più efficaci a disposizione di Paesi, regioni e comuni per definire misure e azioni a livello territoriale per affrontare la sfida ai cambiamenti climatici e mitigarne l’impatto. Ma come valutarne la qualità e il grado di “progresso”? Quali criteri possono definirne l’efficacia, tanto nel contesto locale quanto in quello nazionale e internazionale? A queste domande ha cercato di rispondere lo studio, in base al quale il giudizio sull’Italia non è proprio lusinghiero. Tra le 32 città italiane incluse nel campione, spiega la ricercatrice Monica Salvia del Cnr-Imaa, “risulta che solo due città – Bologna e Ancona – avevano nel 2020 un Piano di adattamento: una situazione che, probabilmente, risente dell’assenza di un quadro di riferimento nazionale per supportare la definizione di strategie e Piani locali e regionali: il Piano nazionale di adattamento è infatti ancora in fase di adozione”.

Dopo l’Accordo di Parigi del 2015, è cresciuto l’interesse di studiosi e governanti verso la valutazione dei progressi dei Piani di adattamento ai cambiamenti climatici alle diverse scale: in questo contesto, però,” manca una metodologia univoca per valutarne la qualità e verificarne i progressi nel tempo”, dice Salvia. I ricercatori, quindi, hanno per la prima volta definito un indice di qualità, l’ADAptation Plan Quality Assessment (ADAQA), “che ci ha permesso di identificare i punti di forza e di debolezza dei processi di pianificazione dell’adattamento urbano nelle città europee”.

Dallo studio, però, emerge che i Piani presentano carenze nel livello di partecipazione pubblica al loro processo di definizione(17%), e nella definizione delle fasi di monitoraggio e di valutazione (20%). “Tuttavia – spiega la ricercatrice – la situazione è in continua evoluzione e in rapido cambiamento: monitorare lo stato di avanzamento delle politiche di adattamento nei prossimi anni sarà utile per capire se, e a che ritmo, le città europee (e italiane) si stanno muovendo verso la definizione di Piani sempre più completi e capaci di rafforzare la resilienza dei loro territori”.

L’indice è stato, quindi, calcolato per i 167 Piani di adattamento adottati tra il 2005 e il 2020 in un campione rappresentativo di 327 città medie e grandi di 28 Paesi europei, per valutarne la qualità e l’evoluzione nel tempo. Esaminando le diverse componenti dei Piani, si nota che le città sono migliorate soprattutto nella definizione degli obiettivi di adattamento e nell’identificazione di misure e azioni nei diversi settori. La capitale bulgara Sofia e le città irlandesi di Galway e Dublino hanno ricevuto i punteggi più alti per i loro Piani.

Fridays for future tornano in piazza: oggi sciopero globale per il clima

Un nuovo governo, una nuova segretaria del Partito democratico, nuove decisioni europee e nuove scelte politiche globali. A sei mesi dallo sciopero di settembre, oggi il movimento globale Fridays for Future torna in piazza con un nuovo slogan ‘La nostra rabbia è energia rinnovabile‘.

I cortei sono previsti a livello internazionale mentre in Italia manifestazioni sono state organizzate in oltre 50 città. “Dopo un periodo complesso, torniamo con un messaggio chiaro, come recita lo slogan che abbiamo scelto, ‘La nostra rabbia è energia rinnovabile’ perché vogliamo essere ascoltati: è urgente sbloccare le rinnovabili”, spiega a GEA Agnese Casadei, una degli otto portavoce. Il movimento ha infatti eletto il nuovo coordinamento formato ora da Ester Barel, Agnese Casadei e Giacomo Zattini, Marta Maroglio, Marco Modugno, Marzio Chirico, Alessandro Marconi , Davide Dioguardi. “Uno degli strumenti che aiuta molti ragazzi a incanalare la rabbia e la paura nata negli ultimi due anni è l’idea di trasformare questi sentimenti in un impegno positivo come quello per il clima”, continuano i Fridays.

A Verona, un gruppo di cittadini e cittadine ha bloccato il traffico sotto l’orologio di Corso Porta Nuova esponendo uno striscione con la scritta “La finanza fossile è un crimine. Crisi umanitaria, economica, alimentare ed ecologica”. All’iniziativa, organizzata da Ultima Generazione nell’ambito della campagna ‘Non paghiamo il fossile’, hanno preso parte due persone aderenti a Ultima Generazione, tre di Extinction Rebellion Verona, una persona aderente a Scientist Rebellion e una di Fridays for Future in supporto.

Un tema, la crisi climatica, su cui si stanno concentrando le politiche di molti governi, “che cercano di correre ai ripari dopo anni di immobilismo e, in molti casi, di negazione del problema”, aggiunge Agnese. Un esempio su tutti la siccità: “Quello che è emerso ieri dal primo tavolo sull’acqua è solo normale amministrazione. Bene, certo, che vi sia una cabina di regia ma in Italia da sempre i governi si sono mostrati incapaci a gestire le emergenze climatiche, anche in termini programmatici e strutturali. Se si fosse ragionato per tempo, alle prime avvisaglie, forse ora non si avrebbe una situazione così drammatica”.

Per il movimento, nato sulla scia delle proteste dell’attivista svedese Greta Thunberg, è questo il decennio in cui attuare la transizione ecologica. Non c’è dunque solo la “rabbia per tutto quello che poteva essere fatto” dai governi o dalle aziende. “Questo sentimento si vuole incanalare in soluzioni concrete, suggerite dalla scienza”, continua la portavoce. Quindi, “da tempo chiediamo di produrre 10 gigawatt l’anno da fonti rinnovabili perché è fattibile ma invece, come risposta, si fanno passi indietro”, spiega Agnese. A partire dal piano energetico del governo Meloni che “continua a puntare sul gas, senza oltretutto parlare mai apertamente della necessità di tassare gli enormi profitti delle multinazionali dell’oil and gas e delle aziende fossili”. Sull’opposizione invece sospende ancora il giudizio: “Staremo a vedere cosa Elly Schlein riuscirà a fare”.

Per Fridays for Future la situazione attuale ha messo sotto i riflettori i veri responsabili del collasso climatico: “Il 3 marzo denunceremo coloro che stanno estraendo risorse e profitti estremi quando migliaia di famiglie sono in condizioni di povertà energetica”. Nel mirino degli ambientalisti ci sono aziende fossili e colossi del petrolio e del gas. “Non vogliamo – continua la portavoce – che a pagare le conseguenze della crisi climatica, ma anche di quella energetica, siano le persone più in difficoltà, sia a livello nazionale sia globale. Ora vogliamo risposte”.

Ogni gruppo porterà per le strade le rivendicazioni nazionali secondo l’Agenda climatica pensata per le elezioni di settembre 2022: energia rinnovabile e Comunità energetiche; mobilità sostenibile e cura del ferro; sussidi ambientalmente dannosi e bombe climatiche; transizione ecologica e sostenibilità economica; giustizia sociale ed eco-transfemminismo. La protesta, infatti, è organizzata insieme alla galassia femminista, che vedrà un altro appuntamento e un’altra manifestazione il prossimo 8 marzo. “In molte parti del mondo, le donne sono le uniche e sole a subire gli effetti della crisi climatica – spiega Agnese – noi chiediamo leggi sull’autodeterminazione dei corpi e civiltà più educate, nel senso di accesso all’istruzione anche per le donne”.

Tra le istanze dello sciopero ci saranno poi anche il diritto a città più vivibili e meno inquinate, con il contributo di una mobilità pubblica più efficiente. “le città diventano sempre più invivibili con temperature estreme e stili di vita non consoni a una vita basata sul benessere personale e collettivo”, conclude Agnese, ricordando che per il movimento non esiste una mobilità sostenibile senza passare da investimenti “seri e capillari” sul trasporto pubblico urbano.

Meteo, la trottola ciclonica? Indizio del cambiamento climatico

Nella giornata in cui il movimento Fridays For Future scende in piazza per lo sciopero globale del clima, il meteo diventa un altro indizio del profondo cambiamento. L’attuale ciclone mediterraneo, che vaga da giorni sul Mar Tirreno, come ricorda Antonio Sanò, fondatore del sito www.iLMeteo.it, ne è un esempio. “Dopo il Medicane, l’Uragano Mediterraneo che ha colpito la Sicilia esattamente tre settimane fa – spiega – un altro ciclone dai connotati simil-tropicali sta interessando, da numerosi giorni, gran parte dell’Italia”.

Questi Tropical Like Cyclones o uragani mediterranei, sono favoriti dal riscaldamento globale, così come l’aumento dell’intensità delle precipitazioni, la durata dei periodi siccitosi e, come sappiamo bene ma ce lo scordiamo in inverno e il dramma del caldo soffocante dell’estate italiana. “Potremmo dire, infatti – dice Sanò – che mancano solo due mesi al caldo africano: un anno fa, la prima ondata di calore colpì l’Italia dal 10 maggio; se quest’anno 2023, come indicato dalle previsioni stagionali, risulterà ancora più caldo dell’anno record 2022, non è impossibile confermare il via dell’estate tra circa 60 giorni”.

E con i cambiamenti climatici anche questo ennesimo ciclone mediterraneo, dai connotati tropicali, potrà avere ancora vita lunga, in particolare al Sud con maltempo per altre 36-48 ore. Negli ultimi giorni, lo stesso vortice simil-tropicale ha portato la neve sulle spiagge di Ibiza, qualche fiocco a Bologna, Modena e ha scaricato temporali intensi, fuori stagione, dalla Sicilia all’Albania e fino alla Grecia.

Nelle prossime ore “prestiamo dunque attenzione – dice l’esperto – agli effetti di questo TLC, Tropical Like Cyclone, questa trottola dai connotati tropicali con venti forti e piogge intense: le zone più colpite saranno quelle tra le Isole Maggiori ed il versante ionico, con possibili nubifragi in risalita dal Nord Africa. Nel frattempo al Nord tornerà a splendere il sole”. Il tempo del primo weekend di marzo vedrà dunque ancora residua instabilità al Sud, mentre al Centro-Nord il cielo sarà sereno o poco nuvoloso tranne addensamenti il sabato tra Marche, Abruzzo e Molise e la domenica tra Liguria di Levante ed Alta Toscana.

Proteste a Oslo contro parchi eolici nelle terre Sami: Greta Thunberg fermata e poi rilasciata

Instancabile oppositrice dei combustibili fossili, la svedese Greta Thunberg sta sostenendo da giorni, con tutto il suo peso mediatico, la battaglia condotta dai Sami in Norvegia per ottenere la demolizione delle turbine eoliche dichiarate illegali perché invadono i pascoli delle renne. Avvolta in una sciarpa e un cappello, una bandiera sami in mano, l’attivista è stata portata via con la forza da due poliziotte mercoledì mattina mentre bloccava l’ingresso del Ministero delle Finanze a Oslo in compagnia di una decina di attivisti, anch’essi allontanati.

Mobilitati da giovedì scorso, prima occupando poi bloccando i ministeri, gli attivisti Sami, popolo indigeno dell’Artico, chiedono la demolizione di due parchi eolici ancora in funzione a Fosen, nell’ovest del Paese, nonostante una sentenza del tribunale emessa da oltre 500 giorni ne abbia dichiarato l’illiceità.  La Corte Suprema norvegese aveva stabilito nell’ottobre 2021 che i due parchi eolici violavano il diritto delle famiglie Sami di praticare la loro cultura, vale a dire l’allevamento delle renne, senza rispettare il testo delle Nazioni Unite relativo ai diritti civili e politici. Ma la massima corte del Paese non si era pronunciata sulla sorte delle 151 turbine che, poco più di 500 giorni dopo, sono ancora in funzione. Con dispiacere delle sei famiglie Sami che usavano questa terra come pascolo invernale per le loro mandrie. Con circa 100.000 membri sparsi tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia, la popolazione Sami ha vissuto a lungo principalmente di pesca e di pastorizia semi-nomade delle renne. Secondo gli allevatori, il rumore e la forma delle turbine spaventano i loro animali. Ora, attraverso anche la voce della musicista Ella Marie Haetta Isaksen, gli attivisti promettono di “bloccare lo Stato” norvegese fintanto che le turbine rimarranno al loro posto. A loro si è aggiunta da domenica Greta Thunberg.

Continuerò a partecipare alle proteste“, ha dichiarato al quotidiano Verdens Gang, dopo essere stata allontanata dall’ingresso di un altro ministero, quello del Clima e dell’Ambiente. Né lei né gli altri attivisti sono stati arrestati. Mettendo da parte la sua crociata contro i combustibili fossili, Greta ha quindi prestato la sua voce alla mobilitazione contro queste turbine eoliche. “Non possiamo usare la cosiddetta transizione climatica come copertura per il colonialismo”, aveva spiegato lunedì al canale TV2. “Una transizione climatica che viola i diritti umani non è una transizione climatica degna di questo nome”, ha affermato. Spesso vestiti con i tradizionali costumi blu e rossi, gli attivisti riuniti in questi giorni a Oslo si sono incatenati davanti alle porte dei ministeri con catene e lucchetti forniti, secondo i media locali, da un club di BDSM (bondage, dominazione, sadismo, masochismo). Criticate per la loro presunta lentezza, le autorità norvegesi si sono impegnate a rispettare la sentenza della Corte Suprema e hanno ordinato ulteriori perizie nella speranza di trovare meccanismi che consentano la coesistenza di produttori di elettricità e allevatori di renne. “Il ministero farà del suo meglio per aiutare a risolvere questa questione e che non ci vorrà più tempo del necessario“, ha fatto sapere il ministro del Petrolio e dell’Energia Terje Aasland.

Alluvione

Allarme degli scienziati: “Il mondo non è preparato per i disastri climatici”

Il mondo non è abbastanza preparato ad affrontare le catastrofi e i governi troppo spesso reagiscono solo a posteriori. E’ quanto emerge da un rapporto del Consiglio scientifico internazionale, che comprende decine di organizzazioni scientifiche, che invita a ripensare la gestione del rischio. Nel 2015, la comunità internazionale ha adottato gli obiettivi di Sendai per ridurre le vittime e i danni entro il 2030 investendo nella valutazione del rischio, nella riduzione del rischio e nella preparazione alle catastrofi, che si tratti di terremoti o di disastri legati al clima e aggravati dal riscaldamento globale. Ma “è altamente improbabile” che gli obiettivi vengano raggiunti, afferma il rapporto.

Dal 1990, più di 10.700 disastri (terremoti, eruzioni vulcaniche, siccità, inondazioni, temperature estreme, tempeste, ecc.) hanno colpito più di 6 miliardi di persone in tutto il mondo, secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di disastri. In cima alla lista ci sono le inondazioni e le tempeste, moltiplicate dai cambiamenti climatici, che rappresentano il 42% del totale. Queste catastrofi a cascata “minano i progressi faticosamente ottenuti in termini di sviluppo in molte parti del mondo“, si legge nel rapporto. Ma “mentre la comunità internazionale si mobilita rapidamente dopo disastri come i terremoti in Turchia e in Siria, troppo poca attenzione e pochi investimenti sono diretti alla pianificazione e alla prevenzione a lungo termine, che si tratti di rafforzare le norme edilizie o di istituire sistemi di allarme“, commentato Peter Gluckman, presidente del Consiglio, in un comunicato.

Le molteplici sfide degli ultimi tre anni hanno evidenziato la necessità fondamentale di una migliore preparazione per i disastri futuri“, dichiara Mami Mizutori, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio. “Dobbiamo rafforzare le infrastrutture, le comunità e gli ecosistemi ora, piuttosto che ricostruirli in seguito“. Il rapporto richiama quindi l’attenzione su un problema di allocazione delle risorse. Ad esempio, solo il 5,2% degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo per la risposta alle catastrofi tra il 2011 e il 2022 è stato dedicato alla riduzione del rischio, mentre il resto è stato destinato ai soccorsi e alla ricostruzione dopo l’evento. Il Consiglio chiede inoltre di diffondere l’uso di sistemi di allerta precoce, osservando che un preavviso di 24 ore di una tempesta potrebbe ridurre i danni del 30%.

Attivisti bloccano traffico a Milano: “Stop a combustibili fossili”

Questa mattina intorno alle 9 cinque esponenti di Ultima Generazione hanno bloccato il traffico in Via Luigi Sturzo a Milano, sedendosi sull’asfalto e reggendo due striscioni con scritto ‘Non paghiamo il fossile’ e ‘Stop sussidi ai fossili’. Per tutta la durata dell’azione hanno dialogato con gli automobilisti presenti, discutendo della gravità della situazione climatica corrente e “dell’inaccettabilità dell’inazione della Politica per contenerne i danni”. Il blocco è stato sciolto per fare passare un’ambulanza a sirene spente, coi soli lampeggianti accesi. Alle 9.30 è arrivata sul posto la prima auto dei carabinieri, poi i manifestati sono stati portati via. “Scendo in azione, rischiando la mia fedina penale – ha detto Martina, una dei manifestanti – perché non è normale accettare la crisi climatica ed ecologica come qualcosa di certo e inevitabile, quando sappiamo bene che è causata dalle attività umane, e dal continuo investimento dei nostri governi nelle fonti fossili di energia. Insieme abbiamo la possibilità di arrestare questa ingiustizia”.

Per Ultima Generazione “non è più rinviabile una svolta radicale di metodo e di merito: è necessario dirottare queste risorse pubbliche in investimenti per energie rinnovabili e in piani strategici di riassetto e salvaguardia del territorio, prevenzione e mitigazione idraulica ed idrogeologica”. 

Ho deciso di prendere parte alla campagna Non paghiamo il fossile’ e di partecipare alle loro azioni, per dare il mio piccolo contributo alla causa ambientale nei metodi che ritengo più giusti.  Ho capito che potevo fare di più ed è stata la mia coscienza a guidarmi”, ha detto Gaetano, 20 anni, oggi alla sua prima azione per la campagna di disobbedienza civile.

 

Attivisti bloccano operazioni terminal jet privati a Malpensa

Nuova azione di protesta da parte degli attivisti ambientalisti contro i jet privati. Questa mattina alle 10 venti persone, fra le quali scienziati, accademici, studenti di scienze e sostenitori, hanno bloccato le operazioni dell’aeroporto Malpensa Prime di Milano, dove atterrano e decollano i jet privati. La protesta, alla quale hanno partecipato Scientist Rebellion, Extinction Rebellion e Ultima Generazione, rientra nella campagna ‘Make them pay’, promossa da Scientist Rebellion, Extinction Rebellion e Stay Grounded a livello internazionale, volta a mettere in luce come l’uso dei jet privati da parte dell’1% della popolazione stia producendo effetti devastanti sul clima.

L’iniziativa di Milano non è un caso isolato: nella giornata di oggi a livello mondiale in circa 10 Paesi hanno avuto luogo azioni simultanee analoghe il cui bersaglio sono stati gli aeroporti di jet privati. A Milano, spiegano in un comunicato gli attivisti, la protesta è stata messa in atto attraverso più tattiche di disturbo delle attività dell’aeroporto: un blocco dell’accesso ai parcheggi automobilistici della struttura, l’imbrattamento delle vetrate del terminal. Dieci cittadini in protesta hanno inoltre fatto ingresso sulla pista dell’aeroporto sedendosi e incollando le proprie mani sull’asfalto di fronte a un jet parcheggiato. “San Valentino è il giorno dell’anno con il maggior numero di voli di jet privati per spostamenti non lavorativi, quindi non essenziali. Non possiamo più accettarlo, siamo in una situazione di emergenza climatica, bisogna agire di conseguenza”, dice Lorenzo, attivista di Scientist Rebellion. Le persone coinvolte sono state allontanate dall’aeroporto e portate via dalla polizia.

L’Artico si scalda molto più velocemente. Cnr: “Fondamentale finanziare ricerca”

L’Artico è un eccezionale termometro della salute del Pianeta intero. Qui il riscaldamento globale corre più in fretta e gli scienziati stanno cercando di capire il perché.  L’aumento della temperatura è quasi tre volte quello della media mondiale, con alcune regioni che hanno un aumento fino a 2.7°C ogni dieci anni, cioè 5-7 volte il tasso di crescita globale della temperatura. Il ghiaccio marino si riduce, sia in estensione che in spessore, a una velocità che non ha precedenti. A questo si aggiunge la fusione del permafrost terrestre e subacqueo con l’accelerazione dell’immissione di gas climalteranti in atmosfera. La riduzione del ghiaccio marino favorisce poi un incremento del traffico navale nella regione, con un aumento dei rifiuti in mare e soprattutto delle emissioni di fuliggine, che “sporca” il ghiaccio riducendone la capacità di riflettere l’energia infrarossa.

Studi recenti confermano come anche gli incendi nella zona boreale – soprattutto nelle regioni siberiane come la Yakutia – stiano pericolosamente aumentando a causa della crisi climatica in atto. Si osservano anche importanti variazioni nella struttura e nella circolazione dell’oceano e dell’atmosfera, e impatti importanti sull’ecosistema. In questo quadro, “l’interpretazione dei dati raccolti ha un valore strategico altissimo”, sottolinea Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr, che presenta il Programma Nazionale di Ricerche in Artico, un progetto che ha anche l’obiettivo di sostenere la presenza diplomatica nell’area, attraverso la guida da parte del Comitato Scientifico Artico. L’Italia nella ricerca ha qualcosa da dire e “questa grande competenza acquisita può dare un ruolo sempre più importante al nostro Paese”, spiega, lanciando un appello perché si sostenga la ricerca con investimenti che “ci diano prospettive a lungo termine”.

Quello che succede in Artico, non resta in Artico, ma impatta anche le medie latitudini. L’estendersi in Europa, e fino al Mediterraneo, delle conseguenze dei fenomeni di riduzione dell’ozono che hanno caratterizzato l’Artico nel 2011 e il 2020, è stato messo in evidenza dai ricercatori italiani e danno il polso dell’interazione e interconnessione tra le regioni artiche e le nostre latitudini. Per questo, il Pra si è focalizzato sul fenomeno dell’“amplificazione artica”, sugli ecosistemi, sull’atmosfera e sulla colonna d’acqua dei mari artici, sulle ricostruzioni paleoclimatiche e sugli effetti della crisi climatica sulle popolazioni che vivono in Artico.

La norma istitutiva del Pra inserisce il Programma nel quadro delle collaborazioni internazionali dell’Italia relative all’Artico, con esplicito riferimento all’International Arctic Science Committee (IASC), al Sustaining Arctic Observing Network (SAON), al Ny Alesund Managers Committee (NyMASC), all’Arctic Science Ministerial (ASM) ed al Consiglio Artico. Recentemente, l’Italia ha acquisito una nuova nave da ricerca polare da parte dell’Ogs, la nave oceanografica Laura Bassi, che ha già effettuato una prima campagna, con tre progetti di ricerca co-finanziati su fondi Pra, e che auspicabilmente potrà tornare in Artico, in coordinamento con le attività previste in Antartide. A questa disponibilità si aggiunge, a partire dal 2023, quella della nave oceanografica del Cnr, Gaia Blu, in grado di svolgere ricerche in oceano e in aree polari artiche durante la stagione estiva.

Il progetto è stato finora finanziato con 1 milione di euro all’anno: il Cnr, attraverso il CSA, riesce a mettere a call circa l’80% di questo budget. Le call fatte finora sono state due per progetti di ricerca e una per potenziamento di infrastrutture di ricerca. E’ in uscita una terza call per progetti di ricerca, con un budget di circa 1,4 milioni di euro.

 

(Photocredit: Vittorio Tulli – Cnr)

Tags:
, ,

Gli escrementi di balena? Fanno bene al clima e fertilizzano gli oceani

Gli escrementi di balena? Valgono il loro peso in oro. Almeno per gli ecosistemi. E’ quanto emerge da uno studio dell’Istituto norvegese di ricerca marina, che ha esaminato la concentrazione di sostanze nutritive negli escrementi di balena prima che si dissolvano nell’acqua di mare. E la scoperta è tanto semplice quanto importante: gli escrementi fertilizzano gli oceani proprio come fanno le mucche e le pecore sulla terraferma.

I ricercatori hanno quindi analizzato le feci delle balenottere comuni arpionate dai balenieri, visto che la Norvegia è uno dei pochi paesi al mondo ad autorizzare la caccia commerciale di questi cetacei. Le 15.000 balene che ogni estate migrano verso l’arcipelago norvegese delle Svalbard, nell’Artico, rilasciano ogni giorno circa 600 tonnellate di escrementi sulla superficie dell’acqua, circa 40 kg per animale, che rilasciano, secondo lo studio, circa 10 tonnellate di fosforo e sette tonnellate di azoto, nutrienti essenziali per la crescita del fitoplancton, le microscopiche alghe che, tramite la fotosintesi, assorbono l’anidride carbonica per trasformarla in ossigeno.

Gli scienziati hanno concluso che gli escrementi di balena contribuiscono dallo 0,2 al 4% della produzione primaria giornaliera di fitoplancton nella regione delle Svalbard. “Il vero contributo delle balene è probabilmente più alto perché queste stime non includono l’urina, che è molto ricca di azoto”, spiega il capofila della ricerca Kjell Gundersen. Infatti, ogni balenottera comune – un animale di 40-50 tonnellate in età adulta che si nutre per filtrazione ingerendo grandi quantità di acqua – rilascia “diverse centinaia di litri di urina” al giorno.

“Se ci sono meno balene, c’è il rischio che ci sarà meno fertilizzazione della superficie degli oceani”, dice Gundersen. “E una maggiore produzione di fitoplancton significa più CO2 assorbita”. E quindi una frazione infinitesimale del riscaldamento globale in meno.

 

(Photocredit: AFP)

Dodici ricercatori isolati per 9 mesi in Antartide per studiare il clima

Dodici scienziati trascorreranno nove mesi in completo isolamento per studiare il clima e la biomedicina. Prende, infatti, il via nella base italo-francese Concordia, a 3.300 metri di altitudine nel continente antartico, la 19esima campagna invernale del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e gestito da ENEA per l’organizzazione e la logistica e dal Cnr per il coordinamento scientifico. Sono 12 gli esperti selezionati che trascorreranno nove mesi in completo isolamento: 5 italiani del PNRA, 6 francesi dell’Istituto polare Paul Emile Victor (IPEV) e un medico tedesco dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Durante tutto l’inverno polare, infatti, la stazione non sarà più raggiungibile a causa delle temperature esterne proibitive, che possono scendere fino a -80°C. In questi mesi saranno condotti studi su clima, glaciologia, fisica e chimica dell’atmosfera e biomedicina e diverse attività di manutenzione della stazione.

L’inizio del winterover coincide ogni anno con la chiusura della stazione costiera Mario Zucchelli a Baia Terra Nova, che serra i battenti per riaprire il prossimo ottobre con l’arrivo del contingente della nuova spedizione estiva. Nel corso dell’attuale campagna sono stati condotti oltre 50 progetti di ricerca su scienze dell’atmosfera, geologia, paleoclima, biologia, oceanografia e astronomia, nonostante le difficoltà causate dal ridotto spessore del ghiaccio. I dati raccolti in Antartide saranno poi elaborati e analizzati nei laboratori di diversi enti di ricerca e università italiane. Hanno partecipato alla spedizione 240 ricercatori e tecnici, tra cui 23 esperti militari di Esercito, Marina, Aeronautica, Arma dei Carabinieri e Vigili del fuoco.

Dopo la chiusura della base Zucchelli, le attività di ricerca proseguono, oltre che a Concordia, anche a bordo della nave Laura Bassi, impegnata nella seconda campagna oceanografica nel Mare di Ross con studi dedicati alla geofisica. La rompighiaccio italiana, di proprietà dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), si è resa protagonista nei giorni scorsi di un record mondiale toccando il punto più a sud dell’emisfero raggiungibile via nave. Le condizioni del mare, straordinariamente libero dai ghiacci, hanno consentito ai ricercatori di effettuare importanti analisi, profilature e attività di pesca scientifica. La Laura Bassi rientrerà al porto di Lyttelton in Nuova Zelanda i primi di marzo, mentre il rientro in Italia è atteso per la seconda metà di aprile.

 

(Photocredit ENEA)