Settore bioplastiche in crescita. Ma operatori chiedono più controlli

La filiera delle bioplastiche compostabili continua a crescere: salgono volumi, fatturato e occupati. Aumentano anche tasso di riciclo degli imballaggi in bioplastica compostabile, popolazione coperta e corrispettivi economici riconosciuti ai Comuni. Ma crescono anche illegalità e manufatti ‘riutilizzabili’. Preoccupano le direttive Ue contraddittorie, il dumping dei prodotti asiatici e l’assenza di leggi italiane capaci di sostenere un modello innovativo.

Assobioplastiche, Biorepack e Cic lanciano l’appello: urge riconoscere il valore della filiera e rafforzare il meccanismo dei controlli.

Se Paesi come Stati Uniti e Cina hanno compreso le opportunità di questo mercato iniziando ad agire su più fronti, occorre che la politica si adoperi per difendere e valorizzare un’industria che ha generato innovazione, occupazione e crescita per il Paese e difesa del capitale naturale. Di fronte a queste prospettive rilanciamo, ad esempio, la necessità di un riconoscimento del valore strategico del nostro comparto anche tramite apposita classificazione Ateco/Nace. Altrettanto doverosa sarebbe prevedere un’aliquota IVA agevolata riconoscendo le positive proprietà intrinseche della bioplastica compostabile e destinare agli organismi accertatori le risorse ottenute con le sanzioni comminate ai produttori di manufatti illegali”, rimarca Luca Bianconi, presidente di Assobioplastiche.

Il settore investe in ricerca e sviluppo, con impatti positivi sul sistema Paese, sia dal punto di vista industriale e delle sinergie con altri settori, sia sul fronte dei vantaggi ambientali.
Nonostante i numeri positivi che accomunano le diverse fasi della filiera, le nubi all’orizzonte non mancano e gli operatori sono preoccupati. Nel breve termine (2023), la diminuzione complessiva dei consumi finali e la riduzione della spesa delle famiglie, schiacciate da livelli inflattivi mai registrati negli ultimi decenni, unite al pesante aumento dei tassi di interesse, fanno presagire per l’anno in corso una contrazione della produzione industriale di manufatti compostabili. Anche il monouso compostabile, che ha sostenuto il comparto lo scorso anno, è in forte difficoltà a seguito della diffusione dei piatti cosiddetti riutilizzabili in plastica convenzionale. Il contesto esterno che favorisce “la ricerca del prezzo” stimola l’illegalità: la presenza di sacchi non a norma è nettamente in recrudescenza.

Sebbene la legge che ne vieta l’uso sia in vigore da più di 10 anni e nonostante gli impegni profusi dalla filiera e dalle Forze dell’Ordine, il tasso dei sacchetti illegali è infatti salito dal 22% del 2021 al 28% del 2022. Diverse le forme di illegalità: decisamente frequente la commercializzazione di borse per asporto merci o alimenti sfusi prive di qualsiasi requisito di legge (certificazioni di biodegradabilità e compostabilità, rinnovabilità e relative etichettature). Altre volte vengono riportati falsi e ingannevoli slogan ambientali. Oppure compaiono marchi di certificazione di compostabilità su sacchetti privi dei requisiti stabiliti dallo standard EN 13432, ad esempio contenenti percentuali di materia prima di origine rinnovabile inferiore al 60%. E c’è poi il caso dei sacchetti dichiarati compostabili ma che in realtà contengono quantità più o meno rilevanti di polietilene, materia prima non ammessa per i bioshopper ma che viene usata per ridurre il costo di produzione. Una frode per chi, in buona fede, li acquista.

Per quanto riguarda i manufatti cosiddetti riutilizzabili basta osservare con attenzione gli scaffali di negozi e supermercati per rendersi conto che stanno proliferando piatti, bicchieri e posate realizzati in plastica tradizionale ma venduti con la dicitura “riutilizzabile”. Un escamotage tecnico per aggirare la norma che vieta il monouso e offrire prodotti il cui costo di produzione è ovviamente molto più basso.

Tutti questi fenomeni creano danni da molti punti di vista”, spiega Marco Versari, presidente di Biorepack. “Erodono i margini di crescita delle aziende che operano nella legalità e, così facendo, riducono le loro possibilità di fare investimenti che hanno ricadute positive sia in termini occupazionali sia per l’individuazione di soluzioni innovative a ridotto impatto ambientale. Inoltre creano problemi anche economici ai Comuni impegnati nella raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti: una minore qualità della raccolta equivale infatti a minori corrispettivi economici che possiamo garantire loro come consorzio”.

C’è poi tutto l’aspetto delle esternalità negative sull’ambiente. Ben presenti a chi si occupa quotidianamente del riciclo organico delle bioplastiche compostabili: “I manufatti in plastica tradizionale rappresentano la maggiore quantità di frazione estranea che ci troviamo nei nostri impianti di compostaggio”, afferma Lella Miccolis, presidente del CIC. “Questi prodotti infatti ‘sporcano’ la raccolta dell’umido domestico e così facendo diminuiscono la quantità di compost che è possibile produrre nei nostri impianti. È bene ricordare che il compost è una valida alternativa figlia dell’economia circolare che aiuta a riportare fertilità ai terreni agricoli senza il bisogno di usare i concimi di origine chimica”.

Consorzio Compostatori: “Caro energia ci stressa, ma non pesiamo su Comuni”

Non solo compost. Energie rinnovabili, biometano sostenibile, captazione di anidride carbonica. “Da recuperatori di materia siamo diventati degni rappresentanti dell’economia verde e circolare“, spiega a GEA Lella Miccolis, da luglio prima donna alla guida del Consorzio Italiano Compostatori.

Ridurre, riutilizzare, riciclare, recuperare. Le 4 R della circolarità vestono alla perfezione la filosofia del Cic, che guarda ben oltre i confini nazionali: “Con i cambiamenti climatici e la desertificazione spinta sarebbe davvero un peccato se da ogni rifiuto organico non si producesse compost“, afferma.

Il caro energia piega anche il comparto: “Siamo molto energivori perché le autorizzazioni ci costringono ad avere elevatissimi standard di processo e non dobbiamo impattare. Questi aumenti stanno stressando le nostre performance economico-finanziarie ma non possiamo tradurli in aumenti di tariffe, perché anche i Comuni sono già vessati, non li stiamo appesantendo, stiamo subendo in silenzio“, afferma.

Il settore è cambiato moltissimo negli ultimi 30 anni. Come si è evoluto?
Quando abbiamo iniziato, i primi operatori che hanno trattato il rifiuto organico trattavano la frazione organica stabilizzata dai rifiuti indifferenziati, producendo un compost grigio. La normativa non l’ha più consentito, perché si erano avviate le raccolte differenziate. Il compost che si produce oggi è derivato dalla raccolta differenziata dei rifiuti a monte, ma in questi anni sono stati trattati tantissimi rifiuti organici, ma anche i fanghi agroalimentari e civili, così come gli scarti della manutenzione del verde e quelli dalle aziende di trasformazione dei beni agricoli primari. Non demonizziamo nessuna delle materie matrici del compost. Con la digestione anaerobica, si è prodotta inoltre energia pulita, poi il biogas, che può subire un ulteriore processo ed essere trasformato in biometano sostenibile, al momento un valido combustibile alternativo ai fossili. Abbiamo saputo valorizzare il compost anche economicamente, perché è cominciato a diventare materia prima di formulazione di fertilizzanti e per poterlo impiegare in altri settori è stato confezionato e pellettizzato. Quando il settore si è avviato, gli impianti erano molto semplificati, ora c’è tutto un discorso di sostenibilità, perché l’efficienza di un impianto passa dalla sua capacità di essere sostenibile. A un certo punto siamo diventati delle bioraffinerie, ricicliamo e rigeneriamo.

Qual è il ruolo del compost in agricoltura, in un momento in cui c’è emergenza fertilizzanti?
La carenza di fertilizzanti e il caro prezzi sono dovuti principalmente alla guerra. Ma questo trend è iniziato prima ed è legato alla congiuntura internazionale della pandemia da Covid-19. Il compost ha un ruolo importante per il suo valore agronomico che è indubbio, ma anche per il suo valore ambientale, non dimentichiamo l’effetto carbon sink (la captazione dell’anidride carbonica dal suolo, ndr). Viene prodotto tutti i giorni dell’anno e ha prezzi contenuti. I fetilizzanti minerali nutrono le piante ma non il suolo.

Il compost può essere una soluzione per risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti organici nelle città in modo ecologico?
Sì, assolutamente. Ha un valore ecologico di per sé, consente un riciclo, e ha anche per il diver di fertilità naturale insito.

A che punto sono i comuni con la differenziata dell’organico?
Si è un po’ fermata. Dal primo gennaio 2022 è obbligatoria la differenziata dei rifiuti organici, ma non abbiamo assistito a un incremento della quantità, non è stato compreso l’obbligo e anche in quei comuni che erano lontani dagli obiettivi questo atteso incremento non c’è stato. Alcune città capoluogo soprattutto hanno ancora grandi difficoltà. Quello che serve è uniformare le prassi adottate , redigendo un vademecum di come si imposta un sistema di raccolta, una campagna di informazione per l’effettivo riciclo dei rifiuti. Non basta separare a monte, ma se la differenziata non viene fatta bene, gli impianti si ritrovano rifiuti non compostabili, scarti da smaltire, il problema si sposta dal Comune all’impianto. Un accorgimento è l’utilizzo dei sacchetti biodegradabili certificati, sperando che i comuni tornino a distribuirli ai cittadini.

Cosa suggerite al nuovo governo?
Presenteremo le nostre linee programmatiche ad Ecomondo, ma posso anticiparvi che la Cic promuove la centralità industriale del ciclo del carbonio, il recupero di materia da ogni rifiuto compostabile, avalla la produzione di biometano ma dà la priorità al compost. Diciamo insomma di no ai digestori senza la fase di compostaggio perché il digestato è un prodotto intermedio, non dobbiamo dimenticarci che il recupero di materia viene prima del recupero di energia.