INFOGRAFICA INTERATTIVA Inflazione, ad aprile rallenta a +0,1% mensile e +0,8% annuale

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento dell’inflazione in Italia. Ad aprile, secondo quanto comunicato dall’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, è aumentato dello 0,1% su base mensile e dello 0,8% su base annua (da +1,2% del mese precedente): la stima preliminare era +0,9%.

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La mappa del consumo di suolo italiano: dove stiamo perdendo terreno

Nell’ultimo anno in Italia sono stati consumati 21 ettari di suolo al giorno, il valore più alto degli ultimi 11 anni. Per rimpiazzare ciò che il terreno forniva naturalmente (come la regolazione del microclima e del regime idrogeologico, la produzione agricola o lo stoccaggio di CO2) abbiamo speso circa 20 miliardi dal 2006. Da oggi ci costerà 9 miliardi l’anno.

Perdiamo una risorsa fragile e limitata, fondamentale in un Paese caratterizzato da forte dissesto idrogeologico. E la perdiamo a ritmi mai visti in tempi recenti: secondo l’ultimo rapporto Ispra e Snpa sul consumo di suolo, nel 2022 sono stati consumati 76,8 km2, il 10,2% in più rispetto al 2021.

Quando si parla di consumo, si intende la perdita parziale o irreversibile di questa risorsa, dovuta principalmente all’occupazione di superfici in origine agricole, naturali o seminaturali: si tratta quindi, per la maggior parte, di coperture artificiali, dovute alla costruzione di nuovi edifici e infrastrutture.

Ma la causa non è soltanto il cemento portato dall’espansione delle città: tra le motivazioni ci sono anche le coltivazioni che degradano il terreno agricolo da un punto di vista fisico, chimico e biologico giocando un ruolo importante nel deterioramento del suolo, così come gli scavi di cave e miniere.

I problemi che ne conseguono sono diversi.

Quello più dannoso è l’impermeabilizzazione: l’acqua non viene assorbita ma resta invece in superficie, e, accumulandosi, rende particolarmente grave una caduta intensa di piogge. L’alluvione in Emilia Romagna, terza regione per consumo di suolo, è il caso più emblematico.

Un altro pericolo, forse più nascosto, è legato all’utilizzo di aree naturali e agricole per la costruzione di unità abitative. In un contesto di crescita demografica in negativo da decenni, molte case resteranno, con ogni probabilità, vuote, trasformandosi presto in ruderi.

Questa mappa interattiva, elaborata da GEA sui dati di Ispra e Snpa, nella prima visualizzazione mostra le aree che, in percentuale, soffrono in maggior misura di questo problema. La seconda, invece, evidenzia i comuni che dal 2006 (anno in cui è iniziato il monitoraggio) a oggi hanno aumentato, sempre in percentuale, il suolo consumato. È possibile digitare il nome del proprio comune.

La prima mappa mostra la distribuzione dell’urbanistica italiana. “In 15 regioni il suolo consumato stimato al 2022 supera il 5%” si legge infatti nel rapporto, “con i valori percentuali più elevati in Lombardia (12,16%), Veneto (11,88%) e Campania (10,52%). La Lombardia detiene il primato anche in termini assoluti, con oltre 290mila ettari di territorio artificializzati (il 13,5% del suolo consumato in Italia è in questa regione)”.

In termini di incremento percentuale, ovvero la seconda visualizzazione, i valori più elevati sono quelli di Puglia, Sardegna e Sicilia.

Le cause sono difficili da ricollegare a un singolo fattore, in quanto sono spesso legate a motivazioni specifiche e locali.

Volendo però cercare qualche elemento di sintesi, in Puglia, molti comuni hanno avuto un incremento prevalentemente legato all’edilizia e allo sviluppo turistico, ma anche alla realizzazione impianti fotovoltaici a terra di tipo tradizionale realizzati su aree agricole.

Al Nord, invece, la crescita più elevata si evidenzia, in particolare, nei comuni dove maggiore è stato l’impatto di nuove infrastrutture (per esempio la Brebemi o la Pedemonontana) o di nuovi poli legati alla logistica (spesso a loro volta collocati lungo i principali assi infrastrutturali).

In ogni caso, la scelta di analizzare l’incremento percentuale evidenzia in maniera particolare le trasformazioni dei piccoli comuni: è il caso, per esempio, di San Floro, in provincia di Catanzaro, che dal 2006 a oggi ha aumentato del 96,33% il proprio suolo consumato, a causa di un’ampia zona agricola destinata a impianti fotovoltaici, e dell’apertura di una nuova area estrattiva.

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È l’Overshoot Day: cos’è e come si calcola fine delle risorse della Terra

Oggi è l’Overshoot Day, ovvero la giornata dell’anno in cui come comunità umana globale finiamo di consumare tutte le risorse che la natura sul nostro Pianeta è in grado di generare nel ciclo delle stagioni sui 365 giorni. Da domani inizieremo a erodere le riserve, in pratica a consumare ciò che ci servirebbe domani. Angosciante? Non necessariamente. Sicuramente è un dato che ci deve far riflettere e preoccupare. Ma come quando andiamo dal medico, è meglio sapere: questi dati aiutano a comprendere la situazione e a trovare i correttivi, le cure e le medicine giuste.

Nel 1970, appena 52 anni fa, la richiesta di risorse e servizi ecosistemici portava a consumare le risorse generate dalla natura il 29 dicembre: abbiamo, quindi, accelerato in maniera enorme il consumo di risorse. Ma abbiamo anche imparato a comprendere il problema e le sue origini. È necessario quindi utilizzare la nostra intelligenza e creatività, le crescenti conoscenze (non solo tecnologiche) per migliorare la condizione di vita delle persone senza compromettere il futuro prossimo, quasi immediato. Questo non è angosciante, ma positivo e potenzialmente entusiasmante.

Come viene calcolata la data? Ogni anno il Global Footprint Network calcola il numero di giorni di quell’anno in cui la biocapacità della Terra è sufficiente a soddisfare l’impronta ecologica dell’umanità. Si divide, quindi, la quantità di risorse ecologiche che la Terra è in grado di generare per la domanda dell’umanità per quell’anno (energia, materie prima, agricoltura, ecc…) e moltiplicando per 365, il numero di giorni in un anno. Questo dato è ovviamente, la media globale. Ovviamente, il dato non è uguale per ogni Paese.

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La situazione divisa per singole nazioni rivela dati interessanti. Questi dati, in particolare, svelano quale sarebbe la data di esaurimento delle risorse rigenerate annualmente se tutto il mondo consumasse energie come avviene in quel Paese. Per l’Italia la data limite è stata raggiunta il 15 maggio, sta quindi nella parte di mondo che consuma in maniera ancora più pesante della media globale attuale. Ma c’è chi fa molto peggio di noi. Il Qatar è il Paese che consuma da record: se tutta l’umanità consumasse come il Paese della Penisola arabica, quest’anno avremmo già esaurito le risorse il 2 febbraio; per il Lussemburgo la data è il 14 febbraio. Subito dopo, in questa classifica, Stati Uniti, Canada ed Emirati Arabi: 13 marzo. Australia il 23, Belgio 26, Finlandia 28 e Danimarca 31 marzo. Per la Cina il 2 giugno.

Dalla parte opposta della classifica, i Paesi più virtuosi – tra quelli che hanno un consumo superiore alla capacità di rigenerazione, sono quindi esclusi quelli che consumano meno – sono: Giamaica (20 dicembre), Ecuador (6 dicembre), Indonesia (3 dicembre), Cuba (25 novembre), Iraq (24 novembre), Guatemala (14 novem,bre), Egitto (11 novembre) e Colombia (8 novembre). Il dato sui singoli Paesi si basa sulle elaborazioni del National Footprint and Biocapacity Accounts, che presenta dati sull’impronta ecologica e sulla biocapacità dal 1961 al 2018. Lo scarto di 4 anni è dovuto alla necessità di elaborare i dati e al processo di rendicontazione delle Nazioni Unite.

Non tutti i Paesi hanno un giorno di superamento della soglia. Consumano meno di quanto la Terra produca i Paesi più poveri: dall’Afghanistan al Bangladesh, dal Camerun alla Costa d’Avorio. È evidente, quindi, che si pone una necessità strategica: coniugare la crescita delle condizioni di vita con la gestione oculata delle risorse. Sostenibilità a 360 gradi.

Spiega il Global Footprint Network: “Il nostro pianeta è finito, ma non le possibilità umane. La trasformazione verso un mondo sostenibile e a zero emissioni di carbonio avrà successo se applicheremo i più grandi punti di forza dell’umanità: la lungimiranza, l’innovazione e l’attenzione reciproca. La buona notizia è che questa trasformazione non solo è tecnologicamente possibile, ma è anche economicamente vantaggiosa e rappresenta la nostra migliore opportunità per un futuro prospero”. Ancora: “Abbiamo identificato cinque aree chiave: Pianeta in salute, Città, Energia, Cibo e Popolazione. Queste stanno definendo con forza le nostre tendenze a lungo termine, tutte plasmate dalle nostre scelte individuali e collettive”.

(Photo credits: Olivier MORIN / AFP)

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Come i prezzi energia influenzano quelli dei beni alimentari

L’aumento dei prezzi dei beni alimentari è sotto gli occhi di tutti e ha raggiunto un nuovo massimo storico nel 2022, dopo l’invasione russa in Ucraina. Eppure l’inflazione su ciò che mettiamo in tavola era già in aumento prima della guerra in tutta l’area euro. La causa? Sicuramente la pandemia che nel 2020 ha vincolato l’offerta ma, successivamente, dal quarto trimestre del 2021, è cresciuta ancora, raggiungendo il 3,5% a gennaio 2022 e il 7,5% a maggio, il livello più elevato dall’avvio dell’unione monetaria.

L’aumento dei prezzi dell’energia – e in modo particolare del gas – ha influito pesantemente sulla componente alimentare del paniere dei consumi. Ma come sono collegati questi due elementi? Prova a chiarirlo la Bce, che nel bollettino economico, ricorda che l’equazione aumento prezzi energia = aumento beni alimentari è determinata da tre elementi.

Innanzitutto, la produzione agricola e la lavorazione dei prodotti alimentari sono settori ad alta intensità di energia. La coltivazione dei campi, ad esempio, dipende in larga misura dal carburante per i macchinari agricoli, per cui i rincari dell’energia tendono a trasmettersi rapidamente ai costi di produzione, che di conseguenza aumentano.

Inoltre, poiché il gas naturale costituisce uno degli input nella produzione di fertilizzanti, l’aumento dei suoi prezzi fa crescere quelli dei fertilizzanti stessi, incrementando i costi degli input agricoli. Infine, i maggiori costi di trasporto si ripercuotono sui prezzi dei beni alimentari, rendendo così più costosa la sostituzione delle materie prime con quelle provenienti da fonti di approvvigionamento più lontane.

Anche i prezzi delle materie prime alimentari a livello internazionale – ricorda la Bce – hanno registrato un incremento per via delle condizioni meteorologiche avverse in alcune aree“. In aggiunta, i più elevati costi del trasporto marittimo dovuti alle strozzature nelle catene di approvvigionamento mondiali hanno acuito le pressioni sui prezzi.

In questo circolo vizioso si aggiungono, poi, altri elementi fondamentali. In primo luogo, l’Ucraina ha introdotto un divieto di esportazione per alcuni prodotti alimentari, tra cui segale, orzo, grano saraceno, miglio, zucchero, sale e carne. In secondo luogo, il trasporto delle materie prime alimentari dalla Russia è divenuto più dispendioso a causa dei maggiori costi assicurativi e, inoltre, la Russia ha vietato la vendita all’estero di fertilizzanti, di cui è il maggiore esportatore mondiale, fino ad agosto 202210. Infine, l’Unione europea ha adottato ulteriori sanzioni contro la Bielorussia, imponendo un divieto totale alle importazioni di idrossido di potassio e carburanti, fra gli altri altri prodotti. Queste restrizioni al commercio internazionale di concimi, riferisce la Bce, “determineranno ulteriori aumenti dei prezzi sia a livello mondiale sia nell’area dell’euro, mentre la riduzione dell’offerta potrebbe anche incidere sui rendimenti mondiali dei raccolti nel periodo a venire“.