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Suore in campo per le Cop: Consenso su non proliferazione fossili

La salute del Pianeta è in bilico, intervenire è urgente, ma ancora più importante è che si intervenga uniti. L‘Unione internazionale delle Superiori generali guarda alla Cop 27 di Sharm el-Sheikh (6-18 novembre), alla Cop 15 di Montreal (7-19 dicembre) e lancia una dichiarazione per la cura della casa comune.

All’interno della dichiarazione l’appello delle religiose ad “agire velocemente per arrestare il crollo della biodiversità, assicurando che, entro il 2030, almeno metà della Terra e degli oceani diventino aree protette, ricostituire gli ecosistemi devastati e ridurre la dipendenza globale dai combustibili fossili”. Ma anche l’invito a “raggiungere il consenso globale sul Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili e a sottoscrivere l’accordo di un nuovo quadro globale per la biodiversità”.

Noi suore siamo convinte della necessità di un approccio integrale, integrante e inclusivo per la realizzazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli Obiettivi della Laudato Si’”, scandisce suor Patricia Murray, segretaria esecutiva della Uisg. “Le suore e i loro alleati – garantisce – sono in prima linea nel movimento che intavola conversazioni globali sui bisogni delle comunità più vulnerabili”.

Chiama così all’impegno le oltre 600mila religiose che l’Unione rappresenta nel mondo e che operano nell’ambito della salute, della lotta alla fame e dell’assistenza all’infanzia. Chiede di “integrare le voci delle comunità marginalizzate nel dibattito globale riguardante le questioni ambientali”. ‘Sisters for the Environment: Integrating Voices from the Margins’ (Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini) è il titolo della dichiarazione, lanciata oggi dall’headquarter UISG di Roma, con il sostegno del Global Solidarity Fund (GSF).

È necessario ascoltare con attenzione le voci di quanti sono stati colpiti dai disastri ambientali – insistono le religiose nel testo – sia per il riconoscimento della loro dignità di esseri umani sia, con un approccio pragmatico, per imparare dalla loro resilienza“. Si tratta dunque di fare dei più vulnerabili attori protagonisti sullo scacchiere internazionale, assicurando che le loro voci siano centrali nel dialogo globale per il cambiamento e che non siano relegate a una advocacy periferica e isolata.

In particolare, si legge nel documento, “bisogna accogliere i suggerimenti delle comunità indigene per fermare o modificare i progetti che interessano le loro terre, e garantire che l’opinione esperta delle comunità sia parte degli sforzi per la mitigazione dei cambiamenti climatici e il crollo della biodiversità”. Altri due punti fondamentali del dossier riguardano la necessità di integrare le risposte al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità, riconoscendo la natura interconnessa delle sfide ecologiche, e di unire la cura per l’ambiente a quella per le persone più deboli, rifiutando la visione antropocentrica “alla base delle abitudini di consumo più distruttive”.

 

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Papa guarda a Cop27 e Cop15: “La Terra geme, fermiamo distruzione”

Lo spettro di una catastrofe nucleare aleggia sull’Europa e, dall’altro lato dell’Oceano, procede senza sosta la devastazione della foresta Amazzonica, il grande polmone del Pianeta. Nella Giornata mondiale di preghiera per il Creato, Papa Francesco lancia un nuovo appello per difendere l’ambiente: “In balìa dei nostri eccessi consumistici, la sorella Madre Terra geme e ci implora di fermare i nostri abusi e la sua distruzione, afferma alla fine dell’udienza generale.

Il 4 ottobre, nella festa di San Francesco d’Assisi, si chiude il ‘Tempo per il creato’: “Possa favorire in tutti l’impegno concreto a prendersi cura della nostra casa comune“, ricorda il padre della prima enciclica ambientale della storia.

Bergoglio guarda ai due vertici Onu cruciali per il futuro della Terra, la Cop27, in Egitto dal 6 al 18 novembre, e la Cop15, in Canada dal 7 al 19 dicembre: “Possano unire la famiglia umana nell’affrontare decisamente la doppia crisi del clima e della riduzione della biodiversità“, è la speranza.

Prima, in Italia il Pontefice ha un doppio appuntamento con risvolti ambientali. Sabato 24 settembre sarà ad Assisi per partecipare in presenza alla ‘Davos’ cattolica, ‘Economy of Francesco’, movimento internazionale di giovani economisti, imprenditori e change-makers impegnati in un processo di cambiamento verso una nuova economia. Ad accompagnarli da tre anni, tra gli altri esperti, c’è l’attivista indiana Vandana Shiva.

Il giorno successivo, domenica 25 settembre, sarà a Matera per chiudere il 27esimo Congresso Eucaristico Nazionale (22-25 settembre), che quest’anno ha come tema ‘Torniamo al gusto del pane’. A fare da fil rouge alle giornate sarà il tema della comunione, della partecipazione e della missione, in un’ottica di conversione ecologica, pastorale e culturale.

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La COP27 rischia di diventare il flop di Madrid e Glasgow

Duecento rappresentanti dei paesi di tutto il mondo si sono dati appuntamento a Bonn per preparare la COP27 che si terrà in Egitto a novembre. Quasi sei mesi per mettere a regime un appuntamento considerato fondamentale dopo il mezzo fiasco della COP26 a Glasgow e la guerra che, come sostengono in molti e come si percepisce per via induttiva, contribuirà a rallentare il già difficoltoso processo di decarbonizzazione del pianeta.

La domanda è semplice e abbastanza spontanea: ma c’è bisogno di ‘preparare’ un appuntamento così cogente addirittura sei mesi prima? La risposta è altrettanto semplice e altrettanto spontanea: sì. Perché al di là delle chiacchiere e dei buoni propositi per ripulirsi le coscienze, non tutti i Paesi hanno percepito la gravità della situazione ambientale e la necessità di frenare il riscaldamento globale. O se l’hanno capita, non la ritengono vitale. Tirate le somme, prevalgono gli interessi, le strategie di geopolitica, il desiderio di stare sempre un passo avanti rispetto al vicino della porta accanto. A Bonn si è cercato di trovare una chiave per aprire le porte della diplomazia e del buonsenso, nella speranza che il tempo faccia la sua parte.

Il pericolo che a Sharm-el-Sheikh vada in scena una replica di Madrid 2019 e di Glasow 2021 è alta, non a caso Patricia Espinoza, capo dell’agenzia Onu per il clima, ha già lanciato l’allarme. Quel monito, “servono azioni”, non può cadere nel vuoto. Altrimenti anche la Cop27 sarà un altro esercizio di stile (green) dove ciascuno farà per conto proprio e in virtù della propria sensibilità. Se l’Europa sta agendo in maniera determinata – come testimonia il pacchetto REPowerEu – altri Stati stanno frenando. L’India si era già messa di traverso alla Cop26 sul tema del carbone, la Cina è distante e poco tracciabile, gli Stati Uniti ci provano ma con prudenza, la Russia è alle prese con tali e tante grane che la questione carbon free sta in fondo alla lista delle priorità.

Gli Accordi di Parigi galleggiano sospesi, a Sharm-el-Sheikh ci sarà la revisione degli NDC, ovvero gli impegni nazionali di riduzioni delle emissioni per limitare a 1,5° l’aumento della temperatura globale. Poi dovranno essere presi in esame i sostegni per i paesi ‘fragili’ che non erano decollati alla Cop26. La speranza è che non sia tempo butto anche stavolta, Greta dirette il solito bla bla bla…

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Verso la catastrofe climatica. Onu in allerta: Addio obiettivo di 1,5°C

Mentre la guerra in Ucraina mette sotto i riflettori le economie dipendenti dagli idrocarburi, il mondo sta guardando a possibili scenari che potrebbero aiutare a limitare il riscaldamento globale ed evitare di andare verso una catastrofe climatica. Dopo più di un secolo e mezzo di sviluppo dei combustibili fossili, il pianeta ha visto un aumento in media di 1,1°C rispetto all’era preindustriale, e sta già sperimentando devastanti ondate di calore, siccità, tempeste e inondazioni. L’avvertimento lanciato dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, poco prima dell’apertura di due settimane di negoziati da parte degli esperti del clima dell’Onu (Ipcc) è più sorprendente che mai: “Stiamo camminando alla cieca verso la catastrofe climatica” e “se continuiamo così, possiamo dire addio all’obiettivo di 1,5°C”. Ma “anche l’obiettivo dei 2°C potrebbe essere fuori portata”, ha detto Guterres, riferendosi agli obiettivi dell’accordo di Parigi. La dipendenza delle economie mondiali dai combustibili fossili è “una follia”, ha insistito in un video messaggio inviato ad una conferenza organizzata da ‘The Economist’.

Circa 200 paesi hanno iniziato lunedì a rivedere il nuovo rapporto dell’Ipcc sulle soluzioni per ridurre le emissioni, che sarà pubblicato il 4 aprile dopo due settimane di intense discussioni online e a porte chiuse. Nella prima parte del suo rapporto, pubblicato nell’agosto 2021, l’Ipcc ha indicato l’accelerazione del riscaldamento, prevedendo che la soglia di +1,5°C rispetto all’era preindustriale – l’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi – potrebbe essere raggiunto già intorno al 2030. La terza sessione esaminerà i possibili modi di frenare il riscaldamento globale, suddividendo le possibilità per grandi settori (energia, trasporti, industria, agricoltura, ecc.) senza dimenticare le questioni di consenso sociale e il posto delle tecnologie nella cattura e nello stoccaggio del carbonio.

Stiamo parlando di una trasformazione su larga scala di tutti i principali sistemi: energia, trasporti, infrastrutture, edifici, agricoltura e cibo”, ha detto all’Afp l’economista esperta di clima Céline Guivarch, una delle autrici del rapporto. Trasformazioni importanti che devono “iniziare ora” se vogliamo raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050, ha aggiunto.

Queste questioni, che riguardano l’organizzazione stessa dei nostri stili di vita, dei nostri modelli di consumo e di produzione, porteranno probabilmente a discussioni vivaci durante le due settimane in cui i 195 Stati passeranno al setaccio la ‘sintesi per i decisori’, una sorta di riassunto delle migliaia di pagine del rapporto scientifico, riga per riga, parola per parola. In un contesto reso ancora più “infiammato” dall’invasione russa dell’Ucraina, nota Alden Meyer, analista del think tank E3G, che si aspetta di sentire molto parlare del conflitto. Sul fronte del clima, spera che “a lungo termine”, questa guerra “darà più slancio e impulso alla necessità di abbandonare il gas e il petrolio in generale”. “Questo è un rapporto fondamentale pubblicato in un momento cruciale in cui governi, aziende e investitori stanno ricalibrando i loro piani per accelerare la rapida uscita dai combustibili fossili e la transizione verso sistemi alimentari più resilienti e sostenibili”, ha commentato Kaisa Kosonen di Greenpeace.

Mentre secondo l’Onu gli attuali impegni degli Stati, se rispettati, porterebbero a un riscaldamento “catastrofico” di +2,7°C, i firmatari dell’Accordo di Parigi sono chiamati a rafforzare le loro ambizioni di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro la conferenza sul clima COP27 dell’Onu prevista in Egitto a novembre. Ma dopo una COP26 finita in un “ingenuo ottimismo”, per Antonio Guterres la guerra in Ucraina potrebbe invece far deragliare ulteriormente l’azione sul clima. Con politiche di sostituzione degli idrocarburi russi che rischiano di “creare una dipendenza a lungo termine dai combustibili fossili, e rendere impossibile limitare il riscaldamento a +1,5°”, un obiettivo che ora è “in una situazione critica”.