La strage dei coralli a 14 anni dal disastro della Deepwater Horizon

A distanza di quasi 14 anni dal disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, i coralli delle acque profonde del Golfo del Messico sono ancora in sofferenza. A rivelarlo sono gli scienziati dell’Ocean Sciences Meeting di New Orleans. Il confronto delle immagini di oltre 300 coralli nell’arco di 13 anni – la più lunga serie temporale finora realizzata – rivela che in alcune aree la loro salute continua a diminuire ancora oggi.

Il 20 aprile 2010 cominciò un massiccio sversamento di petrolio in mare in seguito a un incidente riguardante il pozzo Macondo a oltre 1.500 m di profondità. Fino al 4 agosto milioni di barili di petrolio raggiunsero le acque di fronte a Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida, oltre alla frazione più pesante del petrolio che ha formato grossi ammassi sul fondale marino. È stato il disastro ambientale più grave della storia americana. Una chiazza di petrolio grande quanto la Virginia ha ricoperto la superficie dell’oceano. Sebbene la fuoriuscita sia stata visibile soprattutto in superficie, gli impatti ecologici negativi si sono estesi a centinaia di metri sotto l’acqua.

Nel corso di 13 anni, le comunità di coralli hanno avuto un recupero limitato e alcune addirittura continuano a diminuire. “Abbiamo sempre saputo che gli organismi di acque profonde impiegano molto tempo per riprendersi, ma questo studio lo dimostra davvero”, spiega Fanny Girard, biologa marina dell’Università delle Hawaii di Mānoa che ha guidato il lavoro. “Anche se in alcuni casi la salute dei coralli sembrava essere migliorata, è stato scioccante vedere che gli individui più pesantemente colpiti stanno ancora lottando, e persino deteriorandosi, un decennio dopo”.

Pochi mesi dopo il disastro un team interdisciplinare di ricercatori ha effettuato un’indagine sul fondo dell’oceano a una distanza compresa tra i 6 e i 22 chilometri dalla testa del pozzo per registrare i danni. A circa 7 miglia di distanza e a 1.370 metri di profondità, hanno trovato una fitta foresta di coralli Paramuricea che sembravano malati. “Questi coralli erano ricoperti da un materiale marrone”, dice Girard. I test hanno dimostrato che il fango conteneva tracce di una combinazione di petrolio e disperdenti chimici. Alcuni mesi dopo, i ricercatori hanno trovato altri due siti di corallo a 1.580 metri e 1.875 metri di profondità che erano danneggiati in modo simile.
Ogni anno, dal 2010 al 2017, gli scienziati hanno visitato questi tre siti per monitorare i danni, misurare i tassi di crescita e notare l’eventuale recupero dei coralli, nell’ambito di un’ampia iniziativa volta a comprendere meglio gli impatti sull’ecosistema e a migliorare la nostra capacità di rispondere a future fuoriuscite di petrolio. L’analisi dei siti è proseguita anche nel 2022 e nel 2023 e le immagini raccolte hanno mostrato ancora segni di stress dovuti al petrolio.

Barriera corallina

I coralli che non ti aspetti: ecco come si adattano ai cambiamenti climatici

I fattori che influenzano la resilienza dei coralli – cioé la loro capacità di adattarsi e sopravvivere ai cambiamenti ambientali – sembrano essere più sfumati di quanto gli scienziati credessero. In uno studio pubblicato il 18 ottobre sulla rivista Global Change Biology, i ricercatori hanno rivelato risultati sorprendenti su una specie comune alle acque dei Caraibi. La scoperta potrebbe contribuire a migliorare gli sforzi per salvare i coralli dallo sbiancamento e da altre conseguenze del cambiamento climatico. Un team guidato dalla professoressa Carly Kenkel del Dornsife College of Letters, Arts and Sciences dell’USC ha studiato il corallo stellato di montagna, Orbicella faveolata, per determinare se le popolazioni che sono sopravvissute a temperature più elevate possono trasmettere la loro tolleranza al calore alla ‘prole’. E con grande sorpresa degli scienziati, i risultati hanno mostrato il contrario: la progenie di una popolazione meno tollerante al calore si è comportata meglio quando è stata esposta alle alte temperature rispetto alle controparti di una popolazione tollerante al calore.

Questi risultati contrastano con l’idea comunemente diffusa tra gli scienziati secondo cui se i ‘genitori’ dei coralli sono in grado di sopportare il caldo, dovrebbero esserlo anche i loro ‘figli’. Il cambiamento climatico minaccia la sopravvivenza delle barriere coralline a livello globale. L’aumento delle temperature oceaniche ha portato allo sbiancamento, che li indebolisce e li rende più suscettibili alle malattie.

Per valutare quali coralli sono in grado di gestire più facilmente le temperature elevate, gli scienziati hanno raccolto le cellule riproduttive, cioè i gameti, da due diversi siti della barriera corallina nelle Florida Keys. Uno si trova vicino alla costa e l’altro più al largo. I ricercatori hanno allevato i coralli in un ambiente controllato e hanno esposto le larve a condizioni di stress termico in laboratorio, misurando poi la sopravvivenza. La scoperta inaspettata che le larve di corallo della popolazione meno tollerante al calore sono sopravvissute meglio e hanno mostrato meno segni di stress suggerisce che la capacità della prole di gestire il calore potrebbe essere influenzata da vari fattori, tra cui se e quanto spesso i genitori si sono sbiancati in passato o hanno subito altre pressioni ambientali.

Ora serviranno ulteriori ricerche per confermare i risultati. Lo studio si concentra su una specifica specie di corallo, e specie diverse potrebbero comportarsi in modo differente. Inoltre, la ricerca si è svolta in un laboratorio controllato e molti fattori, oltre alla temperatura, influenzano le barriere coralline in natura. Svelando i segreti della capacità dei coralli di resistere all’aumento delle temperature, gli scienziati potrebbero trovare nuovi modi per aiutare questi ecosistemi essenziali a prosperare in un mondo che cambia.