Fini (Cia): “Irpef piccolo passo ma montagna da scalare. Domani non saremo in piazza”

Il ripristino dell’esenzione dell’Irpef è un “piccolo passo“, ma in agricoltura “la montagna è ancora da scalare“. Cristiano Fini, presidente di Cia-Agricoltori italiani, venerdì 9 febbraio è stato convocato dal governo con le altre associazioni di categoria a Palazzo Chigi.

Sul tavolo c’era anche l’Irpef, la punta di un iceberg di problemi. Il ripristino è comunque un segnale, spiega durante il #GeaTalk: “Tante aziende agricole, soprattutto medio piccole, già erano esentate. Però, ce ne sono anche altre che invece dovevano pagarla, dunque questo è un passo verso queste aziende che devono stare sul mercato proprio come le altre”. Cia aveva presentato un emendamento per una esenzione completa per tutti. “Si è trovata questa mediazione, che approviamo, rispetto all’enormità dei problemi che abbiamo va nella giusta direzione. Dobbiamo affrontare tante altre problematiche, la montagna è ancora da scalare”, scandisce.

 

 Il tavolo con il governo sarà aggiornato?

C’è stata una grande disponibilità da parte del presidente Meloni a incontrarci in futuro, non abbiamo fissato date. Credo debba essere fatto perché abbiamo bisogno di seguire passo dopo passo le proposte fatte dal governo e controllare che vengano messe in pratica. Molte contenevano nostre rivendicazioni, fatte nell’assemblea nazionale del 30 novembre, nella manifestazione del 26 ottobre e ancora prima a febbraio, durante la conferenza economica. Dovremo vigilare perché .le proposte si trasformino in fatti.

 Il ripristino dell’esenzione è stato accolto piuttosto tiepidamente dagli agricoltori senza bandiera, che non accennano a indietreggiare sulle proteste dei prossimi giorni. Voi domani sarete in piazza a Roma?

No. C’è una parcellizzazione e anche una certa frammentazione di questi movimenti nati in maniera spontanea: alcune sigle hanno portato avanti rivendicazioni solo agricole, altre invece si sono aperte a temi diversi, che non condividiamo. Sono movimenti spontanei, autonomi che non hanno voluto alcuna bandiera sindacale. Anzi, a volte si sono scagliati, in maniera ingiusta secondo noi, contro le rappresentanze agricole. Non saremo in piazza ma rivendichiamo anche noi alcuni temi che vengono posti. Dunque, vediamo in maniera positiva questa attenzione sul mondo agricolo, è un fatto positivo che sia centrale nel dibattito.

Il ministro Francesco Lollobrigida e il governo hanno fatto abbastanza in Europa o si poteva fare di più?

Hanno posto grande attenzione sull’agricoltura. Sono state fatte cose molto positive, alcune per certi versi insperate. Mi riferisco in particolare al Pnrr, dove sono state stanziate risorse molto importanti nei confronti dell’agricoltura. Hanno tenuto posizioni decise a livello europeo che hanno portato risultati importanti per tutto il sistema Italia, perché la Commissione ha portato avanti scelte scellerate che andavano contro gli agricoltori e il Parlamento europeo ha dovuto metterci una pezza per evitare il tracollo del settore. In questo il governo ha lavorato bene. Ma restano sul tavolo alcuni temi che dovremo affrontare con urgenza, credo che su questo si possa e si debba migliorare.

Pensa anche lei che i trattori siano nelle piazze per colpa del Green Deal?

Siamo europeisti convinti e altrettanto convintamente pensiamo che sulle tematiche agricole vada cambiato il paradigma degli ultimi anni. Timmermans ha avuto carta bianca per portare avanti all’interno della Commissione alcune politiche scellerate fatte contro gli agricoltori e non con gli agricoltori, come invece andavano fatte. Se si vuole portare avanti il Green Deal europeo, le politiche vanno fatte con gli agricoltori. Sogno davvero un’Europa che finalmente possa mettere al centro l’agricoltura come settore economico fondamentale e produttore del bene primario che è il cibo, ma anche come presidio del territorio e dell’ambiente, di aree fragili del Paese che senza agricoltura non avrebbero un futuro. Su quei territori dovremmo accendere un faro.

Siete disposti quindi ad accettare la sfida della transizione ecologica?

Siamo rimasti in balia delle ideologie per troppi anni. Come per le Tea, per alcuni anni paragonate agli ogm, in maniera ideologica. Abbiamo perso tantissimo tempo. Metterle a disposizione significa andare verso il compromesso tra ambiente e agricoltura. Ci sono tanti temi su cui l’agricoltore accetta la sfida climatica, a parte di avere gli strumenti per contrastarla. Il grande errore della Commissione europea è stata anteporre la sfida ambientale quando i due settori dovevano andare di pari passo.

Cosa pensa della nuova Pac?

Su questa Pac credo ci sia una responsabilità a livello europeo nella costruzione di un impianto che non dà risposte agli agricoltori, ma anche a livello nazionale. Da un calcolo fatto, solo il 70-75% dei contributi arriva agli agricoltori rispetto al passato, quindi manca nelle casse un 20-25% di denari che erano comunque importanti, soprattutto in alcune realtà, come nelle are più fragili del Paese. Va rivisto l’impianto per la futura Pac, perché quella di oggi non risponde per tanti aspetti alle richieste del settore agricolo e quindi dobbiamo avere una visione futuristica rispetto alla crisi climatica che stanno affrontando le aziende agricole. Tutto il tema legato alla gestione del rischio è fondamentale, poi c’è quello legato alle aziende più fragili, che si occupano di una agricoltura che deve resistere.

Cosa risponde a chi dice che il settore dell’agricoltura gode già di molti sussidi?

A chi punta il dito contro l’agricoltura perché riceve molti sussidi – aggiunge Fini parlando con Gea -, dico che la Pac è stata impostata anni fa per sostenere i redditi degli agricoltori da un lato e dall’altro per cercare di riequilibrare i prezzi sul mercato. Credo ci siano ancora oggi queste esigenze, ma il sussidio viene dato perché l’agricoltore non riesce ad avere un reddito adeguato perché non riesce a formare lui stesso il prezzo di mercato delle proprie produzioni e dall’altro lato c’è una grande valenza ambientale e sociale dell’agricoltura che va riconosciuta e che il mercato non è in grado di riconoscere. Rivendico che gli agricoltori non stanno percependo sussidi, ma il giusto compenso per quello che fanno.

Teme la concorrenza dell’Ucraina e del Mercosur?

Se l’Ucraina dovesse entrasse nell’Ue sarebbe un grosso problema da gestire. E’ un Paese molto grande e importante dal punto di vista agricolo, che metterebbe una concorrenza spietata per certi aspetti. Lì la mano d’opera costa molto meno, i prodotti sarebbero immessi nel mercato senza dazi. Sarebbe una concorrenza importante. Dal punto di vista agricolo sarebbe grosso problema. Dal punto di vista del Mercosur, ci sono poche opportunità e tanti punti critici. Primo il fatto di poter immettere sul mercato a livello europeo prodotti che hanno regole diverse rispetto ai nostri. Noi continuiamo a sostenere una regola di reciprocità negli scambi commerciali europei, è chiaro che questo trattato va nella direzione opposta. Questo dobbiamo modificarlo, creerebbe una concorrenza sleale che non ci possiamo più permettere. La regola di reciprocità significa che noi a livello europeo produciamo con regole che vanno verso la transizione ecologica dell’agricoltura, non possiamo continuare a importare produzioni che non hanno le nostre regole e ci fanno concorrenza sleale.

Nella terza puntata di #GeaTalk: Cristiano Fini, presidente di Cia-Agricoltori italiani

La protesta dei trattori e il futuro dell’agricoltura in Europa sono al centro del #GeaTalk di oggi, 14 febbraio, alle 15.30.

Per capire le ragioni degli agricoltori, le aperture del governo, le prospettive a Bruxelles, ne parliamo sul nostro canale Youtube con il presidente di Cia-Agricoltori italianiCristiano Fini.

Sarà la terza puntata del format videogiornalistico di Gea, con i rappresentati delle istituzioni, della politica, delle aziende, della società civile, universitaria e del terzo settore in dialogo diretto su tematiche di stretta attualità. In diretta streaming, attraverso videoclip e news testuali, raccontiamo protagonisti e decisori dei nostri giorni, i loro progetti e le loro opinioni.

Nella prima puntata, il 21 dicembre 2023, ci siamo confrontati con Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, nella seconda, il 6 febbraio, con Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura.

L’agrivoltaico nuova frontiera dell’agricoltura, ma occorre maggiore conoscenza

La crisi energetica ha dato una spinta notevole, ma il dibattito sulle nuove fonti di approvvigionamento energetico in agricoltura è in piedi da anni. Di sicuro tra le nuove tecniche che mostrano prospettive più fruttuose c’è l’agrivoltaico, anche se, come ogni novità, la sperimentazione è d’obbligo, al pari di una adeguata divulgazione delle informazioni necessarie.
L’approccio è innovativo, perché permette di far convivere e interagire la produzione di energia proveniente dal sole con le tecniche di coltura agricola. Non solo, perché questo tipo di rinnovabile può risultare molto utile anche nel settore della zootecnia.

Inoltre, il Pnrr stanzia circa 1,5 miliardi di euro, per gli anni dal 2022-2026, sulla Missione 2, Componente 1, Investimento 2.2 ‘Parco agrisolare’. Proprio negli ultimi giorni dello scorso anno è stato emanato il decreto direttoriale con l’elenco dei destinatari ammessi a finanziamento per la misura, facendo così conseguire al ministero dell’Agricoltura e Sovranità alimentare e forestale il primo target europeo in scadenza a fine 2022. Il Decreto assegna risorse per un valore di 451 milioni di euro circa, pari al 30% della dotazione finanziaria totale della misura, che ammonta a 1 miliardo e mezzo di euro. “Per il Masaf e per il governo Meloni questa è senz’altro una buona notizia – ha commentato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida -, al tempo stesso però ci sono degli aspetti su cui occorre un cambio di prospettiva. In seguito al conflitto russo-ucraino, infatti, sono emerse carenze energetiche che ci devono indurre a ripensare il vincolo di autoconsumo. Ciò dipende dal fatto che nella fase in cui il Pnrr venne progettato le condizioni erano radicalmente diverse da quelle attuali”.
Per il responsabile del dicastero “oggi l’esigenza è concentrarsi sulla massima produzione possibile da immettere nella rete. Per questo motivo, il Masaf ha proposto un meccanismo per consentire alle imprese agricole o agroalimentari dotate di impianti fotovoltaici di conservare ‘virtualmente’ l’energia prodotta in eccesso riutilizzandola nei periodi di maggiore richiesta energetica delle proprie attività”.

Dal punto di vista degli agricoltori, però, la strada da percorrere è ancora lunga, ma non impraticabile. Anzi. “L’agricoltaico in Italia è ‘questo grande sconosciuto’, perché non ci sono tante esperienze. È chiaro che si tratta di un’opportunità per la transizione ecologica e soprattutto per cercare di dare un contributo, da parte degli agricoltori, alla transizione energetica sempre più green”, ha detto a GEA il presidente della Confederazione italiana agricoltori (Cia), Cristiano Fini. Spiegando che “deve diventare una vera e propria opportunità per gli agricoltori e non per altri soggetti che stanno cercando di intervenire per accaparrarsi terreni, avere a disposizione la possibilità di fare investimenti non per l’agricoltura, non per gli agricoltori ma per gli interessi legati a multinazionali piuttosto che ad altri soggetti. Per noi l’Agrivoltaico diventerà (e deve diventare) un’opportunità nel momento in cui viene calato su misura per le aziende agricole.

Fini, però, punta l’attenzione su un aspetto importante: “Abbiamo bisogno di fare maggiore divulgazione rispetto a questa tecnica, di dare maggiori garanzie e certezze all’agricoltore altrimenti non riusciranno o non potranno fare gli investimenti e abbiamo bisogno anche di un sostegno creditizio adeguato nei confronti di agricoltori che hanno intenzione di percorrere questa strada”. In questo senso il Pnrr è una spinta importante, perché si tratta di risorse assolutamente importanti che non dobbiamo disperdere ma utilizzare e investire”, ha avvisato il numero uno di Cia. Sottolineando allo stesso tempo che “lo possiamo fare solo se c’è un sostegno creditizio che ci consenta di fare gli investimenti; e se ci sarà una migliore e maggiore conoscenza di questa tecnica, che è assolutamente condivisibile. Perché riesce a coniugare la transizione energetica con le tecniche colturali agricole e, quindi, può dare un’ulteriore possibilità di reddito anche alle aziende agricole”.

La Cia-Agricoltori: “Innovazione e nuove tecnologie per le montagne del futuro”

Sviluppo economico delle zone rurali, sostenibilità ambientale e ricadute sociali positive per le comunità: sono questi alcuni dei benefici legati all’agricoltura di montagna, un’attività essenziale per un Paese in cui circa la metà dei comuni ha solo territori montani. Dopo anni di scarso interesse e bassi tassi di imprenditorialità, oggi questo settore sta combattendo per trovare una nuova centralità: per riuscirci sono necessari investimenti, nuove tecnologie e interventi incisivi da parte delle politica. Ne abbiamo parlato con Cristiano Fini (nella foto), presidente nazionale di Cia-Agricoltori italiani.

Perché l’agricoltura di montagna è importante per la tutela dell’ambiente?
“Le montagne hanno un ruolo strategico nella transizione verde perché sono una fonte essenziale di servizi ecosistemici unici. Insieme al patrimonio ambientale e paesaggistico dei tanti Parchi italiani, tutelano e valorizzano la biodiversità. Possiedono inoltre risorse eccezionali, dalle acque correnti al potenziale idroelettrico, dai pascoli alle biomasse boschive. A livello europeo, le zone di montagna rappresentano quasi il 30% di tutto il territorio, anche se ospitano solo il 16,9% della popolazione. Parliamo quindi di aree a rischio abbandono, che oggi sopravvivono soprattutto grazie all’agricoltura. Sono le aziende del settore, spesso a conduzione familiare, a farsi custodi del territorio attraverso l’agricoltura: “eroica” se guardiamo ai vigneti con pendenze di terreno superiore al 30% e sopra i 500 metri slm, ma anche “multifunzionale”, con aziende in crescita che fanno girare l’economia e forniscono servizi essenziali per il benessere delle comunità. Questo avviene attraverso le botteghe, i mercati contadini, le fattorie didattiche e soprattutto gli agriturismi: oggi sono più di 24mila e, nelle aree interne, sono cresciuti del 39% in dieci anni”.

Qual è il ruolo economico di questa attività?
“In Italia il 48,9% della superficie è coperta da comuni con solo territori montani. Le imprese presenti sono 86,7 ogni 1.000 abitanti (nelle altre zone sono 84,7) e contribuisco al 16,3% del Pil (circa 250 miliardi annui) generato dalle Terre Alte. Tra queste, le aziende agricole montane sono il 17% del totale nazionale (quelle delle aree rurali più a valle sono il 31). Molte trovano stimolo nei distretti, in crescita costante per la maggiore necessità – tra le comunità locali e gli imprenditori – di valorizzare le relazioni di prossimità, le produzioni tipiche e di nicchia, il legame con il territorio e le sue tradizioni. Infatti, sebbene piccole, le aziende agricole di montagna, sono riconosciute di alta qualità produttiva, una caratteristica che incuriosisce sempre più spesso anche i giovani. Non a caso, il tasso di imprenditorialità è più elevato nei comuni totalmente montani che in quelli non montani. C’è molta strada da fare in questo senso, perché i servizi a supporto – viabilità e rete internet in primis – sono ancora inadeguati e rallentano il ricambio generazionale”.

Quali sono i valori aggiunti?
“Bisogna considerare almeno tre elementi. Innanzitutto, questa attività contribuisce in modo consistente alla tutela del territorio, curando le vie di accesso, salvaguardando paesaggio e biodiversità. L’agricoltura di montagna promuove, inoltre, una produzione agroalimentare che è l’anima del made in Italy. Pensiamo alle produzioni tipiche certificate Dop, Igp o Stg: valgono complessivamente 16,6 miliardi di euro, il 19% del fatturato totale dell’agribusiness del nostro Paese. Infine, queste produzioni sono una componente strategica della multifunzionalità agricola e per la più ampia ricettività locale e, quindi, un motore per l’economia delle Terre Alte, tra agriturismi, botteghe, alberghi e ristoranti”.

Quali sfide devono affrontare gli imprenditori agricoli?
“Innovazione e nuove tecnologie sono i due pilastri necessari per costruire le “smart mountains” del futuro. Sono asset chiave e obiettivi, definiti e condivisi lo scorso ottobre a Camigliatello Silano, nel Parco della Sila, tappa italiana scelta da Euromontana per la dodicesima Convention europea della Montagna. In quell’occasione, davanti a istituzioni nazionali e comunitarie, abbiamo rilanciato il nostro appello alla politica perché investa sulle “smart mountains” e orienti fondi e progettualità su settori chiave come agricoltura e turismo: sono la vera forza delle montagne e delle aree interne, ma hanno bisogno di risorse e strategie per essere autosufficienti, resistenti ai cambiamenti climatici, attrattive per le nuove generazioni”.

Quali azioni chiedete alle istituzioni per tutelare l’agricoltura di montagna?
“È urgente lavorare per infrastrutture più adeguate, sono fondamentali allo sviluppo sostenibile e tecnologico del 30% del territorio comunitario. Serve un piano strutturato di prevenzione e messa in sicurezza del territorio per affrontare seriamente il rischio dissesto idrogeologico che coinvolge gran parte d’Italia e per lo più le zone rurali. Poi, bisogna lavorare per una nuova mobilità, anche alternativa e pulita. Tra le priorità vorrei sottolineare il miglioramento della connettività a beneficio delle imprese e delle famiglie, la digitalizzazione dei punti rurali multiservice per servizi di qualità, nuove tecnologie per il monitoraggio ambientale e la gestione sostenibile delle risorse naturali, investimenti in agricoltura e allevamenti 4.0 con robotizzazione in campo e nelle stalle (sistemi satellitari, sensoristica, ecc.)”.

Da dove potrebbero arrivare i finanziamenti?
“Le risorse ci sono: possono essere trovate, per esempio, nella politica di coesione dell’Unione europea e nei relativi fondi, che affrontano le disparità economiche, sociali e territoriali a livello regionale. Si tratta di circa 392 miliardi in totale, per il periodo 2021-2027, fondamentali a spingere ricerca e innovazione per aree montane sempre più vivaci, sostenibili e attraenti”.