Mucche

La Danimarca introduce carbon tax su allevamenti bestiame: è la prima al mondo

La Danimarca diventerà il primo Paese al mondo a tassare le flatulenze del bestiame, una misura unica nel suo genere pensata per avvicinare il Paese scandinavo, che sostiene di essere uno dei più rispettosi del clima, all’obiettivo della neutralità del carbonio entro il 2045. A partire dal 2030, le emissioni di metano – il secondo gas serra più potente nell’atmosfera – causate dalle flatulenze di bovini e suini danesi saranno tassate per 300 corone (40,2 euro) per tonnellata di CO2 equivalente. Questo importo salirà a 750 corone (circa 100 euro) cinque anni dopo, nel 2035, secondo i termini di un accordo raggiunto alla fine di giugno tra il governo, parte dell’opposizione e i rappresentanti degli allevatori, dell’industria e dei sindacati.

Il testo deve ancora essere approvato dal Parlamento, che lo esaminerà dopo l’estate. Per Christian Fromberg, specialista di agricoltura di Greenpeace, il testo “è motivo di speranza in un momento in cui molti Paesi stanno facendo marcia indietro sulla loro azione per il clima“. “Anche se la carbon tax avrebbe dovuto essere più alta e introdotta prima, rimane un passo importante“, ha dichiarato all’AFP.

Allo stesso tempo, il capo di Greenpeace ha deplorato il fatto che “sia stata sprecata un’enorme opportunità” per consentire “all’agricoltura danese di muoversi in una nuova direzione“, nonostante le sue pratiche rimangano altamente intensive e scarichino molto azoto, responsabile della deossigenazione delle acque. Senza ossigeno, la flora e la fauna marina scompaiono.
Per l’Associazione danese per l’agricoltura sostenibile, invece, l’accordo è “inutile“. È “un giorno triste per l’agricoltura“, si legge in un comunicato stampa. “Come agricoltore, mi sento a disagio perché stiamo partecipando a un esperimento incerto” che potrebbe minacciare “la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare“, afferma il suo presidente Peter Kiaer, ricordando l’abbandono da parte della Nuova Zelanda di una proposta simile di fronte a una rivolta degli allevatori.

Per ammorbidire il conto per gli agricoltori danesi, il piano propone una detrazione fiscale del 60%. Il costo reale per gli agricoltori dovrebbe essere di 120 corone (16 euro) per tonnellata a partire dal 2030, per salire a 300 corone cinque anni dopo. Tuttavia, le proiezioni del ministero dell’Economia stimano che l’accordo potrebbe comportare la perdita di 2.000 posti di lavoro nel settore entro il 2035.

Le entrate generate dalla tassa saranno reinvestite nella transizione ecologica dell’industria agricola. Oltre il 60% della superficie del Paese è dedicata all’agricoltura. Inoltre, il maggese di 140.000 ettari dovrebbe contribuire ad aumentare lo stoccaggio di carbonio nel suolo, riducendo così la concentrazione di gas serra nell’atmosfera.

In Danimarca abbiamo il mito di essere pionieri quando si tratta di ecologia“, lamenta Fromberg. “È molto difficile dire che questo accordo sia storico. Fa seguito all’intensificazione dell’agricoltura danese negli ultimi 70 anni. E l’accordo incoraggia l’agricoltura danese a rimanere il Paese produttore di carne più intensivo al mondo“. La Danimarca è uno dei principali esportatori mondiali di carne suina, che rappresenta quasi la metà delle esportazioni agricole del Paese, secondo il Danish Agriculture and Food Council.

La Danimarca è sempre più green: ora punta alle isole energetiche

Che tutti vogliano la transizione green è ormai ovvio. Ma c’è chi, fra i Paesi europei, ha trasformato la volontà in fatti, già a partire dagli anni ‘70. E’ la Danimarca, che proprio in quel periodo iniziò ad accorgersi, con largo anticipo, che per proteggersi dai rigidi inverni del Nord l’energia proveniente dal Medioriente non era abbastanza. E, soprattutto, non era sicura. Così è iniziata la ricerca, con la convinzione che “sicurezza energetica equivale a sicurezza nazionale”, secondo Magnus Hojber Mernil, capo della comunicazione di State of Green, partnership pubblico-privata senza scopo di lucro tra il governo danese e le tre principali associazioni imprenditoriali del Paese (Confederazione dell’industria danese, Green Power Denmark e Consiglio danese per l’agricoltura e l’alimentazione).

La forza della Danimarca nel perseguire la transizione è stata la sua stabilità interna. Dagli anni ‘70 a oggi si sono susseguiti molti governi, l’uno in contrasto con l’altro, di destra e di sinistra. Ma una cosa non è mai cambiata: la politica energetica. E così, nel 2019 il clima è diventato addirittura il tema più importante della campagna elettorale: ognuno voleva essere considerato il partito più green, e la gara continua ancora oggi. Il tutto con l’obiettivo di abbandonare gas e carbone, puntando sull’eolico, per essere completamente indipendenti a livello energetico. Cosa che è sostanzialmente accaduta, mantenendo esclusivamente come backup le importazioni da Norvegia, Svezia e Paesi Bassi. Senza aperture al nucleare, come deciso negli anni ‘80. Anche se, pure qui, con la possibilità di quello di quarta generazione qualche discussione politica inizia a nascere. Ma, al momento, spiega Mernil, “produciamo l’energia che ci serve, non abbiamo blackout. Siamo un Paese piccolo”, ammette.

Nel 2020 il Paese ha deciso di ridurre del 70% le emissioni di CO2 entro il 2030. Incredibilmente a oggi sono già calate del 40%. E per quell’ultimo 30% rimanente come si può fare? Secondo la Danimarca la chiave di volta sta proprio nelle partnership pubblico-privato. E dopo lo sviluppo dell’eolico offshore, ora l’orizzonte è quasi visionario: costruire delle vere e proprie isole dell’energia. Con queste, le turbine eoliche per la produzione dell’energia potrebbero essere posizionate più distanti dalla costa, rispetto a quanto lo sono oggi, e ciò permetterebbe non solo di incrementare lo sfruttamento dei venti presenti, ma anche di distribuire l’energia generata dai parchi eolici in maniera più efficiente tra diversi Paesi, in quanto le isole avrebbero anche la funzione di hub per la raccolta dell’energia prodotta dai diversi parchi eolici offshore. Senza considerare che più lontane le turbine sono dalla costa, meno danno fastidio ai cittadini. Anche se, chiosa Mernil, “bisogna avere il coraggio di dire che la transizione green è più importante di un puntino in lontananza che ‘rovina’ il paesaggio”.

Inoltre, gli architetti danesi hanno aiutato gli esperti di costruzioni idriche a sviluppare un progetto per la costruzione di isole energetiche con il minor impatto negativo possibile sull’ambiente marino circostante, utilizzando materie prime, come la sabbia, già disponibili sul sito. E pare che questo addirittura possa contribuire a migliorare la biodiversità dell’area, non solo a preservarla. Il progetto di sviluppo si basa su un approccio unico che percepisce le forze marine, come le onde e le maree, come opportunità esterne che possono essere utilizzate per mantenere le spiagge artificiali – in contrasto con l’approccio tradizionale, in cui l’ambiente marino è considerato un generatore di problemi. Questo approccio, noto anche come ‘ingegneria dolce’, “riduce l’impatto negativo sull’ambiente e crea soluzioni più sostenibili rispetto ai progetti di ingegneria dura, come la costruzione di dighe, pennelli e altre strutture“, spiega il dottor Nicholas Grunnet, responsabile della Dinamica costiera ed estuarina dell’Istituto idraulico danese.

Teleriscaldamento urbano green? In Danimarca è possibile

Un teleriscaldamento verde è possibile? La risposta è sì, e l’esempio è visivile in Danimarca. Din Forsyning è un’azienda multiutility che opera nei comuni di Varde ed Esbjerg. Nell’ambito delle attività di Din Forsyning nel comune di Esbjerg, l’azienda si occupa della produzione e della distribuzione di teleriscaldamento in alcune zone del comune. Din Forsyning contribuisce attivamente, attraverso il dialogo e la cooperazione, a una gestione efficiente e sostenibile delle risorse della società, tra cui acqua potabile, acque reflue, calore e riciclo dei rifiuti.

Din Forsyning ha lanciato un importante piano verde per sostituire la produzione di calore della sua centrale a carbone con una produzione di calore sostenibile. La soluzione complessiva è costituita da una serie di soluzioni individuali più piccole collegate a una rete di distribuzione centrale, con l’obiettivo di avere molti piccoli impianti, invece di quelli più grandi.

Una di queste soluzioni, ad esempio, è l’utilizzo del calore in eccesso proveniente da aziende di produzione locali, dal trattamento delle acque reflue o da futuri centri dati. Se un’unità non può produrre a causa di un guasto o di problemi di servizio, sarà possibile, attraverso la rete, collegare i clienti con altre unità.

L’eolico si produce in casa: l’esempio della Danimarca

Se il vento è una fonte energetica, per sua stessa natura, ‘prodotta in casa’ e non implica alcuna dipendenza da Paesi esteri, diverso può essere il caso delle turbine necessarie a immagazzinarlo. Lo sa bene la Danimarca, che nell’eolico, soprattutto offshore, è leader mondiale. Per questo nel Paese si è deciso di produrre internamente le tecnologie e i materiali necessari per sostenere l’uso di elettricità interno con l’energia eolica.

Ecco perché SEMCO, produttore di piattaforme eoliche offshore, ha deciso di aprire i suoi stabilimenti e Esbjerg. Qui facilita la progettazione, la fabbricazione, l’installazione, l’assistenza e la manutenzione di impianti offshore, fornendo una gestione completa di tutte le fasi dei progetti energetici. In collaborazione con i suoi partner, SEMCO Maritime ha completato con successo la progettazione e la costruzione di oltre 20 sottostazioni offshore, diventando così leader nelle soluzioni e nei servizi EPCI (Engineering, Procurement, Construction, Inspection) per l’industria eolica offshore. I loro specialisti interni coprono tutti gli elementi coinvolti nella connessione dell’impianto eolico offshore alla rete terrestre.

Sempre a Esbjerg ha poi deciso di aprire il suo magazzino Vattenfall, un’azienda energetica internazionale che ha l’obiettivo di rendere possibile una vita senza fossili entro una generazione, trasformando le proprie attività e aiutando altre aziende a farlo. Nata in Svezia, Vattenfall collabora con l’industria e i governi di Svezia, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, Francia, Danimarca e Finlandia.

Dopo la chiusura delle centrali a carbone di Amsterdam e Amburgo, e oltre alla costruzione di Hollandse Kust Zuid, il primo parco eolico offshore al mondo esente da sovvenzioni, Vattenfall smetterà di utilizzare il carbone in tutte le sue attività, investirà in più energia eolica e solare e aiuterà a elettrificare i processi industriali.

Il magazzino di Vattenfall al porto di Esbjerg è il più grande del Nord Europa con i componenti principali e i pezzi di ricambio critici per le turbine eoliche. Lo scopo del magazzino centrale di Esbjerg è quello di rifornire i parchi eolici di Vattenfall in Nord Europa di componenti critici per le turbine eoliche, come riduttori, generatori, trasformatori, alberi e pale, nonché dei componenti principali necessari per portare l’elettricità a terra, come i cavi degli array e i quadri elettrici. Vattenfall gestisce più di 1.300 turbine eoliche onshore e offshore nell’Europa settentrionale, distribuite in parchi che vanno dalla Svezia settentrionale alla Danimarca, alla Germania e ai Paesi Bassi. I parchi sono monitorati dalla sala di controllo locale di Vattenfall a Esbjerg.

Le tre vite di Esbjerg: da porto peschereccio a hub mondiale eolico

Esbjerg, città portuale nell’Ovest della Danimarca, ha già vissuto tre vite. Nata come principale porto peschereccio del Paese, è stata in grado negli anni Settanta-Ottanta di adattarsi al declino del settore della pesca cogliendo le opportunità legate all’esplorazione alla ricerca di gas e petrolio nel Mare del Nord. Negli ultimi anni, invece, seguendo le ambizioni di una transizione green, ha deciso di rinnovarsi ancora una volta, emergendo come uno dei principali hub mondiali per l’eolico offshore. Non solo installando al largo il proprio parco eolico in mare aperto, ma costruendo intorno una vera e propria industria, un indotto, che porta la città a produrre ed esportare componenti per turbine in tutto il mondo.

Non a caso Esbjerg, nel 2022, ha ospitato il primo vertice sul Mare del Nord, che ha riunito i leader dei Paesi della regione e ha portato ad una dichiarazione congiunta che prevede di “sviluppare il Mare del Nord come centrale elettrica verde d’Europa, un sistema di energia rinnovabile offshore che collega Belgio, Danimarca, Germania e Paesi Bassi, ed eventualmente altri partner del Mare del Nord”.

E Esbjerg, oggi, è veramente il luogo dove si può toccare con mano la transizione energetica. Oltre a quella che ha vissuto e sta vivendo la città stessa. E’ riuscita a sfruttare le dimensioni del suo porto per diventare leader nel mercato delle turbine: pochissimi altri posti al mondo possono maneggiare strutture di tali dimensioni. Basta pensare che, a oggi, la turbina più grande, da 15 gigawatt è alta all’incirca 250 metri, ossia come la Torre Eiffel. Difficile immaginare altri luoghi dove poter mobilitare simili grandezze, a meno di costruirli da zero con enormi costi economici e ambientali. Il ricollocamento del porto come hub energetico, inoltre, ha creato circa 10mila posti di lavoro. La stima è che a ogni gigawatt di energia prodotta corrispondano 9,45 posti di lavoro della durata di circa 30 anni. Un’ottima opportunità per una piccola città che avrebbe altrimenti rischiato di scomparire.

Danimarca verso le isole energetiche del vento: e pensa già all’export

Per essere sempre più indipendente a livello energetico, oltre che 100% green, nel 2020 il Parlamento della Danimarca ha raggiunto l’accordo per uno dei più ambiziosi progetti di energia rinnovabile esistenti. Si tratta della nascita delle prime due isole energetiche basate sull’eolico al mondo, una naturale e una artificiale, che sorgeranno a circa 100 chilometri dalle coste del Paese: la costruzione della prima isola energetica artificiale, che sorgerà sull’isola esistente di Bornholm, nel Mar Baltico, sarà attiva dal 2030 e avrà una capacità di 3 GW, assicurando il fabbisogno energetico di 3 milioni di famiglie; la seconda, costruita artificialmente nel Mare del Nord, e quindi di fattura un po’ più complessa, avrà una capacità di 3 GW nel 2033 e di 10 GW nel lungo periodo. Mentre il primo progetto avanza spedito, però, il secondo negli ultimi giorni ha subito una battuta d’arresto. La Danimarca ha infatti deciso di rivalutarlo a causa degli alti costi e dei rischi. “Alla luce delle sfide finanziarie, dovrebbero essere esplorate alternative in grado di rendere il progetto redditizio“, ha affermato il ministero dell’Energia.

Intanto, prosegue velocemente il progetto dell’isola energetica nel Mar Baltico. A svilupparlo è Energinet, impresa pubblica indipendente di proprietà del ministero danese per il Clima, l’energia e i servizi pubblici. Energinet possiede, gestisce e sviluppa i sistemi di trasmissione dell’elettricità e del gas in Danimarca. La missione sociale di Energinet è quella di convertire il sistema energetico con l’obiettivo di garantire che i cittadini e le imprese utilizzino energia rinnovabile per ogni necessità, con un alto livello di sicurezza di approvvigionamento e a un prezzo accessibile.

Il vantaggio delle isole energetiche sta nel fatto che possono mettere in comune l’energia proveniente da più parchi eolici offshore e indirizzarla direttamente a diversi Paesi. Facilmente comprensibile, in un Paese di poco più di 5 milioni di abitanti: se l’energia prodotta con l’eolico offshore potrà effettivamente coprire il fabbisogno di oltre 10 milioni di persone, l’export diventerà quasi una tappa obbligata. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla filosofia precedente, che prevedeva la costruzione di parchi eolici offshore isolati con una connessione elettrica a una sola area. Per questo sono già stati stipulati accordi politici con Germania, Belgio e Paesi Bassi per avviare l’analisi dei collegamenti con le isole energetiche. Un accordo vantaggioso per i Paesi che vi parteciperanno, ma anche per la Danimarca stessa che con le sue isole-hub potrà anche ricevere energia dagli altri Stati per assicurarsi un sistema stabile e la sicurezza delle forniture. L’ambizione è, quindi, diventare un hub dell’energia per il Nord Europa. Il vantaggio geografico c’è, appuntamento al 2030 per verificare l’effettiva nascita dell’infrastruttura.

L’eolico offshore: pilastro della transizione energetica

L’inesorabile marcia verso la neutralità climatica è ormai iniziata nell’Unione Europea. L’Ue ha fissato l’ambizione a lungo termine di diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Si è inoltre impegnata a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 (in particolare attraverso una serie di proposte pubblicate nel 2021, con il pacchetto Fit for 55). Al centro di questo impegno c’è il concetto di riduzione del consumo energetico (attraverso misure di efficientamento) e l’aumento della produzione e dell’utilizzo di energia rinnovabile al posto dei combustibili fossili.

I ministri dell’Energia e i membri del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico su un nuovo obiettivo per le energie rinnovabili per il 2030, che impegna l’Ue a raggiungere almeno il 42,5% di energie rinnovabili nel mix energetico, e idealmente il 45%, entro la fine di questo decennio. Si tratta di una cifra all’incirca doppia rispetto a quella del 2021. Ma spetta a ciascun Paese dell’Ue decidere come intende raggiungere questo obiettivo.

Molti Paesi stanno già investendo nell’eolico onshore. Tuttavia, la capacità di generazione dell’eolico offshore tende a essere significativamente più alta, in buona parte grazie a un vento più costante in assenza di ostacoli come colline, edifici o alberi. WindEurope, l’associazione che rappresenta le tecnologie eoliche in Europa, stima che i fattori di capacità per i nuovi parchi eolici onshore siano tra il 30-35%. Per i nuovi parchi eolici offshore, questa cifra oscilla tra il 42 e il 55%.

Nel 2020, la Commissione ha delineato le numerose opportunità di generazione di energie rinnovabili offshore nella Strategia dell’Ue per le energie rinnovabili offshore. La strategia evidenzia l’enorme potenziale dell’Ue sia per l’energia eolica offshore che per l’energia oceanica, con i suoi 5 bacini marini. La strategia conclude che “l’energia rinnovabile proveniente dai mari può essere sfruttata da una grande varietà di tecnologie, rendendola una pietra miliare della transizione energetica pulita“.

La capacità eolica offshore installata nell’Ue era di 14,6 GW nel 2021. La sfida è ora quella di accelerare l’aumento della capacità fino a raggiungere una cifra che, secondo le stime dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), potrebbe essere 25 volte superiore entro la fine del decennio.

Lezione nei boschi: l’esperienza scandinava degli asili all’aperto

Con qualsiasi tempo, i bambini trascorrono la giornata correndo nei boschi o costruendo capanne, e alcuni fanno anche un pisolino all’aperto: nel Nord Europa, la scuola per i più piccoli si fa spesso all’aperto. Nella foresta, seduti su un telone sul terreno innevato, Agnes e i suoi amici, di cinque anni e poco più, allineano bastoncini di legno per una lezione di matematica improvvisata. “Usiamo pezzi di legno per mostrare loro che si può usare qualsiasi cosa in natura per fare matematica“, spiega la loro insegnante, Lisa Byström. È una scena, per noi italiani, improbabile: i bambini tagliano i pezzi di legno con grandi coltelli, ma questo non desta alcuna preoccupazione. “A scuola si siederanno con un foglio di carta e una penna, ma qui pensiamo che possano farlo in modo più divertente“, spiega l’insegnante.

In Svezia, come in Danimarca, la scuola non è obbligatoria fino all’età di sei anni e questo metodo di prescolarizzazione è molto apprezzato dai genitori, che sono felici che i loro figli imparino a capire la natura. “Al giorno d’oggi la tecnologia è quasi ovunque, quindi per me è necessario andare nella natura fin da piccoli per imparare come comportarsi e rispettare l’ambiente“, dice Andreas Pegado, uno degli assistenti all’infanzia la cui figlia frequenta l’asilo.

Ogni giorno i bambini pranzano intorno a un fuoco di legna su piccole panche, a meno che non piova troppo e debbano rientrare. Dopo, i piccoli dormono all’aperto nei sacchi a pelo, anche quando la temperatura scende ben al di sotto dello zero. “Prendono molta aria fresca, dormono più a lungo e meglio“, dice Johanna Karlsson, direttrice dello stabilimento ‘Ur&Skur’ (letteralmente ‘In tutte le stagioni’), che non si lascia spaventare dai 5°C.

Nella vicina Danimarca, molti asili urbani utilizzano ‘autobus forestali’ che ogni mattina portano le classi dal marciapiede alla campagna. Ogni giorno, ad esempio, un gruppo di Stenurten, uno dei 78 asili su mezzo migliaio di Copenaghen che offre queste escursioni quotidiane, parte dal quartiere di Nørrebro, nel centro della città, per un viaggio di 30 minuti. Lì, accanto a una casetta dove possono ripararsi, un grande campo che si affaccia sul bosco permette loro di variare l’apprendimento e sviluppare l’autonomia.

Tutti indossano una tuta da sci, sia i bambini che gli adulti. Un detto nordico dice che non esiste il cattivo tempo, ma solo un cattivo abbigliamento. Stare all’aperto tutto il giorno, anche quando ci sono -10°C? I professionisti concordano sul fatto che i bambini piccoli che trascorrono del tempo all’aperto stanno meglio e hanno meno probabilità di ammalarsi. Negli anni ’20, un medico islandese consigliava di far dormire i bambini all’aperto per rafforzare il loro sistema immunitario, un’abitudine che da allora è stata adottata in tutto il Nord Europa senza essere rinnegata dalla classe medica. Uno studio britannico pubblicato nel 2018 sul British Educational Research Journal suggerisce che insegnare ai bambini piccoli a stare all’aperto migliora le capacità di collaborazione, incoraggiandoli a lavorare con gli altri, soprattutto attraverso il gioco.

Il bio made in Italy conquista il nord Europa: Scandinavia è la nuova frontiera

Il bio made in Italy conquista il nord Europa. Danimarca e Svezia, infatti, sono tra i mercati più promettenti del settore, nonché due Paesi in cui il biologico ha avuto un incremento rispettivamente del +183% e del +176% negli ultimi 10 anni e un tasso di penetrazione del bio dell’87%. E’ quanto emerge dalla survey originale sui consumatori danesi e svedesi presentata oggi in occasione del quarto forum ITA.BIO, la piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del biologico made in Italy curata da Nomisma e promossa da Ice Agenzia e FederBio.

Molto positiva la performance dell’export agroalimentare bio: nel 2022 le vendite di prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali hanno raggiunto i 3,4 miliardi di euro, mettendo a segno una crescita del +16% (anno terminante a giugno) rispetto all’anno precedente. Per altro, il riconoscimento del bio Made in Italy sui mercati internazionali è testimoniato anche della crescita di lungo periodo (+181% rispetto al 2012, un valore quasi triplicato) e dalla quota di export sul paniere made in Italy, con un peso del 6% sull’export agroalimentare italiano totale nel 2022. La gran parte delle esportazioni riguarda il food ma è rilevante anche il ruolo del vino. Negli ultimi 10 anni, spiega Paolo Carnemolla, segretario generale di FederBio, “le esportazioni di biologico made in Italy sono letteralmente esplose (+ 181%), facendo diventare l’Italia il principale esportatore di alimenti bio a livello internazionale dopo gli Usa“. I Paesi Scandinavi, aggiunge, “sono mercati dove la richiesta di prodotti biologici made in Italy è in crescita, prodotti che uniscono attenzione alla sostenibilità con la qualità elevata delle produzioni agroalimentari italiane e incorporano valori culturali, sociali e ambientali riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo”.

Tutti i numeri del bio in Scandinavia sono positivi. La Danimarca è l’ottavo mercato al mondo per valore delle vendite di prodotti bio sul mercato interno con 2.240 milioni di euro e una quota di vendite bio sul totale della spesa alimentare pari a ben il 13% (quasi raddoppiata rispetto al 2010). Segue a pochissima distanza la Svezia – nono consumatore mondiale di prodotti bio – con un valore di 2.193 milioni di euro e un peso del bio che sfiora quasi il 9%. Alta anche la spesa pro-capite per prodotti bio: 384 euro in Danimarca e 212 euro in Svezia che fanno sì che i due Paesi si collochino ai vertici della classifica mondiale, rispettivamente al secondo e quinto posto. Nel confronto internazionale, nel percepito dei consumatori danesi, l’Italia si posiziona al primo posto tra i Paesi che producono i prodotti bio di maggiore qualità: a pensarla così è il 38% degli user bio. Nel caso della Svezia, il nostro Paese si contende la leadership con la Danimarca: in tal caso la quota di user che indica l’Italia quando pensa ai prodotti bio di maggiore qualità è pari al 37%. Olio extra vergine d’oliva, formaggi, conserve di pomodoro, salumi, formaggi e vino sono i prodotti italiani a marchio bio più acquistati dai consumatori scandinavi ma anche le categorie per i quali il consumatore è più interessato al binomio bio-Made in Italy.

Dal rapporto presentato da Nomisma risulta anche che il vino è uno dei prodotti bio più diffusi sul mercato scandinavo. In Svezia, l’Italia è leader assoluto con un peso sul totale delle vendite di vino bio del 42% sia a valore che a volume nel 2021; un successo da ricondurre in primis all’ottimo posizionamento di alcuni territori come Veneto (grazie al Prosecco che rappresenta la denominazione a marchio bio più venduta in Svezia), Sicilia e Puglia.