Ue, Ceccardi: “Assicurare la sicurezza farmaceutica con una transizione più sostenibile”

Negli ultimi cinque anni la strategia sul Green deal ha riformato e colpito diversi settori, tra cui anche quello farmaceutico”. Così la deputata europea della Lega, Susanna Ceccardi, membro della commissione commissione per gli Affari esteri (Afet) del Parlamento Ue, a margine del convegno ‘Europa in salute. Sfide e opportunità per il futuro‘, promosso mercoledì 6 marzo a Roma da Eli Lilly, con il patrocinio di Parlamento e Commissione europea, Regione Lazio, Farmindustria e Sif.

Credo che la sostenibilità sia assolutamente giusta, ma la transizione debba essere fatta considerando anche la sostenibilità economica e sociale dei provvedimenti, che a volte è stata messa in secondo piano nei provvedimenti – aggiunge -. Si parla di aziende che danno moltissimi posti di lavoro in Europa, che ci garantiscono di stare sul mercato in maniera concorrenziale ma anche di preservare la nostra sicurezza farmaceutica”. Per questi motivi “credo che la direzione della Commissione Ue che si rinnoverà dopo le elezioni europee dell’8 e 9 giugno prossimi, debba essere più centrata a proteggere posti di lavoro e competitività delle nostre imprese”, sottolinea ancora Ceccardi.

Che prosegue la riflessione: “Dopo la pandemia il mondo è cambiato e anche l’Europa ha capito che, oltre alla sicurezza energetica e la sicurezza alimentare, è importante investire sulla sicurezza farmaceutica, del Continente e dei cittadini europei”. Per l’eurodeputata italiana “senza una strategia chiara e condivisa, mettiamo a rischio ogni giorno milioni di vite. Sulla proprietà intellettuale, ultimamente, si è concentrato il lavoro della Commissione europea e credo che le istanze che vengono dalle aziende, italiane ed europee, per un aiuto maggiore nel preservarla, sia una richiesta assolutamente giusta. In questo modo – conclude – si permettono maggiori investimenti e anche maggiore competitività delle nostre imprese”.

Eli Lilly si espande a Sesto Fiorentino e corre verso carbon neutrality: 750 mln per farmaci innovativi

Un investimento da 750 milioni di euro entro il 2025, seimila posti di lavoro diretti e indiretti, un contributo di un miliardo e mezzo di euro al Pil italiano. Senza dimenticare la sostenibilità ambientale ed economica. Eli Lilly, multinazionale farmaceutica americana, insediata a Sesto Fiorentino (Fi) dal 1959, rafforza ulteriormente la sua presenza in Italia, dopo investimenti pari a 1,4 miliardi di euro negli ultimi 20 anni. Un “patto” annunciato nel corso dell’evento ‘This is the future’, durante il quale il gruppo ha confermato l’ampliamento dell’impianto produttivo destinato a farmaci innovativi. Si tratta del risultato di un percorso iniziato nel 2004 con il riorientamento della produzione del nostro Paese, che ha trasformato il sito produttivo di Lilly in un fondamentale polo strategico della manifattura di farmaci da biotecnologie. Qui si produrranno farmaci destinati al trattamento del diabete e dell’obesità, in uno spazio che oggi copre una superficie di 85.000 metri quadri e impiega oltre 1.500 addetti. Un settore, quello delle biotecnologie e della farmaceutica che, come ha ricordato il ministro degli Esteri Antonio Tajani in un messaggio inviato agli organizzatori dell’evento, “il governo intende proteggere e rafforzare“.

Il gruppo in Italia si concentra anche sulla Ricerca e Sviluppo, con investimenti in quest’area 5,4 volte superiori alla media del settore manifatturiero, con oltre 50 studi clinici attualmente attivi nel Paese.

In Italia, ha spiegato Huzur Devletash, presidente e amministratore delegato Eli Lilly Italy Hub, “abbiamo trovato le ragioni per investire e, di conseguenza, le competenze giuste per restare e continuare a guardare avanti”. Condizioni che, come ha ricordato Giorgio Silli, sottosegretario al ministero degli Esteri, testimoniano “l’attrattività del sistema Paese per le grandi multinazionali, che generano valore per il territorio”. Merito anche, ha spiegato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, delle azioni del governo per “attrarre gli investimenti stranieri nel nostro Paese” e per avviare “procedure più veloci dal punto di vista burocratico”.

Il respiro internazionale del progetto del gruppo di Indianapolis è stato rimarcato dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Jack Markell, e dal presidente di Eli Lilly International, Ilya Yuffa, che ha sottolineato l’importanza del patto siglato oggi con il nostro Paese, nell’ambito di una strategia globale fondamentale per il gruppo e per l’Europa. Strategia che porta l’Italia al centro dello sviluppo comunitario negli ambiti della ricerca e dell’innovazione.

Ma il nuovo impianto che vedrà la luce avrà un impatto determinante anche sul fronte del contrasto al cambiamento climatico e rafforza la strategia di carbon neutrality del gruppo entro il 2030. A oggi, il 50% dell’acqua utilizzata a Sesto Fiorentino viene recuperata e il 75% dei rifiuti prodotti viene riciclato. Poche settimane fa, ha spiegato Federico Villa, Associate Vice President Governmental and Public Affairs di Eli Lilly, “è stato inaugurato un nuovo trigeneratore di energia” da 4,3 MW, “grazie a un investimento di 9 milioni di euro che porterà al 20% il nostro abbattimento di emissioni di CO2”. L’impegno verso la carbon neutrality “avviene quotidianamente”, attraverso “la riduzione degli sprechi e l’uso sostenibile delle risorse”.

Azioni e obiettivi che si riflettono nello studio realizzato da The European Forum Ambrosetti e presentato in occasione del taglio del nastro del futuro nuovo impianto, dal quale emerge che sul fronte del consumo di energia elettrica e di acqua e della gestione dei rifiuti prodotti, lo stabilimento di Sesto Fiorentino ha migliorato la propria performance del 20-30%, nonostante un parallelo aumento della produzione. La quantità di energia risparmiata sarebbe sufficiente a coprire il fabbisogno di un comune di 4000 abitanti.

Talbot (Eli Lilly): “Ue non è più dominante in industria pharma, con revisione norme invertire la rotta”

Una delle tendenze che la revisione della legislazione farmaceutica dell’Unione europea dovrebbe invertire “è che l’Europa non è più in una posizione dominante nell’industria farmaceutica. Ventanni fa, un farmaco su due era sviluppato in Europa, mentre ora è solo uno su cinque. Anche i finanziamenti per ricerca e sviluppo finiscono altrove. E la tendenza agli investimenti farmaceutici in Europa è in diminuzione”. Lo ha sottolineato David Talbot, vice presidente associato della società farmaceutica Eli Lilly and Company, a margine dell’evento ‘Il nuovo approccio europeo alla salute e le ricadute per il sistema italiano’ organizzato da Withub a Roma.

Sulla futura revisione della normativa europea in materia di farmaci – di cui è attesa una proposta da parte della Commissione europea il 26 aprile – “diversi CEO di aziende europee hanno espresso la propria preoccupazione per l’ambiente generale in Europa. La normativa può contribuire a invertire la tendenza”, ha aggiunto, sottolineando che invece dalla bozza del documento di revisione circolata nei mesi scorsi sembra che la proposta della Commissione “non lo faccia di certo. Affronta molti argomenti in 1.800 pagine, tra cui accelerare il processo di revisione normativa dell’Agenzia europea per i medicinali”. Questi – per Talbot – “sono sviluppi positivi, si occupa di catena di approvvigionamento, di standard ambientali, di necessità mediche non soddisfatte, di molti aspetti. Ma la più grande preoccupazione nella bozza che abbiamo visionato è il problema della diminuzione degli incentivi per la proprietà intellettuale che, se si vuole invertire la tendenza negli investimenti e aumentare la competitività dell’Europa, probabilmente non è l’approccio migliore”.

Tra i punti su cui insiste la Commissione europea è l’accesso ai medicinali. “Sappiamo che per la Commissione una delle priorità principali era migliorare l’accesso” ai medicinali “in tutti gli stati membri dell’Unione Europea, cosa che noi sosteniamo. Ma la modalità che hanno proposto per incoraggiare l’accesso è preoccupante e include la diminuzione della quantità di protezione dei dati per la ricerca clinica e la modifica di come vengono strutturati gli incentivi”. Ha ricordato ancora che al momento “c’è una base di otto anni di protezione dei dati clinici che verrà diminuita a sei anni, con la possibilità di recuperarne un po’ garantendo l’accesso in tutti i 27 gli Stati membri”. E la preoccupazione industriale “è che l’accesso è un fattore largamente fuori dal nostro controllo, al di là del nostro impegno già pubblico di deposito in tutti i 27 Stati membri, che l’Associazione di Categoria a livello regionale ha reso pubblico più di un anno fa. Una volta che abbiamo depositato in tutti gli Stati membri tutto il resto è fuori dal nostro controllo. Passa per un processo di valutazione delle tecnologie sanitarie e un processo di valutazione dei rimborsi ed è tutto in mano agli stati membri, in base al budget stanziato per i medicinali, alle priorità e anche alla tempistica di esecuzione. Quindi legare un incentivo per la proprietà intellettuale a una decisione che è fuori dal nostro controllo non è equilibrato. Quindi questo è uno dei problemi che per il settore causa grande preoccupazione”.

La futura revisione della legislazione farmaceutica dell’Unione europea, aggiunge Talbot, è “fondamentale per il settore, nonché un bivio. Abbiamo preso la cosa molto seriamente e secondo me abbiamo dato spunti significativi per il processo. Ora la prossima fase consiste nel capire quale normativa verrà effettivamente introdotta alla fine del mese. E a quel punto, chiaramente, valuteremo il suo contenuto”. Nella fase che precede la presentazione della proposta “ci sono state molte opportunità di parlare di ciò che abbiamo visto, di cosa ci piace, di cosa vorremmo bilanciare, e anche gli altri stakeholder avranno sicuramente un peso. È tutto parte del processo. Ma proprio perché la normativa è così importante per il futuro del settore in Europa, e so che per la Commissione questo è un punto strategico, noi saremo molto chiari sul nostro pensiero per quanto riguarda la normativa”. Talbot ha ricordato che in Ue non tutti i Paesi “hanno la stessa situazione economica, quindi il desiderio di avere una sorta di uguaglianza o equità in tutti i 27 stati membri è una sfida perché ci sono Paesi con budget diversi per il sistema sanitario rispetto ad altri, e Paesi più ricchi di altri”. E se è vero – aggiunge – “che c’è un senso di solidarietà in Europa su queste questioni, c’è anche però una grande disparità economica. E questo deve essere considerato”.

Quanto alla necessità di integrare salute ambientale, umana e animale “penso anche che ci sia bisogno di trovare un equilibrio e avere un buon coordinamento delle politiche in tutte queste diverse aree. Quindi non solo da un punto di vista di politiche normative, ma anche da quello di politiche ambientali, tassazione, tutti questi elementi diversi devono essere coordinati”, ha sottolineato. Da quando la guerra di Russia in Ucraina è iniziata “stiamo tutti affrontando le stesse sfide per i prezzi dell’energia, sfide geopolitiche e di finanziamenti sanitari in tutta Europa. Penso che si possano condividere molti approcci. Ma dobbiamo anche riconoscere il fatto che la salute è una competenza di tutti gli stati membri e che dobbiamo avere una linea di comunicazione aperta con gli enti regolatori” nazionali, in modo da far capire quali sono “i fattori, per un’azienda come Lilly, che ci impediscono di continuare a investire e produrre i medicinali in Europa” e al tempo di “soddisfare tutte le esigenze in campo sanitario”.