pannello solare

Solare a casa? Investimento da 5mila euro, si ripaga in 8 anni

I costi per l’installazione degli impianti fotovoltaici domestici fino a qualche anno fa costituivano un deterrente non da poco per le famiglie che volevano investire in energia rinnovabile. La situazione però è cambiata nel corso dell’ultimo decennio per due diversi fattori: la diminuzione dei prezzi e l’ampio pacchetto di incentivi e sgravi fiscali messi in campo dai vari governi, a partire dai vari programmi del Conto Energia avviati in Italia nel 2005.

Ma in quanto tempo si ripaga l’investimento iniziale per l’installazione di un impianto fotovoltaico a uso domestico, senza sistema di accumulo? Si può prendere in considerazione un sistema da 3kW di potenza, la taglia più diffusa per le utenze domestiche in grado di soddisfare il fabbisogno di un nucleo di 3-4 persone. Il costo dei pannelli oggi varia dai 2.500 ai 3.500 euro per kW, a seconda della tipologia e dell’efficienza energetica del prodotto scelto. A questo esborso va aggiunto quello legato alle operazioni di installazione dell’impianto: si arriva in tutto a una cifra che varia tra i 10.000 e i 14.000 euro. La somma però si dimezza subito grazie alla possibilità di usufruire della detrazione fiscale del 50% prevista del bonus ristrutturazioni, nel quale rientrano anche i nuovi impianti fotovoltaici. Si può dunque pagare immediatamente la metà optando per lo sconto in fattura oppure ripartire il beneficio fiscale in cinque rate annuali di pari importo. Resta valida anche la possibilità di accedere al Superbonus 110% dedicato all’efficientamento energetico delle abitazioni: in questo caso però l’installazione dell’impianto solare deve essere accompagnato da altri interventi (cosiddetti trainanti) capaci di generare un miglioramento di almeno due classi energetiche dell’abitazione rispetto all’APE di inizio lavori, o il raggiungimento della classe energetica massima. In questo caso, l’installazione dell’impianto avverrebbe in modo sostanzialmente gratuito.

Il caso più comune però resta quello di uno “sconto” del 50%, con una spesa iniziale che dunque si aggira tra i 5.000 e i 7.000 euro per un impianto fotovoltaico da 3 Kw “chiavi in mano”. Di recente, Altroconsumo ha provato a calcolare quali possano essere i tempi di recupero di questo investimento. Anche in questo caso, il risultato varia a seconda di parecchi parametri come ad esempio l’efficienza e la corretta manutenzione dell’impianto o la quantità di irraggiamento solare, che può risultare differente tra il Nord e il Sud dell’Italia. Importante è anche massimizzare l’autoconsumo istantaneo dell’energia prodotta dai pannelli nelle ore di sole: immettere l’energia prodotta in eccesso nella rete ha infatti una resa economica minore rispetto ai vantaggi ottenuti in bolletta con l’autoconsumo. La premessa, secondo l’associazione, è che installare un impianto fotovoltaico ha una reale convenienza economica solo con consumi annuali sopra ai 2500/3000 kWh. Detto ciò, Altroconsumo posiziona il punto di break even (cioè di ritorno dell’investimento) in un lasso di tempo fra 8 e 10 anni per una famiglia che consuma 3500 kWh annui e tra 10 e 12 per un consumo di 2.700 kWh. Tempi che però potrebbero accorciarsi se dovesse continuare il galoppo dei prezzi dei beni energetici iniziato nell’ultimo periodo.

solare

L’esempio virtuoso di Magliano Alpi: prima CER d’Italia

Un impianto fotovoltaico da 20 kWp che può condividere con la Comunità energetica rinnovabile l’energia prodotta e non autoconsumata dal Municipio. È partito da qui il progetto della CER, la prima in Italia, di Magliano Alpi, poco più di 2.200 abitanti nel Cuneese. L’impianto è stato installato sul tetto del Palazzo comunale e alimenta anche una colonnina di ricarica EV, utilizzabile gratuitamente con la tessera sanitaria. Una seconda colonnina è collegata all’impianto sportivo comunale. Oltre al Palazzo comunale, membri del CER sono le utenze della biblioteca, della palestra e delle scuole, insieme ai nuclei familiari che per primi hanno dato la loro adesione. L’obiettivo della CER consiste nella riduzione dei consumi energetici degli edifici pubblici e la produzione di elettricità da pannelli solari installati sui tetti di questi edifici.

Magliano Alpi ha aderito al Manifesto delle comunità energetiche promosso dall’Energy Center del Politecnico di Torino e da lì in poi il suo percorso è stato in crescita, fino ad arrivare alla nascita della CER a dicembre 2020. L’ingegner Sergio Olivero, presidente del Comitato scientifico, spiega a GEA che nel comune piemontese si sono verificate le quattro condizioni necessarie al successo: “Un’amministrazione pubblica con idee chiare e volontà di andare avanti, una macchina amministrativa che ha accompagnato amministrazione nella decisione, risorse economiche e il supporto tecnico dell’Energy Center”.

Un successo tale da portare Magliano Alpi ad accompagnare altri Comuni nell’intraprendere lo stesso percorso. Intanto, il Comune sta anche raggruppando un ‘GOC’ (Gruppo Operativo di Comunità) finalizzato a creare una filiera corta di tecnici, progettisti, installatori e manutentori con l’obiettivo di aggregare competenze sul territorio per creare sviluppo e posti di lavoro a partire dalla Comunità Energetica. “La cosa più interessante – sorride Olivero – è che all’inizio il sindaco di Magliano Alpi ha dovuto fare una sorta di ‘porta a porta’ per spiegare il progetto ai cittadini e raccogliere le adesioni. Ora, invece, sono gli stessi residenti che chiedono di poter aderire. E siccome ancora non è possibile l’adesione per tutti, c’è chi si indispettisce. Questa è la cosa che fa più piacere”.

pannello solare

Tutto è cominciato col silicio ma il futuro del solare è la perovskite

Sebbene si siano diffusi in maniera massiccia solo nel nuovo millennio, i pannelli solari hanno una storia molto più lunga. Il primo prototipo di impianto fotovoltaico risale al 1884, installato a New York da Charles Fitts: era basato sul selenio, e non sul silicio come gran parte dei pannelli attuali. I primi moduli fotovoltaici commerciali però furono lanciati sul mercato solo nel 1963 dalla giapponese Sharp, mentre risale al 1979 la prima installazione in Italia: un impianto da appena 1kW al Passo della Mandriola, sull’Appennino tosco-romagnolo.

Il crescente successo commerciale ha portato con sé anche una notevole evoluzione tecnologica dei pannelli fotovoltaici in termini di prestazioni, durata (oggi si può arrivare fino a 30 anni di vita) e adattabilità ai contesti architettonici. Non è cambiato solo il principio base di funzionamento: la luce del sole colpisce le celle dove è presente il silicio, semiconduttore i cui elettroni vengono “eccitati” e iniziano a fluire nel circuito, producendo corrente elettrica continua, che viene trasformata in alternata (utilizzabile dalle utenze domestiche o industriali) per mezzo di un inverter.

Elemento chiave è dunque il silicio, materiale estremamente abbondante in natura tanto da essere l’elemento chimico più diffuso sulla Terra, dopo l’ossigeno. Attualmente i pannelli più diffusi in Italia sono quelli in silicio policristallino, realizzati attraverso una gettata di silicio fuso: a un costo più basso rispetto a altre tipologie si accompagna però una minore efficienza (rapporto tra la potenza elettrica in uscita e la potenza della radiazione solare), attorno al 14-16%. Oggi, secondo i dati Gse al 31 dicembre 2020, coprono il 71,5% della potenza fotovoltaica installata in Italia. Il 22,8% invece è legato ai pannelli in silicio monocristallino, nei quali ogni cella viene ricavata da un unico cristallo: più performanti (si arriva a un rendimento oltre il 20%) soprattutto con temperature non troppo elevate, ma anche più costosi. Molto limitata è invece l’incidenza dei cosiddetti pannelli solari di seconda generazione, come quelli a film sottile (realizzati in silicio amorfo, tellururo di cadmio o seleniuro di indio e gallio di rame): in questi dispositivi l’efficienza arriva al massimo al 10%, ma i vantaggi sono legati al minor costo e alla versatilità di impiego garantita da flessibilità e leggerezza.

L’evoluzione però non si arresta mai, sulla ricerca di materiali e soluzioni più efficienti ed economiche anche in vista della grande richiesta di pannelli attesa nei prossimi anni in tutto il mondo. Uno scenario che porta a pensare che presto il quasi totale monopolio del silicio potrebbe terminare. Tra i materiali più promettenti c’è la perovskite, cioè biossido di titanio di calcio che solo negli ultimi anni è stato testato in maniera sistematica per la creazione di celle solari. Si tratta di un ottimo conduttore, ampiamente disponibile e più semplice da lavorare del silicio e che reagisce a diverse lunghezze d’onda della luce, oltre a essere flessibile e semitrasparente. Negli ultimi anni gli studi si sono focalizzati soprattutto sui risultati ottenibili rivestendo il silicio cristallino con un sottile film di perovskite.

“Uno dei principali vantaggi di questi materiali è la possibilità di essere depositati partendo da speciali vernici liquide, che possono essere stampati con tecniche ampiamente diffuse su superfici di vario tipo, ad esempio flessibili e trasparenti”, spiega la ricercatrice Silvia Colella di Cnr-Nanotec, membro di un team di ricercatori autori dello studio “Chemical insights into perovskite inks stability”, pubblicato sulla rivista Chem. Recentemente, i ricercatori del Politecnico federale di Losanna hanno toccato un nuovo record in questo campo realizzando celle da un centimetro quadrato con una resa del 29,2%. “Sono ancora necessari diversi anni di ricerca e sviluppo per portare sul mercato tale tecnologia e processi di produzione”, dice Christophe Ballif, capo del laboratorio. “Ma la maggiore efficienza che abbiamo dimostrato senza modificare la struttura frontale sarà molto interessante per l’industria del fotovoltaico”. Il problema da risolvere per la perovskite è legato all’instabilità del materiale che rischia di portare a un rapido degrado del pannello in condizioni di uso reali, ben più veloce dei 25-30 anni di durata assicurati dal silicio. “Le perovskiti di alogenuro metallico sono tra i materiali più promettenti e in pochi anni hanno rivoluzionato questo settore”, assicura però Colella.

Solare

Un ‘pannello solare sospeso’ per aiutare le famiglie in difficoltà

Un solo pannello solare da appartamento evita l’immissione in atmosfera di 145 chili di Co2 all’anno, la stessa quantità assorbita da circa 10 alberi. E non è più una tecnologia fuori portata. Un pannello è in grado di coprire i consumi di alcuni elettrodomestici, come la televisione, il frigorifero o il condizionatore, con un risparmio in bolletta fino al 25%.

Per informare i cittadini sulle potenzialità di questa tecnologia e aiutare le famiglie più bisognose, Legambiente insieme a Enel X lancia la campagna di raccolta fondi ‘#UnPannelloInPiù’, per contribuire all’acquisto di pannelli fotovoltaici da appartamento per famiglie in difficoltà economica e sociale. Una sorta di ‘caffè sospeso’, con un impatto molto più significativo.

Considerando solo le abitazioni che in Italia sono classificate come A2 (di tipo civile) e A3 (economico), parliamo di circa 23 milioni di balconi o superfici verticali che possono ospitare impianti di questo tipo. Se solo il 20% di questi appartamenti si dotasse di un pannello fotovoltaico sul proprio balcone o finestra, si eviterebbe l’immissione in atmosfera di oltre 600mila tonnellate di Co2 all’anno, pari a quella assorbita da una foresta di circa 35 milioni di alberi. Questo gesto equivarrebbe a installare 1.6 GW di nuova potenza fotovoltaica, più della metà dell’obiettivo del Green Deal fissato per il 2022 in Italia. Inoltre, contribuirebbe a risparmiare circa 225 milioni di metri cubi di gas importato dall’estero.

Vogliamo offrire una risposta concreta al caro bollette e alle disuguaglianze sociali“, spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Negli ultimi mesi il tema dell’aumento delle bollette e il conflitto in corso tra Russia e Ucraina hanno generato molta preoccupazione soprattutto per le famiglie che non godono di un reddito elevato. Dare alle famiglie un contributo economico per pagare la bolletta sarebbe una soluzione risolutiva nel breve termine”.

La sostenibilità può essere davvero accessibile a tutti solo se ognuno di noi ha a disposizione gli strumenti per essere protagonista della transizione energetica“, osserva Andrea Scognamiglio, Responsabile Globale e-Home di Enel X. La Global business line di Enel ha donato i primi 50 pannelli ‘Plug&Play’.

L’iniziativa di crowdfunding sarà accompagnata da una campagna itinerante che da oggi al 27 giugno farà tappa in nove città italiane. Si partirà da Scampia, a Napoli, per poi toccare Brindisi (10 giugno), Palermo (13 giugno), Roma (15 giugno), Cagliari (18 giugno), Firenze (21 giugno), Torino (23 giugno), Milano (25 giugno), Bologna (27 giugno) con una serie di appuntamenti finalizzati a sensibilizzare cittadini e cittadine su tutti gli strumenti oggi esistenti per ridurre i costi in bolletta, tra cui il ruolo del solare fotovoltaico nella lotta contro la povertà energetica, ma anche risparmio ed efficienza, comunità energetiche, bonus sociali e sharing economy.

Antonello Giannelli

Giannelli: “Pannelli solari sulle scuole? Forza di una centrale elettrica”

Se si installassero pannelli fotovoltaici sulle oltre 40mila scuole italiane, si produrrebbe la forza di una centrale”. La proposta l’ha lanciata a marzo il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli. Di fronte all’emergenza energetica, è convinto, “la scuola può fare molto”.

Giannelli proponeva di investire una parte dei fondi del Pnrr per gli enti locali, proprietari degli edifici, in modo che potessero installare sui solai delle scuole pannelli fotovoltaici, realizzando una “centrale elettrica diffusa senza precedenti”.

A distanza di due mesi e mezzo, non c’è stata nessuna risposta concreta da parte delle istituzioni, rivela il rappresentante sindacale dei presidi a GEA, “a parte qualche cenno di approvazione da parte di parlamentari e di varie persone del mondo della scuola”. Quanto ai vincoli delle soprintendenze per i centri storici, non si dice preoccupato: “da un lato la maggior parte delle scuole non insiste in centri storici, d’altro canto i pannelli sul lastrico non impattano sul decoro urbano, non vedo grossi problemi in questo senso”, spiega.

La sostenibilità è fatta anche di piccole buone pratiche diffuse. I ragazzi sono tra i più impegnati nella difesa dell’ambiente e le scuole, osserva, “fanno già tanto per dare l’esempio”: “Una delle pratiche più diffuse è quella della raccolta di batterie elettriche o di materiali di scarto come la plastica. Un’altra attività praticata è la sensibilizzazione al risparmio energetico”. L’Anp da anni promuove la diffusione di una cultura della sostenibilità nelle scuole. Del 2020 è l’accordo con Eni per un programma congiunto di incontri sui temi ambientali dedicato per formare il personale docente. Attraverso i temi dell’educazione al rispetto dell’ambiente, alla sostenibilità, al patrimonio culturale, alla cittadinanza globale è possibile stimolare la consapevolezza di essere parte di una comunità, locale e globale.

Nel percorso per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, gli studenti “possono fare la differenza, e la fanno, in modo indiretto, perché sono i cittadini di domani”, precisa Giannelli. “Oggi è importante contribuire a formare coscienza sensibile. Se vogliamo vedere nel mondo comportamenti virtuosi domani, è necessario operare da subito per sviluppare una predisposizione ad atteggiamenti responsabili”.

Pannelli solari

Ue alza i target per le rinnovabili, verso obbligo pannelli solari su tetti

Pannelli solari obbligatori sui tetti dei nuovi edifici commerciali dal 2026 e per le nuove case a partire dal 2029. Nel suo piano per l’indipendenza dai combustibili fossili importati dalla Russia, ‘RepowerEU’, presentato mercoledì, la Commissione Europea fa leva su un massiccio aumento e accelerazione delle energie rinnovabili nella produzione di energia, ma anche nell’industria, negli edifici e nei trasporti per liberarsi dai combustibili fossili russi, da cui dipende per oltre il 50% delle sue importazioni di energia.

Bruxelles ha proposto nel piano di portare l’attuale target per l’energia prodotta da fonti rinnovabili dal 40% al 45%. Neanche un anno fa, a luglio 2021, la Commissione Ue aveva proposto nel quadro del suo pacchetto climatico ‘Fit for 55’ una revisione della direttiva sulle energie rinnovabili risalente al 2018 per portare l’obiettivo per il 2030 dall’attuale 32% delle energie rinnovabili nel mix energetico dell’Ue, fino al 40%. Mercoledì Bruxelles ha rivisto al rialzo l’obiettivo per accelerare la transizione e punta principalmente sull’energia solare.

Come parte centrale del ‘Repower Eu’, ha lanciato una ‘strategia solare dell’Ue’ per raddoppiare la capacità solare fotovoltaica entro il 2025 e installare 600 Gigawatt di nuova potenza entro il 2030. Per aumentare la capacità propone un’iniziativa specifica sui tetti solari con un obbligo a tappe per gli Stati membri per installare pannelli solari su nuovi edifici pubblici e commerciali e nuovi edifici residenziali. Per liberare un potenziale che l’Ue stima potrebbe fornire il 25% del consumo di elettricità dell’intera Unione, i governi dovrebbero limitare la durata con cui vengono rilasciati i permessi per gli impianti solari su tetto, compresi quelli di grandi dimensioni, a un massimo di 3 mesi. Dovranno rendere gradualmente obbligatoria l’installazione di energia solare sul tetto per tutti i nuovi edifici pubblici e commerciali con una superficie superiore a 250 metri quadri entro il 2026 e per tutti gli edifici pubblici e commerciali esistenti entro il 2027. L’obbligo entrerà in vigore nel 2029, invece, per tutti i nuovi edifici residenziali, quindi le case.

Per contrastare la lentezza con cui si approvano le autorizzazioni per i grandi progetti rinnovabili, la Commissione ha presentato una raccomandazione agli Stati per accelerare le approvazioni e un emendamento mirato alla direttiva sulle energie rinnovabili per riconoscere l’energia rinnovabile come “un interesse pubblico prioritario”. In questo modo, i governi dovrebbero istituire aree di riferimento dedicate per le energie rinnovabili con procedure di autorizzazione abbreviate e semplificate in aree con rischi ambientali limitati. Attualmente ci vogliono almeno “9 anni” per autorizzare progetti che riguardano l’eolico e “più di 4 anni per i progetti che riguardano il solare”, ha spiegato nella conferenza stampa la stampa per l’Energia, Kadri Simson.

Eolico

Spertino (Politecnico di Torino): L’eolico? Da noi sarà galleggiante

Taranto ha da poco inaugurato il primo parco eolico offshore italiano. Un totale di 10 pale che saranno capaci di fornire il fabbisogno energetico di 60mila persone l’anno. Ci sono voluti 14 anni di stop e ripartenze per arrivare al risultato, e il nodo burocratico ha animato il dibattito sul ritardo di un potenziale eolico italiano che secondo l’associazione Anev può superare i 19 gigawatt entro il 2030, a fronte di un installato di poco superiore ai 10.

Ma tolta la variabile delle autorizzazioni e delle polemiche che accompagnano progetti di questa portata, come possiamo immaginarci la componente eolica nell’Italia del 2050? Quanta energia sarà prodotta da impianti installati nel Mediterraneo, quanti sulla terraferma, e quanti ancora saranno realizzati per intercettare il vento troposferico?

Difficilissimo fare previsioni. Filippo Spertino, professore al dipartimento di Energia al Politecnico di Torino, ci aiuta ad avere un’idea. “Credo che circa il 70% degli impianti eolici saranno onshore“, le tradizionali pale eoliche installate sulla terraferma, “soprattutto per una questione di costi” spiega Spertino. “Mi aspetto poi un 20-25% di eolico offshore, e la percentuale restante di eolico d’alta quota“.

L’eolico offshore – come nell’esempio di Taranto – ha un vantaggio tecnico importante: l’attrito delle correnti d’aria con la superficie del mare è infatti molto minore rispetto al suolo, e può portare anche a una produzione doppia di energia per singola unità. Ma sconta le criticità morfologiche delle coste italiane. “A differenza di quanto accade nei paesi del Nord Europa, dove i fondali marini sono molto più bassi” spiega il professore, “la profondità del Mediterraneo costringe a progettare gran parte dei sistemi eolici come piattaforme galleggianti, con costi di ancoraggio importanti“. Problema a cui si aggiunge il costo dei cavi per il trasferimento dell’energia, che deve coprire distanze importanti sui fondali marini.

E l’eolico d’alta quota? “I rendimenti potenziali possono essere anche superiori al 40%, con un vento in quota molto più intenso e stabile” spiega Spertino. In questo genere di installazione, l’energia meccanica trasmessa dal vento viene trasmessa da un kite (un aquilone, una vela) a un generatore posizionato a terra, oppure trasformata direttamente in quota in energia elettrica. “Ma al momento scontano limiti strutturali, con la gestione della fase di tiro e di richiamo, che non le rendono ancora competitive“.

Ma nell’Italia del 2050, a fare la differenza sarà la pianificazione congiunta fra le diverse tecnologie rinnovabili, come l’energia del vento e il fotovoltaico. “Ma anche cambiare il nostro profilo di consumo” conclude Spertino, “riprogettando alcune attività oggi realizzate a ciclo continuo, intensificandole nelle ore a maggiore disponibilità di sole o vento“.

Fukushima

Giappone, fotovoltaico per superare disastro di Fukushima

Fattorie solari, progetti di idrogeno verde e filiera corta energetica: 11 anni dopo il disastro nucleare di Fukushima, questo martoriato dipartimento giapponese sta puntando massicciamente sulle energie rinnovabili per ricostruire il suo futuro. A Namie, pochi chilometri a nord della centrale nucleare devastata, un mare scintillante di pannelli fotovoltaici si estende sull’Oceano Pacifico da dove è partito il devastante tsunami dell’11 marzo 2011. Il sito è ancora più simbolico perché avrebbe dovuto essere il luogo dove far nascere la terza centrale nucleare di Fukushima, progetto abbandonato dopo il 2011. Il parco solare di 18 ettari – l’equivalente di 25 campi da calcio – serve a produrre in loco l’idrogeno, un’energia pulita se generata dall’elettricità verde, e sulla quale il Giappone punta a lungo termine.

Inaugurato nel 2020, questo ‘Fukushima Hydrogen Energy Research Field’ (FH2R) sarà anche in grado di assorbire l’elettricità in eccesso dalla rete durante i picchi di fornitura legati alle fluttuazioni delle energie rinnovabili. In questo modo servirà ad ‘equilibrare’ la rete elettrica ed evitare qualsiasi spreco, ha spiegato all’Afp Eiji Ohira, un funzionario della New Energy Development Organisation (Nedo), l’ente pubblico di ricerca giapponese che gestisce il sito sperimentale. Dal 2012, la prefettura di Fukushima mira a produrre abbastanza elettricità rinnovabile entro i suoi confini per coprire l’equivalente del 100% del suo consumo entro il 2040. “Il forte desiderio di evitare che un tale incidente (nucleare, ndr) si ripeta è stato il punto di partenza più importante per questa politica”, ha detto all’Afp Noriaki Saito, capo del dipartimento di pianificazione e coordinamento dell’energia. È anche un modo di “recuperare la nostra terra” e “ricostruire noi stessi”, ha aggiunto.

AIUTO A ‘DOPPIO TAGLIO’. Grazie al massiccio sostegno finanziario del governo giapponese, il progetto è sulla buona strada: un tasso di energia rinnovabile del 43,4% è stato raggiunto nel 2020/21, rispetto al 23,7% del 2011/12, secondo il dipartimento. I parchi solari sono spuntati come funghi sulla costa, su terreni lasciati incolti dallo tsunami o dalle evacuazioni legate alle radiazioni. Fukushima, che aveva già impianti idroelettrici, è diventata anche una terra di impianti a biomassa e di turbine eoliche sulle montagne. Ma c’è ancora molta strada da fare, soprattutto nella mente delle persone, avverte Saito. Il punto di vista è condiviso da Motoaki Sagara, capo di Apollo Group, un piccolo fornitore locale di energia che ha notevolmente ampliato la sua offerta di rinnovabile negli ultimi anni. “Generiamo elettricità con parchi fotovoltaici e la vendiamo ai privati. Il prezzo è solo un po’ più alto (rispetto all’elettricità da fonti di energia convenzionali, ndr). Ma spesso i nostri clienti ci dicono che preferiscono l’elettricità più economica”, ha detto Sagara all’Afp. Le sovvenzioni “ci aiutano e ci motivano” a sviluppare l’energia verde. Ma sono “a doppio taglio”, dice, perché se si fermassero, aziende come la sua si troverebbero in difficoltà.

FILIERA CORTA. Per sensibilizzare la sua popolazione, Fukushima sta incoraggiando la creazione di brevi circuiti energetici, dove l’elettricità viene prodotta e consumata localmente. Questo è il caso di Katsurao, un piccolo villaggio annidato in una valle boscosa a circa 20 chilometri dalla centrale nucleare. Il villaggio è stato evacuato tra il 2011 e il 2016 a causa delle radiazioni e ora ha solo 450 abitanti, meno di un terzo della sua popolazione precedente. Su un ex campo di riso che veniva usato per immagazzinare depositi radioattivi durante i lavori di decontaminazione, si sta ora costruendo un parco solare, la cui elettricità viene consumata direttamente nel villaggio. “Questa è la prima comunità autonoma del paese con una micro-rete”, dice Seiichi Suzuki, vicepresidente di Katsuden, la mini-azienda elettrica locale. A suo ritorno, “la gente aveva espresso un forte desiderio di vivere con fonti di energia naturale”, e il sostegno del governo è arrivato. “Quando si usa l’elettricità generata dalla comunità, è più facile vedere come viene generata. Mi fa sentire meglio (…) e fa bene all’ambiente”, dice Hideaki Ishii, un droghiere-ristoratore di Katsurao. Tuttavia, il parco solare copre solo il 40% del fabbisogno di elettricità del villaggio in media all’anno, dice Suzuki. È previsto un impianto a biomassa, ma alcuni residenti sono contrari, temendo che potrebbe rilasciare emissioni radioattive se utilizzasse inavvertitamente materiale organico contaminato, spiega Suzuki. A Fukushima, anche quando si parla di energie rinnovabili, i demoni dell’incidente nucleare non sono mai lontani.

(AFP)

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IAEA Imagebank

Ambiente, dal Pnrr oltre 2 miliardi di euro per le comunità energetiche

Sono poco più di 20 le comunità energetiche presenti in Italia, con istallazioni di taglia compresa tra i 20 e i 50 kilowatt picco. Con la spinta del Piano nazionale di ripresa e resilienza, però, che prevede finanziamenti specifici per favorire la diffusione delle modalità di autoproduzione e autoconsumo collettivo, si riuscirebbe a produrre un quantitativo di energia di circa 2.500 GWh annui, in grado di evitare l’emissione di 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Sono alcuni degli elementi che emergono dall’Orange Book ‘Le comunità energetiche in Italia’, curato da RSE e dalla Fondazione Utilitatis, in collaborazione con Utilitalia.

DAL PNRR 2 MILIARDI. Il Pnrr prevede finanziamenti specifici per favorire la diffusione delle modalità di autoproduzione e autoconsumo collettivo stabilite dalla normativa italiana, stanziando per le comunità energetiche rinnovabili e i sistemi di autoconsumo collettivo oltre 2 miliardi di euro. L’investimento mira ad installare circa 2.000 MW di nuova capacità di generazione elettrica in configurazione distribuita da parte di comunità delle energie rinnovabili e auto-consumatori. Ipotizzando una produzione annua da fotovoltaico di 1.250 kWh per ogni kW, si produrrebbero così circa 2.500 GWh annui, in grado di evitare l’emissione di 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.

“Sulle comunità energetiche – spiega Stefano Pareglio, presidente della Fondazione Utilitatis – siamo ai primi passi, ma questa ricerca testimonia il loro potenziale in termini sia di sviluppo delle energie rinnovabili, sia di stabilità dei prezzi. Non ci nascondiamo le difficoltà applicative ma siamo consapevoli, come dimostrano le testimonianze delle associate a Utilitalia, che questa modalità di generazione avrà nei prossimi anni un significativo sviluppo. Siamo molto lieti di questa, mi auguro, prima collaborazione RSE, accreditato ente di ricerca sui mercati energetici. E’ una concreta testimonianza del nuovo corso di Fondazione, impegnata nel costruire partenariati scientifici per indagare e proporre soluzioni praticabili in favore della transizione energetica e ambientale del nostro Paese”.

STRUMENTO DI CONTRASTO ALLA POVERTA’ ENERGETICA. La maggiore diffusione delle comunità energetiche sarebbe coerente sia con i target nazionali ed europei sulla transizione ecologica, sia con la necessità di mettere in campo azioni strutturali contro il caro bollette. Da un lato, si osserva nello studio, le comunità possono contribuire ad accelerare l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili e a favorire la ricerca di nuove soluzioni per aumentare l’efficienza dei sistemi esistenti, stimolando l’innovazione tecnologica per ridurre al minimo l’impatto ambientale senza compromettere la crescita e lo sviluppo sostenibile. Dall’altro lato, la diffusione delle comunità energetiche può costituire un importante strumento di contrasto alla povertà energetica: a fronte della recente volatilità dei prezzi di fornitura, tali realtà possono permettere di contenere i costi sia per le utenze domestiche che per quelle non domestiche.

“Come ormai sappiamo, le comunità energetiche nascono per soddisfare i bisogni energetici, ambientali e sociali individuati dai membri della comunità stessa – evidenzia Maurizio Delfanti, Amministratore Delegato di RSEcon l’obiettivo di rendere i clienti finali protagonisti della transizione energetica, resa ancora più urgente dalla crisi dei prezzi in corso. Le sperimentazioni avviate in fase di recepimento anticipato hanno già messo in evidenza che al crescere della complessità degli interventi si rende necessario un confronto e un dialogo fattivo con gli attori del mercato, in modo da fornire alle Comunità Energetiche risorse e competenze che non sempre possono essere detenute a livello locale”.

AL VIA I PROGETTI PILOTA. Il lavoro ha analizzato le esperienze provenienti da studi e progetti pilota implementati da alcune società – Acea, A2A, Hera e Iren – permettendo di identificare alcuni significativi punti di interesse. Emergono vantaggi dal lato dei costruttori, identificabili nella riduzione della complessità impiantistica e nella valorizzazione dell’immobile, e anche per i condomini, dovuti alla riduzione delle spese per la fornitura elettrica e l’incremento del controllo e consapevolezza dei consumi attraverso la possibilità di un preciso monitoraggio. Lo studio evidenzia infine alcuni elementi pratici su cui è importante porre l’attenzione. Dal punto di vista tecnico, “una puntuale e ponderata individuazione dell’edificio destinato all’installazione degli impianti, con caratteristiche favorevoli, sia strutturali sia di esposizione al sole. Dal punto di vista sociale emerge la necessaria capacità di coinvolgimento e assistenza, per accompagnare gli eventuali membri delle comunità energetiche rinnovabili nei vari adempimenti e nei processi autorizzativi necessari”.