L’Europa ha più gas di scisto degli Usa, ma non “può” usarlo
La nuova premier britannica, Liz Truss, qualche giorno fa ha annunciato che porrà fine alla moratoria al fracking sulle “nostre enormi riserve di scisto che potrebbero far circolare il gas in appena sei mesi“. Parlando alla Camera dei Comuni, ha anticipato che il governo concederà nuove licenze per petrolio e gas già questa settimana – lutto per Regina permettendo – che dovrebbero portare a oltre 100 nuove concessioni, dalle due attuali. Un cambio di rotta epocale, dopo il blocco deciso nel 2019 poiché – sostenevano istituzioni e associazioni inglesi – “non è possibile con la tecnologia attuale prevedere con precisione la probabilità di tremori associati al fracking“.
Il fracking è una tecnica estrattiva di petrolio e gas naturale che fu utilizzata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1947 dalla Halliburton. In pratica si sfrutta la pressione dei liquidi per provocare delle fratture negli strati rocciosi più profondi del terreno, così da agevolare la fuoriuscita del petrolio o dei gas presenti nelle rocce. Proprio gli Stati Uniti, grazie al cosiddetto gas di scisto, sono diventati primi esportatori mondiali e ce lo stanno vendendo sotto forma di Gnl, gas liquefatto.
La mossa di Liz Truss ha riaperto il dibattito in Europa, alle prese con la scarsità di metano visto il blocco operato dalla Russia. Alcuni osservatori hanno ritirato fuori uno studio dell’Eia, Energy information administration americana, del 2015 in base al quale ci sarebbe più gas di scisto in Europa che negli Stati Uniti. In realtà lo studio considera nel Vecchio Continente anche Russia e Turchia, tuttavia anche escludendo anche questi due Paesi, sfruttando il fracking si potrebbero coprire i fabbisogni europei per oltre 30 anni.
Nel dettaglio gli Usa nel 2015 erano seduti su 622 trilioni di piedi cubi di shale gas, ovvero 17.612 miliardi di metri cubi di gas, che saranno diminuiti vista la corsa allo sfruttamento scattata soprattutto nell’ultimo decennio. In Europa ci sarebbero invece ancora 16.944 miliardi di metri cubi, benché l’unica grande attività di fracking sia proprio in Ucraina, che è riuscita a staccarsi dal gas russo anni fa. I Paesi più ricchi di gas di scisto sono Polonia, Romania, Francia, Danimarca, Olanda e Regno Unito. L’Italia nemmeno compare in questa classifica stilata dall’Eia. Eppure nel Vecchio continente non è stato praticamente mosso un dito, principalmente per due motivi: la densità di popolazione, tre volte quella americana, e le proteste delle comunità locali, le quali hanno fatto letteralmente scappare investitori-perforatori del calibro di Exxon o Chevron.
Secondo il sito oilprice.com, inoltre, ci sono altri due fattori che giocano in favore della Russia e contro lo sfruttamento di gas dalle rocce: la terra disabitata in Europa è scarsa, così come talvolta è insufficiente l’acqua per sfruttare i pozzi di scisto. Burocrazia e proteste ambientaliste a parte, inoltre il costo di produzione di gas russo è circa un sesto inferiore al costo di pareggio dello shale britannico. Anche se a questi prezzi ad Amsterdam perfino il gas di scisto sembra economico… difficile però che in Europa si prenda questa direzione, se non si è nemmeno in grado di stabilire un tetto al prezzo del gas o acquisti comuni di metano…