Antonio Gozzi: “Modello Genova non è cultura malaffare ma strumento crescita”
Leggo, da parte di vari esponenti del variegato mondo della sinistra genovese e ligure, un attacco frontale al cosiddetto “modello Genova”. Taluni, anche esponenti del Pd, arrivano a dire che “il modello Genova è la moderna espressione della cultura del malaffare”.
Il caldo agostano e gli incipienti furori della prossima campagna elettorale per la Regione non giustificano espressioni di questo tipo, e testimoniano ancora una volta come la sinistra ligure, o almeno buona parte di essa, abbia una vocazione minoritaria, che negli ultimi dieci anni le ha fatto perdere tutto quello che c’era da perdere, ed una postura molto distante dalla cultura di governo (studiare bene Starmer in UK, please).
Continuo a insistere da mesi che il problema italiano, europeo, e per restare alle nostre latitudini anche ligure, è il problema della crescita. Viviamo una fase del mondo in cui o gli europei si svegliano, capiscono il loro gravissimo declino demografico, economico e industriale e reagiscono rimboccandosi le maniche e abbandonando ideologismi astratti, oppure la partita è persa. La crescita e tutti gli strumenti che la supportano devono diventare un’ossessione. C’è una parte della sinistra europea che questo lo capisce e un’altra no.
Io credo che il “modello Genova” sia uno di questi fondamentali strumenti della crescita e ora vi spiego perché.
Innanzitutto, che cosa è e che cosa si intende quando si parla del “modello Genova”?
Tecnicamente con “modello Genova” si intende quel complesso di norme che dopo il crollo del ponte Morandi ha consentito uno snellimento significativo delle procedure burocratiche che regolano gli appalti pubblici e le costruzioni, e ha permesso, nel caso specifico, il procedere rapidamente alla ricostruzione del ponte (ponte San Giorgio) sotto la guida di un Commissario, previsto dalla legge ed individuato nel Sindaco di Genova Marco Bucci.
È stata prima di tutto un’esperienza straordinaria di riscatto e di orgoglio, con la quale Genova è stata capace di reagire all’immane tragedia in tempi rapidi con efficienza, senza che vi sia stato il minimo sentore di nulla meno che regolare e trasparente. La ricostruzione del ponte in tempi record, che ha visto protagonisti due colossi industriali come Fincantieri e Webuild, sotto la regia commissariale, ha dimostrato che si può fare presto, bene e nella legalità, ed ha rappresentato un’iniezione di fiducia positiva per l’ambiente economico di una Regione per troppo tempo dominata da una cultura conservatrice, a tratti immobilista, sempre diffidente verso la crescita e lo sviluppo.
La Liguria ha un estremo ed urgente bisogno di grandi opere infrastrutturali per uscire dal suo isolamento che insieme ad altri fattori, primo fra tutti quello demografico, ne ha provocato il lento declino degli ultimi decenni.
Anche in Liguria ci sono forze politiche che vedono la crescita come una sciagura e le grandi opere come strumenti per alimentare il malaffare e la mafia, e che sono pregiudizialmente diffidenti verso le imprese, i loro progetti, l’iniziativa privata.
L’essere stati capaci di reagire a questa cultura del declino e della decrescita (infelice) con una narrazione diversa, positiva, pragmatica è stato il grande merito dell’amministrazione di Bucci, che pure con i suoi limiti ha cercato e spesso è riuscita ad invertire la rotta proprio sulle questioni strutturali.
Di Bucci abbiamo apprezzato e apprezziamo in particolare il suo ottimismo e la sua capacità di indicare una nuova prospettiva con una cultura civica del fare che è anche il portato della sua precedente esperienza manageriale. Far succedere le cose, trasformare le idee in progetti e i progetti in realizzazioni: sono queste le doti in base alle quali si dovrebbe giudicare un buon amministratore pubblico.
Molti sono i cantieri aperti e/o le realizzazioni dell’amministrazione Bucci: oltre la ricostruzione del ponte, il Waterfront di levante, lo skymetro della Val Bisagno, la revisione totale della mobilità urbana con la forte spinta sui mezzi pubblici e sull’elettrico, la diga portuale per aprire il mercato alle grandissime navi portacontenitori, il tunnel subportuale ecc.
Lo spirito positivo e l’efficienza di realizzazione hanno fatto sì che il governo Draghi prima e quello di Meloni poi abbiano messo a disposizione una mole di risorse mai viste prima (si parla di complessivi 8 miliardi e più di euro) da investire principalmente in infrastrutture e collegamenti di cui, come detto, Genova e la Liguria hanno un enorme bisogno. È un’occasione irripetibile che non si può perdere.
I contestatori del modello Genova dicono che questo modello non si può applicare in ogni caso e a tutto. Il modello emergenziale utilizzato per la ricostruzione del ponte, secondo loro, non si può replicare per la diga, lo sky metro e quant’altro e bisogna al più presto rientrare nella normalità. Dare poteri così importanti ai commissari pone gravi rischi in termini di legalità, ed anzi, secondo il pensiero di questi cultori del declino, fa parte della cultura del malaffare.
I sostenitori di questa tesi non si rendono conto dell’insofferenza del mondo dell’economia, ma anche dei semplici cittadini, rispetto alle lungaggini burocratiche, alle scelte che non si riescono mai a fare: quanti anni ci sono voluti per definire il tracciato della Gronda che oggi la sinistra vuole rimettere in discussione? La pesantezza normativa e la burocrazia “guardiana” che la gestisce costituiscono uno dei peggiori ostacoli allo sviluppo e alla modernizzazione del Paese e di una regione come la nostra in cui la situazione emergenziale non si è conclusa con il Ponte San Giorgio.
Sono la complicazione della norma e l’elefantiasi burocratica che spesso favoriscono la corruzione e il malaffare, non i commissari che invece si assumono le responsabilità delle procedure e dello stato di avanzamento dei lavori e ci mettono la faccia come ha fatto e fa Bucci.
Il modello Genova è stato ed è un modo virtuoso di sintonizzare i tempi di realizzazione delle opere pubbliche con la velocità a cui corre il mondo di oggi. Altro che malaffare: viva il “modello Genova”!