Piano Mattei, Gozzi: Genova può essere centrale con un grande progetto culturale

Il Mediterraneo “è destinato a diventare uno dei luoghi cardine dell’incontro tra Nord e Sud del mondo. L’Italia si trova quindi in una posizione strategica e deve cogliere questa opportunità straordinaria sfruttando la sua storia, la sua cultura, le sue imprese, la facilità di relazione con le popolazioni della costa sud del Mediterraneo che ci guardano con un’ammirazione e una simpatia che spesso non hanno nei confronti di altri Paesi occidentali. Il lancio del Piano Mattei da parte del Governo va in questa direzione”. Così Antonio Gozzi, responsabile del Piano Mattei per Confindustria Nazionale, in un intervento pubblicato su Piazza Levante.

Le città marittime, dice il presidente del gruppo Duferco, “in questo contesto diventano sempre più importanti, non solo per i loro porti e i loro traffici, che da sempre uniscono il mondo, ma anche perché saranno formidabili sedi di incontri e incroci tra popoli e culture che si affacciano sul nostro mare”. Ecco allora che Genova “ha l’occasione di rilanciare il suo ruolo nel mondo diventando una delle capitali, se non la capitale, di questo processo. La Liguria, se Genova non sarà ‘la Superba’ ma avrà la capacità di coordinare forze ed energie, può diventare un tassello straordinario in questo disegno”.

Nel suo intervento, Gozzi suggerisce al capoluogo ligure di “candidarsi attraverso un grande evento culturale”, visto che da tempo Genova e la Liguria “non ospitano un grande evento di livello internazionale”. Eppure, dice, “gli ingredienti ci sarebbero tutti: tradizione internazionale marittima e finanziaria, arte moderna, pittura, teatro, progetti di riconversione urbana e di messa in valore del centro storico retroportuale più grande del mondo, progetti di cooperazione universitaria e di ricerca, progetti di cooperazione industriale sulla transizione, progetti marittimi e logistici”.

“Mi piacerebbe – scrive Gozzi – che nei programmi di governo che i vari schieramenti presenteranno per le prossime elezioni regionali ci fosse spazio per questi temi intorno ai quali costruire il futuro della Liguria”, anche perché “senza città aperte alle nuove generazioni tutto sarà limitato a contesti che non si rinnovano e non si trasformano e che, per questo, sono destinati a deperire per egoismo senile”.

Ponte Morandi, 6 anni dopo l’Italia non dimentica. Mattarella: “Accertare responsabilità”

Il 14 agosto 2018 non sarà mai una data qualsiasi per l’Italia. Quella mattina il Paese, in pausa per godersi qualche ora di riposo per il Ferragosto, si rialzò di colpo, sconvolto dal crollo del viadotto del Polcevera, a Genova, più comunemente conosciuto come Ponte Morandi, uno dei tanti costruiti nella penisola dal grande ingegnere italiano. Morirono 43 persone, innocenti che hanno avuto la sola colpa di attraversare quel pezzo di strada nel momento sbagliato: quando si staccarono alcune lastre di pavimentazione stradale, cadendo nel canale sottostante e inghiottendo le macchine che lo stavano attraversando, la storia dell’Italia cambiò inevitabilmente.

Sono passati 6 anni da quella tragedia, il ponte è stato ricostruito grazie all’impegno di tutti, istituzioni comprese, che hanno prodotto uno sforzo normativo fuori sincrono con la prassi italiana. Oggi il Ponte San Giorgio è bello, sicuro, ma chiunque guardi in quella direzione non può dimenticare il perché sia lì.

Non lo dimentica il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in un messaggio inviato al sindaco di Genova, Marco Bucci. Sono poche righe ma cariche di contenuti e significato. “Le immagini di quel drammatico evento appartengono alla memoria collettiva della Repubblica e richiamano alla responsabilità condivisa di assicurare libertà di circolazione e assenza di rischi a tutti gli utenti, tutelando il patrimonio infrastrutturale del Paese“. Il capo dello Stato non dimentica nessuno degli aspetti che ancora caratterizzano questo anniversario. “Le responsabilità devono essere definitivamente accertate – aggiunge – e auspico che il lavoro delle autorità preposte si svolga con l’efficacia e la prontezza necessarie a ogni sentimento di giustizia“. Perché “il tempestivo processo di ricostruzione del collegamento tramite il Ponte Genova San Giorgio non costituisce attenuante per quanto accaduto“. Il presidente della Repubblica, poi, conclude: “In questa giornata di cordoglio e di memoria la Repubblica esprime vicinanza ai familiari delle 43 vittime, unitamente a un profondo sentimento di solidarietà alla Città“.

Sceglie tre parole-chiave specifiche la premier, Giorgia Meloni: “Memoria, rinascita, giustizia“. Parlando di “catastrofe che il 14 agosto 2018 ha sconvolto Genova, la Liguria e la nazione intera“, la presidente del Consiglio onora le vittime ed esalta come Genova sia “rinata più forte e più caparbia di prima” con il Ponte San Giorgio, “la cui costruzione ha segnato un modello di efficienza, innovazione e capacità ingegneristica“, ma “quel Ponte ricorda alla nazione le tante, troppe, domande rimaste ancora senza risposta“. Per cui “fare giustizia e individuare le responsabilità per ciò che è accaduto, accertando una volta per tutte colpe e omissioni, è un dovere morale, oltre che giudiziario“, sottolinea Meloni. Che rinnova l’auspicio affinché “l’iter giudiziario possa concludersi nel più breve tempo possibile perché Genova, la Liguria e l’Italia aspettano di conoscere la verità processuale su ciò che è accaduto“.

Se lo ricorda bene quel giorno anche il vicepremier, Matteo Salvini. All’epoca vice presidente del Consiglio del governo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte e costruito con Lega e Movimento 5 Stelle a guida di Luigi Di Maio. Sei anni dopo Salvini è il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti dell’esecutivo Meloni, ma assicura che l’impegno non cambia. “Una tragedia che contò 43 vittime (ai quali va il nostro pensiero), centinaia di sfollati e tanta rabbia per una situazione che poteva essere evitata“, scrive su Instagram. “Grazie anche alla commovente capacità di reazione del popolo genovese, quel dramma riuscì però ad unire una città, una regione e un intero Paese che, superando ostacoli, burocrazia e lentezze, portò alla costruzione in tempi record di un nuovo Ponte, diventato un modello ingegneristico nel mondo – aggiunge -. Questa straordinaria opera infrastrutturale dimostra ancora oggi che, se tutti sono disposti a fare la loro parte, l’Italia ha tutti i mezzi necessari per rinascere nel nome dello sviluppo, del lavoro e dei ‘Sì’: è l’impegno che stiamo portando avanti“.

Nel giorno della commemorazione non mancano i pensieri delle alte cariche istituzionali. “Le ferite di quel disastro sono ancora aperte, così come saranno per sempre scolpite nella nostra memoria le immagini di una città, Genova, spezzata in due e quel senso di incredulità e rabbia che tutti abbiamo provato in quei drammatici momenti“, scrive sui social il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Ricordando che il ricordo di quell’evento drammatico è anche “una importante occasione per riflettere sull’eccezionale esempio di resilienza e impegno che ha portato alla rapida ricostruzione del nuovo Ponte San Giorgio. Un significativo segnale di riscatto per l’intera comunità nazionale“. Anche il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ricorda le vittime “con profonda commozione“, dedicando “una preghiera per loro e la più sentita vicinanza alle loro famiglie“.

Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto, poi, sottolinea come “a sei anni dal crollo ricordiamo le 43 vittime e la grande dignità delle popolazioni colpite, capaci di rialzarsi dopo quel dramma. Una forte azione comune, che ha coinvolto tutti i livelli dello Stato, ha consentito la ricostruzione – dichiara -, segno di ripartenza e riaffermazione del più autentico senso di comunità“. Il cordoglio è comunque unanime, da destra a sinistra. Per una tragedia che continua a scuotere le coscienze di un intero Paese.

Antonio Gozzi: “Modello Genova non è cultura malaffare ma strumento crescita”

Leggo, da parte di vari esponenti del variegato mondo della sinistra genovese e ligure, un attacco frontale al cosiddetto “modello Genova”. Taluni, anche esponenti del Pd, arrivano a dire che “il modello Genova è la moderna espressione della cultura del malaffare”.

Il caldo agostano e gli incipienti furori della prossima campagna elettorale per la Regione non giustificano espressioni di questo tipo, e testimoniano ancora una volta come la sinistra ligure, o almeno buona parte di essa, abbia una vocazione minoritaria, che negli ultimi dieci anni le ha fatto perdere tutto quello che c’era da perdere, ed una postura molto distante dalla cultura di governo (studiare bene Starmer in UK, please).

Continuo a insistere da mesi che il problema italiano, europeo, e per restare alle nostre latitudini anche ligure, è il problema della crescita. Viviamo una fase del mondo in cui o gli europei si svegliano, capiscono il loro gravissimo declino demografico, economico e industriale e reagiscono rimboccandosi le maniche e abbandonando ideologismi astratti, oppure la partita è persa. La crescita e tutti gli strumenti che la supportano devono diventare un’ossessione. C’è una parte della sinistra europea che questo lo capisce e un’altra no.

Io credo che il “modello Genova” sia uno di questi fondamentali strumenti della crescita e ora vi spiego perché.

Innanzitutto, che cosa è e che cosa si intende quando si parla del “modello Genova”?

Tecnicamente con “modello Genova” si intende quel complesso di norme che dopo il crollo del ponte Morandi ha consentito uno snellimento significativo delle procedure burocratiche che regolano gli appalti pubblici e le costruzioni, e ha permesso, nel caso specifico, il procedere rapidamente alla ricostruzione del ponte (ponte San Giorgio) sotto la guida di un Commissario, previsto dalla legge ed individuato nel Sindaco di Genova Marco Bucci.

È stata prima di tutto un’esperienza straordinaria di riscatto e di orgoglio, con la quale Genova è stata capace di reagire all’immane tragedia in tempi rapidi con efficienza, senza che vi sia stato il minimo sentore di nulla meno che regolare e trasparente. La ricostruzione del ponte in tempi record, che ha visto protagonisti due colossi industriali come Fincantieri e Webuild, sotto la regia commissariale, ha dimostrato che si può fare presto, bene e nella legalità, ed ha rappresentato un’iniezione di fiducia positiva per l’ambiente economico di una Regione per troppo tempo dominata da una cultura conservatrice, a tratti immobilista, sempre diffidente verso la crescita e lo sviluppo.

La Liguria ha un estremo ed urgente bisogno di grandi opere infrastrutturali per uscire dal suo isolamento che insieme ad altri fattori, primo fra tutti quello demografico, ne ha provocato il lento declino degli ultimi decenni.

Anche in Liguria ci sono forze politiche che vedono la crescita come una sciagura e le grandi opere come strumenti per alimentare il malaffare e la mafia, e che sono pregiudizialmente diffidenti verso le imprese, i loro progetti, l’iniziativa privata.

L’essere stati capaci di reagire a questa cultura del declino e della decrescita (infelice) con una narrazione diversa, positiva, pragmatica è stato il grande merito dell’amministrazione di Bucci, che pure con i suoi limiti ha cercato e spesso è riuscita ad invertire la rotta proprio sulle questioni strutturali.

Di Bucci abbiamo apprezzato e apprezziamo in particolare il suo ottimismo e la sua capacità di indicare una nuova prospettiva con una cultura civica del fare che è anche il portato della sua precedente esperienza manageriale. Far succedere le cose, trasformare le idee in progetti e i progetti in realizzazioni: sono queste le doti in base alle quali si dovrebbe giudicare un buon amministratore pubblico.

Molti sono i cantieri aperti e/o le realizzazioni dell’amministrazione Bucci: oltre la ricostruzione del ponte, il Waterfront di levante, lo skymetro della Val Bisagno, la revisione totale della mobilità urbana con la forte spinta sui mezzi pubblici e sull’elettrico, la diga portuale per aprire il mercato alle grandissime navi portacontenitori, il tunnel subportuale ecc.

Lo spirito positivo e l’efficienza di realizzazione hanno fatto sì che il governo Draghi prima e quello di Meloni poi abbiano messo a disposizione una mole di risorse mai viste prima (si parla di complessivi 8 miliardi e più di euro) da investire principalmente in infrastrutture e collegamenti di cui, come detto, Genova e la Liguria hanno un enorme bisogno. È un’occasione irripetibile che non si può perdere.

I contestatori del modello Genova dicono che questo modello non si può applicare in ogni caso e a tutto. Il modello emergenziale utilizzato per la ricostruzione del ponte, secondo loro, non si può replicare per la diga, lo sky metro e quant’altro e bisogna al più presto rientrare nella normalità. Dare poteri così importanti ai commissari pone gravi rischi in termini di legalità, ed anzi, secondo il pensiero di questi cultori del declino, fa parte della cultura del malaffare.

I sostenitori di questa tesi non si rendono conto dell’insofferenza del mondo dell’economia, ma anche dei semplici cittadini, rispetto alle lungaggini burocratiche, alle scelte che non si riescono mai a fare: quanti anni ci sono voluti per definire il tracciato della Gronda che oggi la sinistra vuole rimettere in discussione? La pesantezza normativa e la burocrazia “guardiana” che la gestisce costituiscono uno dei peggiori ostacoli allo sviluppo e alla modernizzazione del Paese e di una regione come la nostra in cui la situazione emergenziale non si è conclusa con il Ponte San Giorgio.

Sono la complicazione della norma e l’elefantiasi burocratica che spesso favoriscono la corruzione e il malaffare, non i commissari che invece si assumono le responsabilità delle procedure e dello stato di avanzamento dei lavori e ci mettono la faccia come ha fatto e fa Bucci.

Il modello Genova è stato ed è un modo virtuoso di sintonizzare i tempi di realizzazione delle opere pubbliche con la velocità a cui corre il mondo di oggi. Altro che malaffare: viva il “modello Genova”!

A Genova inaugurato il cantiere del primo tunnel sottomarino italiano

Un tracciato lungo 3,4 chilometri, costituito da due gallerie principali separate, una per ogni direzione di marcia, del diametro esterno di scavo di circa 16 metri, che scorreranno a una profondità massima di -45 metri in area di bacino portuale. Il progetto del tunnel subportuale di Genova, grazie a un investimento di circa 1 miliardo di euro, si pone ai primi posti nel mondo tra i tunnel sottomarini per dimensione del diametro di scavo e punta a diventare un modello di sostenibilità sociale e ambientale. Il cantiere è stato inaugurato lunedì mattina nel quartiere genovese di San Benigno, alla presenza – tra gli altri – del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini,  e l’apertura al traffico è prevista entro l’agosto del 2029.

Il progetto, che è stato definito sulla base del masterplan di Genova redatto dallo Studio Renzo Piano e sotto la supervisione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, è espressione della sinergia tra le aziende del Gruppo Aspi, a partire da Tecne, società di ingegneria che ne ha curato la progettazione, fino ad Amplia, prima azienda di costruzioni per attività a livello nazionale, che curerà la prima fase di lavorazioni.

“Progettata in ottica di sostenibilità ambientale e sociale – spiega Aspi in una nota – il nuovo tunnel rappresenta una svolta di rilevanza strategica per il territorio e per il Paese, migliorando sia i collegamenti cittadini, sia l’accessibilità al porto di Genova, tra i primi porti italiani per traffico merci e passeggeri, accesso fondamentale sul Mar Mediterraneo al mercato europeo per le merci da/a tutto il mondo”.

Con la nuova opera si potranno risparmiare più di 1 milione di ore di viaggio ogni anno, con ricadute positive anche in termini ambientali. La città conquisterà inoltre 10 ettari di nuovi parchi urbani in superficie, a beneficio delle comunità. Il progetto del tunnel, infatti, nasce come un vero e proprio piano di riqualificazione urbanistica, oltre che trasportistica, ponendosi l’obiettivo di contribuire al rafforzamento della rete del verde urbano, andando a ricucire aree fortemente antropizzate con la realizzazione di tre nuovi parchi pubblici e di percorsi ciclopedonali in grado di valorizzare le costruzioni preesistenti.

“L’avvio di questo cantiere – ha detto il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti – è un momento che questa città aspettava da oltre 40 anni, che ci permetterà di avere un’opera fondamentale per l’economia dell’intero Nord Ovest e per la competitività della prima città portuale del Paese”. Il tunnel subportuale, ha aggiunto il sindaco della città, Marco Bucci rappresenta un’opera strategica, che migliorerà la circolazione nella nostra città con maggiore sicurezza e sostenibilità anche dal punto di vista ambientale”.

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La mobilità sostenibile di Duferco Energia: 4mila punti di ricarica entro 2024

Un piano di sviluppo per 4mila punti di ricarica in tutta Italia. La trasformazione, in elettrico, di tutto il parco auto car sharing di Genova. Un impegno nell’infrastrutturazione ‘green’ del Paese. Duferco Energia è uno dei principali fornitori di energia e attori della transizione energetica in Italia, ma è soprattutto pioniere della mobilità elettrica. Nato nel 2010 a Genova per gestire gli impianti fotovoltaici e idroelettrici del Gruppo Duferco, poi ha ampliato il suo focus, specializzandosi anche nella vendita di energia elettrica e gas per tutti i segmenti di mercato. Ad implementare la rete di ricarica ad accesso pubblico, è in corso un piano di sviluppo che porterà l’azienda a raggiungere i 4mila punti di ricarica entro il 2024 (oggi sono 1.800 in tutto il Paese, concentrati soprattutto nel Nord-Ovest), creando così un network di colonnine in continua crescita. “Dobbiamo intanto partire da una considerazione generale, e cioè l’improrogabilità di un impegno per la sostenibilità ambientale delle nostre azioni”, spiega a GEA Vittoria Gozzi, membro del Cda del Gruppo Duferco. Per questo, Duferco Energia si è voluto impegnare nella mobilità elettrica, “sia col ruolo di ‘service provider’, cioè per dare accesso ai clienti alla rete di ricarica pubblica, sia come ‘charging point operator’, installando e gestendo direttamente punti di ricarica per veicoli elettrici”.

Per quanto riguarda i punti di ricarica, già 1.800 in tutta Italia, “è in corso un piano di sviluppo finanziato, con un investimento complessivo di circa 40 milioni di euro” per portare a 4mila punti di ricarica entro il 2024 (pari a circa duemila colonnine). Il piano, illustra Gozzi, parte da un finanziamento a fondo perduto della Commissione europea per infrastrutturare il corridoio Ten-T sulla dorsale appenninica. Poi, ulteriori 26 milioni sono arrivati da Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Crédit Agricole Italia (CAI) e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI), per un progetto volto ad accelerare lo sviluppo infrastrutturale della rete di ricarica elettrica in Italia. In più “abbiamo vinto il bando del Pnrr per l’infrastrutturazione di un pezzo di Italia che per noi corrisponde alla Liguria con 1,5 milioni di euro”. “Ci crediamo – sostiene la board member di Duferco – è una questione non solo di investimenti ma soprattutto culturale, di cambio di approccio verso una mobilità più sostenibile”.

In linea generale, riflette Gozzi, sull’elettrico “spesso si dice che l’Italia sia indietro rispetto ai Paesi del Nord Europa che sono comunque più infrastrutturati e questo può essere vero in senso assoluto ma non in senso relativo”. Rispetto al numero di auto elettriche in circolazione, e rispetto ai dati di immatricolazione, spiega, “in Italia la proporzione numero di auto-numero di colonnine è abbastanza in linea con i mercati europei”. Le auto elettriche pure circolanti in Italia al 31 agosto 2023 sono poco più di 205.000, con le immatricolazioni full electric che nei primi otto mesi dell’anno sono pari a 40.832 unità, con un incremento del 33,21% rispetto allo stesso periodo del 2022, secondo i dati forniti da Motus-E. “Nel Nord Europa ci sono molte più infrastrutture di ricarica anche perché ci sono molte più auto elettriche in circolazione – ricorda Gozzi -. Che è un circolo vizioso: la gente non compra l’auto elettrica per paura di non sapere dove ricaricarla, e gli operatori non investono nell’infrastrutturazione del Paese. Ma il rapporto numero di auto per colonnina per km quadrato è in linea con gli altri paesi europei”, circa una colonnina ogni 6 auto circa, secondo i dati del Politecnico di Milano.

Al momento, i punti di ricarica di Duferco Energia sono concentrati nel Nord-ovest, in Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, e poi Veneto e anche in Sicilia. “Ovviamente, per quanto riguarda l’uso di energia rilevato dalle colonnine in Valle d’Aosta e Liguria si registrano forti picchi stagionali legati ai flussi turistici – continua Gozzi – e i dati maggiori si rilevano comunque nelle zone più industrializzate d’Italia, con Milano che fa da padrona”. Ma in Italia si riscontra comunque “una sorta di incertezza da parte dell’utente” a comprare un’auto elettrica, o ibrida “perché si sa poco del mercato, si conoscono poco le dinamiche”. Inoltre, il vero problema è che “in Italia mancano dei veri incentivi all’acquisto dell’auto elettrica, rispetto agli altri Paesi”.

Anche per questo, Duferco Energia ha rilevato dal precedente gestore la licenza per il Comune di Genova del servizio di car sharing cittadino. L’offerta è stata di trasformare il parco auto residuo termico in uno completamente elettrico: le auto di ‘Elettra Car Sharing’, sono prenotabili attraverso la classica formula a noleggio (Station Based) o usufruendo della nuova modalità a flusso libero (Free Floating) che consente il ritiro e il rilascio del mezzo in qualsiasi punto del centro città. Per entrambi i servizi non sono richieste quote di ingresso. Al momento, i veicoli sono 150, per 47 hub e 98 aree di sosta. “Si tratta del primo car sharing con certificazione ISO 37101”, precisa Gozzi.

Il maltempo si abbatte sul Nord Italia: prima neve a Sestriere. Sospesi i treni fra Italia e Francia per una frana

Nel Nord Italia l’estate sembra finita: un’ondata di maltempo ha travolto gran parte delle regioni portando a un drastico calo delle temperature, ma soprattutto a bombe d’acqua, nubifragi e addirittura ad alcune nevicate. Allerta rossa in Lombardia e arancione in Friuli Venezia Giulia, Liguria, Provincia autonoma di Bolzano, ampi settori del Piemonte, parte della Toscana e sul Veneto. Il ‘colpevole’ è il ciclone Poppea, che insisterà anche domani sull’Italia spostandosi verso il centro Italia. Secondo Coldiretti, sulla penisola si sono abbattuti 49 eventi estremi in due giorni tra tempeste di vento, fulmini, nubifragi e grandinate che hanno provocato danni nelle città e nelle campagne con tetti scoperchiati, alberi abbattuti, frane, smottamenti e allagamenti. “L’Italia è spaccata in due con il maltempo che ha addirittura riportato la neve in quota al nord e le alte temperature e l’assenza di precipitazioni al sud che in Sicilia – sottolinea Coldiretti – hanno inaridito i terreni favorendo l’innesco degli incendi nelle campagne e nei boschi. Ci vorranno almeno 15 anni per ripristinare completamente le zone verdi distrutte dalle fiamme con danni oltre diecimila euro all’ettaro fra spese immediate per lo spegnimento e la bonifica e quelle a lungo termine sulla ricostituzione dei sistemi ambientali ed economici delle aree devastate”.

A GENOVA 200 MM DI PIOGGIA IN 24 ORE. Fra le regioni più colpite dal ciclone c’è la Liguria, dove nella sono caduti fra i 100 e i 200 mm di pioggia in 24 ore. “Non ci sono stati feriti e questa è la notizia più importante ma sono stati più di 200 gli interventi dei Vigili del Fuoco sul territorio ligure concentrati soprattutto nella provincia di Genova a causa dei molti allagamenti“, ha detto il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, parlando di numerosi alberi abbattuti. Intanto, però, i livelli del Bisagno hanno superato la soglia di guardia e sono stati registrati valori di raffiche di vento fino ai 170 km/h, con intensa attività elettrica. L’allerta rimane gialla fino a mezzanotte, e Toti precisa che la situazione è “sotto controllo e in netto miglioramento”, ma “nelle prossime ore sarà importante non abbassare la guardia”.

ALLERTA ROSSA IN LOMBARDIA. Il maltempo è tornato a invadere la Lombardia, dove lunedì era prevista l’allerta rossa. Un nubifragio ha colpito Milano causando alcuni problemi di circolazione, come è successo in diverse strade della Lombardia. In tutte le province sono in corso i sopralluoghi dei tecnici degli Uffici territoriali regionali. Le situazioni più gravi sono segnalate a Sondrio, Varese e Brescia, territori già colpiti dall’ondata di maltempo di fine luglio. A Sondrio è esondato il torrente Frodolfo e sono state evacuate precauzionalmente alcune abitazioni nella frazione di Santa Lucia. Vigili del fuoco sono al lavoro con idrovore per operazioni di prosciugamento di cantine e garage. A causa di una frana è stata chiusa al traffico nella tarda serata di domenica la strada statale 470 della Val Brembana e del Passo San Marco tra il km 59,000 e il km 72,000 lungo versante Valtellinese e bergamasco. Sulla SS 38 dello Stelvio, a causa dell’esondazione del fiume Adda in località Bormio, si sono registrati rallentamenti. Sulla strada statale 36 Del Lago Di Como e Dello Spluga è stato chiuso il passo dello Spluga, sul versante svizzero, per frana. Sulla statale 294 di Val di Scalve il traffico è tornato regolare dopo la chiusura, lunedì mattina, a seguito di una tromba d’aria. Il personale Anas ha concluso la pulizia del piano viabile che ha consentito il ripristino della circolazione in piena sicurezza

IN PIEMONTE ARRIVA LA NEVE A SESTRIERE. Il progressivo abbassamento delle temperature ha determinato nevicate sull’arco alpino piemontese. Come riporta Arpa Piemonte, le nevicate hanno interessato soprattutto i settori occidentali e settentrionali con apporti di circa 5 cm sopra i 2500m sulle Alpi Cozie Nord e Alpi Graie di Confine e sopra i 2900-3000m sulle Alpi Pennine e Alpi Lepontine. La quota neve è in calo soprattutto su alta Val Chisone e alta Val Susa dove ha raggiunto i 2000m imbiancando Sestriere. Spostandosi verso nord la quota neve risulta più elevata: circa 2300m in alta valle Orco e 2800m circa su Alpi Pennine e Lepontine. Intanto in giornata si è alzato il livello dei fiumi: gli incrementi più significativi si sono registrati sui corsi d’acqua minori del bacino del Tanaro, del Toce e del Sesia, in particolare per il Borbore a San Damiano (AT), il Santino a San Bernardino (VB) e il Sessera a Pray (BI). Nel torinese si segnala il repentino e temporaneo innalzamento del livello idrometrico della Dora Riparia. Per frane e smottamenti in territorio francese, è stata chiusa la RD900, la tratta di attraversamento del confine della SS 21 della Maddalena. Sulla strada statale della 631 di Valle Cannobina è chiusa una corsia al km 4,000 a causa della caduta di un masso sulla sede stradale, a seguito di uno smottamento in corrispondenza del bivio per Cavaglio.

FRANA IN SAVOIA: CANCELLATI TRENI ITALIA-FRANCIA. Una frana nella valle della Maurienne (Savoia), in seguito a un’ondata di caldo seguita da forti piogge, ha provocato la sospensione del traffico ferroviario e dei mezzi pesanti su una delle principali direttrici tra la Francia e l’Italia settentrionale. Secondo le autorità, la situazione potrebbe richiedere diversi giorni per tornare alla normalità e lunedì l’area è rimasta sotto sorveglianza in attesa dello sgombero dei detriti. Intorno alle 17.15 di domenica, “diversi massi per un volume di circa 700 m3” si sono schiantati contro lo schermo protettivo installato sulla RD 1006, in un “settore particolarmente monitorato” nel comune di Saint-André, a La Praz, spiega la prefettura della Savoia in un comunicato stampa. I treni Alta Velocità Milano-Modane-Parigi sono stati cancellati e il traffico ferroviario sulla linea Chambéry-Torino è stato interrotto, così come il traffico TER nella valle della Maurienne, ha dichiarato SNCF. “È chiusa almeno fino a mercoledì compreso“, ma “ci aspettiamo che duri di più“, ha dichiarato SNCF all’AFP. Anche Trenitalia ha annunciato la cancellazione dei suoi servizi tra Modane e Parigi fino a mercoledì compreso.