ghiacciai

Nel 2100 quasi tutti i ghiacciai lombardi saranno scomparsi

Siccità e cambiamenti climatici non danno scampo: secondo il Servizio glaciologico lombardo nel 2100 (scenario pessimistico) quasi tutti i ghiacciai della Lombardia saranno scomparsi. Il dato emerge dal monitoraggio e dalle stime che il sistema diffonde attraverso il link ‘Scenari futuri’.

In questa sezione dell’Osservatorio si mostra l’evoluzione futura della massa glaciale dell’intera regione Lombardia nei più recenti scenari climatici Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) elaborati da Zekollari et. al. nel 2019. Lo studio mette a confronto tre scenari: il primo è definito ‘Business as usual’, cioè sic stantibus rebus, perché non prevede alcun intervento per il contenimento del cambiamento climatico. Il secondo scenario è mediano e prende in considerazione interventi moderati che non consentono comunque il raggiungimento degli obiettivi di contenimento a +2 °C previsto dall’accordo di Parigi; infine il terzo considera raggiunti gli obiettivi di contenimento. In tutti i casi la prospettiva non è allettante; si va infatti sempre verso la quasi completa scomparsa dei ghiacciai, ma a un ritmo un po’ più lento a seconda delle misure intraprese.

Il Servizio glaciologico prende in considerazione gli oltre 100 ghiacciai lombardi e per ognuno realizza un grafico con i tre scenari. Quelli più indicativi riguardano però i ghiacciai maggiori, come l’Adamello, Forni o Fellaria Palù. Secondo il grafico dell’Adamello, i tre scenari corrono paralleli e crollano intorno al 2050 per azzerare il ghiacciaio intorno al 2060. Il ghiaccio Forni invece nella peggiore delle ipotesi scomparirà poco prima del 2100; secondo lo scenario mediano resterà intorno al 10% a fine secolo e nella migliore delle ipotesi al 2100 sarà presente solo il 24% del ghiacciaio originario. L’altro terzo grande ghiacciaio è quello di Fellaria Palù: qui le cose vanno un po’ meglio, nel senso che per lo scenario più ottimistico nel 2100 la massa di ghiaccio sopravvivrà per poco più del 50%; lo scenario mediano lo vede ridotto al 25% nel 2100; quello peggiore completamente estinto alla fine del secolo.

Questi modelli – spiega a GEA il responsabile scientifico del Servizio glaciologico lombardo, Riccardo Scottifunzionano meglio su un ghiacciaio consistente, sono infatti più attendibili. Chiaramente questa è una stima di massima, perché vanno tenute in debita considerazione le variabili annuali con minore o maggiore apporto di neve, ma è innegabile che i ghiacciai si stanno ritirando a ritmo molto sostenuto“. Secondo Scotti questa accelerazione è stata osservata con chiarezza a partire dagli anni Novanta del secolo scorso e poi dal 2003. “Da quelle date – spiega – ci sono state sempre più annate molto negative; in pratica negli ultimi vent’anni i ghiacciai arretrano sei volte più velocemente rispetto alla media degli anni precedenti agli anni Novanta. Chiaramente questo è imputabile al surriscaldamento globale, evento che pare inarrestabile“.

Ma perché i ghiacciai sono importanti? “La loro funzione – prosegue Scotti – è quella di fornire acqua ai fiumi durante l’anno, ma con impatto maggiore durante l’estate; nelle altre stagioni invece i fiumi vengono ingrossati dalle piogge o dallo scioglimento delle nevi. Quindi i ghiacciai sono un prezioso serbatoio di acqua in periodi siccitosi come quello che stiamo vivendo in questi mesi. Si stima che i ghiacciai diano un contributo del 30% ai fiumi, percentuale che sale in estate a causa della scarsità di piogge. Se scomparissero dunque, perderemmo una risorsa d’acqua che serve a tamponare i periodi di siccità estiva“.

Tutto l’arco alpino in questi anni e negli ultimi mesi sta vivendo un periodo di forte disequilibrio naturale a causa del cambiamento climatico. In questa fase di transizione i ghiacciai tendono quindi a sparire e anche il permafrost (il ghiaccio ritenuto perenne) risale.

Non va poi dimenticato un altro aspetto – chiarisce Scotti –: anche se non sembra, i ghiacciai sono degli ecosistemi ricchi di vita; contengono infatti batteri ed alghe poco conosciuti e che forse non conosceremo mai se il ghiaccio continua a sciogliersi a questa velocità. La scomparsa dunque significa anche una perdita ecologica. Poi la loro presenza ha un’importanza anche turistica ed energetica; della loro acqua infatti si arricchiscono i torrenti che producono energia idroelettrica. Questo per quanto riguarda i ghiacciai alpini, se guardiamo invece a quelli molto più estesi a livello globale, la loro perdita significa l’innalzamento dei livelli degli oceani“.

Scotti conclude infine con un’immagine poco confortante per le generazioni future: “Alla fine di questo secolo, osservare la scomparsa dei ghiacciai, non sarà il problema più urgente per l’umanità. Se si sarà infatti giunti a questo punto, significa che la situazione climatica a livello globale sarà drammatica“.

rifugio

Lo scioglimento dei ghiacciai ridisegna confini tra Italia e Svizzera

In cima alla montagna c’è un rifugio costruito sul versante italiano. Ma il cambiamento climatico ha spostato il confine del ghiacciaio e due terzi della struttura arroccata a 3.480 metri sul livello del mare si trovano ora in Svizzera. Guide del Cervino, inaugurato nel 1984, si trova a Valtournanche, in Valle d’Aosta, sulla vetta della Testa Grigia, ai bordi del ghiacciaio del Plateau Rosa. Vi si accede da Breuil-Cervinia, sfruttando gli impianti di risalita che passano da Plan Maison e Cime Bianche Laghi. Da qui parte la funivia che raggiunge il Plateau. Il rifugio, che offre vitto e alloggio, è uno dei più apprezzati in questo angolo delle Alpi e per più di tre anni è stato oggetto di intense trattative diplomatiche tra l’Italia e la Svizzera, fino al raggiungimento di un compromesso, trovato lo scorso anno. Il contenuto della trattativa, però, resterà segreto fino al 2023, quando il governo svizzero lo approverà. Al centro della diatriba c’è proprio il nuovo disegno dei confini. Alain Wicht, responsabile del confine nazionale svizzero, ha partecipato alle trattative in cui, dice, ciascuno ha fatto concessioni per trovare “una soluzione affinché entrambi si sentano se non vincitori, almeno non perdenti“.

Sui ghiacciai alpini, la frontiera italo-svizzero segue la linea di separazione delle acque, il cui flusso verso nord segna il territorio svizzero, quello verso sud il territorio italiano. Lo scioglimento del ghiacciaio Theodul, che ha perso quasi un quarto della sua massa tra il 1973 e il 2010, ha lasciato il posto alla roccia, costringendo i due Paesi a ridisegnare i confini. Di solito, spiega Witch, la questione si risolve confrontando i dati raccolti dai due Paesi, senza necessità di interventi politici. Questa volta, però, la situazione è diversa, perché il rifugio Guide del Cervino dà un valore economico al terreno. Il ragionamento è chiaro: se il suolo su cui è necessario tracciare le nuove frontiere è ‘povero’, cioè non ha un valore misurabile dal punto di vista economico, la partita si gioca velocemente e non lascia feriti in campo. Se, invece, come in questo caso, c’è di mezzo una struttura che porta un valore aggiunto all’economia, ecco che la querelle si trasferisce sul piano diplomatico.

Dall’Italia nessun commento “per la complessa situazione internazionale. Più loquace l’ex capo della delegazione svizzera, Jean-Philippe Amstein, che spiega che di solito queste controversie si risolvono attraverso uno scambio di territori di simile superficie e valore.

Il custode di Guide del Cervino, Lucio Trucco, 51 anni, è stato informato che rimarrà sul suolo italiano. “Il rifugio resta italiano – dice – perché siamo sempre stati italiani: il menu è italiano, il vino è italiano e le tasse sono italiane“. Questi anni di trattative hanno ritardato la ristrutturazione del rifugio, perché nessuno dei due Paesi ha potuto rilasciare i necessari permessi. I lavori non saranno quindi terminati in tempo per l’apertura, nel 2023, di una nuova funivia sul versante italiano del Piccolo Cervino.

(Photo credit: Tamer BÜKE)

marmolada

Campagne glaciologiche per proteggere i ghiacciai

È stato il primo ghiacciaio delle Alpi a ospitare uno slalom gigante, nel 1935. Poco più di dieci anni dopo vedeva installata la prima seggiovia d’Italia, vicino a quello che sarebbe poi diventato l’invaso artificiale del Fedaia. Una funivia, poi, da oltre cinquant’anni porta direttamente alla vetta di Punta Rocca. È anche una montagna che ha vissuto in modo unico la guerra mondiale: gli austriaci scavarono nel ghiaccio una città” fatta di 12 chilometri di tunnel. E che ha ricevuto appellativi come la ‘regina delle dolomiti’ e la ‘montagna perfetta’, per la possibilità di effettuare sia alpinismo sulla parete sud, sia discesa con gli sci dal ghiacciaio.

La timeline dei record della Marmolada racconta non solo il ghiacciaio più esteso e più studiato delle dolomiti. Ma anche il più infrastrutturato. O antropizzato.

Certo, non è qui la causa che ha portato al distacco del seracco di domenica 3 luglio, da ricercare invece in un riscaldamento climatico che è stato capace di ridurre la superficie e il volume del ghiacciaio dell’80% negli ultimi 50 anni. Ma porta comunque a farci immaginare un nuovo modo di vivere la montagna. Più lento e sostenibile.

La crisi del ghiacciaio può essere l’occasione per dare il via a un modello meno impattante” dice Mauro Varotto, professore al dipartimento di scienze storiche e geografiche all’università di Padova e responsabile delle misurazioni per il comitato glaciologico Italiano, “Significa abbandonare man mano l’approccio industriale al turismo e iniziare a ragionare su modalità più distribuite in termini stagionali e di frequentazione”.

Anche le soluzioni adottate ad oggi per proteggere il ghiacciaio sono, secondo Mauro Varotto, soltanto apparentemente risolutive. Come, per esempio, l’idea di coprire la superficie durante l’estate con teli geotessili: “Sono tecniche che permettono di proteggere lo strato di neve adatto allo sci invernale, ma non a salvare il ghiacciaio” dice Varotto, “senza contare che richiederebbero un investimento che va dai 5 ai 15 milioni di euro l’anno, e che il materiale posato rilascia microplastiche nell’ambiente”.

Il punto da non dimenticare, per Mauro Varotto, è che “le speranze per la Marmolada sono ridotte al lumicino”. Entro il 2035, o il 2050 nelle previsioni migliori, il ghiacciaio sarà scomparso o declassato a glacionevato. “Quello che, allora, possiamo fare è promuovere una funzione educativa del ghiacciaio” dice Varotto, che aiuti i cittadini a scoprire questo ecosistema stando al suo ritmo. “Non è impossibile riconvertire un settore quando sono le persone a chiedere una maggiore sostenibilità” conclude, “e nelle nostre campagne glaciologiche partecipate vediamo sempre più attenzione da parte dei cittadini. Sarebbe interessante veder sviluppati incentivi che appoggino offerte turistiche alternative”. Perché sostituire un settore economico è difficile. Ma affiancarlo con una nuova sensibilità è un primo passo.

(Photo credits: Pierre TEYSSOT / AFP)

Marmolada, Mattarella: Simbolo cambio clima non governato

A tre giorni dalla tragedia del crollo di parte del ghiacciaio della Marmolada, proseguono le ricerche dei dispersi, che sono scesi a cinque. Mentre il bilancio delle vittime rimane a 7, sono sempre più flebili le speranze di trovare delle persone in vita sul posto. Le ricerche stanno andando avanti solo con l’aiuto di droni e elicotteri, visto che c’è forte rischio di ulteriori crolli del ghiacciaio. Nessun soccorritore ha potuto recarsi sul posto a piedi e l’intera area è chiusa per motivi di sicurezza. Le operazioni via terra saranno effettuate solo per il recupero di eventuali ritrovamenti effettuati dai droni, per garantire l’incolumità degli operatori. “Il pericolo è che altri seracchi (blocchi, ndr) di ghiaccio possano staccarsi. L’intera area continua a essere off-limits“, ha spiegato l’unità di crisi di Canazei.

Il collegamento diretto fra cambiamento climatico e salute delle persone è “sempre più evidente, ha sottolineato il ministro della Salute Roberto Speranza introducendo il seminario ‘Cambiamento climatico e salute: un’emergenza’. E quanto avvenuto sulla Marmolada “è segno di una ferita sempre più profonda che richiama tutti noi ad avere la massima attenzione“.

La vicenda ha scosso il mondo intero, tanto che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ne ha parlato con il presidente del Mozambico Filipe Jacinto Nyusi in occasione della sua visita a Maputo. E l’ha portata come “elemento simbolico delle tante tragedie che il mutamento climatico non governato sta comportando in varie parti del mondo“. Per il capo dello Stato è diventata anche l’occasione di ampliare il discorso e parlare in generale dell’emergenza climatica in atto. Che non può essere risolta senza collaborazione e senza che tutti i Paesi rispettino i propri impegni. “Senza collaborazione – ha tuonato Mattarella – non c’è speranza“. Quello del clima, come tanti altri problemi fra cui sanità, sviluppo economico e migrazioni, “sono fenomeni globali che nessun Paese può affrontare da solo. La pandemia dovrebbe averci insegnato che l’umanità ha nemici comuni che deve affrontare insieme collaborando. Questo del clima richiede una forte collaborazione, è un problema comune. Senza una piena collaborazione di tutti non potrà essere governato”. E Mattarella ha lanciato anche una stoccata a quei Paesi che “non si impegnano su questo fronte che riguarda l’avvenire di ciascuno, di tutti nel mondo”. Alcuni impegni sul clima presi nelle convenzioni internazionali, infatti, secondo il capo dello Stato “non sempre vengono rispettati. Ma “senza affrontare sistematicamente, seriamente e a fondo i problemi che pone il cambiamento climatico contrastandolo sarà difficile garantire alle future generazione una vita accettabile sulla Terra“.

Mario Draghi a Canazei

Marmolada, vittime e feriti. Draghi: Intervenire perché non riaccada

Una tragedia umana indicibile, che porta con sé anche tutto il dramma di un cambiamento climatico in atto che sembra non lasciare scampo. Il crollo di un enorme seracco dal ghiacciaio della Marmolada ha causato almeno sette vittime (di cui tre identificate), otto feriti di cui due in condizioni delicate e 13 dispersi. Un blocco di detriti e ghiaccio lungo 200 metri, largo 60 e spesso 30 metri: “Praticamente due campi da calcio spessi 30 metri”, ha precisato il governatore del Veneto Luca Zaia. Un disastro annunciato, secondo il Wwf che spiega come “era prevedibile”, visto che “quanto accaduto corrisponde agli scenari e agli avvertimenti che climatologi e glaciologi diffondono da anni”. I dati e le analisi, per l’associazione, sono “disponibili da tempo: è l’azione che manca”. E quell’azione diventa ogni giorno di più una corsa contro il tempo, visto che “la montagna sta collassando e sta diventando sempre più fragile”, rimarca Legambiente. Che tramite le parole del suo presidente, Stefano Ciafani, invita l’Italia a “accelerare il passo sulle politiche climatiche dove è in forte ritardo, approvando al più presto l’aggiornamento del piano nazionale integrato energia e clima agli obiettivi del Repower Eu e un piano di adattamento al clima”.

Il cordoglio per il disastro è condiviso. Dal Parlamento Ue, la cui plenaria a Strasburgo in apertura osserva un minuto di silenzio, fino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha telefonato al governatore trentino Maurizio Fugatti e a quello del Veneto Luca Zaia per esprimere la sua vicinanza. Ma il presidente del Consiglio Mario Draghi ha voluto addirittura recarsi sul posto, pur con le difficoltà del maltempo che ha reso impossibile l’arrivo in elicottero a Canazei, per “rendermi conto di persona di quello che è successo. Assicuro che è molto importante essere venuti. Abbiamo fatto un punto tecnico e operativo con tutti coloro che hanno collaborato alle operazioni, ma soprattutto sono qui per esprimere la più sincera, affettuosa e accorata vicinanza alle famiglie delle vittime, dei dispersi, dei feriti. E alle comunità che sono state colpite da questa tragedia“. In un punto stampa congiunto con le autorità locali e il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, Draghi non fa sconti: “Questo è un dramma che certamente ha dell’imprevedibilità, ma certamente dipende dal deterioramento dell’ambiente e della situazione climatica“. Per questo, ora, il Governo “deve riflettere su quanto accaduto e deve prendere dei provvedimenti. Perché quanto accaduto abbia una probabilità bassissima di succedere o possa, addirittura, essere evitato“.

Intanto sono gli esperti a analizzare la situazione. E a spiegare, come Massimo Frezzotti, professore del dipartimento di scienze dell’Università Roma Tre, che il disastro “è la conseguenza delle attuali condizioni meteorologiche, vale a dire un episodio di caldo precoce che coincide con il problema del riscaldamento globale. Lo scioglimento dei ghiacci è accelerato nelle Alpi. Abbiamo vissuto un inverno estremamente arido, con un deficit di precipitazioni dal 40 al 50%. Le condizioni attuali dei ghiacciai corrispondono a metà agosto, non all’inizio di luglio“. I dati Arpav (Agenzia regionale di protezione ambientale del Veneto) lo confermano: a maggio-giugno le temperature medie giornaliere sono risultate significativamente superiori alla media storica, con uno scarto di +3.2°C nei due mesi. Le conclusioni le tira Legambiente: “Per fronteggiare la crisi climatica, servono azioni e interventi coerenti e sostenibili. Se riusciremo a limitare il riscaldamento globale sotto la soglia dei 1,5 gradi come nell’obiettivo degli accordi di Parigi, a fine secolo sopravvivrà un terzo dei ghiacciai, in caso contrario i ghiacciai alpini scompariranno del tutto”.

 

(Foto Palazzo Chigi)

ghiacciaio

Allarme ghiacciai italiani: in 50 anni hanno perso il 40% del volume

Nel 1965, nel catasto italiano erano censiti 1.397 ghiacciai, nel 2015 erano 900, in 50 anni abbiamo perso il 40% del loro volume. Lo denunciano i vertici di Fondazione Montagna Sicura, in audizione in commissione Ambiente del Senato: “Ogni anno perdiamo l’equivalente del centro di Aosta in ghiacciai”, avvertono.

Nei prossimi 30 anni, la temperatura attesa è in aumento di 1,5 gradi e può arrivare, nello scenario peggiore, fino a +4,5 gradi tra il 2070 e il 2100. “Si realizzeranno più eventi estremi, ondate di calore e riduzione dei giorni di gelo in alta montagna, con un aumento della frequenza e dell’intensità di precipitazioni intense”, mette in guardia Igor Rubbo, direttore generale dell’Arpa Valle d’Aosta, una Regione ricca di ghiacciai, importante sentinella di quello che sta avvenendo su scala globale sugli effetti dei cambiamenti climatici.

Con gli effetti dei cambiamenti climatici, si potrà avere una riserva idrica contenuta nella neve, con una riduzione del 20-50% e un anticipo della fase di fusione di circa un mese. L’altezza del manto si ridurrà del 25-35% (a 1.500-2.000 metri). La durata della neve al suolo nel 2050 si prevede sarà di -15/20 giorni a 2000 metri”, osserva Rubbo. Nei torrenti alpini si avrà molta più acqua in inverno e molta meno in estate. Si ridurrà il periodo in cui l’approvvigionamento idrico è utile anche per gli usi primari. Il rischio è di una “importante e consistente perdita di riserva idrica per i territori della pianura”. Per questo, dice rivolgendosi ai deputati, l’urgenza è pensare a delle norme per approcciare il problema di mantenere la riserva di acqua in quota.

Un’altra faccia del problema riguarda il settore idroelettrico: “Il rischio, senza voler essere pessimista, è di trovarsi di fronte a una tempesta perfetta. La risorsa idrica è fondamentale per l’approvvigionamento per la popolazione, abbiamo registrato condizioni nell’inverno estremamente critiche. Questa produzione rischia di incidere sulla produzione idroelettrica, introduce un ulteriore elemento di pressione sul sistema economico-sociale del Paese. Sono attesi impatti non positivi rispetto alla produzione di energia da acqua”, afferma il direttore dell’Arpa Valle d’Aosta.

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Quanto alla Lombardia, anche i suoi tre ghiacciai più grandi, l’Adamello, il Fellaria-Palù e il Forni, “andranno a scomparire entro fine secolo se non vengono ridotte le emissioni e continua l’aumento incontrollato delle temperature”, mette in guardia Riccardo Scotti, consigliere del Servizio glaciologico lombardo. Dalla fine della Piccola Età glaciale del 1850, i ghiacciai lombardi hanno perso il 54% della superficie originaria, ha ricordato il glaciologo. Molto più recentemente, la lingua glaciale del Fellaria, dal giugno 2019 all’ottobre 2021, ha perso 18 metri.

Lo scioglimento dei ghiacciai alpini porterà a “una riduzione della disponibilità d’acqua per un quarto degli abitanti europei”, afferma Valter Maggi, presidente del Comitato glaciologico italiano. L’arco alpino, infatti, fornisce acqua ai quattro principali grandi bacini idrografici d’Europa, il Danubio, il Reno, il Rodano e il Po. “Un bacino come quello del Rodano che prende acqua dai ghiacciai delle montagne avrà una crisi profonda, con una perdita del 40% di forniture di acqua”, fa sapere.