Pnrr, a fine febbraio spesi solo 25,7 mld. Meloni: Lo utilizzeremo tutto

Il Piano italiano di Ripresa e Resilienza è il più grande d’Europa. La premier Giorgia Meloni tiene a sottolinearlo, nella relazione semestrale sullo stato di attuazione del Pnrr, condivisa durante la cabina di regia.

Sul tavolo ci sono 191,5 miliardi di euro da spendere e 527 obiettivi da raggiungere, molti dei quali, ribadisce, “estremamente ambiziosi e utili” per ammodernare la Nazione e rilanciare il tessuto sociale ed economico, “sia sul versante interno sia su quello internazionale“.

Lo strumento è “prezioso” e il Governo, garantisce la presidente del Consiglio, intende utilizzarlo “pienamente per portare avanti riforme strutturali, migliorare la competitività del Sistema-Italia e accelerare i processi di innovazione“. Quanto alle scadenze, su quella del 31 agosto “siamo assolutamente nei termini previsti dall’Europa“, garantisce il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto.

I soldi spesi, al momento, sono però solo una piccola percentuale: al 31 dicembre 2022 risultano rilevate spese sostenute per circa 24,48 miliardi di euro, mentre al 28 febbraio 2023 risultano spese sostenute per circa 25,74 miliardi di euro concentrate su alcune specifiche linee di intervento, solo un miliardo in più. Tra i ministeri, quello dei Trasporti e delle Infrastrutture registra il dato più basso, pari al 12%.

Miglioramenti “sono possibili” per Ignazio Visco, governatore uscente della Banca d’Italia, che ‘riprende’ l’esecutivo durante le considerazioni finali in occasione della pubblicazione della Relazione annuale. Nel perseguimento di eventuali modifiche bisogna, sottolinea, “tenere conto del serrato programma concordato con le autorità europee; al riguardo, un confronto continuo con la Commissione è assolutamente necessario, nonché utile e costruttivo. Non c’è tempo da perdere“. Il Piano rappresenta un “raro, e nel complesso valido, tentativo di definire una visione strategica per il Paese“, sostiene il governatore. Anche per questa ragione, esorta, “oltre agli investimenti e agli altri interventi di spesa, è cruciale dare attuazione all’ambizioso programma di riforme, da troppo tempo attese, in esso contenuto“.

Il piano avanza su più fronti“, assicura Fitto. “Ci sono parti che camminano più rapidamente e parti con maggiore difficoltà. Abbiamo rivisto la governance e c’è un tavolo aperto, abbiamo trovato una convergenza molto positiva con la conferenza unificata, ma alcune questioni sono rimaste aperte continueremo a lavorare“, afferma.
L’obiettivo, per Meloni, è chiaro: “Ottimizzare al meglio l’occasione che arriva dal Pnrr, compiendo scelte strategiche, chiare ed efficaci, velocizzando al massimo le procedure e garantendo che le risorse possano arrivare a terra“.

Dalla parte dell’Italia, c’è la flessibilità che la premier ha ottenuto nel consiglio europeo di febbraio, “un grande risultato di Meloni“, rivendica Fitto, che invita a comparare i risultati italiani a quelli europei: “Al momento solo 5 paesi europei hanno presentato modifiche con il RepowerEu. Inoltre, la complessità del lavoro nella modifica del nostro piano è certamente differente rispetto ad altri Paesi“.

Il piano è il primo strumento comune con il quale l’Unione europea ha deciso di intervenire all’indomani della crisi economica e sociale provocata dalla pandemia. Ma, spiega la premier nella relazione, è nato “in un periodo storico diverso da quello attuale“. Nei mesi successivi, la guerra di aggressione della Federazione Russa all’Ucraina e gli shock energetici, economici e sociali che sono seguiti, “hanno fatto emergere nuove priorità di cui è necessario tener conto e la conseguente necessità di aggiornare il Piano“.

Un aggiornamento, di fatto è il capitolo RepowerEu, nato per rispondere alla crisi energetica: “Un lavoro estremamente delicato che il Governo sta portando avanti con la massima attenzione e con grande responsabilità“, spiega Meloni. “E’ un programma decisivo dal punto di vista geopolitico, perché non è nazionale – aggiunge Fitto -, può essere un ponte collegamento geopolitico per il ruolo italiano nel Mediterraneo” e per questo “rappresenta una priorità di azione“.

La riflessione che il governo fa in cabina di regia è non solo sugli obiettivi che non si sono raggiunti a giugno, che sono “determinati da scelte precedenti a questo Governo“, ribadisce Fitto, ma su tutti gli obiettivi delle prossime scadenze fino a giungo 2026. “Perché modificare o meno un obiettivo intermedio per confermare e mettere in salvaguardia l’intervento complessivo è un risultato, ma la modifica di un obiettivo va accompagnato dalle conseguenze sugli altri obiettivi“, scandisce.

Nessuno scontro con la Corte dei Conti, che il governo dovrebbe incontrare domani a Palazzo Chigi, garantisce Fitto: “Lo scontro di regola si fa in due, sfido chiunque a trovare una sola parola del governo che sia andata contro qualcuno. È evidente che c’è rispetto, così come il governo chiede a tutti i i suoi interlocutori lo stesso rispetto”.

Fallimento della Silicon Valley Bank: un nuovo cigno nero?

Vorrei riflettere sul crack di Silicon Valley Bank (d’ora in avanti SVB) e provare a spiegare Crack cosa è successo e quali possono essere le conseguenze di questo ennesimo fallimento di una banca americana.

Chi è (o forse chi era) Silicon Valley Bank? Si tratta della sedicesima banca americana ed una delle più importanti della California, impegnata tanto a finanziare start-up quanto in un’attività di raccolta fondi a breve termine dalle stesse start-up tecnologiche, per poi impiegarli in titoli a lungo termine a bassissimo o nullo rischio come i bond del Tesoro americano (Treasury Bond).

Perché la banca è andata in crisi? Perché con il rialzo dei tassi, imposto dalla Federal Reserve (la Banca Centrale Usa) per combattere l’inflazione, le start-up depositanti presso la SVB, spesso indebitate con questa e con altre banche per sostenere i loro investimenti e piani di sviluppo, hanno incominciato a bruciare cassa e hanno avuto bisogno del denaro che avevano depositato a breve termine.

Per far fronte a queste richieste, SVB ha dovuto incominciare a vendere i Treasury Bond che aveva acquistato e messo in portafoglio; ma questi titoli, essendoci stato nel frattempo un significativo rialzo dei tassi di interesse, valevano a questo punto molto meno di quello a cui erano stati acquistati, perché il loro tasso di rendimento, che rispecchiava il livello dei tassi di interesse del momento in cui erano stati acquistati, era molto più basso dei tassi di interessi correnti.

Vendendo questi titoli, SVB ha incominciato a imbarcare perdite pari alla differenza tra il valore di acquisto dei titoli del tesoro americano in portafoglio e quanto realizzato sul mercato con la loro vendita. Per coprire queste perdite SVB ha lanciato un aumento di capitale. Questa mossa, di per sé comprensibile, ha ingenerato panico negli azionisti e nei depositanti in SVB, le richieste di ritirare i depositi sono aumentate a dismisura ed è stato crack.

Come al solito le attività creditizie si basano sulla fiducia: se questa viene meno sono dolori.

Questa crisi si presta ad una serie di riflessioni.

La prima è che la crisi della SVB è una crisi di liquidità, non una crisi da insolvenze. La distinzione è importante quando si parla di crack bancari. La crisi di liquidità è infatti più facilmente fronteggiabile rispetto a quella derivante dal fatto che i debitori non sono più in grado di rimborsare i loro debiti verso le banche. Pare che SVB avesse in portafoglio un po’ meno di 100 miliardi di usd di bond del tesoro americano, con scadenze anche molto lunghe (dieci e venti anni). Se non avesse avuto bisogno di vendere una parte di questi bond per fronteggiare il ritiro dei depositi, ed avesse potuto portarli a scadenza naturale non avrebbe avuto alcuna perdita di cassa ma solo nozionale, derivante cioè dai criteri contabili che impongono di valutare gli asset ai prezzi di mercato. Sarebbe bastato quindi finanziare la SVB per le sue esigenze di cassa e prendere a garanzia i suoi bond, ma solo la Federal Reserve poteva farlo. Il tumultuoso susseguirsi degli avvenimenti ha probabilmente impedito un intervento rapido.

La seconda riflessione riguarda i perversi effetti provocati sul sistema macroeconomico da un repentino aumento dei tassi di interesse. Quando da molte parti si predica prudenza nei comportamenti delle Banche Centrali, e le si esorta a gestire con molta gradualità le politiche antinflazionistiche, lo si fa perché c’è il serio rischio che queste misure mettano in crisi interi comparti dell’economia provocando recessione e gravi problemi occupazionali.

Il bilanciamento tra le esigenze di contenere l’inflazione e il sostegno alle economie europee e americane al centro di forti turbolenze, anche generate dalla guerra conseguente dall’aggressione russa in Ucraina, sono un esercizio molto difficile che va affrontato dalle banche centrali con razionalità e pragmatismo evitando estremismi, così come si affannano a ricordare il Governatore di Bankitalia Visco e il nostro rappresentate alla BCE Panetta.

Terzo, si dice giustamente che un crack del genere difficilmente potrebbe verificarsi in Europa perché le regole di controllo della Banca Centrale Europea sulle singole banche sono molto più stringenti di quelle sulle banche americane, specie dopo le sciagurate decisioni della presidenza Trump di diminuire i controlli sugli istituti bancari più piccoli, con asset inferiori ai 200 miliardi di usd, come appunto era la SVB.

La BCE sottopone sistematicamente le banche europee a stress test e cioè controlla continuamente la fisionomia dei loro crediti, le tipologie di impieghi, la diversificazione del rischio. Probabilmente la BCE non avrebbe consentito una così forte concentrazione in una sola tipologia di investimenti, i buoni del tesoro appunto, il cui unico profilo di rischio è proprio la crescita dei tassi di interesse per le ragioni spiegate sopra. O meglio non avrebbe consentito l’incrocio di questo rischio con l’altro derivante dalla specifica attività della SVB di finanziare le start-up.

L’attività delle start-up è per sua natura molto rischiosa, come ben sanno tutti quelli che se ne occupano. La mortalità di queste aziende è molto alta (una su cento ce la fa) e anche quelle destinate al successo attraversano lunghi periodi in cui bruciano cassa per sostenere investimenti e piani di sviluppo. Se hai depositi di start-up a breve termine devi mettere nel conto che le start-up stesse potrebbero richiederteli indietro da un momento all’altro per le loro esigenze di cassa, e quindi non puoi investire in depositi a lungo termine. Qui è probabilmente l’errore compiuto dal management di una banca che pure passava per essere una delle meglio gestite degli Usa.

Un’ultima considerazione. La vicenda della SVB, sia pure circoscritta e gestita, anche se con un po’ di ritardo, dalla Fed, rischia di creare problemi di contagio, almeno psicologico, soprattutto nei confronti di banche già deboli e in difficoltà come dimostrano le vicende degli ultimi giorni di Crédit Suisse.

Bisogna evitare che questa storia diventi un cigno nero su un’economia mondiale che già attraversa un momento non facile per l’inflazione e per la guerra. Per scongiurare questo rischio le Banche Centrali devono agire con rapidità, ridando fiducia ai mercati con azioni concrete che difendano gli interessi dei depositanti. La dimensione delle crisi del SVB e di qualche altra banca regionale americana lo consentono.

Per quanto ci riguarda più da vicino, speriamo che la Banca Centrale Svizzera intervenga a sostegno del Crédit Suisse.

IGNAZIO VISCO BANCA D'ITALIA

Visco: “La transizione verde fondamentale per crescita Paese”

Sebbene la Russia pesi solo il 2 per cento nel commercio mondiale, è tra i principali esportatori di petrolio e di gas nonché di concimi e, assieme proprio all’Ucraina, di cereali. Secondo le quotazioni di mercato, i prezzi di questi prodotti resterebbero molto elevati nel 2022, diminuendo solo di poco nei prossimi due anni”. Non poteva che aprire con una riflessione prolungata e preoccupata legata alla sua relazione, Ignazio Visco, il governatore di Bankitalia. Gli effetti del conflitto, a pandemia non ancora debellata, pesano e peseranno sulle economie mondiali. “I rincari dei beni agroalimentari e le difficoltà nel loro approvvigionamento rischiano di colpire soprattutto gli strati più vulnerabili della popolazione mondiale e i paesi più dipendenti dalle loro importazioni”, la considerazione di Visco per la ‘crisi del grano‘, non meno pericolosa di quella energetica. “Il quadro congiunturale si è deteriorato anche nell’area dell’euro, che è particolarmente esposta agli effetti economici del conflitto. Secondo le stime più recenti, quest’anno la crescita del prodotto dovrebbe risultare inferiore al 3%, ben al di sotto di quanto previsto pochi mesi fa; un incremento già in larga parte acquisito grazie alla forte ripresa del 2021 e che implicherebbe quindi solo una modesta espansione dell’attività in corso d’anno. Il rischio di un andamento meno favorevole è significativo”, la sottolineatura del Governatore.

Come per le altre economie che importano beni energetici, lo shock di offerta ha rilevanti ripercussioni anche sulla domanda: il peggioramento delle ragioni di scambio incide negativamente sulla disponibilità di risorse di famiglie e imprese, frenando consumi e investimenti. All’indebolimento del quadro congiunturale contribuiscono inoltre il diffuso calo della fiducia e le fragilità nel commercio internazionale”, l’ammissione che fa scattare la luce rossa dell’allarme. “Non si possono però escludere sviluppi più avversi. Se la guerra dovesse sfociare in un’interruzione nelle forniture di gas dalla Russia, il prodotto potrebbe ridursi nella media del biennio 2022-2023”, ha ulteriormente rimarcato.

Il successo nel promuovere la coesione sociale e territoriale, la transizione digitale e quella verde è essenziale per rafforzare la fiducia nelle prospettive di crescita del Paese e contrastare l’aumento dell’incertezza determinato dalle tensioni internazionali”, ha annunciato Visco. Svoltando poi sulle rinnovabili: “È un elemento cruciale della strategia europea la rimozione degli ostacoli di natura amministrativa alla realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici e delle necessarie infrastrutture”, l’affondo del Governatore nelle sue considerazioni finali. “In Italia – ha aggiunto – è urgente proseguire con gli interventi di semplificazione delle procedure autorizzative, nonché favorire lo sviluppo dei sistemi di accumulo dell’energia e delle reti di trasmissione”. Visco, infine, ha toccato anche la questione delicata del greenwashing. “Sarà fondamentale evitare fenomeni cosiddetti di greenwashing, indicando chiaramente i soggetti che avranno la responsabilità dei controlli e stabilendo regole di certificazione dei ‘bilanci di sostenibilità‘ simili a quelle in vigore per gli ordinari documenti contabili, così come previsto nella proposta di Direttiva sul reporting di sostenibilità (Corporate sustainability reporting directive, Csrd). Andrà inoltre sviluppato un accurato quadro analitico in grado di tenere conto dell’elevata incertezza che permea sia i modelli che cercano di quantificare gli effetti dell’attività umana sul clima sia quelli che si prefiggono di stimare le conseguenze dei mutamenti ambientali sul benessere della società”.