Festival musicali ed ecologia: alla ricerca del giusto equilibrio

I festival musicali e le megastar come i Coldplay sono sempre più preoccupati per la loro impronta di carbonio, con un numero crescente di iniziative che vanno dalle idee innovative alla buona volontà e, in alcuni casi, alla comunicazione per alleggerirsi la coscienza. Tre aerei, 270 tonnellate di attrezzature, un palco di 800 m2: le cifre fornite dalla produzione di Madonna per il suo recente concerto-evento a Rio sembrano provenire da un’altra epoca. Una band stellare come i Coldpay dichiara di aver ridotto le proprie emissioni di CO2 del 59% nei primi due anni del suo tour mondiale rispetto al precedente (2016-17). La band di Chris Martin ha, tra l’altro, compresso il suo trasporto merci e installato piastrelle che generano elettricità sfruttando i movimenti del pubblico. Ma i Coldplay continuano a volare nei loro tour mondiali, il che gli è valso l’etichetta di “utili idioti del greenwashing” agli occhi dei loro detrattori.

Quest’anno 110.000 spettatori hanno partecipato al We Love Green (WLG), un evento musicale parigino in prima linea sulle questioni ambientali, come suggerisce il nome. La star americana SZA si è presentata con “praticamente nessuna attrezzatura“, ha dichiarato all’AFP Marianne Hocquard, responsabile dello sviluppo sostenibile del WLG. “Mettiamo a disposizione degli artisti una flotta di attrezzature in loco”, insiste. Il Rio Loco, un festival di Tolosa (80.000 spettatori quest’anno), gioca su altre corde. “Abbiamo un programma a tema e incoraggiamo gli artisti a rimanere più a lungo sul posto“, ha dichiarato all’AFP il direttore del festival Fabien Lhérisson. Alla WLG, nelle trattative per le visite degli artisti vengono inserite anche delle clausole. “Come quella che limita la quantità di energia fornita su un determinato palco in una determinata fascia oraria, anche questo è un ottimo modo per sensibilizzare l’opinione pubblica“, spiega Marianne Hocquard.

Più radicalmente, il festival Bon Air di quest’anno a Marsiglia ha cancellato il programma del dj I Hate Models quando è stato rivelato che sarebbe arrivato con un jet privato. A proposito di aerei, il punto cieco della comunicazione dei Coldplay è il pubblico che utilizza questo mezzo di trasporto. Come succede per altre megastar. “Abbiamo registrato un picco di arrivi negli aeroporti di Parigi per i concerti di Taylor Swift“, osserva Frédéric Hocquard, vicesindaco di Parigi. I biglietti per le star in Francia sono più economici che negli Stati Uniti, e per lo stesso prezzo i fan americani possono permettersi un soggiorno a Parigi.

I trasporti pubblici rappresentano il 56% della nostra impronta di carbonio totale“, afferma Marianne Hocquard. We Love Green, come altri festival, promuove la mobilità dolce (trasporti pubblici, ecc.). Quest’anno il festival ha intensificato gli sforzi per promuovere la bicicletta, partecipando anche a convogli con la Fédération française de cyclotourisme per attirare visitatori da lontano. “Nel 2023, l’8% dei visitatori del festival ha dichiarato che sarebbe venuto in bicicletta, rispetto al 14% di oggi, il che è incoraggiante, nonostante il tempo piovoso di quest’anno“, afferma Marianne Hocquard. La stessa strategia è stata adottata al festival Eurockéennes di Belfort, dove “1 visitatore su 6 viene in bicicletta, una cifra davvero colossale“, ha dichiarato all’AFP Hervé Castéran, responsabile della comunicazione dell’evento, che l’anno scorso ha accolto 125.000 visitatori (20.000 hanno utilizzato un treno regionale). Infine, in un’intervista all’AFP, Björk ha auspicato “che Elon Musk e i suoi amici tecnologici realizzino (un giorno) autobus turistici elettrici“.

Mangiare gli insetti fa bene? I vantaggi ambientali e nutrizionali secondo la FAO

In tutto il mondo si consumano oltre 1.900 specie di insetti commestibili, che sono già parte integrante della dieta di molti Paesi. A livello globale, gli insetti più consumati sono i coleotteri (31%), i bruchi (18%), api, vespe e formiche (14%). Seguono cavallette, locuste e grilli (Ortotteri) (13%), cicale, cocciniglie e cimici (Hemiptera) (10%), termiti (Isoptera) (3%), libellule (Odonata) (3%), mosche (2%) e altri ordini (5%). Secondo la Fao, sono diversi i motivi per cui gli insetti commestibili dovrebbero avere un posto anche nel nostro menù.

Alto valore nutrizionale. Gli insetti commestibili hanno un importante valore nutrizionale e possono essere un’aggiunta salutare alla nostra dieta. Offrono energia, grassi, proteine e fibre e, a seconda dell’insetto, possono essere buone fonti di micronutrienti come zinco, calcio e ferro. Ad esempio, 100 grammi di locusta migratoria forniscono 179 calorie, 100 grammi di termiti, invece, 535 calorie. Gli insetti sono una grandissima fonte di proteine: ad esempio, le cavallette ne contengono una percentuale che va dal 14% al 48% a seconda delle specie, a fronte del 19-26% del manzo e del 16-27% del pesce.

Sostenibilità ambientale. La produzione di insetti destinati al consumo umano, se confrontata con quella della carne, ha un impatto decisamente minore sull’ambiente, almeno secondo l’analisi della Fao.

Mangimi. Per avere 1 kg di proteine di alta qualità, il bestiame viene allevato con in media 6 kg di proteine vegetali (circa 2,5 per il pollo, 5 per il maiale e 10 per il manzo). Gli insetti richiedono decisamente meno mangime: per un chilo di grilli ne serve appena 1,7 kg. Inoltre, fino all’80% di un grillo è commestibile e digeribile, rispetto al 55% di pollo e maiali e al 40% dei bovini.

Emissioni Co2. L’allevamento del bestiame è responsabile del 18% delle emissioni di gas serra (CO2 equivalente), una quota superiore a quella del settore dei trasporti. Le emissioni di gas serra degli insetti, come ad esempio i grilli, sono inferiori di 100 volte rispetto a quelle dei bovini o dei maiali.

Consumo di acqua. L’agricoltura consuma circa il 70% dell’acqua dolce a livello mondiale. La produzione di 1 kg di proteine animali richiede da 5 a 20 volte più acqua rispetto alla produzione di 1 kg di proteine da cereali. La produzione di 1 kg di pollo richiede 2.300 litri di acqua, 1 kg di carne di maiale 3.500 litri e 1 kg di carne bovina 22.000 litri. Per allevare un chilo di insetti, invece, servono appena 150 litri di acqua.

Nuove opportunità economiche. Oltre a essere una fonte di cibo, gli insetti commestibili possono fornire mezzi di sostentamento e reddito. Poiché la coltivazione degli insetti richiede uno spazio minimo, spiega la Fao, è possibile praticarla sia nelle aree urbane che in quelle rurali, rendendo l’allevamento di insetti vantaggioso anche dove altre attività agricole non lo sono. Gli insetti commestibili sono anche facilmente trasportabili e spesso facili da allevare senza una formazione approfondita. L’allevamento di insetti offre quindi opportunità economiche a chi ha un accesso minimo alla terra, alla formazione e ad altre risorse.

Risorsa sottoutilizzata. Gli insetti possono essere una soluzione innovativa per soddisfare la domanda globale di proteine e di altre fonti alimentari nutrienti, visto che con la continua crescita della popolazione mondiale, la produzione alimentare dovrà aumentare, mettendo inevitabilmente sotto pressione la produzione agricola e le nostre limitate risorse naturali.

La battaglia di Coldiretti: “Il 54% degli italiani è contrario agli insetti a tavola”

Dalla carne sintetica all’approdo sulle tavole di larve e farine di insetti, fino ad arrivare alla tanto dibattuta etichettatura Nutri-score. È un ‘no’ su tutta la linea quello che lancia Coldiretti di fronte ai temi più caldi legati alle “nuove frontiere” dell’alimentazione. Una contrarietà che deriva da differenti motivazioni, anche se la principale è sempre una: la difesa delle produzioni agroalimentari Made in Italy di qualità. In alcuni casi Coldiretti è passata dalle parole ai fatti. Lo testimonia la raccolta firme organizzata per promuovere una legge che vieti la produzione, l’uso e la commercializzazione in Italia del cibo sintetico, dopo il via libera della Food and Drug Administration negli Stati Uniti. Nel volgere di poche settimane la mobilitazione ha ottenuto l’adesione di 350mila persone. Secondo Coldiretti, la diffusione della carne sintetica rappresenta “una pericolosa deriva che mette a rischio il futuro della cultura alimentare nazionale, delle campagne e dei pascoli e dell’intera filiera del cibo Made in Italy”. E l’associazione prova a smontare quelle che ritiene fake news diffuse ad arte dai sostenitori della carne da laboratorio: non giova all’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri e non è accessibile a tutti poiché è nelle mani di grandi multinazionali.

Non meno critica è la posizione nei confronti dell’ok dell’Ue a diversi insetti per usa alimentare, fatto che secondo il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, rappresenta “la manifestazione più evidente che Bruxelles è totalmente fuori sintonia con la gente”. Un sondaggio di Coldiretti/Ixè afferma che il 54% degli italiani è contrario agli insetti a tavola, con appena un 16% che si dichiara a favore. Secondo l’associazione degli agricoltori, al di là dell’avversità legata a fattori di tipo culturale, l’arrivo sulle tavole degli insetti solleva precisi interrogativi di carattere sanitario e salutistico ai quali è necessario dare risposte, facendo chiarezza sui metodi di produzione e sulla stessa provenienza e tracciabilità: la maggior parte dei nuovi prodotti proviene da Paesi come il Vietnam, la Thailandia o la Cina, da anni ai vertici delle classifiche per numero di allarmi alimentari. Coldiretti, insomma, pretende maggior chiarezza.

Chiarezza che dovrebbe essere tra i principali obiettivi di Nutri-score, il sistema di etichettatura ideato in Francia e basato su un sistema a semaforo per identificare i valori nutrizionali di un prodotto alimentare. “Fuorviante, discriminatorio ed incompleto” è invece la definizione che ne ha dato Coldiretti, mettendo in evidenza come il sistema penalizzerebbe l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine, escludendo dalle tavole dei fiori all’occhiello quali l’olio extravergine d’oliva e il Parmigiano Reggiano. “Un approccio che va combattuto perché fuorviante e anche perché – sottolinea la Coldiretti – apre le porte al cibo sintetico, dalla bistecca fatta nel bioreattore al latte senza mucche, che rappresenta una minaccia letale per l’agricoltura italiana, la salute dei consumatori e la biodiversità del pianeta”. Non stupisce allora che l’associazione guidata da Ettore Prandini abbia accolto con soddisfazione il rinvio almeno al 2024 della proposta legislativa sull’etichettatura europea nutrizionale.

Raee, calo del 7% rispetto al 2021. Erion: “Comportamenti scorretti nel differenziare”

Oltre 246mila tonnellate di Raee, il corrispettivo del peso di circa 680 Airbus A380, eppure non basta. Lo dicono i numeri del report di Erion Weee, consorzio del sistema Erion, che ha gestito su tutto il territorio italiano i Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche domestiche. Perché rispetto al 2021 il calo è evidente: 7% su base annua. Una flessione generale che riguarda tutti i raggruppamenti, tranne quelli delle sorgenti luminose (R5), che fa registrare l’unico segno positivo con 211 tonnellate (+13%). Il calo più significativo, invece, è sui piccoli elettrodomestici (R4), con il -14% di raccolta (20.107 tonnellate). Un calo determinato – secondo Erion – dai comportamenti scorretti dei cittadini che, come confermato da un recente studio realizzato da Ipsos, non si dimostrano particolarmente virtuosi quando si tratta di dismettere Raee di dimensioni ridotte: 1 su 6 lo fa in modo inappropriato, gettandoli nel sacco dell’indifferenziata, nel cassonetto stradale o nel bidone della plastica (ai primi posti per gestione scorretta: asciugacapelli, 22%; tostapane e frullatore, 20% e caricabatterie per cellulari, 18%)”.

Ci sono altri dati negativi, come quelli del raggruppamento R3 (Tv e Monitor) che, dopo la crescita esponenziale del 2021 dovuta all’effetto del bonus rottamazione Tv, si ferma a circa 44.632 tonnellate segnando (-10%). Oppure di quelli R1 (freddo e clima) con 77.464 tonnellate raccolte (-2%) e i rifiuti elettronici ‘pesanti’: -9% i grandi elettrodomestici, scesi nel 2022 a 104.551 in netta controtendenza rispetto all’anno precedente (114.700 tonnellate). “Siamo di fronte a una situazione allarmante, che non può essere trascurata”, avvisa il direttore generale di Erion Weee, Giorgio Arienti. Che domanda: “Com’è possibile che ancora oggi non si sia in grado di intervenire con azioni decise per contrastare questi fenomeni che danneggiano il Pianeta e l’economia?”. Per il manager “sono ancora troppi i Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche che finiscono nelle mani sbagliate” e “a questo si aggiunge un problema di consapevolezza dei cittadini sull’importanza di fare una corretta raccolta differenziata di questi rifiuti”.

Secondo Erion, infatti, i risultati del 2022 mettono “ancora una volta in evidenza l’esistenza di circuiti di gestione non ufficiali e l’inadeguatezza dei controlli lungo la filiera”. Il Consorzio, che rappresenta una quota di responsabilità pari al 69% sull’intero sistema italiano, stima che l’Italia sia distante oltre 35 punti percentuali dal target di raccolta europeo fissato al 65% rispetto all’immesso sul mercato nei tre anni precedenti. All’appello, dunque, mancano oltre 400mila tonnellate di Raee domestici, ovvero quasi 3 milioni di grandi elettrodomestici (frigoriferi, condizionatori e lavatrici) e più di 400 milioni di piccoli elettrodomestici (cellulari, microonde, radio). “Una perdita che ha dei riflessi importanti a livello nazionale, ancor più in un periodo di grave carenza di risorse come quello attuale”, sottolinea lo studio. Se l’Italia riuscisse a intercettare tutti i Raee oggi dispersi e avviarli a corretto trattamento “si potrebbero riciclare altre 380mila tonnellate di materie prime, di cui 209mila tonnellate di ferro, pari al peso di 28 Torri Eiffel; 18mila tonnellate di rame pari a 198 volte il peso del rivestimento della Statua della Libertà, circa 14mila tonnellate di alluminio, pari a 16 milioni di moka da caffè e, infine, 106mila tonnellate di plastica, pari a 42 milioni di sedie da giardino”.

Un gap che a detta di Erion è imputabile “soprattutto al cosiddetto ‘mercato parallelo’, spesso illecito, spinto dall’eccezionale caro-materie prime, con operatori borderline o soggetti non autorizzati che cercano di massimizzare i propri profitti estraendo dai Raee le materie più facili senza curarsi dell’impatto ambientale del trattamento: come il ferro (il cui valore è cresciuto del +64% tra il 2020 e il 2022), il rame (+57%) e alluminio (+76%)”. Oltre agli aspetti negativi, resta comunque la centralità dei Raee, che si confermano strategici per l’economia circolare del nostro Paese, visto che il tasso di riciclo delle materie prime seconde è l’89,5% del peso dei Raee.
Dalle oltre 246mila tonnellate di Raee domestici gestiti, infatti, il Consorzio ha ricavato più di 125mila tonnellate di ferro, circa 5mila tonnellate di alluminio, oltre 5mila tonnellate di rame e 32mila tonnellate di plastica.
Un altro aspetto positivo riguarda l’ambiente. Perché il corretto trattamento dei Raee contribuisce in maniera significativa anche alla lotta al cambiamento climatico, evitando l’immissione in atmosfera di circa 1,7 milioni di tonnellate di anidride carbonica, come la quantità di Co2 che verrebbe assorbita in un anno da un bosco di 1.760 chilometri quadrati, quindi un’estensione pari alla provincia di Cremona, e generando un risparmio di oltre 370 milioni di kilowattora, superiori ai consumi domestici annui di una città di 315mila abitanti come Bari.

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Il 98% aziende del Food investe in sostenibilità: attenzione ai packaging

Il 2021 ha segnato una forte ripresa nel settore del food, con una crescita record del 6,8%, superiore a quella del Pil (6,6%). La crescita si protrarrà anche nel 2022 e nel 2023, con tassi intorno al 4% annuo, più del doppio del Pil. È quanto emerge dal Food Industry Monitor (FIM), l’Osservatorio sul settore food realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e da Ceresio Investors. Giunto alla sua ottava edizione, l’Osservatorio è dedicato quest’anno all’analisi del rapporto tra innovazione e crescita sostenibile delle aziende alimentari, con un focus sulle aziende familiari e le specificità dei loro modelli di business.

PREZZI MATERIE PRIME

La redditività commerciale (ROS) ha raggiunto il 6,5% nel 2021, e le proiezioni indicano una sostanziale tenuta anche per 2022, nonostante le forti tensioni sui prezzi delle materie prime. La struttura finanziaria delle aziende del settore resta solida, con una lieve crescita del tasso di indebitamento. Nel 2021 le esportazioni hanno ripreso a crescere con un tasso superiore al 10%, in forte rimbalzo rispetto al -0,4% del 2020. Le esportazioni continueranno a crescere, ma a tassi molto più contenuti fino al 2023. I comparti delle farine e del caffè saranno interessati nel 2022 da una crescita a due cifre, questo anche per effetto dell’aumento dei costi delle materie prime. Faranno bene anche i comparti dell’olio, dei surgelati e del latte. Il vino crescerà del 4,8%, appena al di sotto della media settoriale. I comparti più dinamici per le esportazioni nel 2022 saranno: distillati, birra, latte e soft drink, ma anche vino e pasta fanno bene nell’export.

PERFORMANCE DI SOSTENIBILITÀ

L’analisi delle performance di sostenibilità evidenzia che il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime a ridotto impatto ambientale. Circa l’88% delle aziende usa in via esclusiva o prevalente packaging sostenibili. Circa il 57% ha ottenuto una o più certificazioni inerenti alla sostenibilità ambientale e il 30% circa pubblica un bilancio di sostenibilità, mediamente da almeno tre anni. “Materie prime a ridotto impatto ambientale significa che sono state prodotte secondo criteri quali il km zero o l’agricoltura biologica, con fonti di energia rinnovabile e/o packaging da materie prime riciclate. La tendenza è molto diffusa, anche se utilizzata in modo non esclusivo”, ha precisato Carmine Garzia, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, docente di Management presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. “Se dunque il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime sostenibili, solo un 22% le utilizza in modo prevalente. Rispetto ai dati dello scorso anno, le imprese stanno comunque incrementando in modo significativo gli investimenti in sostenibilità”, ha aggiunto.

SOCIETÀ FAMILIARI

Le società familiari hanno un ruolo preponderante nel settore del food. Il 78% del campione di aziende analizzato è controllato da una o più famiglie. L’86% ha un Consiglio d’Amministrazione interamente composto da membri della famiglia, l’11% è caratterizzato da una composizione del CdA mista, che comprende membri esterni e interni alla famiglia; il 3% ha un CdA composto interamente da membri esterni. Solo l’8% delle imprese analizzate ha un CEO esterno alla famiglia: “Un elemento su cui riflettere – sottolinea Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking per Ceresio Investors – se si considera che circa il 65% delle aziende è attualmente gestito dalla prima generazione di imprenditori, il 30% dalla seconda e poco più del 4,5% riesce a giungere alla terza e quarta generazione. In molti casi insomma non si considerano i benefici di un modello gestionale aperto, che preveda l’affiancamento di manager esterni a membri familiari, e questo è spesso una delle cause di forte freno allo sviluppo. In taluni casi può minare la continuità familiare dell’azienda”. In generale, comunque, le aziende familiari che riescono a mantenere una guida solida e stabile hanno performance di redditività e produttività superiori a quelle con un CEO non familiare. “I dati dimostrano che la scelta vincente è un management team con membri della famiglia affiancati da manager professionisti, cosa che consentirebbe alle aziende di ottenere migliori performance di redditività (ROS) e soprattutto di costruire un profilo di sostenibilità più solido”, conclude Gabriele Corte, direttore generale di Banca del Ceresio.