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Mare, effetto inquinamento: i ‘taxi’ di plastica per le specie aliene

Una delle conseguenze dell’inquinamento da plastica meno conosciute tra il grande pubblico, ma più temuta dagli scienziati è quella del trasporto di specie aliene o di patogeni. Cosa significa e perché avviene? La plastica è un materiale particolarmente resistente: è questa una delle sue caratteristiche positive che ne hanno favorito la diffusione, ma anche una di quelle che rendono particolarmente grave questo tipo di inquinamento. Ogni oggetto, ogni pur piccolissimo frammento resiste secoli, soprattutto in assenza di temperature sufficientemente calde, di luce e di ossigeno: condizioni che in acqua tendono a diminuire o scomparire del tutto con l’aumentare della profondità o della latitudine.

La plastica, qualunque tipo di polimero, rappresenta quindi un supporto perfetto, una superficie su cui insediarsi con grandi vantaggi soprattutto per quegli organismi che non si spostano per moto proprio ma ‘attaccandosi’ a qualche altro organismo o che vivono su diversi substrati geologici. Pensiamo a un’alga, a un corallo o a una spugna, ma anche – solo per fare un esempio – a organismi come i policheti, vermi che costruiscono la propria ‘casetta’ tubolare calcarea: per questi organismi il rifiuto di plastica rappresenta una opportunità immediata e vantaggiosa (apparentemente) per avere una base solida e durature ma anche per intraprendere grandi viaggi.

È vero che in mare, e in particolare sulla sua superficie, c’è molto materiale biologico che offre il supporto ‘naturale’ su cui normalmente poggiano: da grandi alghe ai tronchi d’albero o rami, ai gusci dei molluschi. Ma questo materiale è meno abbondante e meno diffuso nell’intero spazio marino. E spesso è meno facile ‘attaccarsi’ a queste superfici che, soprattutto quelle vegetali, hanno una vita più breve, molto più breve. Alcune specie non sono mai state trovate su materiali biologici flottanti, ma sulle plastiche sì.

Qualunque oggetto in acqua (anche in acqua dolce) viene rapidamente ricoperto da una pellicola biologica: chiunque di noi ha certamente memoria di quella sensazione di viscido che sentiamo quando prendiamo in mano un oggetto rimasto in acqua (anche dolce) per molto tempo, ebbene quella è la pellicola biologica composta prima da particelle organiche (che colonizzano in pochi minuti), poi da microrganismi (in poche ore) e poi da organismi via via più grandi, arrivando alle conchiglie (le cozze ad esempio), spugne, vermi, le grandi alghe ecc… dopo qualche anno. Il risultato finale è quello che, ad esempio, osserviamo sui pali dei pontili nei porti o anche sulle imbarcazioni se la parte che si immerge non viene ripulita spesso e con attenzione.

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La stessa cosa avviene con gli oggetti di plastica, qualunque sia la loro dimensione. Ovviamente, questo comporta un facilissimo, per quanto lento, spostamento nel mare (che ricopre quasi il 71% della superficie terrestre) delle specie che si insediano sulla plastica. È noto che le specie aliene, ovvero specie non esistenti in un certo ambiente e che arrivano all’improvviso, si spostano nel mare globale soprattutto grazie alla navigazione. In particolare, le acque di sentina che le grandi navi imbarcano come zavorra in una certa zona del mondo e vengono poi rilasciate a migliaia di chilometri di distanza contengono quasi sempre specie che sono entrate senza saperlo a bordo della nave. Questi spostamenti rapidi producono shock nell’ambiente ricevente (le specie che arrivano possono essere più voraci o più aggressive di quelle presenti e soppiantarle, oppure possono semplicemente essere più adatte al nuovo ambiente dati i cambiamenti climatici in corso). Gli spostamenti in natura avvengono regolarmente ma con tempi lunghissimi e quindi quelli indotti dalle attività umane rappresentano un rischio.

Lo spostamento che avviene sui supporti di plastica presenti in mare, però, presenta un fattore che favorisce l’insediamento delle specie aliene nel nuovo ambiente: la lentezza rispetto al trasporto favorito dalle navi. Ovvero: se una specie trasportata da una nave in pochi giorni, al massimo pochissime settimane, può subire essa stessa uno shock (termico, ad esempio), lo spostamento della plastica avviene con tempistiche più lunghe: al massimo decine di metri al giorno e gli organismi hanno così la possibilità di adattarsi con tempi maggiori al mutare delle condizioni fisiche dell’acqua.

Un capitolo a parte lo meritano i microrganismi patogeni: diversi studi si stanno concentrando su questo aspetto che – per le ragioni appena raccontate nella facilità e ‘comodità’ del trasporto su plastica – potrebbe rappresentare un rischio particolarmente grande per interi ecosistemi.

Il Mar Mediterraneo, straordinariamente ricco di biodiversità e prezioso per la cultura e l’economia dei molti, popolosi Paesi che lo circondano, è un grande ricettore di specie: per questo gli scienziati, nelle diverse discipline toccate da questa tematica, sono particolarmente attenti alle dinamiche in corso.

 

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Giornata degli Oceani, respiriamo grazie al mare: ecco perché dobbiamo rispettarlo

Un paio di anni fa, nell’ambito di un incontro pubblico su alcuni eventi riguardanti l’Ocean Literacy (tradotto propriamente in italiano significa ‘conoscere il mare’, ovvero, ad esempio, comprendere che respiriamo grazie ad esso), un importante esponente politico di un’amministrazione regionale italiana disse testualmente: “Vabbè, ma a noi l’oceano non interessa, noi abbiamo il Mediterraneo e dobbiamo occuparci di quello”. Quell’episodio sintetizza alla perfezione le ragioni che rendono necessario celebrare la Giornata Mondiale degli Oceani – tutti gli anni l’8 giugno – e favorire ogni giorno la diffusione dell’Ocean Literacy. Lo slogan di quest’anno è ‘Revitalization. Collective Action for the Ocean-Rivitalizzazione. Azione collettiva per l’oceano‘.

Per molti di noi la distinzione tra oceani e mare come fossero cose diverse può apparire sensata. Il primo dei sette semplicissimi principi dell’Ocean Literacy, però, ci aiuta. Recita: ‘La Terra ha un unico grande oceano con diverse caratteristiche’. Lo sappiamo tutti, in realtà, perché dopo avere letto questa frase e riflettendoci un attimo ricordiamo certamente che su un mappamondo o un planisfero il mare è interamente collegato. È uno solo, appunto, globalmente si chiama oceano e in Italia lo chiamiamo mare perché ci affacciamo sul Mediterraneo. Questo grande oceano ha nomi diversi, infatti, per identificare con precisione le singole aree. Ma perché è importante quello che apparentemente può sembrarci un dettaglio irrilevante? Perché se l’organismo è unico, significa che distruggendone una parte, lo feriamo tutto. Un esempio per capirci: se ci rompiamo una gamba, non abbiamo un problema solo alla gamba, ma tutta la nostra persona subirà varie conseguenze.

Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, circa il 40% della popolazione mondiale vive entro 100 chilometri da una costa. E allora: perché la salute dell’Oceano deve interessare tutti? Molto semplicemente perché l’intera vita sulla Terra dipende totalmente da questo.

E proprio i sette princìpi dell’Ocean Literacy – non a caso al centro delle politiche di programmazione e sviluppo in ogni parte del mondo da alcuni anni a questa parte – ci aiutano a comprendere questo legame fortissimo. La vita umana è inestricabilmente interconnessa al mare, ogni istante e in ogni attività.

Detto del Principio 1, scorriamo gli altri.

Principio 2. Il mare e la vita nel mare determinano fortemente le dinamiche della Terra. Il mare modella costantemente la costa e depositi di conchiglie e scheletri, i sedimenti dei fondali, il materiale roccioso che fuoriesce nei fondali marini favoriscono la formazione di nuove rocce che diventeranno terre emerse: ne sono testimonianza anche le nostre Alpi (che furono fondali marini) o le scogliere di Dover o qualunque area costiera che risente costantemente dell’azione di erosione e deposito del mare…

Principio 3. Il mare influenza fortemente il clima. Il mare è il grande ‘termostato’ del nostro Pianeta: da lui dipendono pioggia e temperature, quindi coltivazioni, sicurezza e salute. L’oceano ricopre oltre il 70% della superficie terrestre ed è profondo mediamente 4000 metri: pensiamo a quale potenza termica possa avere.

Principio 4. Il mare permette che la terra sia abitabile. Metà dell’ossigeno che respiriamo, un respiro su due, lo dobbiamo direttamente al mare. È prodotto da miliardi di microalghe (oltre ad alghe e piante marine, ma in quantità minore) che con la fotosintesi ci donano ossigeno. Ma anche l’altra metà di ossigeno la dobbiamo in qualche modo al mare: viene prodotta dalle piante a terra che però crescono grazie alle piogge che sono frutto dell’evaporazione del mare. Questo, non solo ci permette di respirare ma anche di bere e di mangiare (frutta e verdura, ma anche gli animali hanno bisogno dell’acqua dolce).

Principio 5. Il mare supporta un’immensa diversità di ecosistemi e di specie viventi. Queste sono parte essenziale dei cicli, a partire da quello biologico. Molte di queste specie sono anche essenziali per la cura della nostra salute: sia per gli elementi che ne traiamo per produrre medicine, sia per lo studio di meccanismi biologici, chimici, fisici che ispirano l’elaborazione di nuove modalità di cura.

Principio 6. Il mare e l’umanità sono fortemente interconnessi. Il mare è da sempre fonte di ispirazione, svago e benessere per l’essere umano: pensiamo alla letteratura, alla musica e alle arti in generale, alle scienze e al nostro relax. Ma il mare è anche un elemento essenziale per le comunicazioni (il trasporto merci avviene ancora in gran parte via nave, ma anche i cavi delle telecomunicazioni passano sui fondali oceanici) e per il reperimento di materie prime.

Principio 7. Il mare è ancora largamente inesplorato. Conosciamo meglio la superficie di Marte che i fondali del nostro mare. Questo perché studiare i fondali marini è estremamente complicato, costoso, richiede tempi lunghi e la strettissima collaborazione tra i Governi. Vista la maggiore consapevolezza acquisita, il dato sta migliorando abbastanza rapidamente. Ma la Giornata Mondiale degli Oceani ci ricorda che è necessario investire sulla ricerca e sulla conoscenza, non a scapito di quella spaziale ma in aggiunta. Perché da queste conoscenze dipende la qualità della nostra vita.

Nell’avvicinamento alla Giornata Mondiale degli Oceani, la leggendaria biologa marina Sylvia Earle ha detto: “Siamo nel momento in cui stiamo da un lato continuando con il comportamento di prendere, prendere e prendere dalla natura e dall’altro realizzando che la cosa più importante che prendiamo dalla natura è la nostra esistenza”. Se lo terremo presente, avremo un futuro migliore.

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(*giornalista e divulgatore ambientale)

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Siso, il capodoglio che visse due volte: ucciso dall’uomo, rivive con l’arte

Questa è la storia di Siso, che visse due volte. È una storia iniziata con un doppio e differente dramma e proseguita culminando con la gioia, l’educazione, la sensibilizzazione e l’amore per il mare e la vita. Siso è il nome che il biologo marino Carmelo Isgrò ha dato a un giovane capodoglio di circa 10 metri, morto sulla costa di Capo Milazzo dopo essere rimasto con la coda incastrata tra le maglie di una rete illegale nei pressi delle isole Eolie nel giugno 2017. Siso era anche il soprannome di un caro amico di Carmelo Isgrò, che lo aiutò nell’operazione di recupero della carcassa del capodoglio ma che il giorno dopo il completamento di questa operazione morì in un incidente in moto: per questo Carmelo ha scelto questo nome per il cetaceo.

sisoCarmelo Isgrò è un biologo marino, ma soprattutto è un appassionatissimo amante del mare. Siciliano di Milazzo, è la persona che ha reso possibile l’incredibile sviluppo di questa storia, nata dalla morte ma oggi promotrice di bellezza e conoscenza. Un successo così grande da ricevere anche un riconoscimento dalla Commissione europea: il premio Classic Blue dell’EU4Ocean in Action Award, che gli è stato consegnato pochi giorni fa a Ferrara nel corso delle celebrazioni per l’European Maritime Day.
Quando nel giugno del 2017 il capodoglio imprigionato e ferito è arrivato sulla costa nei pressi di Capo Milazzo – racconta Isgrò – sono immediatamente corso a vederlo. Nonostante una lunga operazione condotta dalla Guardia Costiera che l’aveva parzialmente liberato da questa rete, l’animale era purtroppo morto. Stare davanti a lui mi faceva provare delle sensazioni molto contrastanti: da una parte ero affascinato, però dall’altra ero molto triste, perché immaginavo la sua lunga sofferenza e il modo brutale in cui era morto. E soprattutto il fatto che fosse morto a causa dell’uomo. Così ho deciso che non potevo rimanere inerte, dovevo fare qualcosa”.

Carmelo si mette così al lavoro con l’amico Francesco, da tutti detto Siso, per raccogliere e ripulire le ossa dell’animale: voleva evitare che venisse dimenticato, voleva farlo rivivere realizzando una mostra che potesse sensibilizzare gli abitanti della zona. “In soli 15 giorni ho così scarnificato completamente, sotto l’egida del Museo della Fauna dall’Università di Messina, la carne in decomposizione del capodoglio che giaceva in acqua a ridosso della costa. Mentre effettuavo questa operazione, ho avuto la possibilità di analizzare anche lo stomaco del capodoglio e con mio grande stupore e rammarico ho dovuto constatare che all’interno era presente molta plastica”.

SisoIl lavoro è stato completato prima che una mareggiata portasse via i resti dell’animale. Ma il giorno dopo il completamento dell’opera, una tragedia immensa: Francesco morì in un incidente. Carmelo ha quindi voluto dare il suo nome al Capodoglio: “Perché le future generazioni possano sempre ricordare com’era morto quel capodoglio e lo potessero fare nel nome di Siso, che si era tanto impegnato per lasciare questo messaggio positivo di rinascita”. È nato così SisoProject che ha portato alla creazione del ‘MuMa Museo del Mare Milazzo‘, nell’antico Castello di Milazzo. Si tratta di un museo unico nel suo genere, concepito interamente intorno allo scheletro ricostruito – anche con la rete illegale che l’ha ucciso posta intorno alla pinna caudale e la plastica che aveva nello stomaco esposta nei pressi – che incanta magicamente il pubblico all’interno del suggestivo ‘Bastione di Santa Maria’. L’obiettivo è quello di sensibilizzare la gente affinché la morte assurda del Capodoglio Siso, possa condurre a un momento di riflessione e crescita per tutti: adulti e bambini. Una sorta di viaggio spirituale per riscoprire l’armonia tra uomo e mare attraverso scienza e arte.

Il Museo, insomma, facendo incontrare arte e scienza propone e promuove protezione ed educazione ambientale, con un messaggio volto a sensibilizzare soprattutto i più giovani alla tutela e salvaguardia del mare. Video didattici interattivi, realtà virtuale, realtà aumentata e installazioni artistiche multimediali permettono ai visitatori di conoscere il legame che unisce la vita sulla Terra al mare e riflettere sul rapporto uomo-mare. È possibile visitare virtualmente il Museo in qualsiasi parte del mondo attraverso il progetto ‘Let’s digitalize MuMa’ in partenariato con l’Ufficio Regionale UNESCO per la Scienza e la Cultura in Europa e con il supporto Gruppo Prada.

Le attività si stanno sviluppando sempre meglio – racconta Isgrò – perché sono tantissime le scuole che vengono ogni giorno a visitare il MuMa e a fare lezioni educazione ambientale. Per noi le parole che vengono dai bambini e in generale dai visitatori sono il riconoscimento più grande. Siso è vivo grazie alle loro parole. Questo era il mio obiettivo: non rendere vana la sua morte. Far sapere a tutti come è morto per evitare che altre morti come la sua possano accadere. E attorno a questa attività sul territorio è cresciuta notevolmente la sensibilità. Si sono ormai moltiplicate gli eventi, a partire dalla raccolta di plastica in spiaggia, che tengono alta l’attenzione e la sensibilità e che attraverso questi temi fanno crescere la conoscenza e la cultura del mare”.