Da Parlamento europeo stop a fast fashion: “Moda sia più sostenibile”

Combattere la fast fashion, la moda ‘usa e getta’. Con 68 voti a favore, nessun contrario e una astensione la commissione ambiente (Envi) del Parlamento europeo ha approvato una relazione d’iniziativa con una serie di raccomandazioni per introdurre misure a livello europeo per garantire che i tessuti siano prodotti in modo circolare, sostenibile e socialmente giusto. Nel quadro del pacchetto sull’economia circolare la Commissione europea ha adottato a marzo dell’anno scorso ha presentato la strategia dell’Ue per i tessili sostenibili e circolari per affrontare l’intero ciclo di vita dei prodotti tessili e proporre azioni per cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo i prodotti tessili. La relazione adottata in Envi dovrebbe finire al voto dell’intera plenaria a Strasburgo prima dell’estate.

Una nota del Parlamento spiega che per “contrastare la sovrapproduzione e il consumo eccessivo di abbigliamento e calzature”, la commissione invita la Commissione e i Paesi dell’Ue ad adottare misure che mettano fine alla “fast fashion”, a partire da una chiara definizione del termine basata su “alti volumi di capi di qualità inferiore a bassi livelli di prezzo”. I consumatori dovrebbero essere meglio informati per aiutarli a fare scelte responsabili e sostenibili, anche attraverso l’introduzione di un “passaporto digitale dei prodotti” nella prossima revisione del regolamento sulla progettazione ecocompatibile, come prevede anche la proposta della Commissione europea. I deputati chiedono inoltre alla Commissione e agli Stati membri di garantire che i processi di produzione diventino meno dispendiosi in termini di energia e acqua, evitino l’uso e il rilascio di sostanze nocive e riducano l’impronta dei materiali e dei consumi. I deputati chiedono inoltre che la revisione della direttiva quadro sui rifiuti includa specifici obiettivi separati per la prevenzione, la raccolta, il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti tessili, nonché l’eliminazione graduale dello smaltimento in discarica dei tessili.

Altre raccomandazioni includono: l’inclusione di un esplicito divieto di distruzione dei prodotti tessili invenduti e restituiti nelle regole di ecodesign dell’Ue; regole chiare per porre fine alle pratiche di greenwashing, attraverso il lavoro legislativo in corso sulla responsabilizzazione dei consumatori nella transizione verde e sulla regolamentazione delle dichiarazioni verdi; garantire pratiche commerciali eque ed etiche attraverso l’applicazione degli accordi commerciali dell’Ue; lanciare senza ulteriori ritardi l’iniziativa della Commissione per prevenire e ridurre al minimo il rilascio di microplastiche e microfibre nell’ambiente.

 

Cimiteri tossici e crimini contro umanità: il lato oscuro ‘ultra fast’

Migliaia di morti, centinaia di migliaia di schiavi, maxi-discariche, microplastiche negli oceani, emissioni di gas serra, spreco di acqua e abuso di petrolio. Il prezzo della moda a basso costo è altissimo. E il crollo della fabbrica Rana Plaza in Bangladesh, che ha fatto 1.138 vittime, è solo la punta dell’iceberg del lato oscuro dell’industria tessile.

Il numero di discariche di abiti e scarpe usati cresce nel Sud del mondo in modo direttamente proporzionale alla produzione sempre più frenetica di moda a basso costo. Centinaia di migliaia di stivali da pioggia e doposci finiscono nel bel mezzo del deserto di Atacama, in Cile. Secondo la Changing Markets Foundation, la discarica di Dandora, alle porte di Nairobi, riceve ogni giorno 4mila tonnellate di rifiuti, in gran parte tessili provenienti dai Paesi occidentali.

I marchi di “ultra fast fashion” (come Boohoo, Emmiol, SheIn) con t-shirt da 5 euro e vestiti da 8 euro stanno superando ogni limite del low cost, producendo ancora di più dei giganti del fast fashion come H&M o Zara. Gli “articoli a basso costo terminano la loro breve vita, gettati via e bruciati in enormi discariche a cielo aperto, lungo i fiumi o il mare, con conseguenze gravissime per la popolazione locale e l’ambiente“, denuncia Greenpeace. Secondo il rapporto 2020 della ONG Climate Chance, l’industria tessile è responsabile di un terzo degli scarichi di microplastica negli oceani e del 4% delle emissioni globali di gas serra. La moda è il terzo settore a più alto consumo idrico e il 70% delle fibre sintetiche prodotte nel mondo proviene dal petrolio.

Altrettanto grave è la totale mancanza di sostenibilità sociale del fast fashion. I rapporti delle ONG e dei think tank continuano a denunciare lo sfruttamento dei membri della minoranza musulmana uigura nei campi dello Xinjiang, nelle officine e nelle fabbriche che forniscono materie prime o prodotti finiti. Le autorità cinesi sono accusate dai Paesi occidentali di aver rinchiuso massicciamente gli uiguri nei campi di rieducazione, dopo i sanguinosi attacchi subiti in questa regione. Le Nazioni Unite sollevano l’ipotesi di “crimini contro l’umanità“, accuse fermamente respinte da Pechino.

I grandi nomi dell’industria tessile (Adidas, Lacoste, Gap, Nike, Puma, H&M, ecc.) sono stati accusati di trarre profitto da questo “lavoro forzato“. Da allora, alcuni marchi si sono impegnati a non utilizzare il cotone proveniente dallo Xinjiang (un quinto della produzione mondiale). Quattro multinazionali dell’abbigliamento, tra cui Uniqlo France e Inditex (Zara, Bershka, Massimo Duti), sono sotto inchiesta in Francia dal 2021 per “occultamento di crimini contro l’umanità“.

I salari dei lavoratori del settore in India sono regolarmente oggetto di critiche. Ma non serve andare così lontano. Anche nel Regno Unito, nel 2020, l’ONG ‘Labour behind the label’ ha rivelato che i laboratori che riforniscono la fast fashion hanno fatto ricorso a pratiche di semi-schiavitù. Secondo testimonianze confermate da diversi media britannici, i salari oscillavano tra le 2 e le 3 sterline all’ora, ben al di sotto del salario minimo di 8,72 sterline (9,66 euro). Da Haiti alla Cambogia, passando per la Birmania, i lavoratori del settore tessile chiedono regolarmente salari più alti, anche con scioperi e proteste, alcuni dei quali vengono repressi nella violenza.

Viaggio tra le ‘Botanic Experience’ con Marina Rinaldi

Lasciarsi trasportare, con occhi nuovi, all’interno di un settore che da sempre è simbolo di bellezza, grazia, stile e colore. Con questo intento, moda e natura si intrecciano in un ciclo di incontri nelle più eleganti boutique d’Italia, alla scoperta della bellezza del mondo green, promossi da Marina Rinaldi e dall’associazione Florovivaisti Italiani. Si chiama ‘Botanic Experience‘ e parte domani, 15 aprile, il percorso a nove tappe che terminerà a metà maggio, con l’obiettivo di raccontare l’universo di piante e fiori in modo nuovo e senza filtri, direttamente nei negozi del marchio d’abbigliamento femminile.

Talk con esperti, consigli glamour e verde in vetrina – racconta il presidente dei Florovivaisti Italiani, Aldo Alberto -. Un modo diverso per conoscere le tante meraviglie racchiuse nel verde, attraverso un racconto esperenziale, accompagnati da chi le piante le produce e le cura ogni giorno, dal seme all’albero, dal giardino alla composizione floreale perfetta, nel segno della sostenibilità”.

Tante le tappe in giro per il Paese, che con ‘stories vegetali‘ faranno scoprire produzioni, competenze e curiosità legate alle anime del florovivaismo Made in Italy.

Si parte sabato 15 aprile da Marina Rinaldi a Roma, in via Borgognona, con ‘Piccole meraviglie‘, l’incontro dedicato al mondo delle baby plant, piantine più piccole dei loro frutti, nate in laboratorio con la moderna tecnologia della micropropagazione. Sullo stesso tema anche l’appuntamento di sabato 29 aprile, nello store di Bari, in via Sparano.

Spazio, poi, agli incontri dedicati a ‘L’istinto dei fiori‘, per scegliere insieme ai Floral designer i fiori più indicati in casa, per un evento o come idea regalo, accostarli nel modo giusto e avere l’effetto charmant desiderato. Se ne parlerà sia sabato 15 aprile da Marina Rinaldi a Trieste, in Corso Italia, che venerdì 5 maggio nella boutique di Udine, in Via Cavour.

Altra protagonista ‘La rosa e i suoi mille profumi‘, per raccontare la regina dei fiori ma anche le nuove varietà selezionate per l’estrazione di essenze e fragranze artigianali, al centro dell’evento di giovedì 27 aprile, da Marina Rinaldi a Genova, in via XX Settembre.

In primo piano anche ‘Canapa meravigliosa‘, alla riscoperta di una pianta dimenticata, con molteplici usi fin dall’antichità, dai tessuti alla cucina, dalla carta alla cosmesi, che sarà il tema degli incontri di venerdì 5 maggio, da Marina Rinaldi a Lecco, in via Camillo Benso Conte di Cavour, e di sabato 6 maggio, nel negozio di Torino in via Roma. E ancora, focus su ‘Il giardino perfetto‘ nell’appuntamento di sabato 6 maggio, da Marina Rinaldi a Verona, in via Giuseppe Mazzini, per acquisire le competenze tecniche e agronomiche di base a costruire il proprio ideale di giardino. Ultimo incontro in calendario con ‘L’arte topiaria’, in programma venerdì 19 maggio da Marina Rinaldi ad Arezzo, in Corso Italia, per conoscere la tradizione antica di dare forma alle piante, dalla semplice siepe fino alle forme geometriche o di fantasia, e gli artigiani custodi che portano avanti dopo secoli quest’arte, sinonimo da sempre di eleganza e raffinatezza.

H&M ci riprova: Giù emissioni, più riciclo e nuova Water strategy

H&M ci riprova. Dopo essere stato citato in giudizio per greenwashing, marketing ingannevole e dati falsi e fuorvianti e aver incassato una denuncia della Consumer Authority norvegese per possibili violazioni alla normativa sulla pubblicità ingannevole per la collezione ‘H&M conscious‘, il colosso del fast fashion svedese promette un cambio di rotta.

I marchi che hanno come obiettivo principale la sostenibilità “saranno meglio preparati a soddisfare il crescente interesse dei consumatori e le richieste dei legislatori“, spiega Leyla Ertur, responsabile della Sostenibilità del gruppo, nell’ultimo rapporto annuale. Contribuire a un futuro migliore, “per le persone e il pianeta“, questo è l’obiettivo del gigante della moda. “Siamo aperti al dialogo e alla collaborazione per affrontare le numerose sfide comuni del nostro settore e del nostro mondo“, assicura.

Quest’anno, l’utilizzo di materiali riciclati ha subito un’accelerazione, raggiungendo il 23% (dal 18%) e contribuendo a un totale dell’84% di materiali riciclati o provenienti da fonti più sostenibili nelle collezioni del marchio.

C’è stata una riduzione delle emissioni assolute del 7% in riferimento allo Scope 3 (le emissioni indirette prodotte nella catena del valore) e dell’8% delle emissioni degli Scope 1 e 2 (le emissioni dirette generate dall’azienda e quelle indirette generate dall’energia acquistata e consumata dalla società), rispetto al valore di riferimento del 2019. L’obiettivo a lungo raggio è ridurre le emissioni assolute degli Scope 1, 2 e 3 del 56% entro il 2030.

Bene anche sul lato imballaggi in plastica: -44% rispetto al valore di riferimento del 2018. Non solo: il gruppo ha lanciato una nuova Water Strategy per il 2030 e ha ridotto il consumo
relativo di acqua per prodotto del 38% rispetto al valore di riferimento del 2017, grazie a miglioramenti dell’efficienza e a un maggiore riciclo delle acque reflue.

Quanto alla sostenibilità sociale, nell’ultimo anno la rappresentanza sindacale nelle fabbriche dei fornitori di livello 1 è passata dal 37% al 42% e il 34% ha stipulato contratti collettivi di lavoro (rispetto al 27% del 2021). Il 63% dei rappresentanti dei lavoratori nelle fabbriche dei fornitori di Tier 1 è composto da donne e la percentuale di donne che ricoprono posizioni di supervisione è del 27%.

“E’ stato un anno turbolento, segnato dalla guerra in Ucraina”, osserva la Ceo, Helena Helmersson. “In tempi esterni difficili, la sostenibilità rimane parte integrante della nostra attività”, assicura.

E, in effetti, l’obiettivo 2030 combina gli obiettivi di crescita aziendale e di profitto con la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.” Per raggiungere i nostri ambiziosi obiettivi climatici di dimezzare le emissioni di gas serra del Gruppo entro il 2030 e di arrivare a zero entro il 2040, investiamo in progetti per ridurre le emissioni di gas serra lungo tutta la nostra catena del valore”, ribadisce Helmersson. Nel corso dell’anno, gli obiettivi climatici del gruppo sono stati verificati dall’iniziativa Science Based Targets ed è stata istituita la Green Fashion Initiative per sostenere i fornitori nella sostituzione dei combustibili fossili.

Gli investimenti nella sostenibilità offrono al Gruppo opportunità di business a lungo termine. Costruendo partnership strategiche con i principali stakeholder e crescendo in vari modi innovativi, H&M sostiene di riuscire a far crescere l’attività in modo da disaccoppiare la crescita finanziaria e la redditività dall’uso di risorse naturali limitate. Un buon esempio è Sellpy, società di maggioranza del gruppo, che è già uno dei maggiori operatori nel settore della Moda di seconda mano in Europa.

“Continueremo a investire in nuovi modelli di business, materiali e tecnologie che hanno il potenziale per cambiare radicalmente il modo in cui realizziamo i nostri prodotti e in cui i nostri clienti possono vivere la Moda”, garantisce Helmersson. “Nonostante il mondo turbolento che ci circonda – rivendica la Ceo -, il Gruppo H&M è forte di un’ampia base di clienti, di una solida posizione finanziaria, di un sano flusso di cassa e di un inventario ben bilanciato. Tutto questo grazie all’impegno dei colleghi di tutto il mondo, che continuano a costruire la nostra azienda, a rimanere fedeli ai nostri valori e a garantire che realizziamo sempre l’idea commerciale che il nostro fondatore ha gettato le basi 75 anni fa: offrire ai nostri clienti un valore imbattibile con la migliore combinazione di Moda, qualità, prezzo e sostenibilità”.

Fa’ la cosa giusta: la sostenibile leggerezza del km zero

C’è un volto della moda lontano dai riflettori, ma vicinissimo alle persone: è quello dell’artigianato. In Italia lo slow fashion è un settore chiave, anche se spesso poco valorizzato: è etico, impatta poco, dà spazio ai giovani

Al Critical Fashion di ‘Fà la cosa giusta!‘, la Fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili di Milano (24-26 marzo) aziende e artigiani presentano abbigliamento e accessori realizzati con materiali riciclati o di riuso, filati biologici e naturali, materie prime organiche, tinture vegetali. 

Con il progetto ‘Moda: il bello del km consapevole’, realizzato con il contributo di Regione Lombardia, i visitatori possono scoprire l’ecosistema creativo lombardo, le giovani imprese e i designer che fanno della sostenibilità un valore centrale del proprio brand. L’incontro ‘La sostenibilità umana nella filiera della moda’ racconta come l’industria della moda si stia adattando alla richiesta di sostenibilità ambientale nella filiera di produzione, anche se rimane ancora tanto da fare nell’ambito dei diritti dei lavoratori: sono 70 milioni le persone che lavorano in questo settore e ricevono la paga minima, spesso sotto il livello di povertà. Protagonista dell’incontro è Marina Spadafora, designer e stilista militante, portavoce in Italia del movimento Fashion Revolution che, insieme a una cordata di ONG, ha depositato una proposta di legge al Parlamento Europeo sul salario dignitoso e ha lanciato la campagna di raccolta firme, che termina il prossimo luglio, ‘Good Clothes Fair Pay’.

Al fast fashion è dedicato l’incontro ‘Moda, cooperazione e sostenibilità: oltre il fast fashion‘, che riflette sul rapporto tra sostenibilità, produzione di moda e cooperazione. Grazie ai risultati di uno studio della Cattolica, in collaborazione con Mani Tese e Aics (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo), viene approfondito l’impegno delle piccole imprese in Italia del settore tessile-abbigliamento nella gestione degli aspetti sociali e ambientali delle proprie attività, nella prospettiva di un passaggio dal fast fashion a una filiera tessile trasparente e sostenibile.

Tra i tanti laboratori della Piazza Critical Fashion, i visitatori della fiera hanno la possibilità di partecipare a corsi di cucito gratuiti, per imparare a fare piccole riparazioni fai-da-te e personalizzare gli abiti, grazie allo spazio interattivo allestito con le macchine da cucire messe a disposizione da Del Vecchia Group.

“Oltre il tessuto – Materiali non convenzionali che diventano moda’ è la mostra organizzata da Sfashion-net per raccontare la tradizione e l’innovazione delle produzioni di alcuni brand italiani che hanno a cuore l’ambiente e che attuano forme di upcycling contemporaneo: recuperano e riutilizzano in modo creativo materiali non convenzionali e non destinati al mondo della moda trasformandoli con pazienza per ridare loro una nuova forma e un nuovo utilizzo. 

 

Gucci

Gucci e il lusso green del futuro: nasce primo Circular Hub

Materie prime, design, produzione, logistica. L’intera catena produttiva della moda in Italia cambia pelle, con il primo hub per il lusso circolare in Italia. Lo lancia Gucci, supportata da Kering, per accelerare la trasformazione del modello produttivo in chiave circolare, attraverso una piattaforma di ‘open innovation’.

Obiettivo: creare il prodotto del lusso circolare del futuro – un prodotto che massimizza l’utilizzo di materiali riciclati, la durabilità, la riparabilità e la riciclabilità dei prodotti a fine vita.

L’hub sarà in Toscana e dialogherà con le strutture del Gruppo Kering, un ecosistema di oltre 700 fornitori diretti e 3500 subfornitori. Le attività dell’hub saranno poi estese agli altri brand del Gruppo Kering per diventare uno strumento a disposizione dell’intero settore.

L’industria della moda ha oggi la responsabilità di stimolare azioni concrete e trovare soluzioni in grado di accelerare il cambiamento, ripensando anche alle modalità produttive e all’impiego delle risorse. La creazione del Circular Hub è un importante traguardo e nasce proprio per perseguire quest’obiettivo. È motivo di orgoglio per me che l’hub nasca in Italia, sede di alcuni dei più importanti e rinomati poli produttivi e del know-how del Gruppo”, spiega Marie-Claire Daveau, Chief Sustainability and Institutional Affairs Officer di Kering. La circolarità offre “una visione che coinvolge l’intero ciclo produttivo: è una grande sfida per rendere ancora più forte e competitivo il Made in Italy”, conferma Antonella Centra, Executive Vice President, General Counsel, Corporate Affairs & Sustainability di Gucci. Con Circular Hub, afferma, “abbiamo la responsabilità e soprattutto l’opportunità di creare la strada per l’industria del lusso del futuro. Condividendo i medesimi obiettivi e mettendo a fattore comune risorse, know-how e sinergie, la piattaforma rappresenta uno strumento concreto per abilitare l’intera catena di fornitura e specialmente le piccole e medie imprese, cuore pulsante del nostro Paese, rendendole parte attiva del percorso di innovazione costante che rende unico il saper fare italiano nel mondo”.

La prima fase dei lavori prenderà il via nel primo semestre 2023 e si avvarrà delle competenze dei ricercatori del Kering Material Innovation Lab (MIL) di Milano e del supporto di tecnici e ricercatori di prodotto per abbigliamento, pelletteria, calzature e accessori dei centri d’avanguardia di artigianato industriale e sperimentazione di Gucci di Scandicci e di Novara.

Per lo sviluppo delle attività progettuali, la piattaforma prevedrà inoltre il supporto di partner industriali e la collaborazione scientifica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che opererà nel perimetro di intervento delle linee di ricerca industriale e di sviluppo di soluzioni circolari, anche relativamente ai modelli operativi e logistici.

Il progetto migliorerà le performance di impatto ambientale del Gruppo Kering, di Gucci e della sua filiera e dei territori in cui esse operano. Renderà possibile consumare meno risorse, ridurre le emissioni di gas serra, creare occupazione di qualità e contribuire al benessere del territorio. Da una prima stima degli impatti ambientali effettuata sull’ecosistema Gucci pelletteria, sarà possibile arrivare a una riduzione sino al 60% delle emissioni di gas serra attualmente generata nella gestione degli scarti produttivi. Il Circular Hub anticipa i nuovi modelli produttivi che saranno vincolanti in Europa nei prossimi anni e che istituiranno la responsabilità estesa del produttore, obbligando le aziende a farsi carico del fine vita del prodotto e dei materiali di scarto. Il progetto è complementare alle attività che saranno svolte dal Consorzio Re.Crea, coordinato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana per gestire i rifiuti e promuovere l’innovazione del riciclo, del quale Gucci fa parte come socio promotore, e si pone in linea di continuità con l’ingresso della Maison come partner strategico nella Ellen MacArthur Foundation.

Da ‘Mayamiko’ a ‘Madeby’: la moda sostenibile parla italiano

Tutto è partito dall’Africa. Qui Paola Masperi, una laurea in mediazione linguistica, un master in Marketing e uno in Relazioni internazionali, trascorre alcuni anni per lavorare a progetti di sviluppo internazionale. Tra il Malawi, l’Uganda, l’Etiopia e il Kenya l’imprenditrice tocca con mano l’impatto sociale più devastante del cambiamento climatico.

Il Continente riceve gli abiti usati da tutto il mondo, ma spesso, racconta Masperi a GEA, “la qualità è talmente bassa che non possono farne niente, tonnellate di vecchi abiti vengono bruciati in discarica“. Il problema è anche il soffocamento del mercato locale, una concorrenza “più sleale di così è inimmaginabile – spiega -. I sarti locali non possono competere. A livello macroeconomico e di industria la cosa è molto negativa e in Malawi si vede molto chiaramente“.

Proprio in Malawi Masperi lavora a un progetto di training in sartoria per donne: “A un certo punto abbiamo capito che il livello era talmente alto e da potersi posizionare a livello di export“. Nel 2014-2015 lancia il marchio ‘Mayamiko‘, per vendere le creazioni delle comunità locali. “E’ andato molto bene, siamo molto conosciuti in Inghilterra nel mondo della Moda etica“. Già prima del Covid il marchio ha conosciuto una “crescita esplosiva“. “Ci siamo chiesti come volevamo crescere, abbiamo iniziato le consulenze e mi sono accorta che per crescere dovevamo produrre di più e più velocemente, questo a me non piaceva, abbiamo così continuato con una crescita lenta e graduale“, afferma.

Dall’esigenza di far capire quanto cruciale sia la sostenibilità sociale e ambientale nella Moda, è nata l’idea di una soluzione tecnologica che può essere utilizzata da tutto il comparto, si chiama ‘Madeby‘, è una piattaforma di blockchain con base a Londra, che salva e verifica le informazioni di sostenibilità dei marchi. Prende le mosse dalle sue conoscenze del settore: “Mi sono accorta che molti dei marchi più conosciuti non applicano un livello di rigore giusto per evitare il greenwashing, fatto a volte anche inavvertitamente. Ci sono grosse maison che fanno una sola linea molto tracciabile, ma il 90% della produzione non lo è“, scandisce.

Madeby nasce grazie ai fondi ottenuti dall’ente britannico per la ricerca e lo sviluppo. Lo scopo è verificare che quanto i marchi dichiarano ai consumatori sia corretto e che le informazioni per il consumatore siano chiare. La tecnologia è stata è in fase di integrazione con Credible Esg, che aggiunge anche il calcolo dell’impatto ambientale. “Noi pubblichiamo solo le informazioni che sono state verificate. Se non riusciamo ad avere accesso ai dati che le aziende dichiarano, noi non li pubblichiamo“, assicura. Al momento i marchi in piattaforma sono circa cinquanta, di medie e piccole dimensioni: “E’ molto interessante per i piccoli marchi, perché spesso non possono pagarsi le certificazioni, ma ora che introduciamo l’aspetto dell’Esg dobbiamo rivolgerci anche a marchi più grossi, che pero’ non sempre – fa sapere – sono disponibili alle verifiche”.

Moda, asse Roma-Parigi: Futuro è green e digital

Sostenibile e innovativo: così è il futuro della Moda mondiale. Roma e Parigi si propongono come modelli e capofila del cambiamento e a Palazzo Farnese, sede dell’Ambasciata di Francia in Italia, si ritrovano tra player e istituzioni per discutere di strategie, buone pratiche, criticità e possibili soluzioni.

Il legame trai due Paesi nel settore della Moda è “storico e inscindibile e va coltivato in un rapporto di piena reciprocità“, scandisce il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. È una catena di valore, osserva, che “ci fa più forti nella competizione globale consegnandoci una leadership indiscussa“. Peculiarità e punti di forza si incontrano, si intrecciano, scendono in campo per tutelare il comparto con una “posizione assertiva” sul Regolamento europeo sull’Ecodesign, assicura il ministro italiano, soprattutto sui divieti di distruzione dell’invenduto, sul passaporto digitale dei prodotti, sulla riciclabilità e la durata della vita dei capi.

L’occasione è l’incontro ‘Sostenibilità e innovazione: nuove sfide e opportunità per il settore‘, su iniziativa di Sopra Steria. L’ambasciatore Christian Masset e Frédéric Kaplan, ministro consigliere per gli Affari economici dell’ambasciata, aprono le porte del palazzo anche a Mario Cospito, consigliere Diplomatico del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, e Lucia Borgonzoni, sottosegretaria al ministero della Cultura. Sopra Steria coinvolge, tra gli altri, Bulgari, Fendi, Gucci, Hermes Italia, Altagamma, Tod’s, Lvmh Italia, Bottega Veneta.

La Moda è uno dei settori in cui Francia e Italia collaborano maggiormente e da molto tempo“, ricorda Masset, rivendicando il primato mondiale nel settore dei due Paesi. Il tema della riduzione delle emissioni del comparto è cruciale: “Siamo entrambi impegnati a promuovere un nuovo percorso di sobrietà“, garantisce. A livello europeo, Roma e Parigi hanno aderito al Fit for 55, un nuovo obiettivo europeo per il clima. “Siamo profondamente convinti che le aziende del settore, grandi protagoniste di questa transizione, sapranno proporre iniziative innovative e stimolanti affinché le aziende francesi e italiane possano essere d’ispirazione anche in questo campo”, afferma.

La filiera produttiva ha delle complessità specifiche legate a un alto grado di frammentazione e a “diversi livelli di maturità” sulla sostenibilità ambientale, spiega Stefania Pompili, CEO di Sopra Steria Italia. A trainare l’efficientamento energetico, sostiene, sarà la transizione digitale, che permette, tra l’altro, di misurare i risultati raggiunti in materia di compensazione. In questo senso, un’alleanza tra Italia e Francia, mercati di riferimento per il settore, “può favorire l’integrazione digitale tra le filiere di produzione e dare vita a una piattaforma di misurazione europea che promuova una visione integrata. L’innovazione – afferma Pompili – si pone al servizio della sostenibilità per creare sinergie tra mercati diversi ma vicini“.

La sostenibilità di H&M non convince: tonfo nel quarto trimestre 2022

Non sono bastate le azioni e la campagne per ridurre l’impatto ambientale e attirare, così, una generazione di giovani attenti all’ambiente e al clima. H&M, colosso svedese della fast fashion e secondo al mondo dopo Zara, ha chiuso in rosso il quarto trimestre del 2022, alla fine di un anno complicato, appesantito dalla decisione di chiudere tutti i punti in vendita in Russia e da una combinazione di altri fattori sfavorevoli. Tra questi, l’aumento del prezzo delle materie prime e del dollaro alto che, insieme all’impennata dei prezzi dell’energia, si sono tradotti in costi di acquisto più elevati. Dopo l’annuncio dei conti in discesa, le azioni del gruppo hanno registrato un calo quasi del 7% alla Borsa di Stoccolma.

La nostra decisione di cessare l’attività in Russia, che era un mercato importante e redditizio, ha avuto un effetto negativo significativo sui nostri risultati”, ha sottolineato l’amministratrice delegata Helena Helmersson. “Piuttosto che scaricare l’intero costo aggiuntivo sui nostri clienti, abbiamo scelto di rafforzare ulteriormente la nostra posizione” nel tentativo di guadagnare quote di mercato. Insomma, i prezzi al pubblico di abbigliamento e accessori non sono aumentati, ma sono cresciuti i costi di produzione e dell’intera filiera.

L’ultimo trimestre del 2022 è stato caratterizzato da una perdita netta di 864 milioni di corone (77 milioni di euro). Un dato inaspettato per gli analisti, che scommettevano su profitti nettamente positivi superiori a 2 miliardi, secondo le stime di Bloomberg e Factset. Nell’intero anno finanziario, il fatturato del gruppo è aumentato del 12%, a 223,5 miliardi di corone, ma solo del 6% escludendo gli effetti valutari. Allo stesso tempo, l’utile netto annuo è sceso del 68% a poco meno di 3,6 miliardi di corone.

H&M, che vede buone prospettive per il 2023, spiega che l’accumulo di fattori sfavorevoli ha avuto un effetto negativo di 5 miliardi in totale sui suoi profitti. Dalla chiusura dell’esercizio, a fine novembre, “le vendite sono partite bene. I fattori esterni sono ancora difficili ma stanno andando nella direzione giusta“, secondo lad. Il numero dei negozi del gruppo si è ridotto a 4.465 a fine novembre, ovvero 336 in meno rispetto al 2021, con quasi la metà dell’impatto legato a il ritiro da Russia e Bielorussia (175 negozi chiusi).

Da anni H&M lotta per dare vita a un nuovo modello, più attento alla sostenibilità e all’ambiente, ma i profitti sono diminuiti costantemente negli ultimi 10 anni, a parte un rimbalzo nel 2021 al termine delle restrizioni legate alla pandemia. Ieri il gruppo ha annunciato di aver firmato un nuovo accordo con i sindacati con l’obiettivo di proteggere ulteriormente la salute e la sicurezza dei lavoratori dell’abbigliamento in Pakistan, dove viene prodotta buona parte dei prodotti venduti in Occidente.

Paris HC, liaison Nakazato-Epson: l’alta moda si fa green

Una Primavera-Estate nel segno della sostenibilità, con un ‘matrimonio’ insolito: Epson-Nakazato. Lo stilista e l’azienda giapponesi la presentano alla Paris Haute Couture Fashion Week: stampanti digitali per tessuti unici. La liaison promette una rivoluzione tessile in grado di trasformare l’intero settore.

La Epson Dry Fibre Technology (a livello commerciale si usa già per riciclare la carta in ufficio con un consumo di acqua minimo) è stata adattata in modo da realizzare un tessuto-non tessuto stampabile, partendo da abiti usati. Gli abiti hanno sfilato in passerella nel Palais de Tokyo il 25 gennaio.

La collaborazione si basa essenzialmente sul supporto per la stampa fornito dall’azienda giapponese allo stilista per la realizzazione dei suoi capi personalizzati di alta qualità, che hanno raggiunto un nuovo livello grazie a una produzione a basso impatto.

La sfilata di Parigi mostra come il passaggio alla stampa digitale su tessuto, usando inchiostri a pigmenti che prevedono un processo a minore impatto ambientale, offra all’industria della moda un approccio più sostenibile per la stampa tessile, riducendo anche gli sprechi.

Il tessuto utilizzato per creare l’ultima collezione di Yuima Nakazato è stato ricavato da capi usati provenienti dall’Africa, dove finiscono tonnellate di abiti dismessi dai nostri armadi. In Kenya, Nakazato ha raccolto circa 150 chili di abiti di scarto altrimenti destinati a vere e proprie discariche a cielo aperto. Tramite la sua Dry Fibre Technology, Epson ha ricomposto la fibra e prodotto oltre 50 metri di nuovo tessuto non tessuto, in parte stampato con la stampante digitale Monna Lisa usando inchiostri a pigmenti.

“Pur essendo ancora in una fase iniziale, la Epson Dry Fibre Technology abbinata alla stampa digitale con inchiostri a pigmenti può rendere il futuro della moda ancora più sostenibile, riducendo significativamente il consumo di acqua e consentendo agli stilisti di dare libero sfogo alla loro creatività”, spiega Hitoshi Igarashi, responsabile della Printing Solutions Division di Epson.Dal punto di vista ambientale, Epson promuove l’economia circolare e ogni sviluppo in questo senso è un passo avanti verso il raggiungimento degli obiettivi previsti.