Ex Ilva, lunedì sindacati a P.Chigi. Uilm: Da Morselli solo bugie. E l’ad querela

Il negoziato tra ArcelorMittal e Governo prosegue, ma con scarsi risultati: l’amministrazione straordinaria appare sempre più vicina. Lunedì 19 febbraio, in serata, il ministro delle Imprese Adolfo Urso incontrerà ancora a Palazzo Chigi i sindacati del comparto, per comunicare i prossimi passi per il rilancio dell’ex Ilva.

La prossima settimana, in commissione Industria del Senato, inizieranno anche le votazioni sugli emendamenti ai due decreti integrati che riguardano Acciaierie d’Italia e soprattutto l’indotto, con i lavoratori e le aziende che sono state messe sotto copertura di uno strumento di cassa integrazione. Urso però lamenta una scarsa collaborazione di AdI sulle informazioni da estrarre dai propri database, in merito alle imprese dell’indotto che potrebbero utilizzare gli strumenti messi in campo con il decreto legge. In particolare, non sarebbe stata comunicata la composizione del debito. Sono quindi le imprese dell’indotto che in caso di amministrazione straordinaria rischierebbero maggiormente. Negli incontri precedenti, il Governo ha assicurato di voler preservare gli impianti produttivi, l’occupazione e tutelare l’ambiente.

Venerdì, intanto, si consuma lo scontro tra il leader della Uilm, Rocco Palombella, e l’ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli. “Questo negoziato non ha più senso. Anche perché tutto si è arenato sulla richiesta di una manleva, una sorta di lasciapassare giudiziario per Morselli, e per il cda, nessuno può garantirlo“, denuncia il sindacalista dalle colonne di Repubblica. “E – aggiunge – non sarebbe corretto concedere questo scudo“.

Gli avvocati del socio pubblico Invitalia e quelli di Mittal, a suo dire, sarebbero fermi sempre sugli stessi punti. In particolare si discuterebbe del “lasciapassare per l’ad Morselli, una sorta di scudo penale, e del fatto che Invitalia pretenda da ArcelorMittal il pagamento di una compensazione per come è ridotta l’azienda rispetto a quando sono entrati. E gli indiani non vogliono riconoscere nulla“, scandisce Palombella. I problemi, però, per le parti sociali, sono altri. “Basta leggere la lettera che i commissari dell’Ilva, da cui le Acciaierie affittano gli impianti di Taranto e degli altri siti, scrivono a Morselli per capire che la situazione non va“, afferma. I programmi produttivi non corrispondono a quelli presentati quando è iniziato l’affitto del sito, i report su manutenzione e stato degli impianti non arrivano o sono parziali.

In audizione in Senato, Morselli ha chiesto un prestito da un miliardo per poter acquistare gli impianti e “diventare una azienda normale“, assicurando che i debiti veri non ammonterebbero a 3,1 miliardi, ma a meno di 700 milioni. “Morselli in Parlamento ha detto solo bugie“, tuona Palombella, incassando una querela dell’amministratore delegato.
È la seconda volta che l’ad tenta e pensa di intimidirmi per delle critiche alla sua gestione e alle sue parole dette in audizione al Senato“, fa sapere il segretario della Uilm, assicurando che non arretrerà “di un millimetro nella difesa di tutti i lavoratori, dell’ambiente e del futuro produttivo di un asset strategico per il nostro Paese“.

Ex Ilva, Morselli: Trattativa c’è, Mittal vuole restare. Urso: Si cambia equipaggio

Mentre a Taranto gli imprenditori dell’indotto occupano e bloccano il ponte girevole paralizzando la città, a Palazzo Madama Lucia Morselli racconta di una ex Ilva che sembra irriconoscibile. “L’azienda è ancora viva, produce, ha gli impianti in efficienza e paga gli stipendi, anche ieri, anche questo mese”, scandisce l’ad di Acciaierie d’Italia in audizione in commissione Industria.

Il problema, sostiene, è solo di liquidità e i debiti sono molto meno di quelli emersi in queste settimane, non 3,1 miliardi, ma neanche 700 milioni. Questo perché la composizione negoziata non è del gruppo, è su una delle società del gruppo: “Il debito di cui si parla è in massima parte inter-company, verso la società capogruppo che finanzia le partecipate, questo vale circa un miliardo. In più c’è un miliardo di debito ‘fantasma’, che dovremmo pagare nel caso in cui dovessimo comprare gli impianti“, precisa. Il debito vero, sarebbe, di fatto “meno di 700 milioni per una società che fattura 3-4 miliardi”. Il piano industriale è stato approvato dal cda e copre fino al 2030: “E’ forte perché è stato approvato da entrambi i soci in assemblea, sia da Invitalia che da ArcelorMittal“, ricorda.

Lo scorso anno, il governo però è stato costretto a erogare un finanziamento in conto capitale da 680 milioni: “Sono andati tutti all’Eni e alla Snam, per pagare le bollette energetiche“, si giustifica Morselli. Anzi, precisa: “Sono andati tutti al signor Putin, neanche all’Eni e alla Snam, perché poi li avranno trasferiti a coloro da cui hanno comprato il gas. Sono il costo di una guerra“.

La trattativa con il governo è in corso e i termini sono quelli noti: trovare soluzioni alla compagine societaria. ArcelorMittal si dice pronta a cedere la maggioranza, portando a un cambio di governance: “Sono accordi presi da anni, si tratta di metterli a posto“, smorza l’ad. Arcelor vuole restare, “con atteggiamento disponibile a quello che il governo italiano desidera”, afferma. In queste ore il confronto tra Invitalia e la società è serrato, per capire se si possa evitare l’amministrazione straordinaria, ma lo Stato, assicura il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, non subentrerà a Mittal.

Per Morselli, la strada migliore è sempre e solo l’accordo. “La vita non si fa con i decreti, le aziende non si fanno con i decreti, si fanno con le persone, i decreti non hanno mai risolto problemi aziendali“, sostiene. Il decreto dell’esecutivo invece, denuncia, “cancella tutte le possibilità di gestione intermedia della crisi“, dando la possibilità di usarne una sola: l’amministrazione straordinaria.

La soluzione a tutti i problemi sarebbe per AdI acquistare gli impianti, che sono in affitto. La locazione scade a maggio, per questo nessuna banca sarebbe disposta a erogare finanziamenti, senza orizzonti di recuperabilità, né dal punto di vista della solidità né del tempo. Se l’azienda fosse proprietaria degli impianti, “diventerebbe normale – ribadisce l’ad -, io gestisco un altoforno che non è mio“. Come? Azzarda l’idea di una sorta di ‘mutuo’ da un miliardo: “Sono 5-6 anni che l’azienda gestisce gli impianti senza possederli, ora basta, il piano ambientale è finito“. Non esclude neanche la possibilità dell’ingresso di un altro socio: “Credo sia un’azienda che possa interessare a molti“.

I sindacati, intanto, vengono convocati di nuovo a palazzo Chigi lunedì 19 febbraio, alle 18.15. La posizione di Urso resta la stessa dell’ultima convocazione: se Mittal non investe su Taranto, nonostante gli utili miliardari, è “chiaro che occorre cambiare rotta ed equipaggio“.

Ex Ilva, Urso: “Senza altra soluzione, commissariamento pronto”. AdI in Senato il 13/2

Il confronto con gli azionisti dell’Ex Ilva è in corso e il commissariamento pronto. Ma Adolfo Urso promette che il rilancio produttivo, occupazionale e la riconversione ambientale del sito saranno garantiti.

Siamo in dirittura d’arrivo“, dice arrivato a Bruxelles per incontrare la vicepresidente esecutiva alla Concorrenza, Margethe Vestager, e il Commissario all’Industria e al Mercato unico, Thierry Breton. La procedura sull’amministrazione straordinaria, sostiene, è “largamente condivisa in Parlamento“. Sarebbe una strada percorribile se non si dovessero trovare altre soluzioni, dopo aver tutelato i crediti delle imprese dell’indotto. “Se nelle prossime ore non ci fosse una soluzione diversa, procederemo diritti verso la strada del commissariamento, cioè dell’amministrazione straordinaria“, ribadisce. Intanto, i crediti dell’indotto sono stati “salvaguardati” con un provvedimento che il ministro definisce “molto apprezzato sia dalle imprese sia dai sindacati“.

In mattinata, Urso informa la commissione Industria del Senato: in due decreti legge accorpati, il governo prevede lo stanziamento di 320 milioni di euro per dare continuità all’impianto, considerato strategico per l’indipendenza industriale del Paese. In commissione non c’è l’ad di Acciaierie, Lucia Morselli. Sulla convocazione di AdI si apre un giallo. L’azienda nega di essere mai stata contattata e in una nota conferma da subito la sua partecipazione “in caso la Commissione ritenga opportuna l’audizione della società“. Il presidente, Luca De Carlo, smentisce in un botta e risposta al vetriolo. La IX commissione ha provveduto a invitare la Presidenza all’audizione sui decreti Ilva, assicura. Contrariamente a quanto accaduto lo scorso anno, quando era presente l’amministratore delegato, fa sapere De Carlo, “la presidenza di Acciaierie d’Italia questa volta ha ritenuto, secondo una sua valutazione di opportunità, di non aderire alla convocazione, effettuata come da prassi”. Scelta, precisa, “verbalizzata nel corso della seduta dello scorso 30 gennaio”. Raccoglie quindi “con favore” la “rinnovata disponibilità” e, vista la delicatezza del tema, comunica di essere pronto ad audire il gruppo in commissione già martedì prossimo. In serata, arriva l’ok di Acciaierie a partecipare all’audizione del 13 febbraio.

La gestione della vicenda è “dilettantesca“, tuona il vicepresidente e coordinatore economico del M5s, Mario Turco. Ricorda che Taranto l’amministrazione straordinaria l’ha già provata “sulla sua pelle” e che il commissariamento “non è la soluzione”, ma un rinvio dei problemi. Resta l’incognita sul futuro della più grande acciaieria d’Europa: “Meloni e Urso devono dirci quale strada intendono intraprendere, cioè se è in cantiere un piano di profonda diversificazione e riconversione industriale del sito, oppure se si andrà avanti con le logiche produttive rivelatesi inefficaci e anti-economiche del passato basate sul carbone“, chiosa Turco. A Taranto, osserva, i problemi economici “non possono essere separati da quelli ambientali e sanitari”. Servirebbe cioè un accordo di programma all’interno di “un’articolata riconversione economica, sociale e culturale della città”. L’amministrazione straordinaria invece, deplora, “è proprio la quintessenza della deresponsabilizzazione”.