L’ultimo volo del bombo: a rischio estinzione 75% specie nei prossimi 40 anni

Oltre il 75% delle specie europee di bombi potrebbe essere minacciato nei prossimi 40-60 anni, a causa del degrado degli habitat e delle alterazioni del clima dovute all’attività umana. E’ quanto emerge da uno studio della Free University of Brussels, in Belgio, condotto da Guillaume Ghisbain e pubblicato questa settimana su Nature. I risultati sottolineano l’importanza delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici per proteggere i bombi.

Circa il 90% di tutte le piante selvatiche e la maggior parte delle piante coltivate beneficiano dell’impollinazione animale. Il bombo (Bombus) è un genere di api considerato particolarmente importante per l’impollinazione delle colture nelle regioni fredde e temperate dell’emisfero settentrionale. Le trasformazioni degli habitat naturali causate dall’uomo e l’aumento della temperatura sono i fattori chiave del collasso della fauna selvatica; la comprensione della traiettoria delle popolazioni di insetti è importante per elaborare iniziative di conservazione.

Guillaume Ghisbain e colleghi hanno quantificato l’idoneità ecologica passata, presente e futura dell’Europa per i bombi. I dati osservativi coprono i periodi 1901-1970 (passato) e 2000-2014 (“oggi”) e le proiezioni sono state fatte fino al 2080. Secondo le previsioni, circa il 38-76% delle specie europee di bombi attualmente considerate non minacciate vedrà ridursi il proprio territorio ecologicamente idoneo di almeno il 30% entro il 2061-2080. In particolare, le specie degli ambienti artici e alpini potrebbero essere sull’orlo dell’estinzione in Europa, con una perdita prevista di almeno il 90% del loro territorio nello stesso periodo. Gli autori riferiscono che alcune parti della Scandinavia possono potenzialmente diventare rifugi per le specie sfollate o minacciate, anche se non è chiaro se queste regioni possano essere influenzate dai cambiamenti indotti dalle attività umane.

Gli autori sottolineano che “sono necessari ulteriori lavori per comprendere gli effetti delle variazioni su scala più fine del clima e dei cambiamenti dell’habitat“. Tuttavia, i risultati attuali evidenziano “la necessità di misure e politiche di conservazione che attenuino l’impatto umano su ecosistemi importanti“.

Allerta stazioni sciistiche: in Europa il 50% a rischio per il riscaldamento globale

Circa la metà delle stazioni sciistiche di 28 Paesi europei sarà a rischio molto elevato di mancanza di neve in caso di riscaldamento globale di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali. E l’innevamento artificiale che ne conseguirà potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione. Lo rivela un’analisi pubblicata su Nature Climate Change. Secondo lo studio, il 53% e il 98% delle stazioni sciistiche sono esposte a un rischio molto elevato di insufficienza di neve rispettivamente per livelli di riscaldamento globale di 2 °C e 4 °C, con ampie variazioni regionali. L’Europa ospita circa il 50% delle stazioni sciistiche del mondo, che dipendono da una copertura nevosa affidabile e prevedibile, rendendole altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici.

Il documento fornisce un’analisi completa di 2.234 stazioni sciistiche in 28 Paesi europei per valutare i cambiamenti della copertura nevosa in caso di riscaldamento di 2 °C e di 4 °C. Per valutare il potenziale e gli impatti dell’innevamento artificiale, gli autori hanno quantificato l’effetto di diverse percentuali di stazioni sciistiche che utilizzano l’innevamento sulla copertura nevosa e sull’utilizzo delle risorse. Hanno scoperto che, ipotizzando che l’innevamento sia applicato al 50% dell’area di una località, la frazione di località a rischio si riduce in qualche misura; tuttavia, il 27% e il 71% delle località sarebbero comunque interessate da una sostanziale carenza di neve in presenza di un riscaldamento di 2 °C o 4 °C. Gli autori indicano che la creazione di neve artificiale aumenterà il fabbisogno di acqua ed elettricità e le emissioni di anidride carbonica per i resort dotati di questa tecnologia.

Gli autori sottolineano che queste previsioni sull’innevamento artificiale si basano su ipotesi semplificate, in particolare sulla copertura e sulla domanda di risorse dell’innevamento, e i loro risultati non devono essere considerati definitivi. Tuttavia, forniscono strumenti per tenere meglio conto degli impatti dei cambiamenti climatici sull’industria del turismo sciistico e forniscono approfondimenti sulle relazioni tra adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici per questo settore, compreso il potenziale di disadattamento.

Su Twitter aumentano i post degli scettici sul clima: 4 volte più veloci di quelli per la salvaguardia

Twitter è un social per gli scettici del clima. O, quantomeno, è quanto emerge dallo studio pubblicato su Nature Climate Change dall’Alan Turing Institute e redatto, fra gli altri, da esperti delle università italiane Ca’ Foscari di Venezia, La Sapienza di Roma e Università degli studi di Firenze. Nell’articolo si legge infatti che lo scetticismo sul clima sta crescendo quattro volte più velocemente dei contenuti a favore del clima su Twitter.

In un’analisi dei tweet dal 2014 al 2021 durante le conferenze annuali della Cop, i ricercatori hanno scoperto che i tweet degli scettici sui cambiamenti climatici sono stati condivisi 16 volte di più durante la Cop26 rispetto alla Cop21. Gli autori dello studio hanno scoperto che questo aumento dei tweet scettici sul clima online è stato alimentato dalla crescente “attività di destra” che si oppone all’azione per il clima. Lo studio ha mostrato che nel complesso, la polarizzazione su Twitter in relazione al clima è stata bassa durante la Cop21 fino alla Cop26 e ha identificato il 2019 come anno chiave in cui è cresciuto lo scetticismo climatico su Twitter. I ricercatori affermano che una possibile ragione dell’aumento negli ultimi anni potrebbe essere dovuta a un contraccolpo contro i gruppi di attivisti per il clima, come Extinction Rebellion e Just Stop Oil, che agiscono per attirare l’attenzione sulla crisi.

Agire in modo rapido ed efficace sulla crisi climatica si basa in gran parte su un ampio consenso e collaborazione internazionale. La crescita della polarizzazione online potrebbe rischiare una situazione di stallo politico se alimenta l’antagonismo nei confronti dell’azione per il clima. I responsabili politici dovrebbero considerare cosa sta causando esattamente questo aumento dello scetticismo online e trovare modi per affrontarlo”, spiega il professor Mark Girolami, chief scientist presso The Alan Turing Institute.

Gli autori affermano che i gruppi che si oppongono all’azione per il clima screditano i vertici organizzati dall’Onu accusandoli di ipocrisia. Ma hanno anche incredibilmente scoperto che gli scettici sul clima e i gruppi pro-clima condividono l’esposizione delle critiche sull’ipocrisia percepita su Twitter, in particolare sull’uso di jet privati. E ricerche precedenti hanno dimostrato che questo tipo di contenuto ha maggiori probabilità di diventare virale online.

Il significativo aumento dello scetticismo sul clima online è davvero preoccupante – commenta Andrea Baronchelli, autore principale del testo –. I social media possono fungere da camera dell’eco in cui le convinzioni esistenti delle persone vengono rafforzate. È davvero importante che le autorità di regolamentazione continuino a trovare modi per garantire che i contenuti condivisi online siano accurati”.