Allarme Wwf per la Giornata Mondiale degli Oceani: “Mediterraneo sempre più bollente, record nel 2023”

Triste primato per il Mar Mediterraneo, ormai vero e proprio hotspot del cambiamento climatico, riscaldato sempre più rapidamente e sempre più salato. A causa dell’assorbimento del calore in eccesso provocato dal surriscaldamento globale, gli oceani stanno subendo un costante aumento della temperatura sin dagli anni ’70.  Nel periodo 2011-2020 la temperatura ha subito un aumento medio dello 0,88°C rispetto al periodo 1850-1900. Le proiezioni indicano che questa tendenza continuerà. Nell’aprile 2023, infatti, la temperatura media della superficie del mare ha raggiunto un nuovo record di 21,1°C. I segnali dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo, tangibili e impressionanti, sono descritti nel nuovo report del Wwf ‘Il respiro degli oceani’ lanciato in vista della Giornata Mondiale degli Oceani che si celebra l’8 giugno in tutto il mondo. Si apre così la fase della campagna Our Nature del Wwf in difesa degli oceani che vedrà la GenerAzioneMare attiva per tutta l’estate con volontari, ricercatori, velisti, pescatori, sub e apneisti impegnati nella difesa collettiva del nostro Capitale Blu con un fitto calendario di eventi che verrà lanciato nei prossimi giorni.

Il cambiamento climatico ha già avuto impatti significativi e, in alcuni casi, irreversibili sugli ecosistemi marini in tutta la sua estensione, generando conseguenze rilevanti su settori economici cruciali come la pesca e il turismo, oltre che sulla nostra salute e alimentazione. L’impatto più rilevante è però sul ruolo chiave che hanno gli oceani per la termoregolazione del clima globale (con il sistema  di correnti oceaniche, noto come ‘Nastro Trasportatore’ o ‘Circolazione Termoalina’ che trasporta le acque calde dalle regioni tropicali verso le latitudini più elevate, dove si raffreddano, affondano e ritornano verso i tropici in un ciclo continuo), la produzione di ossigeno (50% dell’ossigeno generato sul nostro Pianeta, in gran parte attribuibile al fitoplancton marino) e l’assorbimento di anidride carbonica (ogni anno circa un quarto dell’anidride carbonica che viene emessa, corrispondente ad almeno il 30% di tutte le emissioni di CO₂ generate dalle attività umane in tutto il mondo). Sotto il peso degli effetti del cambiamento climatico globale il ‘respiro’ degli oceani è sempre più in affanno: è necessaria un’azione urgente per abbattere ulteriori emissioni di gas serra e per aumentare la resilienza dell’ecosistema marino agli impatti del cambiamento climatico, proteggendo la biodiversità.

Nel report vengono descritte 6 case history che riguardano il Mare Nostrum: tropicalizzazione del Mediterraneo orientale, aumento delle specie aliene invasive, proliferazione di meduse, perdita delle praterie di Posidonia oceanica, scomparsa delle gorgonie, mortalità di massa della Pinna nobilis. Eppure, è proprio nella difesa della biodiversità la nostra salvezza contro gli effetti del cambiamento climatico: le specie marine a tutti i livelli della catena alimentare contribuiscono allo stoccaggio naturale a lungo termine del ‘carbonio blu’, trasferendolo dalla superficie alle profondità oceaniche e ai sedimenti. Questo concetto è noto come “Fish carbon”, che rappresenta le interazioni del carbonio tra tutti i vertebrati marini che contribuiscono al sequestro del carbonio negli oceani, tra cui tartarughe, uccelli marini, mammiferi come balene e delfini e pesci come squali, tonni e sardine.

Le praterie di Posidonia, oltre a fungere da habitat essenziale per numerose specie marine, sequestrano circa 5.7 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Si stima che le praterie di Posidonia abbiano immagazzinato tra l’11% e il 42% delle emissioni totali di CO2 dei Paesi mediterranei dall’epoca della Rivoluzione Industriale. Il fitoplancton, nonostante la sua dimensione microscopica, sintetizza sostanze organiche e genera ossigeno attraverso la fotosintesi, contribuendo a produrre oltre il 50% dell’ossigeno terrestre e a catturare circa 37 miliardi di tonnellate di CO2, pari al 40% di quella prodotta. Questo valore equivale a quello di quattro foreste amazzoniche. Ogni balena può immagazzinare circa 33 tonnellate di CO2, una cifra sorprendente se confrontata con la modesta capacità di stoccaggio di carbonio di un albero medio, che si attesta a meno di 50 kg all’anno. Le specie di squali che effettuano migrazioni verticali e orizzontali, come le verdesche (Prionace glauca) e le mante, svolgono un ruolo fondamentale nel trasporto di nutrienti e nel controllo della produzione primaria del fitoplancton. Grazie alle sue migrazioni orizzontali e verticali, anche il tonno rosso contribuisce a fertilizzare il mare con i propri scarti, aumentando la biomassa del fitoplancton e quindi il sequestro di carbonio e la produzione di ossigeno.

Il Wwf indica nel report diverse soluzioni concrete per contrastare gli impatti del cambiamento climatico, a cominciare dall’abbattimento delle emissioni climalteranti e dalla transizione energetica. È indispensabile, inoltre, proteggere il prezioso scrigno di biodiversità nonché scudo contro il cambiamento climatico che è il Mar Mediterraneo, prima fra tutte la protezione efficace del 30% del suo spazio marittimo entro il 2030. Questo richiede l’istituzione di una rete efficace e coerente di Amp (Aree Marine Protette) e altre misure di protezione spaziale, di cui il 10% deve essere strettamente protetto. Questa sfida è particolarmente impegnativa considerando che attualmente solo l’8,33% del Mediterraneo è protetto, e meno del 2% è protetto in modo veramente efficace, mentre la superficie totale delle aree a protezione integrale rappresenta solo lo 0,04% del Mediterraneo.

Inoltre, proteggere i corridoi ecologici vitali per la sopravvivenza di numerose specie migratorie come le balene, favorire lo sviluppo di una pesca più sostenibile, e pianificare l’utilizzo dello spazio marittimo rispettando l’ecosistema marino, sotto la guida della Direttiva Europea. L’Italia purtroppo è ancora in procedura di infrazione per non avere implementato un piano di gestione dello spazio marittimo. Inoltre, mentre l’Unione Europea si impegna nella decarbonizzazione, l’Italia ha concesso deroghe per l’estrazione petrolifera e deve ancora definire le aree adatte per lo sviluppo delle energie rinnovabili offshore, evidenziando una carenza di prospettiva a lungo termine sia per l’ambiente che per gli aspetti socioeconomici correlati.

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Gli oceani stanno ‘bollendo’, scatta l’allarme degli scienziati Unesco

L’aumento vertiginoso delle temperature degli oceani sta allarmando gli scienziati, che chiedono maggiori ricerche sui cambiamenti in atto e temono effetti devastanti sul clima nel suo complesso. “I cambiamenti stanno avvenendo così rapidamente che non siamo in grado di monitorarne l’impatto“, ammette Vidar Helgesen, segretario esecutivo della Commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco, per il quale “affrontare il riscaldamento degli oceani è urgente. È necessario uno sforzo maggiore di osservazione e ricerca in tempo reale”, ha dichiarato in occasione della conferenza sul Decennio degli Oceani, che si è conclusa a Barcellona con la partecipazione di 1.500 scienziati e rappresentanti di governi e organizzazioni.

La temperatura degli oceani, che coprono il 70% della Terra e svolgono un ruolo chiave nella regolazione del clima globale, ha raggiunto un nuovo massimo storico a marzo, con una media di 21,07°C misurata in superficie, escludendo le aree vicine ai poli, secondo l’osservatorio europeo Copernicus. Questo surriscaldamento, che si è aggravato mese dopo mese nell’ultimo anno, minaccia la vita marina e porta a una maggiore umidità nell’atmosfera, sinonimo di condizioni meteorologiche più instabili, come venti violenti e piogge torrenziali.

Secondo gli esperti, dall’inizio dell’era industriale, gli oceani hanno assorbito il 90% del calore in eccesso causato dall’attività umana. Gli ambienti marini, che producono quasi la metà dell’ossigeno che respiriamo, hanno così permesso alla superficie terrestre di rimanere abitabile. “L’oceano ha una capacità termica maggiore dell’atmosfera; assorbe molto più calore, ma non può assorbirlo all’infinito”, avverte Cristina González Haro, ricercatrice dell’Istituto di Scienze Marine di Barcellona.

Secondo un importante studio pubblicato a gennaio, entro il 2023 gli oceani avranno ancora assorbito una quantità colossale di energia, sufficiente a far bollire “miliardi di piscine olimpioniche”. Uno dei principali obiettivi del Decennio degli oceani (2021-2030) è cercare di ampliare le nostre conoscenze sul riscaldamento globale e decifrarne le numerose implicazioni, nel tentativo di limitarlo. “Sappiamo ancora molto poco sugli oceani. Abbiamo mappato solo il 25% circa dei fondali marini del pianeta e, allo stesso tempo, dobbiamo mappare e monitorare dal vivo i cambiamenti che si stanno verificando a causa del cambiamento climatico”, sottolinea Helgesen.

Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (Wmo), un’agenzia delle Nazioni Unite, oltre il 90% degli oceani del mondo ha subito ondate di calore in qualche momento nel 2023, con un impatto diretto sul clima e sugli ecosistemi di tutto il pianeta, indipendentemente dalla distanza che li separa dal mare. “Siamo su una traiettoria che spinge gli scienziati a chiedersi se abbiamo sottovalutato il futuro riscaldamento globale”, avverte Jean-Pierre Gattuso a Barcellona, specialista del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (Cnrs).

Le difficoltà nell’attuazione dei principali accordi internazionali sull’ambiente, come l’Accordo di Parigi concluso nel 2015 nel tentativo di limitare il riscaldamento globale, non sono tuttavia motivo di ottimismo, secondo gli scienziati. “Molti di noi sono un po’ frustrati dal fatto che, nonostante le dimostrazioni scientifiche del cambiamento climatico e delle sue conseguenze, l’attuazione dell’Accordo di Parigi sia così lenta, così difficile, così dolorosa. Non fa ben sperare per il futuro”, si rammarica Gattuso.
I ricercatori sottolineano tuttavia alcuni segnali positivi, come l’adozione nel 2023 da parte degli Stati membri dell’Onu – dopo quindici anni di discussioni – di uno storico trattato per la protezione dell’alto mare. “Se potessi inviare un messaggio ai responsabili delle decisioni, ai presidenti, ai primi ministri o ai dirigenti d’azienda, credo che sarebbe: ‘Prendete un momento dalla vostra agenda piena di impegni e guardate negli occhi i vostri figli e nipoti'”, ha esortato Helgesen.

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Oceani mai così caldi: superati i 20°C. Scienziati in allarme

Martedì 1° agosto la temperatura media globale della superficie degli oceani ha raggiunto i 21 gradi (20,96 °C per la precisione). È la temperatura più alta mai misurata da quando esistono analisi accurate: il record precedente risaliva al 29 marzo 2016 con 20,95 °C, secondo il servizio sui cambiamenti climatici dell’Ue Copernicus. E gli scienziati lanciano l’allarme: gli oceani sono un regolatore climatico vitale, assorbono il calore, producono metà dell’ossigeno terrestre e guidano i modelli meteorologici. Le acque più calde hanno meno capacità di assorbire anidride carbonica, il che significa che più di quel gas che riscalda il pianeta rimarrà nell’atmosfera. Accelerando lo scioglimento dei ghiacciai che sfociano nell’oceano, portando a un ulteriore innalzamento del livello del mare. Inoltre, oceani più caldi e ondate di caldo disturbano le specie marine come pesci e balene costretti a spostarsi alla ricerca di acque più fresche, sconvolgendo la catena alimentare. Gli esperti avvertono che gli stock ittici potrebbero risentirne. Alcuni animali predatori, inclusi gli squali, possono diventare aggressivi man mano che si confondono con temperature più calde.

L’acqua sembra un bagno quando ci si tuffa”, afferma Kathryn Lesneski, che sta monitorando un’ondata di caldo marino nel Golfo del Messico per conto della National Oceanic and Atmospheric Administration. “C’è un diffuso sbiancamento dei coralli nelle barriere coralline poco profonde in Florida e molti coralli sono già morti“. “Stiamo sottoponendo gli oceani a uno stress maggiore di quanto abbiamo mai fatto in qualsiasi momento della storia“, afferma Matt Frost, del Plymouth Marine Lab nel Regno Unito, riferendosi al fatto che anche l’inquinamento e la pesca eccessiva modificano gli oceani. Gli scienziati sono preoccupati per l’accelerazione del riscaldamento degli oceani. Samantha Burgess, del Copernicus Climate Change Service, afferma che marzo dovrebbe essere il momento in cui gli oceani a livello globale sono più caldi, non agosto. “E’ preoccupante vedere che questo cambiamento sta avvenendo così rapidamente“, conferma Mike Burrows, che sta monitorando gli impatti sulle coste marine scozzesi con la Scottish Association for Marine Science.

Gli scienziati stanno indagando sul motivo per cui gli oceani sono così caldi in questo momento: una risposta è che il cambiamento climatico sta rendendo i mari più caldi poiché assorbono la maggior parte del riscaldamento dalle emissioni di gas serra.Più bruciamo combustibili fossili, più calore in eccesso verrà assorbito dagli oceani, il che significa che ci vorrà più tempo per stabilizzarli e riportarli al punto in cui si trovavano“, spiega Burgess. Il nuovo record di temperatura media batte quello stabilito nel 2016, quando la fluttuazione climatica naturale di El Niño era in pieno svolgimento e nella sua forma più potente. Il fenomeno si verifica quando l’acqua calda sale in superficie al largo della costa occidentale del Sud America, aumentando le temperature globali. Un altro El Niño è iniziato in questi mesi, ma gli scienziati ritengono sia ancora debole, il che significa che le temperature degli oceani dovrebbero aumentare ulteriormente al di sopra della media nei prossimi mesi.

I nostri oceani hanno premuto il pulsante rosso, hanno appena registrato la temperatura media giornaliera più calda della superficie del mare. I mari più caldi assorbono meno anidride carbonica e accelerano lo scioglimento dei ghiacci e le nostre vite dipendono da questo delicato equilibrio. Con una finestra ristretta per agire, il Green Deal europeo distribuisce le azioni di cui abbiamo bisogno“, ha scritto su twitter il commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius

Giornata degli Oceani, allarme Wwf: “Due terzi del mare aperto sono sotto assedio”

(Photocredit: Troy Mayne-WWF)

Il mare fuori, che ‘lontano dagli occhi’ occupa i territori oltre le 12 miglia dalla costa, è essenziale per la vita marina e di conseguenza per la nostra salute e benessere, ma due terzi (66,8%) del mare aperto italiano sono sotto assedio: traffico marittimo, pesca insostenibile, inquinamento tutto aggravato dagli impatti del cambiamento climatico che colpiscono fortemente tutto il Mediterraneo. In questo spazio vivono, si nutrono, si riproducono, o semplicemente lo attraversano nei loro spostamenti, le specie ‘pelagiche’, tra cui balenottere comuni, capodogli, globicefali, tursiopi, stenelle, foche monache ma anche tartarughe marine, squali, tonni, pesci spada e fuori dall’acqua uccelli come berte, sterne e uccelli delle tempeste. È urgente salvare questo spazio sconosciuto e ricchissimo di vita, ricco di paesaggi variegati con montagne sottomarine (circa 300 in tutto il Mediterraneo), fosse profonde che si inabissano fino a 5.000 metri di profondità e oltre 500 canyon sottomarini, dove la biomassa e l’abbondanza di specie possono essere da 2 a 15 volte superiori rispetto alle aree circostanti alle stesse profondità. L’allarme viene dall’ultimo report del Wwf Italia – ‘Sos Mare fuori. Minacce e soluzioni per la tutela del mare aperto’ – lanciato nella Giornata Mondiale degli Oceani e che inaugura anche la Campagna Wwf GenerAzione Mare , giunta alla sua settima edizione.

MARE SOTTO ASSEDIO. Il report del Wwf denuncia l’assedio crescente alle risorse del mare pelagico, dove alla biodiversità marina resta solo un 27% teoricamente libero dagli impatti diretti (ma non da quelli indiretti e cumulativi). Il 73% degli stock ittici vengono ancora pescati oltre i limiti sostenibili, più velocemente della capacità di riprodursi delle specie. Sebbene lo stock di tonno rosso del Mediterraneo e Atlantico orientale sia finalmente in via di recupero grazie a efficaci misure gestionali, permane la pratica completamente insostenibile delle gabbie di ingrasso dove, per far crescere 1 kg di tonno, servono 15 kg di piccoli pelagici, come acciughe e sardine, già sovrasfruttate. Il ‘mare fuori’ è un intreccio di autostrade percorse da navi sempre più numerose: nel Mediterraneo si concentra il 15% dell’attività marittima mondiale e il 20% del commercio marittimo globale con circa 200.000 navi all’anno. Un rischio crescente per le collisioni con i grandi cetacei.

UN MARE DI RIFIUTI. Il Mediterraneo è la sesta grande zona di accumulo dei rifiuti plastici al mondo e proprio in ambiente pelagico ci sono i peggiori accumuli: tra il corno della Corsica e l’isola di Capraia si accumulano rifiuti regolarmente per un gioco di correnti, una minaccia per il Santuario Pelagos dove si registrano i valori tra i più elevati di microplastiche al mondo. Colpa dei rifiuti ma anche degli attrezzi fantasma (reti e altri attrezzi da pesca abbandonati) che diventano anche trappole mortali per tartarughe, cetacei e squali. L’inquinamento è aggravato dal traffico petrolifero (17% di quello mondiale è nel Mediterraneo) e dalle attività di estrazione al largo: ogni anno tra le 50.000-100.000 tonnellate di prodotti petroliferi finiscono in mare ‘solo’ per gli sversamenti illegali.

IL DRAMMA CLIMATICO. Ad aggravare la condizione già compromessa ci sono gli effetti del cambiamento climatico che amplificano tutti gli altri effetti. Acidificazione, deossigenazione, innalzamento del livello del mare, aumento della frequenza e intensità dei fenomeni estremi rendono anche la biodiversità pelagica più vulnerabile. È stata registrata già una riduzione delle dimensioni del plancton e delle sue proprietà nutrizionali. Nel Golfo del Leone, secondo studi recenti, le sardine disperdono più energie per nutrirsi di plancton e questo a scapito della loro crescita: dalla metà degli anni 2000 la loro dimensione è passata da una media di 15 a 11 cm (da 30 a 10 grammi) con impatti negativi sugli equilibri biologici e l’economia dell’area. Infine, molti dei settori marittimi come l’installazione di parchi eolici off-shore, acquacoltura, trasporti e turismo di massa, sono tutti in espansione: il solo traffico marittimo è destinato ad aumentare del 4% all’anno fino al 2030. Tutte attività accomunate dall’occupazione di spazio che viene sottratto alla biodiversità marina con impatti cumulativi crescenti.

PROTEGGERE IL CAPITALE BLU. Il messaggio è proteggere il Capitale Blu e garantire i servizi ecosistemici del Mediterraneo, che generano, tra risorse ed attività, un valore annuo di 450 miliardi di dollari: uno dei mari economicamente più importanti al mondo. Per proteggere il ‘mare fuori’ occorre garantire uno spazio sufficiente per la biodiversità e una gestione sostenibile delle sue risorse, anche con la collaborazione tra istituzioni, paesi e organizzazioni. Ad oggi solo il 4,2% dell’intero spazio marittimo italiano è protetto, si arriva a un 5% se si considerano anche le misure di gestione spaziale della pesca come le Zone di Tutela Biologica e le Zone di Restrizione della Pesca (FRA). Nel report il Wwf chiede che l’Italia si attivi concretamente e con urgenza per tutelare il 30% di tutto lo spazio marittimo, con aree marine protette, siti natura 2000 ma anche misure di gestione della pesca efficaci. 10 le aree prioritarie per la protezione, nuova o rafforzata, del mare aperto identificate dal Wwf : Canale di Sicilia e Sud Adriatico, due macro-aree già riconosciute come Aree Ecologicamente e Biologicamente Significative dalla Convenzione sulla Diversità Biologica, ma anche Golfo di Taranto, Arcipelago Pontino, Canyon di Castelsardo, Canyon di Caprera, Arcipelago campano, Arcipelago toscano, Arcipelago eoliano e Santuario Pelagos. Ma per garantire che anche nel restante 70% del mare, le attività umane siano condotte nel rispetto degli ecosistemi marini, evitando ulteriori danni a un ambiente già degradato e minacciato sarà cruciale anche la capacità del nostro paese di pianificare e gestire tutto il suo spazio marittimo, un’area di 537.733 km2 . Per farlo, l’Italia deve implementare senza ulteriori ritardi i piani di gestione dello spazio marittimo, le cui bozze secondo l’analisi del Wwf, ancora non soddisfano criteri chiave, come l’identificazione delle aree per il 30×30 e per le rinnovabili offshore, e la gestione degli impatti del cambiamento climatico.

LE SOLUZIONI. Nel report il Wwf elenca le soluzioni, tra cui la protezione del 30% del mare con una rete efficace di aree marine protette e altre misure di protezione spaziale (OECM) in ottemperanza alla nuova Strategia Europea sulla Biodiversità al 2030. Nuove aree protette nelle acque offshore, efficacemente gestite, come richiesto dalla Politica Comune sulla Pesca dell’Ue e dalla Commissione Generale per la Gestione della Pesca in Mediterraneo (CGPM .

Ma servono anche interventi efficaci sullo stock del tonno rosso e del pesce spada: abbandonare la pratica delle gabbie di ingrasso per il primo, e chiudere la pesca dello spada in autunno per ridurre le catture di giovanili sotto-taglia, incrementando i controlli sulla filiera per porre fine alla commercializzazione degli spadini, Essenziale per il “mare fuori” è anche la protezione dei ‘blue corridors’, corridoi ecologici cruciali per i cetacei, come il corridoio delle Baleari, già riconosciuto come Area Specialmente Protetta di Importanza Comunitaria (ASPIM) Importante lo sforzo di ampliamento in corso dal 2021 per l’istituzione della Particularly Sensitive Sea Area (PSSA) , nel Mediterraneo nord-occidentale che collegherà il Corridoio delle Baleari al Santuario Pelagos, e per la quale il Wwf chiede la riduzione obbligatoria della velocità delle navi a 10 nodi e l’applicazione di tecniche di rilevamento, per ridurre al minimo il rischio di collisioni tra navi e grandi cetacei.

La Pianificazione dello Spazio marittimo, che l’Europa ci chiede di impostare attraverso una apposita Direttiva Europea è lo strumento attraverso il quale pianificare in maniera integrata ed ecosistemica gli obiettivi di tutela dell’ambiente marino e delle sue risorse, garantendo contemporaneamente un’economia blu veramente sostenibile. Ma per una sua implementazione efficace il Wwf chiede una maggiore collaborazione e sinergia tra tutte le istituzioni, dal Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica, al Ministero per l’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Ministero degli Affari Esteri, e, soprattutto, una maggiore cooperazione con la società civile.

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Miniere sottomarine, c’è tensione dopo l’ultimo negoziato: le Ong sono preoccupate

Sempre più Paesi chiedono regole ambientali severe prima di procedere all’estrazione dai fondali marini, ma dopo i nuovi negoziati sulla controversa questione, le Ong temono ancora un via libera per l’avvio di un’industria vituperata. “La prima cosa da sottolineare è che l’atmosfera politica è cambiata radicalmente rispetto a un anno fa, quando nessuno Stato si era alzato e aveva detto no all’attività estrattiva”, ha dichiarato Emma Wilson del gruppo Ong Deep Sea Conservation Coalition. In vista dell’ultimo giorno di riunione del Consiglio dell’Autorità Internazionale dei Fondali marini, l’attivista è “molto preoccupata: “c’è ancora il rischio di una richiesta di contratto nel corso dell’anno”.

L’Isa e i suoi 167 Stati membri sono responsabili della protezione e del potenziale sfruttamento dei fondali marini al di fuori delle giurisdizioni nazionali, “patrimonio comune dell’umanità”. L’autorità con sede in Giamaica ha finora assegnato contratti di esplorazione solo a centri di ricerca e aziende in aree ben definite di potenziale ricchezza mineraria. Lo sfruttamento industriale di nichel, cobalto o rame non dovrebbe iniziare prima dell’adozione di un codice minerario in discussione da quasi dieci anni. Le discussioni sono proseguite in seno al Consiglio dell’Iamf, che si è riunito il 16 marzo e continuerà fino a oggi.

Da anni le Ong e gli scienziati segnalano la minaccia di danni inestimabili agli ecosistemi delle profondità marine, ancora poco conosciuti. E sempre più Stati esprimono questa preoccupazione: Canada, Australia, Belgio e altri hanno insistito a Kingston sul fatto che lo sfruttamento non può iniziare senza regole severe. “Il Brasile ritiene che le migliori conoscenze scientifiche disponibili siano insufficienti per approvare qualsiasi progetto di estrazione in acque profonde”, ha insistito l’ambasciatore Elza Moreira Marcelino de Castro. L’ambasciatrice non si è spinta fino a parlare di “moratoria” o “pausa” sullo sfruttamento, una posizione difesa da 14 Paesi, tra cui Francia, Germania, Cile e Vanuatu. “L’estrazione sottomarina non solo danneggerebbe i fondali marini, ma avrebbe anche un impatto più ampio sulle popolazioni ittiche, sui mammiferi marini e sull’essenziale ruolo di regolazione climatica degli ecosistemi di profondità”, ha dichiarato il rappresentante di Vanuatu Sylvain Kalsakau. “Incoraggiamo i nostri vicini del Pacifico che hanno espresso interesse per l’estrazione sottomarina ad allontanarsi dal precipizio”, ha dichiarato.

Questo è un chiaro messaggio per Nauru, che ha messo i bastoni tra le ruote facendo scattare una clausola nell’estate del 2021 che le consente di chiedere l’adozione del codice minerario entro due anni. In caso contrario, il piccolo Stato insulare potrebbe richiedere un contratto minerario per Nori (Nauru Ocean Resources), una filiale della canadese The Metals Company di cui è sponsor, quando tale periodo scadrà il 9 luglio, prima della prossima riunione del Consiglio Iamf di luglio. Ma senza un codice minerario, il Consiglio è attualmente diviso sul processo di revisione di una richiesta di contratto minerario e rischia di dividersi venerdì sera senza un accordo, secondo gli osservatori, che denunciano questa “incertezza”.

Tra i 36 membri dell’organo esecutivo della Iamf, quelli più ostili all’estrazione vogliono regole che rendano più difficile l’approvazione del contratto. Al contrario, il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre ha dichiarato alla stampa che lo sfruttamento minerario sottomarino non può avvenire “a spese della biodiversità”. Sebbene il rappresentante di Nauru abbia ripetuto che il suo Paese avrebbe aspettato la sessione di luglio prima di presentare una domanda, gli osservatori dubitano che il codice minerario sarà completato per allora. “Sembra che non sia possibile rispettare la scadenza”, ha dichiarato Pradeep Singh, sottolineando le “numerose questioni controverse”.

Ma i sostenitori degli oceani non perdono la speranza. “Lo slancio rimane buono”, ha detto François Chartier di Greenpeace. Facendo leva sulla storica approvazione, all’inizio di marzo, del primo trattato per la protezione delle acque d’altura, spera che gli Stati siano coerenti con questa ambizione in occasione dell’Iamf. E che l’Assemblea dei 167 membri, “più legittima”, possa affrontare la questione della moratoria a luglio.

Jason Momoa

Jason Momoa nominato inviato speciale Onu per gli Oceani

Jason Momoa, che al cinema interpreta il supereroe Aquaman, ha invitato all’azione a favore della conservazione delle risorse marine, perché “gli oceani hanno bisogno di noi“. L’attore si trova a Lisbona, in Portogallo, dove si svolge la conferenza dell’Onu sulla difesa degli oceani e dove è stato investito del ruolo di ‘Special Envoy of the Ocean’ per il suo impegno.

Dobbiamo cercare di riparare ai torti che abbiamo causato“, perché “senza un oceano sano, il nostro pianeta come lo conosciamo non esisterebbe“, ha ricordato Momoa parlando di fronte a un centinaio di giovani provenienti da tutto il mondo per discutere le azioni da intraprendere per amplificare e accelerare l’azione delle nuove generazioni a favore degli oceani.

Jason Momoa, divenuto famoso grazie al suo ruolo di supereroe dei mari, ha preso parte alla sessione di chiusura del forum della gioventù e dell’innovazione, che si è tenuta domenica sulla spiaggia di Carcavelos, a una ventina di chilometri da Lisbona.

All’attore e a un centinaio di giovani delegati da tutto il mondo si sono aggiunti poco dopo il presidente portoghese, Marcelo Rebelo de Sousa, e il segretario generale delle Nazioni Unite, il portoghese Antonio Guterres, che hanno condannato la lentezza delle decisioni politiche per preservare gli oceani.

Non è la prima volta che l’attore si schiera a favore dell’ambiente. Nato a Honolulu, alle Hawaii, da tempi si mette a disposizione delle grandi battaglie ecologiste, da quelle contro l’uso di plastiche monouso alla sostenibilità dei packaging.

(Photo credits: CARLOS COSTA / AFP)

omc

Omc, accordo su sicurezza alimentare e protezione oceani

Passi “importanti”, a tratti “epocali”. È quello che emerge dalla dodicesima conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), svoltasi per la prima volta dopo cinque anni, a causa di due rinvii determinati dalle restrizioni per la pandemia COVID-19. Sicurezza alimentare e tutela dell’ambiente, con un occhio di riguardo alla protezione degli oceani, sono stati al centro dell’impegno dei 164 membri dell’organizzazione e della dichiarazione congiunta firmata il 17 giugno.

Considerate le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina – e soprattutto del blocco delle esportazioni di grano dai porti del Mar Nero – tutti i membri dell’OMC si sono impegnati a evitare restrizioni “ingiustificate” alle esportazioni di prodotti alimentari e a “migliorare la trasparenza” nel caso in cui tali limitazioni dovessero verificarsi. A completare un documento storico per l’organizzazione, è stata decisa anche la “completa esenzione dalle restrizioni all’esportazione degli acquisti umanitari” per il Programma alimentare mondiale. “L’accordo su questo pacchetto dimostra che l’OMC è pronta a reagire alle circostanze eccezionali che molti membri si trovano ad affrontare alla luce della riduzione dell’offerta sui mercati mondiali”, sottolinea in una nota la Commissione Europea, che per voce del suo commissario per l’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, ricorda come la dichiarazione rappresenti “un messaggio forte per il mondo”. Se nel contesto delle “crescenti tensioni commerciali globali e di crisi della sicurezza alimentare” il risultato generale è “positivo”, da Bruxelles si leva però qualche critica sul mancato superamento delle “divergenze su un programma di lavoro per l’agricoltura”, per cui serve un obiettivo “realistico, mirato ed equilibrato”.

Tra le decisioni storiche siglate dai membri dell’OMC non va dimenticato l’accordo multilaterale per la protezione degli oceani. Si tratta del primo divieto di sovvenzioni che contribuiscono alla pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata, secondo quanto delineato dell’obiettivo di sviluppo sostenibile 14.6 delle Nazioni Unite. L’accordo include anche il “divieto assoluto” di sussidi per la pesca in alto mare non regolamentata e, come terza misura, regole di sostenibilità per i sussidi agli stock sovrasfruttati nella fase iniziale dell’accordo, che potrà contare su un fondo fiduciario per fornire assistenza tecnica ai Paesi in via di sviluppo. “È un passo avanti verso una gestione più sostenibile delle nostre popolazioni ittiche globali”, ha commentato da Bruxelles il commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, Virginijus Sinkevičius: “Una decisione epocale” per le aree più vulnerabili, prive di un regime di gestione della pesca “consolidato e coordinato”. Allo stesso tempo, il commissario Sinkevičius ha esortato tutte le parti a “continuare a impegnarsi per combattere i sussidi illegali alla pesca e per sostenere le nostre comunità costiere”, completando l’accordo “il prima possibile” con gli elementi non ancora concordati.