Fontana: “Giochi 2026, fra sostenibilità ambientale ed economica”

Il conto alla rovescia per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina è ormai partito. Mancano quattro anni alla fatidica data e la Lombardia si prepara a ospitare atleti, appassionati e turisti in quelli che saranno i giochi più ‘green’ di sempre. Già, perché proprio la sostenibilità, ambientale e non solo, è stata uno dei motivi per il quali il Comitato Olimpico ha scelto proprio i territori italiani come venue per il grande evento sportivo. O, almeno, ne è convinto il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana. “Credo che il CIO, dopo le esperienze vissute nelle precedenti Olimpiadi durante le quali si realizzarono opere enormi che però rimasero poi come cattedrali nel deserto e in alcuni casi crearono anche dei problemi ai paesi che avevano ospitato i Giochi, ha deciso di valutare i vari dossier partendo dal presupposto che si privilegiavano quelli nei quali non si fossero realizzate opere eccessive. Questa è stata la nostra peculiarità: la scelta di distribuire l’organizzazione in due regioni, poi si è aggiunta la terza, il Trentino Alto Adige, e individuare siti nei quali già ci fossero le grandi opere necessarie per lo svolgimento delle gare”, spiega in un’intervista a GEA. E da questi presupposti la Lombardia è partita: “Abbiamo pensato di immaginare questi Giochi in modo che siano assolutamente sostenibili, che non vadano a realizzare opere inutili, che non vadano a sprecare ulteriore territorio, che rispettino il più possibile i valori della sostenibilità che ormai sono diventati parte di una cultura generale alla quale tutto lo sviluppo europeo fa riferimento”.

In effetti, in Lombardia saranno realizzate solo due opere totalmente nuove. “Si tratta – dettaglia Fontana – del Pala Santa Giulia (he ospiterà le gare di hockey a Milano, ndr), la cui costruzione da parte di privati era già prevista in un accordo di sviluppo urbano, e poi del Villaggio Olimpico, che però ha già una destinazione d’uso post Olimpiadi: servirà come studentato per gli universitari appena finiti i Giochi”. Per il resto, spiega il governatore della Lombardia, “si tratta di tutti impianti esistenti, funzionanti e che abbisogneranno forse soltanto di un po’ di maquillage per renderli più moderni e attrattivi, ma non ci saranno assolutamente opere che rischino poi di rimanere inutilizzate e di decadere, di non avere un utilizzo”.

Ma in un’edizione delle Olimpiadi che coinvolge territori e regioni diverse, è impossibile non pensare ai collegamenti fra gli impianti di gara e a quel che si dovrà fare per migliorarli e implementarli. Tutte opere, però, che secondo Fontana “servono al territorio per il miglioramento della viabilità, delle linee ferroviarie. A prescindere dalle Olimpiadi sarebbero state comunque realizzate. I Giochi hanno portato a una accelerazione di opere che erano già previste nei progetti di sviluppo dei nostri territori”. E, anche se progetti come la ‘tangenzialina’ di Bormio) e la variante di Sondrio fanno storcere il naso agli ambientalisti, il presidente della Regione precisa che sono progetti che erano già previsti da prima e che “non bisogna mai esasperare né un concetto né l’altro. Bisogna cercare di trovare un equilibrio che consenta di rispettare i valori della sostenibilità ambientale ma anche quelli della sostenibilità economica. I territori hanno bisogno di migliorare per poter essere più attrattivi e dare servizi ai cittadini. Un equilibrio lo si deve sempre trovare. Credo che nel nostro dossier questo equilibrio si sia raggiunto”.

Nel trovare questo equilibrio, qualche ritardo si è accumulato. Fontana lo addebita alla decisione del Governo di costituire una società ad hoc per la realizzazione delle opere che è partita solo a novembre dello scorso anno. Ma è “confidente nel fatto che l’amministratore delegato che riveste anche la carica di commissario saprà recuperare questi piccoli ritardi”. I ritardi che invece ‘piacciono’ al governatore sono quelli sul nuovo stadio di Milano, considerando che a San Siro si svolgerà la cerimonia di apertura dei Giochi e che, se fosse abbandonato da Milan e Inter prima delle Olimpiadi, bisognerebbe tenere viva la location fino al 2026. “Ma se c’è qualche ritardo nella realizzazione di alcune opere infrastrutturali, credo che realizzare il nuovo San Siro abbia qualche ritardo in più. Per cui non penso che lo stadio da qua a quell’epoca sia già stato abbandonato. Da quello che posso leggere si stanno prendendo delle decisioni adesso ,ma per realizzare una grande struttura credo che ci voglia almeno lo stesso numero di anni. Quindi nel 2026 credo che San Siro sarà sicuramente in piedi, efficiente, funzionante e lì si potrà svolgere la cerimonia inaugurale. Ma anche se il nuovo stadio venisse realizzato, i tempi sarebbero lunghi quindi non lo vedo come un problema”.

Quando si parla di grandi eventi come i giochi olimpici, impossibile non riflettere sull’eredità che lasciano a un territorio. “Le Olimpiadi non sono i 20 giorni in cui si svolgono le gare, ma sono tutti i lavori di preparazione, che servono per promuovere il territorio. Poi quei 20 giorni sono la vetrina migliore per farlo conoscere. Sono convinto che i turisti continueranno a venire e altri se ne aggiungeranno. È chiaro che da questo punto di vista questa sarà la principale eredità. Poi penso alla creazione di posti di lavoro che nasceranno ora e rimarranno negli anni. Infine, le opere: quelle resteranno, e saranno utili per la comunità”.

(Photo credits: Philippe LOPEZ / AFP)

Quando la città è ‘miniera’ di materiali. L’esempio del grattacielo Mi.C

Da oltre una decina di anni nel mondo ha preso piede la filosofia dell’Urban mining, la strategia di riutilizzo dei materiali ‘conservati’ nelle città come materie prime seconde. Causa innalzamento dei prezzi e carenza di materie prime, questa soluzione, che sta alla base dello stesso concetto di economia circolare, è guardata con sempre più interesse. Ne sono la riprova le decine di corsi universitari attivati nei principali atenei italiani e il recente progetto del Mi.C, Milano Centrale district, che vedrà la luce all’alba del 2026, in tempo per le le Olimpiadi invernali Milano-Cortina.

IL NUOVO VOLTO DEL FIANCO SINISTRO DELLA STAZIONE CENTRALE

Il progetto comprende il rifacimento di piazza Luigi di Savoia a fianco della stazione centrale con il completo recupero dell’ex hotel Michelangelo, ora chiuso, che negli ultimi due anni ha accolto pazienti affetti da Covid. Al posto dell’albergo sorgerà un grattacielo di uffici alto 94 metri per 22 piani, più quattro interrati, capace di ospitare duemila persone, con 900 metri quadri di area verde, 65 nuovi alberi, 108 posti auto interrati, per un costo complessivo di 90 milioni di euro. Il tutto è realizzato dal gruppo immobiliare Finleonardo, mentre il progetto è dello Studio Park associati. Secondo il project manager di Finleonardo, Diego Imperiale, l’edificio – che è stato il simbolo del periodo più drammatico della pandemia a Milano – sarà sostituito dal “simbolo della rinascita della città. La nuova Torre Mi.C sarà una struttura all’avanguardia, di ultima generazione, green, sostenibile, perfettamente inserita nel contesto urbano, in linea con gli obiettivi di conversione ecologica e di risparmio energetico italiani ed europei, e collegata a un progetto di riqualificazione di un’area che è una delle porte di accesso della città”.

LA CERTIFICAZIONE E IL RECUPERO DI TUTTI I MATERIALI

L’aspetto interessante di questo progetto, racconta Imperiale, è proprio l’applicazione del concetto di Urban mining. “La torre – spiega – ha due livelli di sostenibilità. Uno è appunto l’Urban mining: andremo infatti a recuperare tutti i materiali del vecchio hotel Michelangelo, dal calcestruzzo, al vetro, alla plastica e al legno”. Trovandosi praticamente al centro della città. il palazzo non poteva essere abbattuto. ad esempio con una demolizione controllata, così i progettisti procederanno con una decostruzione. “Il calcestruzzo e gli altri materiali – prosegue Imperiale – saranno portati a terra, frantumati, certificati e poi riutilizzati per la costruzione della nuova torre”. Insomma, nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, evitando così di conferire materiale in discarica e di ricorrere a materie prime che a ben guardare in città ci sono già: sono in palazzi dismessi o in rifiuti tecnologici.

L’Urban mining è infatti applicato anche ai Raee, i rifiuti tecnologici composti da vecchi televisori, cellulari o elettrodomestici. All’interno di questi prodotti si nasconde infatti una miniera d’oro di rame, metalli preziosi o altri elementi che possono essere recuperati.

Il secondo livello di sostenibilità della torre Mi.C – prosegue Imperiale – è poi rappresentato dai sistemi energetici di cui sarà dotato il palazzo, come il fotovoltaico che sarà applicato sul tetto, mentre si sta ancora valutando se installarlo anche sulle facciate più esposte all’irraggiamento. Inoltre, lavoreremo con acqua di falda e utilizzeremo pozzi interrati. In più, l’interno dell’edificio avrà un bioclima e spazi verdi. Nell’intero progetto è previsto un giardino di 900 metri quadri aperto alla cittadinanza”. Il palazzo, come detto, ospiterà uffici, ma sarà anche aperto al pubblico con spazi di smart working e con un auditorium al piano interrato.

IL PROBLEMA DEI RIFIUTI EDILI

Riciclare i rifiuti edili contribuisce in modo importante a ridurre l’eccessiva impronta ecologica dell’uomo, soprattutto nelle città. Le costruzioni rappresentano in effetti un settore fondamentale per l’economia circolare, perché le attività legate all’edilizia e al genio civile sono quelle che generano la maggior quantità di rifiuti. Ogni anno, infatti, vengono prodotte milioni di tonnellate di materiali di demolizione e di questi solo una minima parte viene riciclata.
Uno dei Paesi più all’avanguardia in tema di recupero di materiali è la Svizzera. Nell’impianto di incenerimento dei rifiuti di Hinwil nel Canton Zurigo infatti ogni anno vengono recuperate 10.000 tonnellate di ferro, 4.500 tonnellate di altri metalli non nobili e 1–1,6 tonnellate di metalli nobili come oro e palladio. Qui il cantone ha installato il primo impianto al mondo in grado di recuperare altri metalli oltre al ferro.
In aggiunta ai rifiuti solidi domestici, si recuperano i materiali di risulta dell’edilizia, come calcestruzzo, mattoni, ferro, rivestimenti in rame o tubi di plastica, derivanti dalla demolizione di un edificio, che altrimenti finirebbero in discarica. Durante i lavori di smantellamento, le ditte incaricate provvedono a sminuzzare, lavare e raggruppare in base alla grandezza le rocce risultanti dalla demolizione per dare loro una nuova funzione come calcestruzzo riciclato.