Trovati Pfas nel latte materno e nella placenta: neonati a rischio

I Pfas, considerati gli inquinanti eterni, sono in grado di passare dalla madre al figlio attraverso il cordone ombelicale e il latte. Lo rivela uno studio pubblicato su Eco-Environment & Health, che ha analizzato le implicazioni per la salute dell’esposizione alle sostanze polifluoroalchiliche (i Pfas) nei neonati, studiando il loro trasferimento attraverso la placenta e il latte materno. Questo studio segna un significativo passo avanti nella comprensione degli inquinanti ambientali e del loro impatto sulle popolazioni più vulnerabili.

I Pfas sono una classe di sostanze chimiche ampiamente utilizzate nella produzione di beni di consumo grazie alle loro proprietà idrofobiche e oleofobiche e alla loro stabilità. Tuttavia, la loro persistenza nell’ambiente e il bioaccumulo negli organismi viventi hanno suscitato preoccupazioni per i potenziali effetti sulla salute.
Trovate nel cordone ombelicale e nel latte materno, queste sostanze chimiche sintetiche comportano potenziali rischi per la salute dei neonati. Guidato da un gruppo di ricercatori della School of Public Health della Fudan University, il team di ricerca ha analizzato meticolosamente i meccanismi di trasferimento e gli impatti di queste sostanze chimiche persistenti, fornendo indicazioni cruciali sulla loro presenza pervasiva dalla gravidanza all’allattamento.

Yaqi Xu, autrice principale dello studio, spiega che “i nostri risultati sono fondamentali per sviluppare strategie di protezione dei neonati dagli effetti potenzialmente dannosi dell’esposizione ai Pfas. La comprensione dei percorsi e dei rischi associati a queste sostanze chimiche può portare a migliori politiche di regolamentazione e a misure di protezione per i più suscettibili tra noi”.

Le implicazioni di questa ricerca sono profonde, in particolare per le politiche di salute pubblica e la sicurezza dei bambini. Identificando i composti Pfas specifici che hanno maggiori probabilità di trasferirsi attraverso la placenta e nel latte materno, le misure preventive possono essere più efficacemente mirate. Inoltre, i risultati dello studio potrebbero influenzare le future linee guida sull’uso di prodotti contenenti Pfas da parte di donne in gravidanza e madri che allattano.

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“Acque europee contaminate da sostanze chimiche pericolose”. Allarme degli ambientalisti

Le acque europee sono massicciamente contaminate da una sostanza chimica molto persistente, l‘acido trifluoroacetico (TFA). A lanciare l’allarme sono alcune associazioni, che denunciano “la più grande contaminazione conosciuta delle acque su scala europea da parte di una sostanza chimica prodotta dall’uomo”.

La Rete europea di azione sui pesticidi (PAN Europe) e i suoi membri, tra cui Générations Futures in Francia, hanno analizzato 23 campioni di acque superficiali e sei campioni di acque sotterranee di dieci Paesi dell’Ue alla ricerca di questo prodotto. Il prodotto deriva dalla degradazione dei PFAS, soprannominati “inquinanti eterni”, ma è anche utilizzato come materiale di partenza per la produzione di alcuni di questi. Di conseguenza, “la portata della contaminazione è allarmante e richiede un’azione decisiva”, scrivono le associazioni in un rapporto pubblicato lunedì.

Questi TFA possono provenire dalla degradazione dei pesticidi PFAS, utilizzati in agricoltura per la loro stabilità, ma anche da alcuni gas refrigeranti o dai rifiuti dell’industria manifatturiera dei PFAS, ampiamente utilizzati, ad esempio, per i rivestimenti antiaderenti delle padelle, le schiume antincendio o i cosmetici.

L’analisi, condotta dal Centro di tecnologia idrica di Karlsruhe, ha rivelato la presenza di TFA “in tutti i campioni d’acqua”, con concentrazioni che vanno da 370 nanogrammi per litro (ng/l) a 3.300 ng/l. Queste concentrazioni sono significative in fiumi come l’Elba in Germania, la Senna, l’Oise e la Somme in Francia e la Mehaigne in Belgio. Il rapporto rileva che “il 79% dei campioni mostrava livelli di TFA superiori al limite di 500 ng/l proposto dalla direttiva europea sull’acqua potabile per tutti i PFAS”.

Tuttavia, il TFA non è attualmente regolamentato in modo specifico: è classificato come “irrilevante” dalle autorità europee e quindi sfugge alla soglia limite (100 ng/litro) per alcuni pesticidi e prodotti derivati dalla loro degradazione nelle acque sotterranee. Una decisione che le associazioni deplorano, sottolineando la sua persistenza nell’ambiente, l’impossibilità di eliminarlo con i consueti processi di trattamento dell’acqua potabile e un “profilo tossicologico (che) lascia ancora molte domande senza risposta”. A questo proposito, citano uno studio che ha concluso che si sono verificate “malformazioni oculari” in conigli “che avevano ricevuto TFA”, ma non sono ancora state raggiunte conclusioni nell’uomo. “L’inquinamento aumenterà di giorno in giorno se non verranno adottate misure decisive per ridurre l’immissione di TFA, a partire da un rapido divieto dei pesticidi PFAS e dei gas fluorurati”, si legge nel rapporto.

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Arriva il sensore rapido ed economico per rilevare i Pfas nell’acqua

I chimici del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno progettato un sensore in grado di rilevare minime quantità di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche (PFAS), sostanze chimiche presenti negli imballaggi degli alimenti, nelle pentole antiaderenti e in molti altri prodotti di consumo. Questi composti, che durano “per sempre” perché non si decompongono naturalmente, sono stati collegati a una serie di effetti nocivi sulla salute, tra cui cancro, problemi riproduttivi e alterazione del sistema immunitario ed endocrino.

Utilizzando la nuova tecnologia dei sensori, i ricercatori hanno dimostrato di poter rilevare livelli di PFAS fino a 200 parti per trilione in un campione d’acqua. Il dispositivo progettato potrebbe offrire ai consumatori un modo per testare l’acqua potabile e potrebbe anche essere utile nelle industrie che fanno largo uso di queste sostanze chimiche, tra cui la produzione di semiconduttori e di attrezzature antincendio.

I rivestimenti contenenti sostanze chimiche PFAS sono utilizzati in migliaia di prodotti di consumo, come le pentole antiaderenti, gli indumenti idrorepellenti, tessuti antimacchia, cartoni della pizza resistenti al grasso, cosmetici e schiume antincendio. Queste sostanze chimiche fluorurate, il cui uso è diffuso dagli anni ’50, possono essere rilasciate nell’acqua, nell’aria e nel suolo da fabbriche, impianti di trattamento delle acque reflue e discariche. Sono stati trovati in fonti di acqua potabile in tutti gli Stati degli Usa.

Nel 2023, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente ha creato un “limite sanitario consigliato” per due delle sostanze chimiche PFAS più pericolose, note come acido perfluoroottanoico (PFOA) e perfluoroottile sulfonato (PFOS). Questi avvisi prevedono un limite di 0,004 parti per trilione per il PFOA e di 0,02 parti per trilione per il PFOS nell’acqua potabile.

Attualmente, l’unico modo per determinare se l’acqua potabile contiene PFAS è inviare un campione d’acqua a un laboratorio che esegue test di spettrometria di massa. Tuttavia, questo processo richiede diverse settimane e costa centinaia di dollari. Per creare un modo più economico e veloce di testare i PFAS, il team del MIT ha progettato un sensore basato sulla tecnologia del flusso laterale, lo stesso approccio utilizzato per i test rapidi Covid-19 e per quelli di gravidanza. Invece di una striscia di test rivestita di anticorpi, il nuovo sensore è incorporato con uno speciale polimero noto come polianilina, che può passare dallo stato semiconduttore a quello conduttore quando vengono aggiunti protoni al materiale.

La versione attuale del sensore può rilevare concentrazioni fino a 200 parti per trilione per il PFBA e 400 parti per trilione per il PFOA. Questo valore non è abbastanza basso da soddisfare le attuali linee guida dell’EPA, ma il sensore utilizza solo una frazione di millilitro di acqua. I ricercatori stanno ora lavorando a un dispositivo su scala più ampia, in grado di filtrare circa un litro d’acqua attraverso una membrana di polianilina, e ritengono che questo approccio dovrebbe aumentare la sensibilità di oltre cento volte. Un dispositivo del genere potrebbe offrire un’alternativa rapida e meno costosa agli attuali metodi di rilevamento dei PFAS.

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Inquinanti eterni in frutta e verdura: +220% Pfas in 10 anni nei vegetali europei

La presenza di pesticidi contenenti Pfas (i cosiddetti ‘inquinanti eterni’) è esplosa tra il 2011 e il 2021 nei vegetali consumati nell’Unione Europea, in particolare nella frutta estiva. Secondo un’analisi dei dati ufficiali dei programmi nazionali degli Stati membri per il monitoraggio dei residui di pesticidi negli alimenti, basata su 278.516 campioni di vegetali, il volume di frutta contaminata da residui di Pfas è aumentato del 220% tra il 2011 e il 2021. A rivelarlo è un rapporto di alcune ong, tra cui Générations Futures e PAN Europe, secondo il quale i frutti più colpiti sono quelli estivi, come le fragole (37% contaminate nel 2021), le pesche (35%) e le albicocche (31%). Per gli ortaggi, che in proporzione sono meno colpiti dalla contaminazione, l’aumento è del 247% in dieci anni, con l’indivia (42%) e i cetrioli (30%) che registrano i valori più alti nel 2021. Dei 20 Paesi dell’Ue presi in esame, la frutta e la verdura coltivate nei Paesi Bassi (27%), in Belgio (27%), in Austria (25%), in Spagna (22%), in Portogallo (21%), in Grecia (18%) e in Francia (17%) contengono il maggior numero di tracce di Pfas.

Queste sostanze, che si degradano molto poco una volta nell’ambiente e che avrebbero un effetto nocivo sulla salute, sono solitamente citate per il loro uso nell’industria o in prodotti di consumo come i rivestimenti antiaderenti delle padelle. Ma secondo il rapporto, i Pfas utilizzati più frequentemente in agricoltura tra il 2011 e il 2021 sono il fungicida fluopyrame, l’insetticida flonicamid e il fungicida trifloxystrobin.

I risultati del rapporto, spiegano le ong, “dimostrano che l’uso dei Pfas nei pesticidi sta portando a un’assunzione sempre più comune” di residui di queste sostanze “da parte dei consumatori europei” e che “questa fonte di contaminazione (…) non dovrebbe essere minimizzata rispetto a quella causata da altri Pfas”. L’anno scorso, l’Unione Europea ha fatto il primo passo per limitarne l’uso, tuttavia i pesticidi che li contengono sono esclusi dal campo di applicazione di questa restrizione, poiché i prodotti fitosanitari sono regolamentati da testi propri.

“Il continuo accumulo di Pfas nel suolo, nell’acqua e nella catena alimentare, e i cocktail che ne derivano, presentano rischi cronici per la salute umana. È urgente vietarli da tutti gli alimenti e dai mangimi per proteggere la salute dei cittadini europei”, affermano le due associazioni.

MAMME NO PFAS

L’appello limiti zero Pfas per ambiente incontaminato

I Pfas sono composti chimici utilizzati in ambito industriale che, secondo diversi studi, hanno avuto conseguenze negative sull’ambiente, a causa della loro persistenza e mobilità. La sigla sta per sostanze perfluoro alchiliche e di solito venivano utilizzati per rendere anti aderenti le padelle. A seguito delle audizioni in Commissione Ambiente del Senato, sul disegno di legge 2392 riguardo l’introduzione di limiti di legge nazionali sulla presenza di Pfas nelle acque potabili e nelle acque di scarico, le ‘mamme No Pfas’ e Greenpeace hanno chiesto al Governo e al Parlamento “di avere coraggio e adottare limiti zero per la presenza di tutti i Pfas non solo nelle acque destinate al consumo umano, ma anche negli scarichi industriali: si tratta dell’unico valore che permette di garantire il diritto a vivere in un ambiente pulito e non contaminato” riferiscono le due associazioni. “L’Italia, teatro della più vasta contaminazione avvenuta in Europa – proseguono le associazioni – che ha colpito tre province della Regione Veneto, ha bisogno di una moratoria urgente sui Pfas, che non solo ne azzeri la presenza nelle acque reflue, ma che introduca anche il divieto di produzione e utilizzo in tutti i settori industriali. Il nostro Paese ha la possibilità di fare la storia e, con un provvedimento realmente ambizioso, anteporre i diritti di tutte le persone al profitto di pochi. È arrivato il momento di agire con urgenza e senza compromessi al ribasso”.

Le ‘mamme No Pfas’ e Greenpeace, grazie alla collaborazione della dottoressa Claudia Marcolungo, dottore di ricerca in diritto pubblico e già docente di diritto ambientale dell’Università di Modena, hanno presentato alla Commissione del Senato una memoria scritta in cui vengono evidenziati numerosi aspetti della proposta di legge che devono essere migliorati. Oltre a sostanziare la richiesta di limiti zero, la relazione contiene numerose osservazioni in merito alla trasparenza sulle sostanze utilizzate dalle aziende, la necessità di introdurre obblighi a carico dei produttori e degli utilizzatori (compreso l’obbligo di fornire gli standard analitici per poter individuare le sostanze prodotte e utilizzate), colmare le lacune nelle autorizzazioni ambientali e la necessità di tutelare la salute delle persone a partire dalle categorie più vulnerabili come i minori. Alla fine dello scorso autunno, Marcos Orellana, relatore speciale delle Nazioni unite sulle implicazioni per i diritti umani della gestione e dello smaltimento ecocompatibile di sostanze e rifiuti pericolosi, dopo aver visitato le aree del Veneto più contaminate aveva caldamente invitato l’Italia a introdurre un provvedimento per vietare i Pfas.

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