Imbrattato Palazzo Vecchio. Plastic Free: “Non sono ambientalisti, rischio effetto boomerang”

Nel giorno in cui quattro persone, tra cittadini, studenti e scienziati di Scientist Rebellion aderenti alla campagna ‘Non paghiamo il fossile’, promossa da Ultima Generazione, hanno occupato la sala dei Quaranta di Palazzo Bo a Padova, chiedendo al mondo scientifico ed accademico di unirsi nel supportare la richiesta rivolta al Governo italiano, non cessano le polemiche sull’imbrattamento di Palazzo Vecchio avvenuto venerdì a Firenze.

Il sindaco ‘eroe’ Dario Nardella, prontamente intervenuto, in diretta social, per fermare gli attivisti di ultima Generazione che stavano mettendo in atto la loro protesta, non ci sta a ricevere accuse rispetto ad una presunta messa in scena. E le respinge ai mittenti: “Se avessi fatto una cosa del genere si sarebbe saputo dopo pochi secondi, quello sarebbe stato davvero uno scandalo e una vergogna per me e per la città. Trovo ridicola questa insinuazione, sarebbe stato molto grave mettere in scena qualcosa con i manifestanti”. Ai microfoni di Rtl 102.5, però, il primo cittadino pone un quesito: “Questa manifestazione è una cosa molto seria e ci impone in interrogativo: fino a quanto si può manifestare il proprio pensiero? Secondo il mio parere danneggiare un’opera e il patrimonio culturale è un limite“.

E se tante associazioni ambientaliste appoggiano le azioni di Ultima Generazione o le accompagnano con il silenzio, c’è chi invece non ci sta. E’ il caso di Luca De Gaetano, presidente di Plastic Free Onlus, associazione di volontariato impegnata dal 2019 nel contrastare l’inquinamento da plastica. “Queste sono azioni che dividono – spiega a GEA -. Certo, creano un effetto virale e mediatico importante, ma questo lo fa anche la stupidaggine più assurda”. Non solo. Per De Gaetano questo tipo di protesta rischia di diventare un boomerang per chi fa dell’ambientalismo la sua ragione di vita. “Se su 100 persone 90 si arrabbiano, dopo è difficile riportarle sulla retta via e magari va a finire che inquinano il doppio. Le azioni di Ultima Generazione sono virali? Sì, Accendono i fari su tematiche importanti? Sì. Ma ci portiamo a casa più contro che pro”. Senza dimenticare il danno ambientale che da queste azioni deriva, come l’acqua utilizzata per ripulire la facciata. “Questa ‘marachella’ – dice il presidente di Plastic Free Onlus – andava sistemata, ma quei 5mila litri d’acqua sono un colpo al cuore. E anche, per esempio, l’energia utilizzata per le macchine pulitrici. Quindi queste attività magari danno un risultato, ma con un amaro in bocca che non avvicina la massa”.

E quindi, quale è la soluzione? “L’ambientalismo è coinvolgimento – chiude De Gaetano -. Non vogliamo che passi la parola ‘ambientalista’ per chi fa queste azioni. Forse ‘attivista’. Gli ambientalisti, invece, si impegnano in azioni concrete”.

Da San Francisco a Miami in bici per dare sostegno a Plastic Free

Sensibilizzare sull’impatto ambientale dell’inquinamento da plastica e sostenere le attività di Plastic Free, percorrendo seimila km in bicicletta. Questa la doppia impresa dei ciclo viaggiatori Emiliano Fava e Pietro Franzese, che il 16 gennaio 2023 partiranno da Milano alla volta di San Francisco, da dove inizierà la loro avventura “2Italians Across the US” con destinazione Miami.

Emiliano Fava nasce a Brescia nel 1998, a undici anni si trasferisce a Taranto, dove inizia ad appassionarsi al mondo della fotografia e a iniziare a lavorare come videomaker. Annoiato dalla monotonia di fotografare matrimoni, intraprende un viaggio in bicicletta partendo da Santa Maria di Leuca, il punto più a Sud della sua regione, per arrivare a Capo Nord.
Capo Nord è anche la destinazione ultima di un viaggio in bicicletta – iniziato da Milano – del ventisettenne Pietro Franzese, di professione YouTuber, che collabora con diversi organizzatori di eventi ed enti regionali. Emiliano conosce Pietro proprio attraverso il suo canale Youtube, resta colpito dal fatto che entrambi abbiano viaggiato in bicicletta sino al Circolo Polare Artico e lo contatta. Da qui, il desiderio di condividere l’esperienza di gennaio che raccontano a GEA.

Come si articolerà il vostro viaggio?
“Partiremo da Milano per raggiungere San Francisco. Ci attendono seimila km da percorrere su strade non molto battute dai ciclisti ma immerse nella natura, quindi molto affascinanti. Penso, ad esempio, al parco naturale Joshua Tree. Considerato che percorreremo anche il deserto di Sonora, questo è l’unico periodo dell’anno congeniale al nostro viaggio. Quell’attraversamento durerà 9 giorni, sono 887 chilometri e noi intendiamo percorrere cento chilometri al giorno, per un totale di circa due mesi di viaggio in bicicletta. Il nostro biglietto aereo del ritorno è, infatti, per il 20 marzo. Viaggeremo attrezzati ed equipaggiati, con un peso massimo di 20 chili a testa. Abbiamo con noi tenda e fornello da campeggio, oltre a una bottiglia d’acqua da due litri di plastica, che intendiamo utilizzare per tutta la durata del viaggio dimostrando che la plastica si può riutilizzare diverse volte. Vestiremo la maglietta e la maglia termica con il logo Plastic Free, sperando di incuriosire le persone che incontreremo per raccontare loro del progetto”.

Qual è la quintessenza di questa esperienza?
“Vogliamo lanciare il messaggio che la bicicletta è un mezzo di trasporto ecologico e sostenibile, non di fatica. Abbiamo inoltre deciso di abbinare il nostro viaggio a un ente senza scopo di lucro. La scelta è ricaduta su Plastic free perché apprezziamo le sue campagne e attività, oltre all’approccio nei confronti della plastica: materiale da non demonizzare, ma da utilizzare e smaltire in maniera corretta. Abbiamo stabilito di percorrere la Route 66, consapevoli che ci troviamo nelle zone in cui si registra il maggior utilizzo pro capite di plastica, specie monouso; anche l’Italia contribuisce però negativamente all’inquinamento da plastica: è infatti il secondo Paese consumatore in Europa e gli italiani sono i più grandi consumatori al mondo di acqua minerale in bottiglia”.

Chi vorrà, dove potrà seguire l’andamento di questo viaggio?
“Documenteremo con foto e video che posteremo sui nostri canali, dove è attivo anche un live tracking, con l’ambizione di poter poi realizzare un documentario. Sulla piattaforma GoFundMe sarà invece possibile partecipare al crowfunding per sostenere il progetto Plastic Free legato alla salvaguardia della riserva naturale del Mida Creek in Kenya grazie alla collaborazione con l’associazione Sasa Rafiki, che prevede la raccolta della plastica dagli abitanti del luogo e il trasporto in centri appositi per un corretto smaltimento, evitando così che venga bruciata o seppellita. Con il supporto derivato dalle donazioni, sarà possibile continuare la raccolta dei rifiuti e dotare la popolazione locale di ceste per la raccolta della plastica, rafforzando la missione di sensibilizzazione. L’obiettivo è di raggiungere almeno 4 mila euro“.

Per presentare l’iniziativa e congedarsi da amici e parenti, Emiliano Fava e Pietro Franzese hanno organizzato un momento di clean up (è possibile iscriversi sul sito di Plastic Free) in bicicletta, che si svolgerà a Milano il 14 gennaio: una pedalata di circa 50 km dalla Darsena, nel centro di Milano, all’Aeroporto di Malpensa lungo la ciclabile del Naviglio Grande, raccogliendo i rifiuti che si incontreranno sul percorso.

bettaknit

Lavori a maglia? Rilassati e fai del bene al Pianeta

Se c’è una cosa che la pandemia ci ha insegnato è che la vita è molto più di una corsa tra gli impegni del lavoro e della famiglia. Avete presente gli scaffali dei supermercati senza più ombra di lievito e farina? I mesi del lockdown ci hanno ricordato che le nostre mani – e non solo la testa – sono capaci di fare grandi cose e che la fantasia, se trova il canale giusto, è una linfa vitale. Durante le settimane chiusi in casa ciascuno di noi ha scoperto o riscoperto le proprie passioni: dalla pittura alla cucina, dal bricolage al cucito, i tavoli delle nostre sale da pranzo e i garage sono diventati il regno del caos e della creatività. E in quegli spazi, spesso ristretti, qualcuno si è trovato a riprendere in mano ferri, uncinetto e gomitoli per creare qualcosa di speciale dal sapore vintage. Se pensate che il lavoro a maglia sia qualcosa che appartiene al mondo delle nonne, vi sbagliate. E se non trovate un legame tra diritto e rovescio e la cura del Pianeta, vi sbagliate di nuovo. Non ci credete? Se frequentate il mondo di Instagram e vi siete appassionati a filati e schemi, non vi sarà sfuggito il profilo di Bettaknit, giovane azienda di Prato fondata da tre sorelle con la passione per la maglia e la sostenibilità. Con 51mila followers e una community di nicchia, ha trasformato un hobby dal sapore antico in qualcosa di giovane e decisamente green.

Ne abbiamo parlato con Barbara Fani, una delle tre fondatrici, che ci ha raccontato quanto sia importante, per i singoli e per le aziende, “restituire” alla Terra ciò che ci offre ogni giorno e quanto sia fondamentale farlo anche attraverso i social network.

Per noi i social sono essenziali – racconta – perché ci permettono di arrivare a tutti i nostri clienti in tempo reale. Non si tratta di diffondere messaggi solo dalla natura commerciale, ma anche di raccontare la nostra storia attraverso i nostri valori”.

Ed è proprio su questo che le sorelle Fani hanno deciso di investire energia, tempo e risorse. La sostenibilità è uno dei pilastri su cui si fonda l’azienda: filati ecologici, made in Italy e certificati Recycled Claim Standard (RCS) e Global Recycled Standard (GRS). Tutta la filiera è controllata, nel rispetto degli animali, dell’ambiente e del lavoro umano. Ed è proprio sui social che Bettaknit ha voluto condividere un progetto che mira a “fare qualcosa di buono” insieme a tutta la community.

L’obiettivo? Realizzare una foresta diffusa, “piantando l’albero giusto, nel posto giusto, per il motivo giusto, con il partner giusto”. “L’e-commerce – racconta Barbara – è una delle attività più inquinanti: pur facendo attenzione al packaging, l’impatto delle spedizioni e dei resi sulle emissioni di Co2 è enorme. Per questo abbiamo deciso di restituire alla Terra ciò che le abbiamo tolto, cioè l’ossigeno”. E per farlo è nata la collaborazione con Treedom, impresa fiorentina che dal 2010 ha piantato in tutto il mondo oltre 3 milioni di alberi con un sistema di ‘adozione a distanza’ che permette alle aziende – e ai clienti finali – di seguire online la storia del progetto che contribuiranno a realizzare. Finora la foresta di Bettaknit è composta da 25 alberi in 6 Paesi del mondo, ‘assegnati’ alle comunità locali che possono utilizzarli come fonte di reddito. Questa popolazione verde assorbirà 1,88 tonnellate di Co2. Sul sito di Treedom è possibile monitorare in tempo reale la crescita della foresta, a cui può contribuire tutta la community. In che modo? “Per ogni acquisto effettuato– spiega la fondatrice dell’azienda – sarà possibile donare 1 euro da destinare a un nuovo albero. E se la spesa supera i 99 euro, la pianta sarà ‘regalata’ al cliente e verrà chiamata con il suo nome. Inoltre, nel corso del tempo potrà seguire le evoluzioni del progetto di cui l’albero fa parte”. E’ il primo passo, commenta entusiasta “per affrontare insieme un grande cammino”, che “ci porterà il prima possibile a diventare plastic free”. Nell’attesa si piantano alberi e si cercano nuovi modi per coniugare la bellezza e la sostenibilità e, soprattutto, si sferruzza. Con calma, con leggerezza. Punto dopo punto.