Eolico

Spertino (Politecnico di Torino): L’eolico? Da noi sarà galleggiante

Taranto ha da poco inaugurato il primo parco eolico offshore italiano. Un totale di 10 pale che saranno capaci di fornire il fabbisogno energetico di 60mila persone l’anno. Ci sono voluti 14 anni di stop e ripartenze per arrivare al risultato, e il nodo burocratico ha animato il dibattito sul ritardo di un potenziale eolico italiano che secondo l’associazione Anev può superare i 19 gigawatt entro il 2030, a fronte di un installato di poco superiore ai 10.

Ma tolta la variabile delle autorizzazioni e delle polemiche che accompagnano progetti di questa portata, come possiamo immaginarci la componente eolica nell’Italia del 2050? Quanta energia sarà prodotta da impianti installati nel Mediterraneo, quanti sulla terraferma, e quanti ancora saranno realizzati per intercettare il vento troposferico?

Difficilissimo fare previsioni. Filippo Spertino, professore al dipartimento di Energia al Politecnico di Torino, ci aiuta ad avere un’idea. “Credo che circa il 70% degli impianti eolici saranno onshore“, le tradizionali pale eoliche installate sulla terraferma, “soprattutto per una questione di costi” spiega Spertino. “Mi aspetto poi un 20-25% di eolico offshore, e la percentuale restante di eolico d’alta quota“.

L’eolico offshore – come nell’esempio di Taranto – ha un vantaggio tecnico importante: l’attrito delle correnti d’aria con la superficie del mare è infatti molto minore rispetto al suolo, e può portare anche a una produzione doppia di energia per singola unità. Ma sconta le criticità morfologiche delle coste italiane. “A differenza di quanto accade nei paesi del Nord Europa, dove i fondali marini sono molto più bassi” spiega il professore, “la profondità del Mediterraneo costringe a progettare gran parte dei sistemi eolici come piattaforme galleggianti, con costi di ancoraggio importanti“. Problema a cui si aggiunge il costo dei cavi per il trasferimento dell’energia, che deve coprire distanze importanti sui fondali marini.

E l’eolico d’alta quota? “I rendimenti potenziali possono essere anche superiori al 40%, con un vento in quota molto più intenso e stabile” spiega Spertino. In questo genere di installazione, l’energia meccanica trasmessa dal vento viene trasmessa da un kite (un aquilone, una vela) a un generatore posizionato a terra, oppure trasformata direttamente in quota in energia elettrica. “Ma al momento scontano limiti strutturali, con la gestione della fase di tiro e di richiamo, che non le rendono ancora competitive“.

Ma nell’Italia del 2050, a fare la differenza sarà la pianificazione congiunta fra le diverse tecnologie rinnovabili, come l’energia del vento e il fotovoltaico. “Ma anche cambiare il nostro profilo di consumo” conclude Spertino, “riprogettando alcune attività oggi realizzate a ciclo continuo, intensificandole nelle ore a maggiore disponibilità di sole o vento“.

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Bompard (Politecnico Torino): “Con Enet-RTLab investimenti su scala nazionale”

Mettere in rete 26 università e centri di ricerca italiani per creare un super-laboratorio connesso. È il pensiero alla base di Enet-RTLab, progetto tecnologico nato per supportare la transizione energetica coordinato dal professor Ettore Bompard, del Politecnico di Torino: “Non più una rete di laboratori – spiega – ma un unico grande laboratorio in rete, dove ogni centro di ricerca contribuisce allo stesso esperimento grazie alla condivisione di risorse software e hardware”. Lo scopo: favorire il trasferimento tecnologico e supportare i decision maker nei processi di decarbonizzazione e sviluppo delle rinnovabili. Con vantaggi che vanno dall’incremento della capacità di calcolo per singoli laboratori alla messa a sistema di conoscenze, competenze e facility di laboratorio. Ettore Bompard, professore ordinario di sistemi elettrici per l’energia al Politecnico di Torino, racconta a GEA il progetto.

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Professore, si è svolta la prima simulazione del laboratorio virtuale. Che risultati avete avuto?
“La simulazione ha avuto successo. L’abbiamo realizzata connettendo sei diversi laboratori sparsi in tutta Italia attraverso l’infrastruttura internet dedicata alla ricerca nazionale, la rete GARR. Hanno partecipato le sedi delle università di Torino, Bari, Genova, Napoli e il Jrc della Commissione Europea a Ispra. Durante il collegamento abbiamo realizzato da remoto un esperimento sincrono, in questo caso abbastanza semplice, per testare la co-simulazione. È andato a buon fine”.

Che esperimento avete messo in atto?
“Abbiamo scelto una rete di trasmissione in alta tensione, in questo caso implementata a Torino, e abbiamo poi simulato la sostituzione in rete di una parte della tradizionale generazione termoelettrica con energia prodotta da impianti eolici e fotovoltaici. Le rinnovabili – questa è la tipica criticità – creano sistemi più instabili in termini di frequenza e tensione. Nel test abbiamo voluto osservare questo tipo di comportamento”.

Il tutto con simulatori, software e dispositivi connessi da tutta Italia.
“Il parco eolico è stato implementato e simulato a Genova, il generatore fotovoltaico è reale ed è installato a Savona, a Torino, Ispra e Napoli i modelli delle reti, mentre da Bari è stato collegato un hardware per simulazione dei carichi. Tutti collegati via internet con un particolare framework plug and play”.

Che tipo di dati avete potuto osservare durante la simulazione?
“In questo caso i segnali provenienti dalle diverse sedi appaiono su un sinottico e certificano la simultaneità dell’esperimento. Quello che abbiamo fatto è stato osservare il comportamento dei carichi e l’andamento della frequenza attraverso uno strumento di misurazione virtuale. Ma il focus per noi, in questo caso, non era tanto l’analisi, quanto invece il test sul processo. Enet-RTLab è il “laboratorio più grande d’Italia”, dove è possibile associare nodi diversi a seconda dell’esperimento che si desidera fare, mettendo così a sistema la strumentazione già presente in altri laboratori”.

Quali saranno i prossimi esperimenti in programma?
“Ci stiamo organizzando. L’idea è affrontare il tema della transizione energetica a tutto tondo. Con un piano articolato e multidisciplinare. Fra le possibili applicazioni del progetto ci sono la modellazione di sistemi elettrici, test di nuove tecnologie per i sistemi energetici, prove di conformità per i dispositivi e test su software e tecniche di controllo”.

Quali sono per lei i principali ostacoli alla transizione energetica verso la decarbonizzazione, e come questo progetto può aiutare a superarli?
“Sarà importante capire quale sarà il mix delle commodity che utilizzeremo nella transizione energetica. I vettori principali saranno energia elettrica, idrogeno e gas naturale. Ma non è ancora chiaro quale dovrà essere la combinazione vincente nei diversi usi finali, che siano industria, riscaldamento degli edifici, o mobilità. Il nostro laboratorio in rete può essere d’aiuto, perché permette di creare un’arena in cui diverse soluzioni possono essere testate e validate, capendone le potenzialità e mettendole in relazione fra loro”.

Quanto è stato investito in questo progetto?
“Ensiel è un consorzio di nazionale a cui partecipano diverse università e centri di ricerca. Ognuno ha contribuito al progetto con attrezzature proprie attingendo a tecnologie già sviluppate. Il Politecnico di Torino, per esempio, ha partecipato con strumenti del nostro Energy Center, un centro realizzato con investimenti superiori al milione di euro. Grazie a Enet-RTLab, gli investimenti vengono messi a sistema su scala nazionale, senza necessità di replicare le stesse applicazioni in atenei diversi”.

E quanto tempo avete lavorato all’implementazione?
“A Torino abbiamo una tradizione importante nella co-simulazione multi-sito Real Time. La prima esperienza risale a un progetto del 2015, insieme al Jrc di Ispra e all’università Rwth di Aachen. Per cui, per sviluppare il laboratorio nazionale abbiamo messo a frutto anche esperienze pregresse. Questo primo esperimento è stato organizzato in meno di un anno, con un gruppo di giovani ricercatori molto competenti”.

A proposito di giovani, ha citato l’importanza del loro contributo durante l’evento inaugurale.
“Ho ringraziato i giovani che hanno permesso di portare avanti un’iniziativa così unica a livello nazionale. In queste iniziative serve certamente una visione scientifica importante. Ma servono anche ragazzi e ragazze con competenze tecniche e grande capacità di lavorare insieme. Il laboratorio in rete prevede che anche le persone siano ‘in rete’. È fondamentale per la buona riuscita del nostro esperimento”.