La Cedu condanna l’Italia sui rifiuti tossici: “Non ha protetto gli abitanti della Terra dei fuochi”

Italia condannata per la Terra dei fuochi. È la decisione assunta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, cui si erano rivolte 41 persone residenti nelle province di Caserta e Napoli e cinque organizzazioni che hanno sede in Campania. Lo Stato ha mostrato “incapacità di agire” di fronte allo scarico di rifiuti tossici da parte delle organizzazioni criminali, non proteggendo i suoi cittadini: questa la motivazione.

Nella porzione di territorio che si trova a centro-nord rispetto alla provincia di Napoli e centro-sud della provincia di Caserta, vivono quasi 3 milioni di persone: a causa dello scarico, interramento e incenerimento illecito di rifiuti, spesso effettuati da gruppi criminali organizzati, c’è stato un aumento dei casi di cancro, oltre all’inquinamento delle falde acquifere. I ricorsi presentati hanno come base giuridica gli articoli 2 (Diritto alla vita) e 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: la tesi sostenuta davanti alla Cedu è che le autorità italiane fossero perfettamente a conoscenza di ciò che avveniva ma, nel corso degli anni, non hanno provveduto a mettere in campo misure utili alla protezione della loro salute, senza nemmeno fornire informazioni. I giudici, all’unanimità, hanno concesso all’Italia due anni di tempo per “sviluppare una strategia globale per affrontare la situazione, istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente e una piattaforma di informazione pubblica”.

La notizia circola velocemente e irrompe nel dibattito politico. All’ex ministro dell’Ambiente nei governi Conte 1 e Conte, Sergio Costa, “la prima parola che viene in testa è: finalmente!”, dice a GEA, sottolineando che la sentenza riconosce c’è stato “un grave attentato alla salute dell’ambiente e dei cittadini”. Fu proprio l’attuale deputato M5S e vicepresidente della Camera, nei primi anni Duemila, a condurre le indagini sulla Terra dei fuochi che portarono alla luce uno dei più grandi danni ambientali della storia italiana. All’epoca vestiva la divisa di generale dell’arma dei Carabinieri, ma anche nelle istituzioni si è occupato a lungo della vicenda. “Nel governo Conte 2, parliamo del 2020, ho fortemente voluto e fatto approvare, con l’accordo di tutto il Consiglio dei ministri e del premier Giuseppe Conte, ci tengo a sottolinearlo, la legge che istituiva la Terra dei fuochi come 42esimo Sito di interesse nazionale”, ricorda. Questo comporta “l’obbligo di bonifica, non la facoltà, dunque l’apposizione di specifiche risorse, che all’epoca io feci mettere anche se poi l’esecutivo cadde. E in terzo luogo l’obbligo di individuare il perimetro che, sebbene sia una competenza mista territorio-Stato, dunque serve l’accordo con la Regione Campania, di fatto anticipai io con le indagini, visto che individuammo i famosi 92 Comuni” dell’area. Ragion per cui, avendo tutti gli strumenti, secondo Costa è ora che il governo si attivi: “Capisco che ognuno stabilisce le sue priorità, ma quando si tratta di questioni che attingono alla vita o morte, e bisogna solo eseguire norme già esistenti, non capisco proprio perché non si sia agito o si agisca”.

Un altro che ha battuto personalmente il campo è don Maurizio Patriciello, sacerdote che da anni combatte per dare giustizia agli abitanti della Terra dei fuochi: “Quante calunnie abbiamo dovuto subire, quante minacce, quante derisioni, quante offese, quante illazioni – scrive su Facebook -. I negazionisti, ignavi, collusi, corrotti, ci infangavano. Siamo andati avanti. Convinti”.
Negli anni più difficili della battaglia dei cittadini per salvare la propria terra (e se stessi) erano pochi gli esempi virtuosi in materia di gestione del ciclo dei rifiuti. Uno di questi era sicuramente il Comune di Camigliano, nella provincia di Caserta, dove l’ex sindaco Vincenzo Cenname, ingegnere ambientale nella vita di tutti i giorni, era riuscito a portare la differenziata porta a porta oltre il 65%. La sua esperienza rischiava di finire bruscamente dopo il commissariamento dell’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni, perché il primo cittadino, nel 2010, negò di passare la gestione alla Provincia come imponevano le nuove norme. Pochi mesi dopo si ripresentò alle elezioni, stravincendole.

Oggi, la sentenza della Cedu, restituisce anche a lui una parte di merito: “Nonostante siano passati tanti anni e l’impiantistica regionale della Campania sia abbastanza idonea per fronteggiare la questione rifiuti, abbiamo ancora alcuni fenomeni fuori controllo e chi dovrebbe vigilare scarica tutto sui Comuni, di fatto obbligandoli a rimozioni di rifiuti abbandonati, con un costo eccessivo che poi va a pesare sulla Tari, cioè sulla collettività”, commenta a GEA Cenname, che continua a occuparsi della materia per diversi enti locali della Campania e di altre regioni. L’esperto racconta il fenomeno degli abbandoni incontrollati di rifiuti non è ancora debellato, ecco perché “bisogna studiare strategie congiunte e non lasciare il fardello nelle mani dei comuni”. Chissà se il pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo non possa, alla fine, rivelarsi la molla per accelerare il percorso.

Nel 2023 giro d’affari da 3,3 mld per industria riciclo. Pichetto: Italia modello in Ue

Nel 2023 il Consorzio nazionale imballaggi ha generato in Italia un giro d’affari da oltre 3 miliardi e 300 milioni di euro. “Il Conai è un modello europeo, lo si vede nei risultati, abbiamo già superato gli obiettivi del 2030“, osserva il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto.
Il sistema funziona, spiega il ministro, che però esorta a proseguire nell’impegno in tutte le realtà d’Italia: “La cultura della raccolta differenziata è un passaggio che si acquisisce un po’ per volta, non è così automatico. È un settore che ci permette di primeggiare a livello europeo”, afferma dal palco della presentazione del Rapporto di sostenibilità del consorzio.

Il giro d’affari del Conai è una somma di tre valori: un volume d’affari diretto di 1 miliardo e 289 milioni di euro, provenienti dal Contributo Ambientale Conai (CAC) e dai ricavi da vendita dei materiali; un impatto indiretto pari a 1 miliardo e 701 milioni di euro, legato all’attivazione delle filiere di fornitura; e un impatto indotto di 346 milioni di euro, derivante dai consumi delle famiglie dei lavoratori e delle aziende fornitrici. Un giro d’affari paragonabile al valore dell’intero settore del trasporto aereo di passeggeri in Italia. I soli ricavi da CAC sono stati pari a 718 milioni di euro: il che significa che ogni euro di contributo ambientale ha un moltiplicatore pari a 4,6 in termini di valore generato per l’economia italiana. È il dato principale che emerge dal nuovo Rapporto di sostenibilità di Conai che, come ogni anno, quantifica i benefici economici e ambientali del riciclo degli imballaggi in Italia.

Ogni euro di contributo ne genera altri quattro e mezzo per l’economia: è ormai evidente come l’uso di materia di secondo utilizzo in sostituzione di materia prima vergine abbia ripercussioni importanti sul nostro sistema economico“, precisa il presidente Conai, Ignazio Capuano. “Il nostro impegno per la sostenibilità – aggiunge – è un mandato istituzionale, ma anche la visione su un futuro in cui le risorse del pianeta vengono usate in modo più efficiente, tutelando l’ambiente. Per la prima volta, quindi, abbiamo adottato una nuova metodologia di calcolo per rendicontare il valore generato dalla corretta gestione degli imballaggi: i benefici sono di natura sia economica sia ambientale. Lo certifica un nuovo studio condotto da The European House – Ambrosetti, di cui abbiamo presentato un’anteprima a Ecomondo e che oggi includiamo integralmente nel rapporto“.

Il contributo effettivo del sistema Conai al Pil nazionale, ossia il valore aggiunto generato, è invece stato pari a 1 miliardo e 924 milioni di euro.

Infine, l’impatto occupazionale: nel 2023 il sistema ha sostenuto un totale di 23.199 posti di lavoro, tra occupazione diretta (lavoratori impiegati in modo continuativo nelle strutture e nei processi gestiti direttamente dal Consorzio), indiretta (grazie all’attivazione delle filiere collegate) e indotta (che riguarda essenzialmente i settori della gestione dei rifiuti, della manifattura industriale e dei trasporti).

11 milioni e 724.000 tonnellate è la quantità di materia vergine che, a livello nazionale, si è evitato di estrarre e utilizzare grazie al riciclo di imballaggi nel 2023. Sono pari al peso di 800 torri di Pisa. Il riciclo si conferma anche un attore importante contro l’emissione in atmosfera di CO2, per contrastare il cambiamento climatico. E il Rapporto di sostenibilità Conai mostra come nel 2023, grazie al riciclo, sia stata evitata l’emissione di più di 10 milioni di tonnellate di CO2eq. Che è pari alle emissioni generate da più di 8.000 voli intorno al mondo. Un dato che rappresenta il saldo tra la mancata produzione di gas serra grazie all’evitata produzione di materiale primario e l’emissione di gas serra per le sole operazioni di preparazione al riciclo di imballaggi già utilizzati, ossia il trasporto e il trattamento per trasformare il rifiuto d’imballaggio in nuova materia prima.

Il contributo delle imprese italiane alla corretta gestione del fine vita degli imballaggi si sostanzia anche in un risparmio di energia primaria, cioè l’energia generata da fonte fossili che sarebbe necessaria per la produzione di tutto il materiale primario risparmiato. Un dato che, proprio da quest’anno, è stato affinato introducendo nel computo i consumi di energia primaria relativi alle operazioni di preparazione al riciclo e al trasporto dei rifiuti di imballaggio. Nel 2023 si stima siano stati risparmiati 50 terawattora, che equivalgono al consumo domestico annuo di metà delle famiglie italiane.

Da anni il Rapporto è importante veicolo di un approccio documentato al tema della tutela ambientale, basato su numeri e risultati oltre che su concrete prospettive di miglioramento“, rivendica la direttrice generale, Simona Fontana. “Condividerlo rappresenta un momento di trasparenza che prova quanto il lavoro del Consorzio possa e soprattutto voglia essere misurato e misurabile, in un’ottica di condivisione sinergica fra tutti gli attori e gli stakeholder della filiera. Ma è un documento che va oltre la misurazione dei risultati e che testimonia un impegno più profondo – sostiene – : diffondere una cultura ambientale che permei il tessuto sociale resta parte essenziale dei compiti che ci sono assegnati”.

Per la viceministra all’Ambiente Vannia Gava il rapporto conferma la leadership del Conai e dei consorziati nella sostenibilità, “un’eccellenza tutta italiana che unisce tutela ambientale, crescita economica e occupazione“. Nel settore imballaggi, il Mase c’è, assicura, “con investimenti, incentivi fiscali e norme che semplificano e promuovono l’economia circolare. Il rifiuto è risorsa. La sfida è promuovere questo tipo di cultura ambientale, affidandoci alla scienza e alla tecnologia”.

Rifiuti, oltre 36 kg pro capite da imballaggi in Ue nel 2022

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento dei rifiuti da imballaggi in Ue. Secondo Eurostat, nel 2022 sono state prodotte complessivamente 83,4 milioni di tonnellate, ovvero 186,5 kg per abitante. Rispetto al 2021, ciò rappresenta una diminuzione di 3,6 kg per abitante, ma un aumento di 31,7 kg rispetto al 2012. Di tutti i rifiuti di imballaggio generati nell’Unione europea, il 41% era costituito da carta e cartone, il 19% da plastica, il 19% da vetro, il 16% da legno e il 5% da metallo. Nel 2022, sono stati generati in media 36,1 kg di rifiuti di imballaggi in plastica per ogni persona residente nell’Ue e di questi, 14,7 kg sono stati riciclati. Tra il 2012 e il 2022, la quantità di rifiuti di imballaggi in plastica generati è aumentata di 7,6 kg pro capite, mentre la quantità riciclata è aumentata di 4,0 kg.

Rifiuti, Italia tra i Paesi Ue più virtuosi nel riciclo

Nel 2022 in Ue sono state trattate circa 1.992 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui il 61,4% recuperato e il 38,6% smaltito. Lo riferisce uno studio diffuso oggi dall’Eurostat. L’ufficio di statistica dice che l’Italia ha registrato la quota più alta di riciclaggio all’85,6%, seguita da Belgio e Slovacchia, entrambi al 68,3%. Al contrario, le discariche e altri metodi di smaltimento hanno dominato in Romania (93,8%), Bulgaria (93,0%) e Finlandia (81,0%). Nell’infografica INTERATTIVA di GEA la situazione Paese per Paese.

Emergenza rifiuti a Cuba: L’Avana è sommersa, mancano attrezzature e manodopera

L’Avana sta affrontando una crisi nella gestione dei rifiuti, un altro sintomo della carenza di carburante e di pezzi di ricambio che affligge l’isola, in preda a gravi difficoltà economiche. Ogni giorno, nella città di 2,1 milioni di abitanti, si accumulano più di 30.000 metri cubi di rifiuti, 7.000 in più rispetto a un anno fa, secondo i dati ufficiali. “La mia cucina si affaccia sui bidoni della spazzatura e tutto deve essere coperto, altrimenti si mangia la sporcizia e i moscerini”, ha detto all’AFP Lissette Valle, una casalinga di 40 anni del quartiere centrale di Cerro. In mancanza di contenitori, i vicini gettano i loro sacchi di spazzatura direttamente sotto la sua finestra, aggiungendo alla puzza già pervasiva causata dalle acque reflue che traboccano dai tombini.

Secondo i dati della direzione provinciale dei servizi municipali, la capitale dispone attualmente solo del 57% delle attrezzature – tra cui 100 dumper, gli autocarri per il trasporto del materiale – destinate alla raccolta dei rifiuti. Forniti dal Giappone, i veicoli hanno iniziato a rompersi l’anno scorso. A causa dell’embargo statunitense, è impossibile ottenere i pezzi necessari per ripararli, hanno spiegato recentemente le autorità locali al quotidiano statale Granma. Inoltre, la grave carenza di benzina che colpisce l’isola comunista dal 2023 sta complicando la raccolta. “C’è un problema che ci colpisce: il carburante”, ha dichiarato a Granma Miguel Gutiérrez Lara, responsabile della supervisione e dell’ispezione dell’Avana, sottolineando la mancanza di lavoratori nel settore a causa dei bassi salari. Almeno cinque dei 15 quartieri dell’Avana non hanno un coordinatore della raccolta dei rifiuti e si trovano quindi in una “situazione complessa”, afferma.

Cuba sta affrontando la peggiore crisi economica degli ultimi trent’anni, soprattutto a causa dell’inasprimento delle sanzioni di Washington e delle debolezze strutturali della sua economia centralizzata. “Siamo esposti ai batteri” per un salario minimo equivalente a 17 dollari al mese, lamenta un trentenne spazzino che preferisce non rivelare il suo nome, lamentando di non avere nemmeno i guanti per lavorare. “Le strade sono una discarica”, dice, prima di allontanarsi lentamente con il suo carretto sgangherato pieno di rifiuti.

Jesus Jiménez, un ispettore della prevenzione delle malattie di 61 anni, avverte che “la situazione sta sfuggendo di mano” e che le malattie “si stanno diffondendo (…) è pieno di moscerini”. È particolarmente preoccupato per la diffusione della febbre di Oropouche, una malattia virale trasmessa dalla puntura di moscerini e zanzare infette.
Il problema dei rifiuti è grave anche sulla costa vicino alla capitale. Reinier Fuentes emerge dalle acque cristalline della spiaggia di Guanabo con le pinne in una mano e lattine e altri rifiuti nell’altra.

Sulla spiaggia ci sono aziende che si dedicano alla pulizia (…) ma in fondo al mare non c’è nessuno che lo faccia, a parte i volontari”, ha dichiarato all’AFP il presidente di un’organizzazione che aiuta a ripulire i fondali lungo la costa dell’Avana. L’accumulo di metalli è attualmente “abbondante” e costituisce la sfida più grande sulle coste, ammette Solvieg Rodriguez, responsabile delle risorse naturali e del cambiamento climatico dell’Avana.

Per Dulce Buergo, presidente della Commissione nazionale cubana per l’Unesco, parte della soluzione risiede in un maggiore senso civico. “Se si viene in spiaggia con quattro borse, si deve andare via con quattro borse, anche se la quarta è spazzatura”.

Nel 2023 impennata delle ecomafie: +15,6% i reati ambientali, 4 ogni ora. Mercato vale 8,8 miliardi

In Italia le ecomafie premono sempre di più sull’acceleratore e fanno affari d’oro. A dimostrarlo è l’aumento dei reati ambientali che nel 2023 salgono a 35.487, registrando +15,6% rispetto al 2022, con una media di 97,2 reati al giorno, 4 ogni ora. Illeciti che si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno e in particolare nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa – Campania, Puglia, Sicilia e Calabria – dove si concentra il 43,5% deli illeciti penali, +3,8% rispetto al 2022. Tutto il mercato illegale nella Penisola è valso agli ecomafiosi nel 2023 ben 8,8 miliardi.

CICLO ILLEGALE DEL CEMENTO E DEI RIFIUTI. A tracciare un quadro di sintesi è il nuovo report di Legambiente ‘Ecomafia 2024. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia’ (edito da Edizioni Ambiente), nel 30esimo anno dalla sua prima pubblicazione, e i cui dati sono stati presentati oggi a Roma. Dati nel complesso “preoccupanti”: nel 2023 in Italia aumenta anche il numero delle persone denunciate (34.481, +30,6%), così come quello degli arresti (319, +43% rispetto al 2022) e quello dei sequestri (7.152, +19%). Tra gli illeciti, nella Penisola continua a salire la pressione del ciclo illegale del cemento (13.008 reati, +6,5%), che si conferma sempre al primo posto tra i reati ambientali; ma a preoccupare è soprattutto l’impennata degli illeciti penali nel ciclo dei rifiuti, 9.309, + 66,1% che salgono al secondo posto. Al terzo posto con 6.581 reati la filiera degli illeciti contro gli animali (dal bracconaggio alla pesca illegale, dai traffici di specie protette a quelli di animali da affezione fino agli allevamenti); seguita dagli incendi dolosi, colposi e generici con 3.691 illeciti. Crescono anche i numeri dell’aggressione al patrimonio culturale (642 i furti alle opere d’arte, +58,9% rispetto al 2022) e degli illeciti nelle filiere agroalimentari (45.067 illeciti amministrativi, + 9,1% rispetto al 2022), a cominciare dal caporalato. Sono inoltre 378 i clan mafiosi censiti.

CAMPANIA E NAPOLI IN TESTA ALLA CLASSIFICA PER NUMERO DI REATI. La Campania è la regione italiana al primo posto della classifica con più illeciti ambientali nel 2023. Si tratta di 4.952 reati, pari al 14% del totale nazionale, seguita da Sicilia (che sale di una posizione rispetto al 2022, con 3.922 reati, +35% rispetto al 2022), Puglia (scesa al terzo posto, con 3.643 illeciti penali, +19,2%) e Calabria (2.912 reati, +31,4%). La Toscana sale dal settimo al quinto posto, seguita dal Lazio. Balza dal quindicesimo al settimo posto la Sardegna. Tra le regioni del Nord, la Lombardia è sempre prima.

A livello provinciale, Napoli torna al primo posto, a quota con 1.494 reati, seguita da Avellino (in forte crescita con 1.203 reati, pari al +72,9%) e Bari. Roma scende al quarto posto, con 867 illeciti penali, seguita da Salerno, Palermo, Foggia e Cosenza. La prima provincia del Nord è quella di Venezia, con 662 reati, che si colloca al nono posto ed entra nella classifica delle prime venti province per illegalità ambientale.

CIAFANI: “DAL GOVERNO ASPETTIAMO UN SEGNALE”. “In questi tre decenni – spiega il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – il Rapporto Ecomafia è diventato sempre più un’operaomnia per analizzare i fenomeni criminali legati al business ambientale, grazie anche a contributi istituzionali di rilievo, come dimostra l’edizione 2024. Dalla nostra analisi, emerge però che c’è ancora molto da fare nel nostro Paese, dove continuano a mancare norme importanti, come quelle che dovrebbero semplificare gli abbattimenti degli ecomostri – assegnando ad esempio ai Prefetti l’esecuzione delle ordinanze di demolizione mai eseguite nei decenni passati –, l’inserimento nel Codice penale dei delitti commessi dalle agromafie oppure l’approvazione dei decreti attuativi della legge istitutiva del SNPA per rendere più efficaci i controlli pubblici delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell’ambiente”. “Dal Governo Meloni – aggiunge – ci aspettiamo un segnale di discontinuità. Serve approvare quanto prima le riforme necessarie per rafforzare le attività di prevenzione e di controllo. Ne gioverebbero molto la salute delle persone, degli ecosistemi, della biodiversità e quella delle imprese sane che continuano ad essere minacciate dalla concorrenza sleale praticata da ecofurbi, ecocriminali ed ecomafiosi”.

La plastica in mare si vede dallo spazio: i satelliti monitorano i rifiuti galleggianti

I satelliti attualmente in orbita possono essere usati per monitorare lo stato dell’inquinamento da plastiche del mare. È quanto ha messo in luce una ricerca internazionale a cui ha partecipato l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Lerici (Cnr-Ismar). Utilizzando una serie di 300.000 immagini satellitari scattate ogni tre giorni per sei anni, con una risoluzione spaziale di 10 metri, sono state individuate migliaia di strisce di rifiuti, alcune lunghe più di un chilometro e alcune fino a 20 km. Questi dati hanno permesso di creare la mappa più completa fino ad oggi dell’inquinamento dei rifiuti marini galleggianti nel Mediterraneo.

Per essere rilevabili dai satelliti esistenti, la plastica e altri detriti galleggianti devono aggregarsi in zone dense lunghe almeno una decina di metri. Queste formazioni galleggianti, note come windrows, chiazze, strisce o andane, assumono spesso la forma di filamenti, risultanti dalla convergenza delle correnti sulla superficie del mare. La presenza di una striscia di rifiuti indica un elevato livello di inquinamento in un luogo e in un momento specifici. Attraverso la ricerca si è visto che l’abbondanza di queste chiazze è sufficiente per tracciare mappe dell’inquinamento e rivelare le tendenze nel tempo.

Le immagini sono state riprese dai satelliti Sentinel-2 del programma Copernicus dell’Unione Europea, i cui sensori, però non sono progettati per il rilevamento dei rifiuti, e hanno quindi una capacità piuttosto limitata per il rilevamento della plastica. “Cercare aggregati di rifiuti di diversi metri sulla superficie del mare è come cercare aghi in un pagliaio”, spiega Stefano Aliani, direttore di ricerca ed oceanografo di Cnr-Ismar. “Nonostante i satelliti non specializzati, siamo riusciti a identificare le aree più inquinate e i loro principali cambiamenti nel corso di settimane o anni. Ad esempio, abbiamo osservato che molti rifiuti entrano in mare quando ci sono i temporali”, continua Aliani.

L’analisi delle immagini satellitari, effettuata con supercomputer e algoritmi avanzati, ha permesso di comprenderei che questi accumuli nelle andane costiere sono principalmente dovuti alle emissioni di rifiuti terrestri nei giorni immediatamente precedenti. Conoscere questo aspetto rende, pertanto, tali formazioni particolarmente utili per la sorveglianza e la gestione dell’inquinamento da plastica, dimostrando l’applicabilità dello studio a casi reali.

Questo strumento è pronto per essere utilizzato in diversi contesti: siamo convinti che ci insegnerà molto sul fenomeno dei rifiuti, compresa l’identificazione delle fonti e dei percorsi verso l’oceano”, afferma Giuseppe Suaria, ricercatore del Cnr-Ismar di Lerici. “Inoltre, la nostra capacità di rilevamento migliorerebbe enormemente se mettessimo in orbita una tecnologia di osservazione dedicata alla plastica. L’implementazione di un sensore ad alta risoluzione specificamente dedicato al rilevamento e all’identificazione di oggetti galleggianti di un metro di dimensione potrebbe essere utile anche in altre questioni rilevanti come il monitoraggio degli sversamenti di petrolio, perdite di carico dalle navi o attività di ricerca e salvataggio in mare”.
Il lavoro è stato finanziato dal Discovery Element dell’Agenzia spaziale europea (Esa) ed il consorzio è composto da società spaziali multinazionali e istituti di ricerca di sei Paesi.

Rifiuti, la Tari è salita del 10% in soli 5 anni

Tra il 2018 ed il 2023, l’incremento medio della Tari è stato del 9,69%. Un aumento che ha avuto un impatto maggiore sulle famiglie meno abbienti, accentuando così le disuguaglianze socio-economiche e geografiche. E’ quanto emerge da un nuovo studio dall’Unione Italiana del Lavoro.

“Dall’analisi appare evidente come l’aumento della Tari sia stato più marcato nel Mezzogiorno rispetto al Nord Est. Nel 2022 – spiega Gianluca Buselli, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – l’incidenza della Tari sul bilancio familiare era dello 0,64% nelle regioni del Nord Est e dell’1,34% nel Mezzogiorno”. Secondo Eurostat, nel 2022, i rifiuti urbani in Europa sono diminuiti del 4% rispetto al 2021, ma con un aumento pro capite del 10%.

“Lo studio UIL – conclude Buselli – evidenzia la necessità di una revisione del sistema Tari per garantire maggiore equità e giustizia sociale, riducendo le diseguaglianze tra le diverse aree geografiche e migliorando l’efficienza dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti”.

Fil.Ros.

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Dagli scarti di avocado nascono imballaggi alimentari ecologici e sostenibili

Sebbene la plastica consenta di confezionare gli alimenti in modo sicuro e igienico, il suo uso estensivo costituisce una sfida ambientale significativa a causa della sua limitata riciclabilità e della breve durata di conservazione. Per questo motivo, da decenni l’industria e la comunità scientifica sono alla ricerca di alternative più sostenibili. Un recente studio pubblicato dall’Università di Cordoba, a cui ha partecipato anche l’Università di Girona, ha trovato il modo di produrre un prototipo di materiale per imballaggi alimentari più ecologico, sfruttando rifiuti finora privi di valore aggiunto: i residui della potatura dell’albero di avocado. La Spagna è il principale produttore di avocado a livello europeo, in modo particolare nella regione Axarquia di Malaga.

Attraverso un processo semichimico e meccanico in cui le foglie e i rami vengono mescolati con soda, raffinati e sfibrati, gli esperti sono riusciti a isolare le fibre dal residuo legnoso della potatura e a utilizzarle come materiale di rinforzo, sostituendo una parte della bioplastica utilizzata negli imballaggi alimentari. Oltre alla sostenibilità, questo nuovo composto ha dimostrato di essere più resistente, in parte grazie alle forti proprietà meccaniche delle fibre naturali ricavate dai residui di potatura dell’avocado. Il lavoro ha analizzato le prestazioni del materiale a diversi rapporti di fibre, ottenendo un aumento della resistenza alla trazione fino al 49%.

Il prossimo passo nella linea di ricerca del gruppo, ha spiegato l’autore dello studio, Ramón Morcillo, sarà quello di valutare altre proprietà di interesse per l’industria; ad esempio, le capacità antimicrobiche o antiossidanti che il nuovo composto potrebbe avere, aprendo così la porta a nuove forme di conservazione più sostenibili, specializzate e adatte a diversi tipi di prodotti.

Proprio nei giorni scorsi il Parlamento europeo ha approvato una serie di misure per la riduzione e il riciclo degli imballaggi. Alcuni tipi in plastica monouso saranno vietati a partire dal 2030, il che rappresenta una vera e propria sfida per l’industria: realizzare studi di mercato per valutare la redditività di quelle forme di imballaggio sostenibile che si sono dimostrate valide da un punto di vista scientifico. Secondo Morcillo “si tratta di un processo dettagliato che richiede molti sforzi e informazioni, ma che è essenziale affinché questi nuovi materiali vengano scalati e immessi sul mercato”.

Italia Paese più circolare d’Europa: 1/5 di quello che produciamo viene dal riciclo

L’Italia si conferma il Paese più circolare d’Europa, seguita da Germania, Francia e Spagna, soprattutto per il riciclo dei RAEE (87,1%) e degli imballaggi (71,7%).
Cresce anche il riciclo dei rifiuti urbani (49,2% contro il 48,6% della media Ue), un settore che vede la Germania al primo posto (69,1%). La foto la scatta il sesto Rapporto nazionale sull’economia circolare, realizzato da Circular Economy Network (Cen) ed Enea.

E il risparmio non è solo quello delle famiglie. Quasi un quinto di quello che produciamo viene dal riciclo: nel tasso di utilizzo circolare di materia siamo secondi solo alla Francia. E primi tra le 5 principali economie dell’Unione europea nella capacità di utilizzare al meglio la materia: nel nostro Paese la produttività delle risorse vale mediamente 3,7 euro per chilo, contro la media UE di 2,5 euro per chilo. Il nostro sistema economico e produttivo ama insomma la circolarità, e a farlo sono anche le piccole e medie imprese: il 65% dichiara di mettere in atto pratiche di economia circolare, oltre il doppio rispetto al 2021.

Sono dati di grande attualità perché, a un mese esatto dalle elezioni europee, l’economia circolare è una delle poste in gioco: il futuro del Green Deal passa attraverso la circolarità. E l’Italia da sempre ha un ruolo di primissimo ordine in Europa su questo fronte.

Per la prima volta, in questa edizione del Rapporto, le performance di circolarità delle cinque maggiori economie dell’Unione Europea (Italia, Francia, Germania, Spagna e Polonia) sono state comparate usando gli indicatori della Commissione europea: produzione e consumo, gestione dei rifiuti, materie prime seconde, competitività e innovazione, sostenibilità ecologica e resilienza.
Anche con questi “nuovi” indicatori, risulta confermato il primato dell’Italia (45 punti) in termini di economia circolare, seguita da Germania (38), Francia (30) Polonia e Spagna (26). Il risultato positivo dell’Italia deriva soprattutto dalla gestione dei rifiuti.

Siamo primi in classifica per il tasso di riciclo dei rifiuti. Nello specifico, nel 2021 abbiamo avuto un tasso di riciclo dei rifiuti di imballaggio del 71,7%, 8% in più della media UE27 (64%). Inoltre, il riciclo dei rifiuti urbani in Italia è cresciuto del 3,4% tra il 2017 e il 2022, raggiungendo il 49,2%. La media UE è del 48,6%, la Germania “vince” con il 69,1%.
Torniamo in testa con il riciclaggio dei RAEE: nel 2021 è stato pari all’87,1% (meno due punti percentuali rispetto al 2017), con una media UE dell’81,3%. Tutto ciò a fronte di una produzione media pro capite dei rifiuti urbani di 513 kg nel 2022 nella UE; mentre in Italia siamo passati dai 504 kg/ab del 2018 ai 494 kg/ ab del 2022.

Nel 2022, la produttività delle risorse in Italia ha generato, per ogni chilo di risorse consumate, 3,7 euro di PIL, +2,7% rispetto al 2018. La media UE, nel 2022, è stata 2,5 euro/kg. Anche il dato degli altri quattro principali Paesi europei è inferiore a quello dell’Italia.

Quanto al tasso di utilizzo circolare di materia, cioè il rapporto tra l’uso di materie prime seconde generate col riciclo e il consumo complessivo di materiali, l’Italia conferma la sua posizione nel 2022, con un valore pari al 18,7%.

Gli investimenti in alcune attività di economia circolare nell’UE27 sono stati pari a 121,6 Mld di euro, lo 0,8% del PIL, nel 2021. L’Italia con 12,4 Mld di euro (0,7% del PIL) risulta al terzo posto, dietro a Germania e Francia. Rispetto al 2017, in questo ambito, segniamo però un aumento del 14,5%.

E poi l’economia circolare crea lavoro. Nel 2021 nella UE27 gli occupati in alcune attività dell’economia circolare erano 4,3 milioni, il 2,1% del totale; in Italia 613.000, cioè il 2,4%, +4%
rispetto al 2017; siamo secondi dopo la Germania, che conta in questi settori 785.000 lavoratori (1,7% sul totale).

Il valore aggiunto dell’intera UE relativo ad alcune attività dell’economia circolare nel 2021 è stato di 299,5 Mld di euro, il 2,1% del totale dell’economia; in Italia è pari a 43,6 Mld di euro, 2,5% del totale (era il 2,1% nel 2017). Anche Spagna e Germania lo hanno incrementato, mentre Francia e Polonia l’hanno ridotto.

Dunque, va tutto bene? Non proprio. Ad esempio, il consumo dei materiali in Italia nel 2022 è stato di 12,8 tonnellate/abitante, minore della media europea (14,9 t/ab) ma in crescita (+8,5%) rispetto alle 11,8 t/ab del 2018. Ancora, sempre nel 2022, la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di materiali (46,8%) è più del doppio della media europea (22,4%), anche se in calo (-3,8%) rispetto al 2018. Infine, per ciò che riguarda i brevetti relativi alla gestione dei rifiuti e al riciclaggio, nel 2020 per ogni milione di abitanti ne sono stati depositati 0,46, cioè complessivamente 206 nell’Unione Europea. In Italia solo 21 brevetti (0,36 per milione di abitanti): -25% rispetto al 2016. Nel loro insieme gli indicatori di trend della circolarità, basati sulla dinamica degli ultimi cinque anni, segnalano una certa difficoltà dell’Italia a mantenere la sua posizione di leadership.

Puntare sulla circolarità deve essere la via maestra per accelerare la transizione ecologica e climatica e aumentare la competitività delle nostre imprese”, osserva Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network. “Ancora di più per un Paese povero di materie prime e soprattutto, nel contesto attuale, caratterizzato da una bassa crescita e dai vincoli stringenti del rientro del debito pubblico. L’Italia può e deve fare di più per promuovere e migliorare la circolarità della nostra economia, con misure a monte dell’uso dei prodotti per contrastare sprechi, consumismo e aumentare efficienza e risparmio di risorse nelle produzioni; nell’uso dei prodotti, promuovendo l’uso prolungato, il riutilizzo, la riparazione, l’uso condiviso; e a fine uso, potenziando e migliorando la qualità del riciclo e l’utilizzo delle materie prime seconde”.

“Per avere risultati vincenti e duraturi è necessario rivoluzionare il modo in cui i prodotti vengono progettati e realizzati, integrando criteri di circolarità nei processi produttivi”, gli fa eco la direttrice del Dipartimento Sostenibilità dell’Enea, Claudia Brunori, che ha presentato un approfondimento sull’ecodesign.