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Legislazioni concorrenti: il riparto delle competenze fra Stato e Regioni

La rigenerazione urbana è, a livello di competenze, ripartita fra Stato e Regioni. La nozione afferisce anzitutto alla materia governo del territorio, che la Costituzione attribuisce alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, ma intercetta in modo rilevante la materia tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, attribuita invece alla legislazione esclusiva dello Stato. Questo intreccio di competenze riflette la multidimensionalità del concetto di rigenerazione urbana che si presta a declinazioni diverse, a condizione che siano tutte ricollegabili all’ambito materiale del ‘governo del territorio‘. Le competenze e le legislazioni vengono dettagliate nel rapporto ‘Le politiche di rigenerazione urbana. Prospettive e possibili impatti‘ del Servizio Studi della Camera-Dipartimento Ambiente in collaborazione con l’istituto di ricerca Cresme, presentato alla Camera.

LEGISLAZIONE REGIONALE

Numerose Regioni hanno approvato leggi che, a vario titolo, introducono non solo discipline di dettaglio ma anche – in assenza di una specifica legislazione statale – princìpi in tema di contenimento del consumo di suolo e di rigenerazione urbana. Gli interventi legislativi regionali sono sostanzialmente ispirati a due modelli generali che rispondono a logiche diverse, anche se talvolta compresenti all’interno dello stesso impianto legislativo: un modello di regolamentazione incentrato prevalentemente sul perseguimento delle finalità di rigenerazione urbana attraverso un sistema di premialità urbanistiche ed edilizie e di incentivi, in alcuni casi previa definizione in ambito regionale di quantità massime di suolo consumabile a fini edificatori; un modello di regolamentazione maggiormente incline a considerare prioritari i processi di riuso e sostituzione edilizia senza consumo di nuovo suolo e orientato a garantire una più netta perimetrazione dei margini di confine dei centri abitati, configurando l’espansione edilizia come eccezione.

LEGISLAZIONE NAZIONALE

La legge che ancora oggi reca la disciplina più organica della materia urbanistica a livello nazionale risale al 1942 e, nonostante l’incompleta attuazione (a partire dal regolamento di esecuzione, mai emanato) e l’impianto centralizzatore, ha rappresentato la principale fonte di riferimento per l’individuazione dei princìpi fondamentali della materia, ai quali ha dovuto uniformarsi la legislazione regionale di dettaglio adottata a partire dal 1970. La vigente legislazione statale in materia affida alla competenza dei comuni la pianificazione urbanistica e la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale. In particolare, la legge n. 1150/1942 ha previsto l’istituzione di un piano regolatore generale quale strumento principale, affidato alla responsabilità del comune, di pianificazione e controllo dello sviluppo urbano, da attuare attraverso piani particolareggiati esecutivi redatti dal comune medesimo. Sempre a livello di pianificazione comunale ci sono anche i regolamenti di attuazione della legge ponte con cui sono stati introdotti i cosiddetti ‘standard urbanistici’, cioè la quantità minima di spazio che ogni piano regolatore generale deve inderogabilmente riservare all’uso pubblico e le distanze minime e altezze massime da osservare nell’edificazione degli e tra gli edifici, nonché ai lati delle strade.

A livello territoriale più ampio, la legge n. 1150/1942 ha inoltre previsto i piani territoriali di coordinamento, finalizzati ad orientare e coordinare l’attività urbanistica di aree vaste e vincolanti per i piani subordinati, poi variamente ridenominati e rimodulati nella legislazione regionale, che costituiscono il primo livello di pianificazione urbanistica con efficacia di orientamento e indirizzo e ai quali è affidato il compito di garantire il coordinamento con gli atti di pianificazione settoriale (ad es. i piani paesaggistici). Completano il quadro di riferimento della legislazione statale in materia di urbanistica e governo del territorio la disciplina dell’attività costruttiva edilizia contenuta nel Testo unico in materia edilizia e la disciplina delle espropriazioni per pubblica utilità contenuta nel Testo unico di cui al D.P.R. n. 327/2001.

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Superbonus 110% ed efficientamento energetico: contributo rigenerazione urbana

Tra gli interventi di rigenerazione urbana, rientrano anche le misure relative al recupero e alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente. Per questo tali azioni sono incluse nel rapporto ‘Le politiche di rigenerazione urbana. Prospettive e possibili impatti‘ del Servizio Studi della Camera-Dipartimento Ambiente in collaborazione con l’istituto di ricerca Cresme. Non solo detrazioni fiscali, fra cui il Superbonus 110% e l’ecobonus, ma anche l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio della Pubblica amministrazione, fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi climatici europei previsti al 2030 e al 2050.

LE DETRAZIONI FISCALI

Nel corso del tempo il legislatore ha previsto numerose agevolazioni fiscali volte a realizzare obiettivi di riqualificazione energetica e di recupero edilizio del patrimonio immobiliare nonché a favorire il settore dell’edilizia, che tradizionalmente rappresenta uno dei settori trainanti del sistema economico ed occupazionale italiano. Il Superbonus 110% è solo l’ultima di queste misure. Per quanto riguarda le agevolazioni mirate alla riqualificazione energetica degli edifici, consistenti nel riconoscimento di detrazioni d’imposta (che variano dal 50% all’85%) per le spese sostenute, da ripartire in rate annuali di pari importo, entro un limite massimo diverso in relazione a ciascuno degli interventi previsti. Si tratta di riduzioni dell’Irpef e dell’Ires concesse per interventi volti ad aumentare il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti. Riguardano, in particolare, le spese sostenute per:

  • la riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento;
  • la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione;
  • la realizzazione di interventi su edifici esistenti, parti di edifici esistenti o unità immobiliari, riguardanti strutture opache verticali, strutture opache orizzontali (coperture e pavimenti), finestre comprensive di infissi;
  • l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e cura, istituti scolastici e università;
  • la sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria; l’acquisto e la posa in opera delle schermature solari;
  • l’acquisto e la posa in opera di micro-cogeneratori in sostituzione di impianti esistenti;
  • le spese sostenute per l’acquisto e la posa in opera di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili fino a un valore massimo della detrazione di 30.000 euro.

Ulteriori detrazioni sono state introdotte anche per la sistemazione a verde di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni, impianti di irrigazione e realizzazione pozzi e per la realizzazione di coperture a verde e di giardini pensili.

SUPERBONUS 110%

Il decreto Rilancio ha introdotto un’ulteriore detrazione pari al 110% delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici, il cosiddetto Superbonus 110%. A tale agevolazione il Pnrr destina complessivamente 13,95 miliardi di euro. Sempre in materia di efficienza energetica e riqualificazione degli edifici sono previste ulteriori risorse nazionali a carico del Fondo complementare per un ammontare complessivo di 6,56 miliardi di euro (di cui 4,56 specificamente destinati al Superbonus), nonché ulteriori 0,32 miliardi dal programma React dell’Ue. Gli interventi di questa Componente si prefiggono di incrementare il livello di efficienza energetica degli edifici, una delle leve più virtuose per la riduzione delle emissioni in un Paese come l’Italia che dispone di un parco edifici con oltre il 60 per cento dello stock con un’età superiore a 45 anni, sia negli edifici pubblici, sia in quelli privati. Soto questo aspetto, il Pnrr fissa dei target ben precisi: entro il primo trimestre 2023 il completamento della ristrutturazione di edifici per almeno 12.000.000 mq che si traduce in risparmi di energia primaria di almeno il 40% e il miglioramento di almeno due classi energetiche nell’attestato di prestazione energetica e la ristrutturazione di almeno 1.400.000 mq per scopi antisismici. Entro il IV trimestre 2025, poi, il completamento della ristrutturazione di edifici per almeno 32.000.000 mq che si traduce in risparmi di energia primaria di almeno il 40% e nel miglioramento di almeno due classi energetiche nell’attestato di prestazione energetica e la ristrutturazione di almeno 3.800.000 mq a fini antisismici. Il Superbonus 110% è stato prorogato fino al 2025 con scadenze differenziate in base al soggetto beneficiario. Prorogata, inoltre, agli anni 2022, 2023 e 2024 la facoltà dei contribuenti di usufruire delle detrazioni fiscali concesse per gli interventi in materia edilizia ed energetica, alternativamente, sotto forma di sconto in fattura o credito d’imposta cedibile anche a banche e intermediari finanziari e al 31 dicembre 2025 la facoltà di optare per la cessione del credito o per lo sconto in fattura, in luogo della detrazione fiscale, per le spese sostenute per gli interventi coperti dal Superbonus. E ancora, prorogati al 31 dicembre 2024 l’ecobonus nella misura del 65% delle spese documentate e la detrazione al 50% per gli interventi di ristrutturazione edilizia.

EFFICIENZA ENERGETICA PATRIMONIO EDILIZIO P.A.

Considerando che, secondo la Commissione Europea, il settore pubblico è responsabile di circa il 5-10% del consumo totale di energia finale dell’Unione e gli edifici pubblici utilizzano circa il 2% del consumo finale di energia dell’Ue, l’efficienza energetica nella Pubblica amministrazione è un fattore fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi climatici europei previsti al 2030 e al 2050. Per realizzare interventi di riqualificazione energetica sugli immobili occupati dalla P.A. centrale per almeno il 3% annuo della superficie coperta utile climatizzata, ovvero comportare un risparmio energetico cumulato di almeno 0,04 Mtep, dal 2014 è stata prevista l’adozione, entro il 30 novembre di ogni anno, del Programma di riqualificazione energetica degli edifici della Pubblica Amministrazione centrale (PREPAC). Nel 2020 l’adozione annuale del PREPAC è stata estesa fino al 2030 ed è stato aumentato, da 30 a 50 milioni di euro l’anno, fino al 2030, lo stanziamento relativo (operato a valere sulle aste per la CO2 nel settore Ets). In Italia, recependo la direttiva Ue, devono essere edifici a energia quasi zero dal 31 dicembre 2018 gli edifici di nuova costruzione occupati dalla P.A. e di proprietà di queste, compresi gli edifici scolastici; dal 1° gennaio 2021 tutti gli edifici di nuova costruzione. Con la relazione del 12 luglio 2021, la Corte dei Conti ha effettuato un monitoraggio degli interventi di miglioramento della prestazione energetica degli immobili della P.A. centrale realizzati nel periodo 2015-2020. Le risorse complessivamente stanziate nel periodo sono state 355 milioni di euro (255 milioni a carico del Mise e 100 milioni a carico del Mattm, ora Mite), per 230 progetti ammessi a finanziamento con un importo di 315,8 milioni di euro.

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I principali programmi per concessione contributi a enti territoriali

Anche se senza un quadro legislativo organico di riferimento, in questi anni non sono mancati gli interventi legislativi statali in materia di rigenerazione urbana. Tra questi, di fondamentale importanza sono stati i programmi di finanziamento di progetti degli enti territoriali. Lo studio su ‘Le politiche di rigenerazione urbana-prospettive e possibili impatti’, condotto dal Servizio studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’istituto di ricerca Cresme, su richiesta della commissione Ambiente di Montecitorio, ha tracciato un quadro dei principali interventi, in ordine cronologico.

PROGRAMMI DI RIQUALIFICAZIONE URBANA

Sono stati tra i primi interventi a prevedere la partecipazione del privato in operazioni di riqualificazione di ambiti urbani, finalizzati alla riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale. In particolare l’articolo 2, comma 2, della legge 179 del 1992 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica) aveva destinato la somma di 288 miliardi di vecchie lire per la realizzazione di programmi di riqualificazione urbana (Priu), individuati con accordi di programma finalizzati alla riqualificazione del tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale.

PIANO NAZIONALE PER LE CITTÀ

Per avviare interventi per la riqualificazione di aree urbane, con particolare riguardo a quelle degradate, è stato introdotto nel 2012 uno strumento operativo denominato ‘Piano nazionale per le città‘, affidato alla gestione di una apposita cabina di regia. Per il completamento degli interventi del Piano, in caso di inerzia realizzativa, sentito il comune interessato, è stata prevista la nomina di commissari straordinari.

PROGRAMMA STRAORDINARIO PERIFERIE

Il Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle Città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia fu introdotto dalla legge di Stabilità 2016, ed è stato indirizzato a favore di aree urbane caratterizzate da situazioni di marginalità economica e sociale, degrado edilizio e carenza dei servizi, mediante la presentazione di progetti da parte degli enti locali.

PICCOLI COMUNI E CENTRI STORICI

La legge 158 del 2017 ha previsto misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni; per l’utilizzo delle risorse, è prevista la predisposizione di un Piano nazionale per la riqualificazione dei piccoli comuni e un elenco di interventi prioritari assicurati dal Piano nazionale.

MESSA IN SICUREZZA EDIFICI

La legge di bilancio 2019 ha disposto lo stanziamento di risorse per la messa in sicurezza di edifici e del territorio, per il periodo 2021-2033 (esteso successivamente anche all’anno 2034), pari a circa 8,1 miliardi di euro complessivi, assegnati dalle singole Regioni e dal ministero dell’Interno ai comuni (a partire dai comuni con una popolazione inferiore o uguale a 5mila abitanti). L’articolo 49 del decreto legge 124 del 2019, poi, ha esteso l’utilizzo delle risorse attribuite ai comuni dalle singole regioni (3,2 miliardi di euro) anche al settore dei trasporti e della viabilità, con la finalità di ridurre l’inquinamento ambientale e di favorire investimenti finalizzati alla rigenerazione urbana, alla riconversione energetica verso fonti rinnovabili, ad infrastrutture sociali e alle bonifiche ambientali. L’assegnazione delle risorse è stata incrementata e rimodulata con successivi interventi legislativi, che hanno anche ampliato le finalità degli interventi ammissibili a finanziamento.

LOTTA A DEGRADO ED EMARGINAZIONE

La legge di Bilancio 2020 ha assegnato 8,5 miliardi di euro, per il periodo 2021-2034, ai comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti, non capoluogo di provincia, ed ai comuni capoluogo di provincia o sede di città metropolitana, per investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale, nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale, nel limite complessivo di 150 milioni di euro per l’anno 2021, di 250 milioni di euro per l’anno 2022, di 550 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023 e 2024 e di 700 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034. Tale intervento è stato poi recepito tra le linee di investimento finanziate con il Pnrr.

PINQUA

Il Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare, istituito con la legge di Bilancio 2020 e poi recepito tra le linee di investimento finanziate con il Pnrr, è finalizzato alla riduzione del disagio abitativo, con particolare riferimento alle periferie, in un’ottica di sostenibilità e densificazione, e senza consumo di nuovo suolo, con la previsione che i relativi interventi devono seguire il modello urbano della città intelligente, inclusiva e sostenibile (smart city).

LEGGE DI BILANCIO 2022

Assegna ai comuni con popolazione inferiore a 15mila abitanti che, in forma associata, presentano una popolazione superiore a 15mila abitanti, contributi per investimenti nel limite complessivo di 300 milioni di euro per l’anno 2022, al fine di favorire gli investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado sociale nonché al miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale.

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Da Pnrr e Pnc 11,5 mld: Risorse cruciali per la rigenerazione urbana

Uno dei fattori che sarà decisivo per vincere la sfida della rigenerazione urbana è sicuramente quello di sfruttare appieno tutte le potenzialità delle risorse del Pnrr. Perché “la dimensione urbana ricopre una posizione cruciale per il successo delle azioni messe in campo” dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e “per il superamento dei divari territoriali e di genere che il piano persegue”. A sottolinearlo è lo studio ‘Le politiche di rigenerazione urbana-prospettive e possibili impatti‘ redatto dal Servizio studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’istituto di ricerca Cresme, su richiesta della commissione Ambiente di Montecitorio.

La conferma di questa visione arriva dalla stima degli investimenti per le costruzioni, che è di circa 70,7 miliardi di euro. Di questi, 9,02 miliardi della Missione 5, Componente 2, sono dedicati proprio agli interventi di rigenerazione urbana. Nel dettaglio: 3,3 miliardi di prestiti assegnati ai comuni ammessi al finanziamento previsto per il periodo 2021-2026 per i progetti volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale; 2,9 miliardi di prestiti prevosti per i Piani urbani integrati, che comprendono l’intervento per il superamento degli insediamenti abusivi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura (200 milioni), e il Fondo tematico dedicato al settore della rigenerazione urbana, da costituire nell’ambito del Fondo di fondi gestito dalla Bei (270 milioni); e 2,8 miliardi di euro di prestiti per il periodo 2021-2026 nel Programma innovativo della qualità dell’abitare.

A queste risorse vanno, poi, aggiunti altri 2,5 miliardi di euro del Piano nazionale complementare. Di cui 2 miliardi per il periodo 2021-2026 per il programma ‘Sicuro, verde e sociale’ per la riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica; 210 milioni di euro per gli anni dal 2021 al 2024 a favore del programma Piani urbani integrati; e un investimento finalizzato al risanamento urbano per complessivi 285 milioni di euro per il periodo 2021-2024, in favore dei comuni con popolazione tra 50mila e 250mila abitanti e dei capoluoghi di provincia con meno di 50mila abitanti.

In totale, dunque, le risorse stanziate dal Pnrr e dal Pnc per interventi di rigenerazione urbana ammontano a circa 11,5 miliardi di euro. Oltre agli investimenti in interventi direttamente rivolti ad azioni di rigenerazione urbana, le città – sottolinea l’analisi Camera-Cresme – sono destinatarie di ulteriori interventi del Pnrr all’interno delle azioni settoriali, che “potrebbero avere maggiore impatto qualora definite e sviluppate in modo integrato tra loro”. In sostanza, però, “tutte e sei le missioni del Piano hanno a che fare in quota parte con le città”.

Non a caso lo studio cita il documento Ifel-Anci sui programmi di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che allo scorso 5 gennaio ha stimato in “53,82 miliardi di euro l’ammontare degli investimenti che vedono gli enti locali come soggetti attuatori, 35,25 dei quali sono investimenti attivi (per cui è già stato pubblicato un decreto attuativo e/o bando); 9,62 sono investimenti in corso di attivazione (per cui è disponibile una bozza di decreto o è stato approvato un decreto in attesa di registrazione); e 8,47 sono investimenti non attivi (per cui non sono state attivate procedure attuative note)”. Ma anche secondo Cdp stima che Pnrr “prevede il coinvolgimento diretto dei Comuni nella messa a terra di progetti per almeno 30 miliardi di euro entro il 2026, che potrebbero arrivare fino a 50 miliardi di euro circa a seconda del volume di progetti di titolarità delle amministrazioni centrali che coinvolgeranno gli enti territoriali nella fase di attuazione”. Secondo lo studio di Cassa depositi e prestiti “Questo flusso di risorse potrebbe colmare, almeno in parte, il fabbisogno di investimenti comunali rimasto in parte insoddisfatto negli ultimi anni, tenendo conto che la spesa in conto capitale dei Comuni si è ridotta in media del 3% all’anno negli ultimi 15 anni”.

Osservando il dossier dall’angolatura dei privati, anche un operatore leader nel campo degli investimenti in riqualificazione e sviluppo urbano e nella gestione di patrimoni immobiliari come il gruppo Coima ha analizzato l’impatto del Pnrr sulla rigenerazione urbana, arrivando alla conclusione che “gli interventi con impatto diretto si possono stimare in 54 miliardi di euro, mentre considerando anche gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto, il valore degli investimenti in grado di interessare le città italiane si può valutare in 85 miliardi di euro”. Infine, il report Camera-Cresme cita l’ufficio studi dell’Associazione nazionale costruttori, per quel che concerne le attività che interessano la lunga filiera costituita da industrie produttrici di materiali, sistemi e componenti, distributori, progettisti, imprese di costruzioni e imprese specializzate: che stima investimenti del Pnrr destinati al settore delle costruzioni in 108 miliardi di euro.

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Rigenerazione urbana, Camera-Cresme: “Rivedere modello risorse, mix pubblico-privato”

La rigenerazione urbana è un concetto ormai sedimentato nella cultura di ogni comunità. Eppure “ad oggi non trova una compiuta definizione nell’ordinamento nazionale”, pur essendo presenti “numerosi riferimenti nella legislazione statale e definizioni non sempre convergenti in numerose leggi regionali”. A sottolinearlo è un’analisi che porta la firma del Servizio studi della Camera dei deputati in collaborazione con il Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio (Cresme), su richiesta della commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici di Montecitorio, che si compone di due parti e 8 capitoli tematici. I dati che emergono tracciano un quadro completo della situazione, portando a galla le criticità da risolvere per avere un risultato omogeneo e produttivo, mettendo a disposizione del legislatore gli strumenti utili a capire dove focalizzare gli interventi.

Prima, però, è utile capire la base di partenza. Perché se “in termini generali, in letteratura e nel dibattito pubblico, per rigenerazione urbana si fa riferimento ad un insieme di programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare e degli spazi su scala urbana volti a garantire, tra l’altro, la qualità dell’abitare sia dal punto di vista ambientale sia sociale, con particolare riferimento alle aree urbane e alle periferie più degradate”, la nozione di rigenerazione urbana diviene “un paradigma trasversale ad una pluralità di politiche pubbliche aventi ad oggetto la tutela dell’ambiente e del paesaggio, in particolare attraverso il contenimento del consumo di suolo”, con cui “compone un binomio inscindibile”.

Una delle criticità riscontrate dallo studio è quello della concorrenza tra normative centrali e quelle locali. “Dal complesso panorama normativo in materia sembra emergere una tendenza – più marcata nella legislazione regionale e affermata solo in modo incidentale e incompiuto nella legislazione statale – favorevole a considerare le pratiche della ristrutturazione e della sostituzione edilizia, attraverso la demolizione e ricostruzione di edifici, secondo criteri di maggiore sostenibilità energetica, ambientale e urbanistica, quale asse a partire dal quale innestare più estesi interventi di rigenerazione urbana”, sottolinea il documento. Senza dimenticare che ogni passaggio deve essere in compliance con le decisioni assunte in sede europea: in particolare la bussola è, e resta, l’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030 dell’Onu, che fissa il traguardo di città e comunità urbane sostenibili, più durature, ed efficienti. In cui “tutti possano avere accesso ai servizi di base, all’energia, all’alloggio, ai trasporti e molto altro”, oltre ad ancorare il consumo di suolo alla crescita demografica.

Alla rigenerazione urbana è legato anche un altro tema, quello della crescita, ma soprattutto della produttività del sistema economico. Che lo studio condotto da Camera e Cresme individua come “il risultato dell’efficienza delle determinanti settoriali di un’economia nazionale, ma è anche il risultato di quelle che potremmo definire determinanti territoriali, insediative, che lo caratterizzano”. Argomenti trattati a più riprese dall’Ocse, ma anche dalla Banca d’Italia, che in diversi studi ha descritto il legame tra crescita aggregata e città, mettendo in evidenza sia l’importanza sia le criticità delle città italiane: “In tutte le economie avanzate, da alcuni decenni – riporta via Nazionale – le aree urbane mostrano tassi di crescita della popolazione superiori a quelli delle aree non urbane”. Dunque, secondo i dati Ocse, scrive ancora Bankitalia, “la produttività del lavoro è del 10% più elevata rispetto alla media nazionale e questo vantaggio è rimasto sostanzialmente invariato nell’ultimo quindicennio, tuttavia non è cresciuta come nei principali Paesi europei”.

Elementi che inducono a pensare nuove soluzioni, sfruttando anche le best practices delle comunità occidentali. Ad esempio come quella che si è sviluppata in Francia negli ultimi anni, la ‘Città dei 15 minuti’, che ha trovato uno slancio definitivo durante il periodo della pandemia. In poche parole, si tratta di valutare “il tempo di spostamento a piedi” per raggiungere i luoghi utili alla quotidianità “come parametro fondamentale alla base della pianificazione urbana”. In Italia il tema è stato introdotto anche dal neo sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, durante la campagna elettorale dello scorso anno.

La seconda parte dello studio Camera-Cresme, poi, muove dalla constatazione del radicale cambio di paradigma della sfida urbana tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, fino ad arrivare alle riflessioni sulla possibilità di considerare gli incentivi fiscali per il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio o quali elementi di un più integrato sistema di interventi di trasformazione delle aree urbane. Dunque, “la sfida della rigenerazione urbana si qualifica come obiettivo sistemico al cui raggiungimento sono chiamate a concorrere numerose politiche pubbliche settoriali da coordinare in un quadro coerente e strategico di interventi”. Soprattutto sfruttando tutte le risorse messe a disposizione, di cui il Pnrr è una parte consistente ma non l’unica. Secondo l’analisi, nel prossimo lustro “è da tenere in considerazione il complesso quadro degli investimenti in opere pubbliche avviati con la programmazione nazionale ordinaria e, per rimanere nel quadro europeo, i fondi strutturali e i fondi di coesione sociale, oltre agli incentivi fiscali per il recupero edilizio”. Secondo un recente documento redatto dal Cresme, infatti, la stima è di “circa 310 miliardi di euro le risorse disponibili tra il 2021 e il 2027 considerando il Pnrr, il Fondo complementare al Pnrr, React-Eu e i fondi Fsre e Fse”.

Un altro elemento di fondamentale importanza, evidenziato dallo studio Camera-Cresme è l’interazione proattiva di investimenti pubblici e privati. “Se si lavorasse per innescare un virtuoso ciclo di investimenti privati, le potenzialità dell’impatto economico crescerebbero significativamente, così come la possibilità di far fare un salto competitivo al sistema economico del nostro Paese”, sottolinea il documento. Facendo notare che “le esperienze europee di rigenerazione urbana insegnano che nelle città gli investimenti privati in partnership con quelli pubblici possono avere un effetto moltiplicativo di grande rilievo, e con molti meno rischi di quelli dimostrati nei progetti riguardanti le grandi infrastrutture a rete”. Perché “le città sono per loro natura un mix di beni pubblici e beni privati, di infrastrutture pubbliche e private, di investimenti pubblici e privati, di interessi pubblici e privati che possono essere portati a sistema e valorizzati all’interno di nuovi strumenti di intervento”.

Tirando le somme dell’analisi, l’obiettivo è sviluppare una proposta riguardante i temi della rigenerazione urbana che tenga conto delle dinamiche in atto, delle risorse in gioco e degli obiettivi che l’Unione europea e l’Italia si sono date in termini di sviluppo sostenibile”. Il tutto in una prospettiva di “possibile revisione degli incentivi vigenti”, utilizzando la leva fiscale, attualmente adoperata in modo diffuso, “mirandola agli interventi di rigenerazione urbana”, tenendo presente le indicazioni europee e i programmi avviati con il Pnrr per le aree metropolitane, per “ricondurre queste risorse a sistema” con quelle del Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli altri fondi Ue, integrandole con possibili investimenti privati, nel quadro di una strategia complessiva.

Dunque, si legge nella parte relativa alle proposte, “se, prudenzialmente, nel periodo 2022-2027, continuassero gli incentivi con le modalità pre-2020 e i livelli rimanessero quelli sperimentati dal 2013 al 2019, sostenuti dagli incentivi del 50% e del 65%, verrebbero destinati al recupero edilizio e alla riqualificazione energetica mediamente 28 miliardi di euro all’anno”. Tutto questo considerando “la stagione del Superbonus 110% come temporanea”. Ecco perché non solo è possibile considerare il quadro generale delle risorse come parte della quota di cofinanziamento che l’Italia deve mettere in gioco per attivare i fondi strutturali e di coesione europei, ma “si dovrebbe sviluppare un nuovo modello di intervento in grado di mettere insieme risorse pubbliche, investimenti privati di dimensione significativa e investimenti privati diffusi che, mantenendo e anzi moltiplicando l’impatto degli interventi in termini economici e occupazionali”, nel solco dei principi dello sviluppo sostenibile, riduzione e resilienza all’impatto climatico, transizione digitale, territorializzazione dei servizi e qualità dell’abitare.

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(Photo credits: STR/AFP)