Cds sospende parere su liceo Made in Italy. Mim: Nessuno stop

La valutazione è ancora interlocutoria e non definitiva. Ma di fatto il Consiglio di Stato sospende il parere richiesto dal ministero dell’Istruzione e del Merito sul Liceo del Made in Italy.
Non ci sarà alcuno ‘stop‘”, assicura il Mim, parlando di distorsione della realtà. “Nella giornata di oggi è pervenuto il parere della Conferenza Stato-Regioni, che è pienamente favorevole. Peraltro, nel parere del CDS non vengono poste osservazioni rilevanti“, osserva il ministero.

Uno degli errori procedurali segnalati dal Consiglio di Stato, infatti, è stata la mancata presentazione del parere preventivo della Conferenza unificata, senza il quale sarebbe stato proceduralmente impossibile esprimersi, rilevano il presidente Paolo Troiano, l’estensore del documento redatto nell’adunanza del 27 agosto scorso Sandro Menichelli, e la segretaria Alessandra Colucci. Il parere dell’unificata è stato reso oggi, 12 settembre, in agenda come da ordine del giorno.

Altre perplessità sono relative al Regolamento sul quadro orario degli insegnamenti e degli specifici risultati di apprendimento e al “supporto al potenziamento e all’ampliamento dell’offerta formativa”, in quanto, si legge, “non si comprende la misura in cui le parole ‘potenziamento’ e ‘ampliamento’ godano di significativi tratti differenziativi“.

Nel percorso del liceo, poi, è previsto l’insegnamento, nella lingua straniera 1, dei contenuti di un’altra disciplina (CLIL) caratterizzante il percorso liceale. Un insegnamento che si sviluppa nel terzo, quarto e quinto anno di corso, “per almeno un terzo del monte ore annuale della disciplina individuata”. Secondo il Consiglio di Stato, in considerazione del considerevole numero di ore riservate a questo specifico insegnamento e della platea, necessariamente ampia, di professori che dovranno impartirlo, “potrebbero emergere profili problematici“. Bisognerebbe accompagnare i docenti con una specifica formazione sull’insegnamento in lingua inglese delle discipline non linguistiche (CLIL), quindi i giudici chiedono di “chiarire se questa oggettiva esigenza formativa che dovrà essere realizzata a favore del corpo docente non sia tale da tradursi in un’eventuale vulnus della prospettata neutralità finanziaria“.

Nasce ‘School of Sustainability’, un nuovo modello educativo che parte dai banchi di scuola

Photo Credit: School of Sustainability

 

La risposta educativa alla questione ambientale della scuola ha un nome e una mission specifica: School of Sustainability, la nuova iniziativa promossa da Bolton Hope Foundation e Future Education Modena che mira a trasformare l’apprendimento partendo dal tema più importante per il futuro dei giovani, l’ambiente e la sostenibilità. In un’Europa sempre più orientata alla transizione ecologica indicata dal Green Deal, School of Sustainability non si propone soltanto come modello didattico innovativo ma offre una cornice per dare alla nuova generazione di studentesse e studenti gli strumenti e le competenze per generare cambiamento.

Lo sviluppo di questa iniziativa avviene a seguito della pubblicazione del nuovo Quadro di competenze per l’educazione alla sostenibilità dell’Unione europea, il “GreenComp”, diventato il punto di riferimento per le traiettorie di lavoro in ambito educativo finalizzate a sviluppare le abilità e le attitudini più importanti per chi trascorrerà la maggior parte della vita all’interno di un mondo che si muove verso la direzione della transizione ecologica. Appropriazione dei valori legati alla sostenibilità ambientale, sviluppo del pensiero critico e sistemico, “capacità di immaginare futuri possibili” (future thinking) e capacità di azione multilivello (dal singolo alla collettività): sono queste le competenze di una educazione all’ambiente moderna ed efficace.

D’altra parte, è indubbio che le sfide ambientali di oggi richiedono competenze elevate, e quindi nuovi cittadini capaci di affrontare la complessità del contesto socio-economico contemporaneo caratterizzato da una sempre maggiore ricerca della sostenibilità all’interno dei contesti domestici, sociali e produttivi. Proprio per questo il sistema educativo deve favorire lo sviluppo di forti capacità analitiche e la propensione a cercare soluzioni: queste competenze sono al centro dell’iniziativa School of Sustainability. Future Education Modena, con il supporto di Bolton Hope Foundation, ha messo a punto un modello educativo innovativo che si poggia su 3 pilastri: il rigore scientifico e metodologico, l’intelligenza collettiva e uno scenario di riflessione basato sulle opportunità di cambiamento e sulla ricerca di soluzioni possibili.

Questo nuovo modello educativo vuole stimolare la scoperta dei principali temi ambientali e al contempo favorire la propensione all’azione da parte delle ragazze e dei ragazzi. Partendo dalla condivisione del sapere scientifico, i giovani possono appropriarsi della tematica affrontata esplorandola all’interno del contesto territoriale della propria scuola e della propria città, interagendo con esso e progettando soluzioni creative ai problemi individuati. Se il tema è la qualità dell’aria, ad esempio, l’azione degli studenti può partire dall’analisi del proprio contesto di vita, esaminando i dati disponibili, intervistando tecnici ed esperti, ragionando collettivamente e sviluppando idee per migliorare la situazione esistente.

Se invece l’argomento da affrontare è il processo di transizione energetica, l’attività può basarsi sulla valutazione dello stato di fatto all’interno dell’edificio scolastico oppure ragionando sulla scala della singola abitazione o del quartiere. Lo studio delle buone pratiche sempre più diffuse nell’ambito delle riqualificazioni energetiche degli edifici e delle comunità energetiche diventa il punto di partenza per proporre soluzioni concrete, sviluppate attraverso incontri mirati e lavori di gruppo, con un output che potrà essere messo a disposizione dei decisori pubblici e privati attivi nel contesto locale. Studentesse e studenti diventano quindi attori protagonisti del processo di transizione ecologica: è nelle sue ambizioni, un cambio di paradigma che finalmente pone al centro della transizione le generazioni più giovani, che possono passare dalla richiesta di risposte alla crisi ambientale alla proposta di soluzioni applicabili per il proprio territorio.

L’iniziativa è rivolta principalmente alle scuole secondarie di I grado. L’approccio pratico e partecipato in modo collettivo consente inoltre di contrastare la climate change anxiety, di sviluppare un senso di responsabilità personale e collettiva verso l’ambiente e la consapevolezza del proprio ruolo per tutelare la salute della società e del pianeta. School of Sustainability coinvolge gli insegnanti in un percorso di formazione che si declina attraverso una delle 4 traiettorie tematiche offerte: per ciascuna, si propone un percorso didattico che parte dalle conoscenze scientifiche necessarie per comprendere l’argomento, fino ad arrivare all’azione progettuale finalizzata al miglioramento del contesto locale in cui le scuole si trovano a vivere. L’iniziativa favorisce così la nascita di una community nazionale di scuole per lo scambio di esperienze, il supporto reciproco e la condivisione dei risultati ottenuti dalle diverse classi.

All’interno di School of Sustainability le comunità (dei docenti e delle scuole partecipanti), diventano il luogo in cui si sviluppano analisi e si generano proposte per trasformare concretamente il rispettivo contesto di vita. I numeri: 4 Track tematiche, traiettorie strategiche relative ai principali temi della transizione ecologica, transizione energetica degli edifici, città verdi e valorizzazione degli ecosistemi urbani, pianificazione e clima locale, per riprogettare gli spazi urbani con interventi naturalistici, miglioramento della qualità dell’aria; 20 Unità Didattiche, per declinare in modo approfondito le basi scientifiche necessarie al processo di transizione; 4 Challenge, sfide progettuali legate alle track tematiche che le scuole utilizzano come traccia per generare impatto: Progetti Attivi sui territori, con una visione di sistema del contesto locale e una modalità partecipativa finalizzata a coinvolgere decisori pubblici e privati, a partire dalle Amministrazioni Pubbliche Locali; 70 classi coinvolte, 60 workshop in presenza in alcuni contesti specifici del territorio nazionale (Piemonte, Emilia-Romagna, Campania e Puglia) per stimolare la discussione nella classe e promuovere l’approccio concreto e positivo alla risoluzione dei problemi ambientali.

Coinvolte le scuole di città e comuni delle province di Bari, Bergamo, Brescia, Caserta, Cuneo, Foggia, Genova, Lecce, Modena, Napoli, Padova, Parma, Reggio Emilia, Torino, Trento; 4 incontri con esperti di settore capaci di condividere esperienze personali e progetti di rilevanza nazionale sui temi affrontati, trasmettere determinazione e passione per ispirare l’azione degli studenti e orientarli nella scelta del loro percorso formativo; 2 modelli di valutazione: dello sviluppo della professionalità dei docenti e della crescita degli studenti in termini di consapevolezza e competenze; 181 insegnanti coinvolti nel processo formativo, nelle unità didattiche complete o nei percorsi brevi, di ispirazione.

L’iniziativa si sviluppa su tutto il territorio nazionale, con libera adesione delle scuole interessate a partecipare. School of Sustainability intende affrontare la sostenibilità in modo interdisciplinare, approcciare i temi partendo dallo studio analitico delle principali questioni ambientali del nostro tempo, arrivando allo svolgimento di attività di gruppo per lo sviluppo di soluzioni per il proprio territorio. All’interno di questo percorso ci si occupa dello studio del contesto locale, dell’analisi del territorio e della specifica problematica, e si arriva allo sviluppo di progetti proposti dagli studenti stessi. Questo approccio favorisce il coinvolgimento di tutti, la condivisione, l’apprendimento e lo sviluppo di un’intelligenza collettiva che stimola un processo di crescita collettiva e individuale. L’altro aspetto determinante è lo sviluppo di competenze specifiche in ambito scientifico, attraverso l’analisi dei dati, lo studio sul campo della situazione esistente, l’adozione di un metodo di lavoro pratico e collettivo.

Sviluppo di competenze e creazione di impatto sociale sono i due obiettivi centrali di School of Sustainability. Da una parte l’iniziativa si propone di coniugare l’acquisizione di conoscenze e competenze connesse alla dimensione della sostenibilità con lo svolgimento di “compiti di realtà” che simulano le attività svolte dai tecnici del settore (adattate in ogni ordine di scuola). Dall’altra si creano sinergie all’interno dei territori favorendo il contatto e la collaborazione tra la scuola e gli enti locali, i decisori privati e la cittadinanza, a vari livelli. Per questo, alla fine del percorso non saranno solo le studentesse e gli studenti ad aver acquisito capacità e a essere cresciuti, ma anche la società stessa.

Lezione nei boschi: l’esperienza scandinava degli asili all’aperto

Con qualsiasi tempo, i bambini trascorrono la giornata correndo nei boschi o costruendo capanne, e alcuni fanno anche un pisolino all’aperto: nel Nord Europa, la scuola per i più piccoli si fa spesso all’aperto. Nella foresta, seduti su un telone sul terreno innevato, Agnes e i suoi amici, di cinque anni e poco più, allineano bastoncini di legno per una lezione di matematica improvvisata. “Usiamo pezzi di legno per mostrare loro che si può usare qualsiasi cosa in natura per fare matematica“, spiega la loro insegnante, Lisa Byström. È una scena, per noi italiani, improbabile: i bambini tagliano i pezzi di legno con grandi coltelli, ma questo non desta alcuna preoccupazione. “A scuola si siederanno con un foglio di carta e una penna, ma qui pensiamo che possano farlo in modo più divertente“, spiega l’insegnante.

In Svezia, come in Danimarca, la scuola non è obbligatoria fino all’età di sei anni e questo metodo di prescolarizzazione è molto apprezzato dai genitori, che sono felici che i loro figli imparino a capire la natura. “Al giorno d’oggi la tecnologia è quasi ovunque, quindi per me è necessario andare nella natura fin da piccoli per imparare come comportarsi e rispettare l’ambiente“, dice Andreas Pegado, uno degli assistenti all’infanzia la cui figlia frequenta l’asilo.

Ogni giorno i bambini pranzano intorno a un fuoco di legna su piccole panche, a meno che non piova troppo e debbano rientrare. Dopo, i piccoli dormono all’aperto nei sacchi a pelo, anche quando la temperatura scende ben al di sotto dello zero. “Prendono molta aria fresca, dormono più a lungo e meglio“, dice Johanna Karlsson, direttrice dello stabilimento ‘Ur&Skur’ (letteralmente ‘In tutte le stagioni’), che non si lascia spaventare dai 5°C.

Nella vicina Danimarca, molti asili urbani utilizzano ‘autobus forestali’ che ogni mattina portano le classi dal marciapiede alla campagna. Ogni giorno, ad esempio, un gruppo di Stenurten, uno dei 78 asili su mezzo migliaio di Copenaghen che offre queste escursioni quotidiane, parte dal quartiere di Nørrebro, nel centro della città, per un viaggio di 30 minuti. Lì, accanto a una casetta dove possono ripararsi, un grande campo che si affaccia sul bosco permette loro di variare l’apprendimento e sviluppare l’autonomia.

Tutti indossano una tuta da sci, sia i bambini che gli adulti. Un detto nordico dice che non esiste il cattivo tempo, ma solo un cattivo abbigliamento. Stare all’aperto tutto il giorno, anche quando ci sono -10°C? I professionisti concordano sul fatto che i bambini piccoli che trascorrono del tempo all’aperto stanno meglio e hanno meno probabilità di ammalarsi. Negli anni ’20, un medico islandese consigliava di far dormire i bambini all’aperto per rafforzare il loro sistema immunitario, un’abitudine che da allora è stata adottata in tutto il Nord Europa senza essere rinnegata dalla classe medica. Uno studio britannico pubblicato nel 2018 sul British Educational Research Journal suggerisce che insegnare ai bambini piccoli a stare all’aperto migliora le capacità di collaborazione, incoraggiandoli a lavorare con gli altri, soprattutto attraverso il gioco.

Enel lancia progetto ‘Energie per la scuola’: ponte tra lavoro e formazione

Un programma formativo che promuova un ‘ponte’ tra imprese e scuola, favorendo un efficace inserimento degli studenti nel mondo del lavoro. E’ questo l’obiettivo del progetto ‘Energie per la scuola’ presentato da Enel, per fornire ai giovani le competenze utili per abbracciare le nuove professioni della transizione energetica e aprire così un percorso professionale nelle aziende della filiera elettrica, una volta portato a compimento il ciclo di studi. “Vogliamo dare una risposta concreta al problema del disallineamento tra domanda e offerta di professionalità tecniche e fornire una formazione in linea con le necessità della transizione energetica, anche in vista delle opportunità offerte dal Pnrr”, spiega il direttore di Enel Italia, Nicola Lanzetta.

“Energie per la scuola rappresenta una straordinaria occasione di crescita per il Paese a più livelli – aggiunge -: per i giovani, a cui è garantita la possibilità di accedere al mondo del lavoro con un una qualifica spendibile; per le scuole, in grado di migliorare la propria offerta formativa rendendola al passo con le richieste del mercato; infine, per le stesse aziende della filiera elettrica, che, attraverso il programma, possono avvalersi di personale specializzato al fine di realizzare progetti a beneficio di tutti”.

Dopo un primo avvio sperimentale nel 2022 che ha interessato 11 istituti, 8 aziende e creato le condizioni per l’assunzione di 100 ragazzi, quest’anno il progetto viene ampliato coinvolgendo più di 500 giovani, oltre 60 scuole in tutta Italia e 25 tra imprese e consorzi. “Le grandi aziende come la nostra hanno una responsabilità in più, perché quando si opera nel sistema bisogna fare due cose: anticipare i trend, ma anche contenere il sistema nella sua completezza. Questa iniziativa è straordinaria, perché integra il mondo del lavoro e quella della formazione, ma si inquadra in una strategia più ampia”, dice l’amministratore delegato di E-Distribuzione, Vincenzo Ranieri. ‘Energie per la scuola’ è infatti rivolto agli allievi dell’ultimo anno degli istituti tecnici e professionali, consentendo loro di acquisire le conoscenze e le abilità tecniche necessarie per svolgere i lavori maggiormente richiesti dalle aziende della filiera elettrica ed essere così assunti nelle imprese fornitrici di Enel subito dopo aver conseguito il diploma.

“Il mondo del lavoro è profondamente cambiato post pandemia, abbiamo abbandonato i canoni classici di un lavoro vecchio stile, da svolgere in un luogo definito e con orari e giorni della settimana ben definiti. Quello che le persone vogliono adesso è un lavoro sostenibile”, sottolinea la responsabile People and organization Italia di Enel, Francesca Valente. Spiegando che “la formazione è un potente abilitatore naturale di benessere, inclusione e crescita”, oltre che “un asset strategico” per l’azienda. ‘Energie per la scuola’ è caratterizzato da un approccio didattico innovativo che permette ai ragazzi di consolidare le conoscenze acquisite sui banchi attraverso l’esperienza pratica, in piena sicurezza, seguendo corsi ad alta specializzazione erogati dalla scuola in collaborazione con istituti di formazione certificati.

Ischia, parla Musumeci: “Non esiste prevenzione senza strumenti di previsione”

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Nell’Aula della Camera si è svolta la seduta dedicata all’informativa urgente del ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, sui tragici eventi accaduti a Ischia nei giorni scorsi (il bollettino emesso dalla Regione Campania prevedeva allerta arancione per il 25, così come per il 26 per rischio idrogeologico), quando in 24 ore sono caduti 20 mm di pioggia, dei quali oltre cento in due ore.

Musumeci  ha raccontato gli eventi attraverso i numeri: “Otto persone morte, quattro dispersi e cinque feriti, di cui uno in modo grave e attualmente ricoverato presso l’ospedale Cardarelli di Napoli“, innanzitutto. Nel frattempo, i soccorritori hanno recuperato i corpi senza vita di altre tre persone: sale dunque a undici il numero delle vittime.
Poi, le strutture: “Al momento, sono stati effettuati 272 controlli sulle 900 unità abitative danneggiate: risultano 45 strutture danneggiate e inagibili, 56 agibili ma esposte a rischi,162 strutture agibili e 191 presentano criticità gravi; 290 sfollati hanno trovato sistemazione in alberghi o simili“. Nei prossimi giorni verranno ultimati tutti controlli sui 900 edifici interessati dagli eventi “e si potrà disporre di una migliore definizione dei confini della zona rossa“, ha aggiunto il ministro Nello Musumeci. Il quale ha ricordato che, all’indomani della tragedia di Ischia, la premier Giorgia Meloni “mi ha dato il mandato di costituire un gruppo di lavoro interministeriale allargato alla conferenza delle Regioni, all’unione delle Province e all’Anci. Il gruppo dovrà elaborare delle proposte per semplificare le disordinate e disarmanti procedure per la mitigazione del rischio non solo idrogeologico.  Si tratta di un obiettivo ambizioso e non semplice e ci va coraggio per raggiungerlo“.

Il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico “è stato avviato nel 2016 presso il ministero dell’Ambiente, ma da allora – nonostante sia stato presentato informalmente nel 2018 – la Commissione per l’autorizzazione ambientale non ha dato il proprio parere definitivo. Il paradosso è che quando il Piano sarà varato sarà già superato perché è una materia che si evolve con velocità impressionante“, ha poi spiegato il ministro nel corso della sua audizione. Con una riflessione a margine: “Quanto accaduto a Ischia ci obbliga ad approfondire con urgenza il tema delle cause e delle molte questioni” legate a “un sistema normativo e amministrativo integrato ed efficiente sulla prevenzione deli rischi. Quali sono i possibili rimedi? Innanzitutto una strategia che consenta di agire dove ci sono le urgenze e che ha come presupposto essenziale un quadro completo della prevenzione del rischio. Non si può immaginare la prevenzione senza uno strumento di previsione. Questo strumento – ha aggiunto – ci dice quali sono i territori vulnerabili e quale rischi e si chiama Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico”.
Il ministro sottolinea infine che, “per i suoi profili di natura etica, giuridica, ambientale ed economica, il fenomeno dell’abusivismo edilizio non può essere più eluso”; rispetto invece alla situazione delle scuole, risultano chiusi fino al 4 dicembre gli istituti scolastici di Casamicciola e Lacco Ameno; si sta valutando la didattica a distanza e la necessità, espressa dai sindaci, di trovare una linea comune sull’apertura degli istituti scolastici.

Rispetto alla macchina dei soccorsi, Musumeci ha riferito che questi ultimi sono stati “immediati.  Sono intervenuti: il corpo nazionale dei vigili del fuoco (unità già presenti sull’isola e cento unità accorse, 40 mezzi operativi, 1 unità di comando locale, 2 moduli Sapr, 1 carro faro e 1 carro carburante; l’aeronautica militare, con un elicottero HH139 con capacità notturne Sar; l’esercito italiano, con un elicottero CH47 con capacità SAR; la capitaneria di porto, con la nave Gregoretti posizionata nelle acque antistanti l’isola di Ischia; le forze dell’ordine: circa 200 unità; la sanità pubblica con 44 unità; l’ENEL con 10 unità di personale; la Colonna Mobile del Volontariato di Protezione Civile della Regione Campania con 104 unità, 3 unità cinofile, 3 escavatori grandi, 3 bob-cat, 9 idrovore, mezzi per trasporto personale, 12 pick-up, 4 torri faro“. Nei giorni successivi, “si sono resi disponibili ulteriori uomini e mezzi del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco per un totale di 200 uomini e 100 mezzi, con droni, autocarri e mezzi di movimento terra operativi sull’isola; della Croce Rossa Italiana per il proseguimento delle attività, richieste dalle autorità locali, con 15 operatori e 5 mezzi, con la disponibilità di ulteriori mezzi di movimento terra; della Capitaneria di porto per un totale di 93 uomini e 5 mezzi a supporto nelle acque antistanti l’isola di Ischia con battelli attualmente in ricognizione“. Per gestire la situazione di emergenza e coordinare le operazioni, sono stati attivati il Centro coordinamento soccorsi presso la Prefettura di Napoli e i Centri operativi comunali presso i Comuni di Casamicciola Terme, Forio e Lacco Ameno.

Il ministro Musumeci non ha lasciato spazio a interpretazioni quando ha affermato che: “Non c’è prevenzione senza danno di previsione. Per affrontare il tema è necessario definire un quadro regolatorio che preveda anche poteri sostitutivi e sanzionatori in caso di inerzia da parte dei soggetti attuatori. Servono inoltre un quadro aggiornato delle risorse disponibili e delle responsabilità“, nonché “la semplificazione del quadro procedurale e regolatorio” e “il rafforzamento della capacità amministrativa delle strutture tecniche responsabili degli interventi”. Inoltre, il ministro ha sottolineato la necessità di avere “una sede centrale di conoscenza degli interventi” per il loro “coordinamento”, sulla base del “modello della struttura di missione di Italia Sicura”.

Scuola

Scuola e piano Mite. Sindacati: -1 grado? Ok, ma edifici fatiscenti

Il piano Cingolani non risparmia la scuola: in inverno le aule dovranno essere riscaldate con un grado in meno, nonostante le norme anti-Covid invitino a tenere le finestre aperte per il ricambio di aria.

Da settimane abbiamo lanciato l’allarme rispetto a quello che si sarebbe poi messo in evidenza: serrare le fila sui comportamenti da tenere nei mesi freddi. Può stare nella logica delle cose abbassare le temperature di un grado in tutti gli edifici pubblici e privati. Ciò che mi sconcerta però è la non presa di coscienza che bisognava intervenire in estate con gli impianti di purificazione dell’aria, si poteva fare, i sistemi avrebbero messo in sicurezza le aule senza dover tenere le finestre aperte“, spiega a GEA Ivana Barbacci, segretaria generale di Cisl Scuola. Ridurre i gradi in classe, osserva, non è un dramma, “ma se la cosa si combina con le finestre aperte la condizione diventa insalubre. Le scuole non hanno mai esagerato in termini di temperature, c’è una sorta di abitudine a risparmiare. Ma le linee guida mi disarmano, dobbiamo recuperare, dobbiamo dare mandato a province e comuni a provvedere sugli impianti di aerazione“, insiste.

Dalle misure del Piano elaborato dal Mite sono escluse tutte le “utenze sensibili”, tra le quali ricadono anche ospedali e case di ricovero, ma non la scuola. Eppure “è una priorità, dovrebbe essere un luogo da privilegiare. Perché è stata esclusa?” chiede Alessandro Rapezzi, segretario nazionale Flc Cgil.

Il tema sarà domani alle 10 sul tavolo del confronto tra i sindacati, il ministro Patrizio Bianchi e le forze politiche, “ne parleremo – assicura la segretaria di Cisl Scuola – anche per dare un’agenda completa a chi si appresta a governare“. “Tutto quello che è intervenuto per gli edifici privati andrebbe fatto per l’edilizia scolastica, che ha bisogno di essere ammodernata – ripete Barbacci -. Abbiamo 42mila edifici, mettere impianti fotovoltaici su tutti i tetti, coibentare i muri e cambiare gli infissi creerebbe un risparmio energetico per la collettività, non solo per chi è nella Scuola“, osserva.

L’idea dei pannelli solari l’aveva lanciata mesi fa il presidente dell’Anp, Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli: “Questo contribuirebbe al saldo energetico nazionale. Alcune scuole li hanno già, ma se l’operazione si fa a tappeto avremo un bel po’ di energia in più“, afferma. Sul piano non ha obiezioni: “È doveroso per tutti abbassare di un grado la temperatura, tutti dobbiamo fare la nostra parte“. Ma solleva una questione, che è la madre dei problemi: “La verità è che non abbiamo mai efficientato gli edifici pubblici e che spesso gli impianti consumano più di quanto forniscono. Il parco edilizio è vetusto e fatiscente, gli edifici in buone condizioni sono sicuramente in minoranza, le scuole sono delle strutture molto poco efficienti“.  Sul punto trova il pieno accordo di Rapezzi: “Chiaramente per la scuola non si è fatto nulla negli anni. Noi fin da subito, da maggio 2020, quando si è riaperto dopo la prima pandemia, abbiamo chiesto l’impegno del governo per gli edifici. Non so valutare se l’aerazione sia un tema, sicuramente molti edifici hanno bisogno di un intervento a prescindere“, scandisce. Poi si rivolge al Governo: “Dicono di aver messo tanti soldi, vorremmo capire come sono stati spesi in materia di edilizia scolastica“.

Antonello Giannelli

Giannelli: “Pannelli solari sulle scuole? Forza di una centrale elettrica”

Se si installassero pannelli fotovoltaici sulle oltre 40mila scuole italiane, si produrrebbe la forza di una centrale”. La proposta l’ha lanciata a marzo il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli. Di fronte all’emergenza energetica, è convinto, “la scuola può fare molto”.

Giannelli proponeva di investire una parte dei fondi del Pnrr per gli enti locali, proprietari degli edifici, in modo che potessero installare sui solai delle scuole pannelli fotovoltaici, realizzando una “centrale elettrica diffusa senza precedenti”.

A distanza di due mesi e mezzo, non c’è stata nessuna risposta concreta da parte delle istituzioni, rivela il rappresentante sindacale dei presidi a GEA, “a parte qualche cenno di approvazione da parte di parlamentari e di varie persone del mondo della scuola”. Quanto ai vincoli delle soprintendenze per i centri storici, non si dice preoccupato: “da un lato la maggior parte delle scuole non insiste in centri storici, d’altro canto i pannelli sul lastrico non impattano sul decoro urbano, non vedo grossi problemi in questo senso”, spiega.

La sostenibilità è fatta anche di piccole buone pratiche diffuse. I ragazzi sono tra i più impegnati nella difesa dell’ambiente e le scuole, osserva, “fanno già tanto per dare l’esempio”: “Una delle pratiche più diffuse è quella della raccolta di batterie elettriche o di materiali di scarto come la plastica. Un’altra attività praticata è la sensibilizzazione al risparmio energetico”. L’Anp da anni promuove la diffusione di una cultura della sostenibilità nelle scuole. Del 2020 è l’accordo con Eni per un programma congiunto di incontri sui temi ambientali dedicato per formare il personale docente. Attraverso i temi dell’educazione al rispetto dell’ambiente, alla sostenibilità, al patrimonio culturale, alla cittadinanza globale è possibile stimolare la consapevolezza di essere parte di una comunità, locale e globale.

Nel percorso per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, gli studenti “possono fare la differenza, e la fanno, in modo indiretto, perché sono i cittadini di domani”, precisa Giannelli. “Oggi è importante contribuire a formare coscienza sensibile. Se vogliamo vedere nel mondo comportamenti virtuosi domani, è necessario operare da subito per sviluppare una predisposizione ad atteggiamenti responsabili”.

Messa

Università, Messa: “Miliardi di euro nella ricerca green, i fondi non mancano più”

“Protagonisti e trascinatori”. Maria Cristina Messa, ministra dell’Università e della Ricerca, vede così gli studenti italiani impegnati per gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu. “Sentono particolarmente la necessità di costruire comunità più sostenibili”, spiega, intervistata da GEA. Recentemente, il Mur ha istituito un Tavolo tecnico per lo studio di proposte in tema di risparmio energetico destinate alle istituzioni della formazione superiore e degli enti di ricerca, con il compito di realizzare “un’attenta mappatura delle fonti energetiche nel sistema e individuare strategie migliorative in tema di risparmio energetico”, racconta. “Nell’individuare le buone pratiche e nel proporre soluzioni, anche inedite, per ridurre i consumi, sicuramente i giovani avranno un ruolo fondamentale”.

La rete RUS, università per lo sviluppo sostenibile, coordina gli Atenei impegnati sui temi della sostenibilità ambientale e della responsabilità sociale. Si può pensare di estendere strutturalmente progetti ed esperienze del RUS a tutte le università italiane?
“Non solo si può pensare, abbiamo già coinvolto la RUS nello studio di proposte di sostenibilità per gli atenei. Si devono estendere buone pratiche e progetti sostenibili poiché gli effetti positivi di azioni e misure volte allo sviluppo sostenibile sono tanto più solidi quanto più ampiamente adottati dalle diverse realtà. Tra l’altro, tra gli obiettivi della rete RUS ci sono proprio l’armonizzazione delle attività istituzionali, la creazione di una comunità capace non solo di sviluppare ma anche trasferire buone pratiche nazionali e internazionali, la promozione di progetti già sperimentati con successo affinché possano essere adottati da un numero sempre maggiore di università”.

La sostenibilità è fatta di piccoli gesti, di idee, di stili di vita, ma anche di ricerca. Sono sufficienti i fondi? Quanto e cosa servirebbe per una vera svolta green nelle università italiane?
“Se gli investimenti nella ricerca sono stati, obiettivamente, carenti nel passato, per il presente e il futuro, almeno a medio termine, non mancheranno, sia grazie al PNRR sia grazie alle risorse previste in legge di bilancio. Quando parliamo di transizione ecologica facciamo riferimento sia alla ricerca fondamentale, quella con un livello di trasferimento tecnologico basso, sia a quella più disruptive che prevede un rapido passaggio verso l’applicazione nel business. Ecco, con fondi europei e nazionali ora siamo in grado di coprire adeguatamente tutti i fronti e lo stiamo facendo, con bandi per diversi miliardi di euro che riguardano, per esempio, borse di dottorato nel settore green, grandi progettualità per la costruzione di un Centro nazionale per la mobilità sostenibile, partenariati estesi alle università, ai centri di ricerca, alle aziende sul territorio nazionale che abbiano al centro, come temi, gli scenari energetici del futuro, i rischi ambientali, naturali e antropici, i modelli per un’alimentazione sostenibile, il made in Italy circolare e sostenibile. La svolta green, non solo nelle università, è poi legata a comportamenti, alla riqualificazione del patrimonio edilizio, all’efficientamento dei laboratori, al migliore utilizzo delle risorse. Anche per questo le risorse ci sono”.

La pandemia, come spesso accade per ogni crisi, è stata un acceleratore sulla transizione in molti settori, cosa resta e cosa va archiviato dell’università in lockdown?
Dobbiamo recuperare il valore della socialità, dello scambio, del confronto diretto che abbiamo sacrificato in questi anni di contrasto alla diffusione del contagio. Ma di certo l’università non perderà gli aspetti positivi che ha portato l’utilizzo della tecnologia per promuovere modalità di insegnamento misto, in presenza e a distanza, volto a formare studenti in modo più completo e agevole, per organizzare seminari tra atenei anche distanti migliaia di chilometri, per costruire percorsi formativi sempre più flessibili e interdisciplinari. Sarà un nuovo equilibrio, diverso da prima, non necessariamente migliore o peggiore di quello precedente, semplicemente più adatto a questi tempi.

Qual è la sua idea per l’Università del futuro?
“Un sistema dinamico, innovativo e tecnologicamente avanzato, che metta al centro le persone e le loro competenze, un sistema che accompagni studenti, ricercatori e docenti a costruire un Paese migliore”.

Scuola

Scuole ecosostenibili, la strada è ancora lunga

Nonostante gli investimenti fatti negli ultimi anni, il patrimonio edilizio scolastico italiano è ancora ben lontano dall’avvicinarsi all’obiettivo della sostenibilità. Un problema, questo, che deriva soprattutto dall’età eccessiva delle strutture. Secondo il Rapporto sull’Edilizia Scolastica della Fondazione Agnelli, l’età media degli edifici è di 52 anni, con due stabili su tre costruiti prima del 1976. Questa situazione incide pesantemente non solo sulle prestazioni energetiche, ma anche a livello di sicurezza e spazi a disposizione.

Quanto sia lungo il percorso per arrivare ad avere delle scuole meno energizzare e impattanti sull’ambiente lo si capisce dall’ultimo dossier Ecosistema Scuola pubblicato da Legambiente. Appena il 24% degli edifici scolastici è dotato di certificazione energetica. Tra questi, quasi tre su quattro (73,4%) appartengono alle tre classi ‘peggiori’ (E, F e G). In classe A c’è invece solo il 5,5% degli immobili certificati. Emerge anche una notevole disparità a livello territoriale: al Nord le scuole delle tre classi più energizzare sono il 64,8%, al Centro il 90,6% e al Sud il 91,4%.

La situazione è sì migliorata negli ultimi anni, ma non di tanto: secondo l’indagine di Ambientante, gli interventi di efficientismo energetico realizzati in cinque anni hanno interessato solo il 15,5% dei fabbricati scolastici. Per di più, la maggior parte dei lavori ha riguardato la sostituzione di vetri e serramenti oppure l’isolamento di coperture e pareti esterni: operazioni in grado di ridurre solo in parte i consumi e gli sprechi di energia. Appena il 16,7% delle scuole è invece dotato di un qualche tipo di impianto per l’energia rinnovabile, in gran parte solare fotovoltaico (69,2%) e solare termico (34,2%). Molto marginali i numeri del geotermico (1,3%), delle biomasse (1,2%) e del biogas (0,6%).

Il quadro attuale dunque non è confortante se paragonato con gli ambiziosi obiettivi di abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni posti dall’Ue e dal governo italiano. Un po’ più rosea la situazione per quanto riguarda altre buone pratiche evergreen. Rispetto al cibo somministrato nelle mense (presenti nel 61,2% degli edifici), la media di biologico nei pasti è del 56,2%, mentre quelle che privilegiano prodotti a km zero sono l’81,6%. Nel 2020 è però aumentata fortemente la quota di realtà che utilizzano stoviglie monouso (al 72,5% dal 56,3% del 2019), dato però che si spiega con le norme igieniche stringenti imposte dalla pandemia.

Infine, i numeri sulla raccolta differenziata dei rifiuti sono buoni, anche se sostanzialmente stabili da diversi anni. La plastica è il materiale conferito correttamente nella maggioranza delle scuole (80,9%), seguono la carta (74,6%), il vetro (67,2%), l’organico (65,8%), l’alluminio (64,7%), i toner (54,9%), le pile (47,3%) e i RAEE (30,2%).