La Cop27 chiude ai supplementari: sì a fondo ‘loss & demage’, ma delusione sulle emissioni

Dopo negoziati difficili che si son protratti oltre il previsto, la Cop27 si è conclusa domenica con un testo molto contestato sugli aiuti ai Paesi poveri colpiti dal cambiamento climatico, ma anche con il fallimento nel fissare nuove ambizioni per la riduzione dei gas serra. La conferenza delle Nazioni Unite sul clima, che si è aperta il 6 novembre a Sharm el-Sheikh, in Egitto, è diventata una delle Cop più lunghe della storia quando si è conclusa all’alba di domenica. “Non è stato facile“, ma “abbiamo finalmente compiuto la nostra missione“, ha dichiarato il suo presidente, il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry. E’ stata adottata una dichiarazione finale, frutto di molti compromessi, che chiede una “rapida” riduzione delle emissioni, ma senza nuove ambizioni rispetto alla Cop di Glasgow del 2021. “Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questa è una domanda a cui questa Cop non ha risposto“, ha lamentato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. L’Unione Europea si è detta “delusa“, mentre il primo ministro britannico Rishi Sunak ha chiesto di fare “di più“.

Tuttavia, questa edizione è stata segnata dall’adozione di una risoluzione definita storica dai suoi promotori, sul risarcimento dei danni causati dal cambiamento climatico ai Paesi più poveri. Questo ‘loss and damage’ ha quasi fatto deragliare la conferenza prima che venisse raggiunto un compromesso all’ultimo minuto. Sebbene il testo lasci molte domande senza risposta, è d’accordo in linea di principio sulla creazione di un fondo specifico. “Le perdite e i danni nei Paesi vulnerabili non possono più essere ignorati, anche se alcuni Paesi sviluppati hanno deciso di ignorare le nostre sofferenze“, ha dichiarato Vanessa Nakate, attivista giovanile ugandese. Il Dipartimento per l’Ambiente del Sudafrica ha accolto con favore i “progressi“, ma ha chiesto “azioni urgenti” per “garantire il rispetto degli obblighi dei Paesi sviluppati“. Il presidente francese Emmanuel Macron ha proposto un vertice a Parigi prima della Cop28 a Dubai alla fine del 2023, per “un nuovo patto finanziario” con i Paesi vulnerabili.

Anche il testo sulla riduzione delle emissioni è stato fortemente contestato, con molti Paesi che hanno denunciato un passo indietro rispetto alle ambizioni definite nelle conferenze precedenti. Questo include l’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi: limitare il riscaldamento a 1,5°C, che è stato comunque riaffermato nella decisione finale. Gli attuali impegni dei Paesi firmatari non consentono di raggiungere questo obiettivo, e nemmeno quello di contenere l’aumento della temperatura entro i 2°C rispetto all’era preindustriale, quando l’uomo ha iniziato a utilizzare i combustibili fossili responsabili del riscaldamento globale su larga scala. Questi impegni, se pienamente rispettati, porterebbero il mondo, nella migliore delle ipotesi, su una traiettoria di +2,4°C nel 2100 e, al ritmo attuale delle emissioni, su una catastrofica di +2,8°C. Tuttavia, con quasi +1,2°C oggi, gli impatti drammatici si stanno già moltiplicando: il 2022 ha visto una serie di siccità devastanti, mega-incendi e inondazioni, che hanno colpito i raccolti e le infrastrutture. Anche i costi sono elevati: la Banca Mondiale stima in 30 miliardi di dollari il costo delle inondazioni che hanno ricoperto d’acqua per settimane un terzo del Pakistan e lasciato senza casa milioni di persone. I Paesi poveri, spesso tra i più esposti ma in genere poco responsabili del riscaldamento globale, chiedono da anni finanziamenti per le perdite e i danni.

Accusato da alcuni di mancanza di trasparenza nei negoziati, l’egiziano Sameh Shoukry ha affermato che non c’erano “cattive intenzioni“. Tuttavia, la battaglia non si concluderà con l’adozione della risoluzione di Sharm el-Sheikh, che rimane volutamente vaga su alcuni punti controversi. I dettagli operativi devono essere definiti per essere adottati alla Cop28, promettendo nuovi scontri. Ciò è particolarmente vero per la questione dei contributori, con i Paesi sviluppati, guidati dagli Stati Uniti, che insistono per includere la Cina. L’inviato degli Stati Uniti per il clima John Kerry ha dichiarato di essere al lavoro per aumentare il contributo degli Stati Uniti a 11 miliardi di dollari, il che renderebbe Washington “il più grande contributore all’economia del clima“. Un portavoce del Dipartimento di Stato ha tuttavia sottolineato che l’accordo non menziona alcun punto vincolante.

Un’altra questione che ha scosso la Cop è stata quella delle ambizioni di riduzione delle emissioni. Molti Paesi hanno ritenuto che i testi proposti dalla presidenza egiziana fossero un passo indietro rispetto agli impegni assunti a Glasgow di aumentare regolarmente il livello delle emissioni. Per non parlare della questione della riduzione dell’uso dei combustibili fossili, che sono la causa del riscaldamento globale, ma sono appena menzionati nei testi sul clima. Il britannico Alok Sharma, presidente della Cop26, ha affermato che un punto sui combustibili fossili è stato “annacquato all’ultimo momento“.

Alla Cop27 i governi ascoltino anche la società civile

Gli obiettivi climatici non sono estranei ai loro effetti sulla società, nella quale anzi possono causare gravi danni, a livello nazionale ed internazionale. Il Comitato economico e sociale europeo è tra coloro che si fanno carico dell’equità del processo.

Due o tre giorni di sfilate di capi di Stato, capi di Governo hanno aperto la conferenza sul clima Cop27. E’ giusto, sono i governi i primi a dover prendere e realizzare impegni che sono di dimensioni globali, neanche più regionali, per combattere il cambiamento climatico e far restare la terra un pianeta dove si possa vivere e prosperare.

Non sono però solo i governi i protagonisti di questo enorme lavoro, ed infatti sono centinaia gli eventi collaterali che si svolgono a Sharm el-Sheikh organizzati da associazioni di cittadini, di ambientalisti, di sindacati. Già, perché le scelte che saranno fatte dalla politica ‘di governo’ dovranno poi camminare con le gambe di cittadini, dei lavoratori, e dovranno funzionare perché i più giovani non siano penalizzati dai più vecchi.

E i più giovani non sono solo le persone che hanno meno anni e che dovranno vivere nel clima che gli si offrirà, ma sono anche quei Paesi del mondo che più di recente sono riusciti a disegnare un loro percorso di crescita economica, e che rischiano di vedersi le ali tarpate dai Paesi più ricchi, che hanno inquinato per decenni (ed hanno anche sottratto risorse un po’ ovunque nel mondo) ed ora vogliono smettere di inquinare, imponendo però delle scelte che sono basate sul rimedio ai loro errori che si vuole paghi anche chi, per decenni, non ha inquinato e solo ora ha bisogno di uno spazio per crescere. E’ un equilibrio difficile, ma va trovato.

E poi c’è la società civile, i giovani, coloro a cui queste politiche si indirizzano. E ben ha fatto una organizzazione ‘istituzionale’ della società civile europea, con il Comitato economico e sociale (Cese, o Eesc in inglese) a investire sulla Cop27. l focus scelto per il vertice in Egitto è ‘Together for implementation’ (insieme nell’implementazione), e dunque un gruppo ad hoc del Comitato economico e sociale parteciperà ai lavori con eventi ‘a latere’ e insisterà sul ruolo della società civile organizzata nell’imprimere maggiore forza all’azione dei governi. Con un occhio di riguardo alla sua componente giovanile: oltre a sei membri del Cese, farà parte della spedizione anche la rappresentante giovanile, Sophia Katharina Wiegand.

L’obiettivo è tenere alto il tema della giustizia sociale, di un’economia sostenibile che non lasci indietro nessuno, che coinvolga nelle scelte e che non cresi condizioni per le quali chi è meno ‘forte’ non riesca a tenere il passo, e, anche qui, debba pagare per le scelte dei più ricchi. E qui non parliamo solo di Paesi, ma proprio di persone.