Piccole e pericolose: arriva l’app per sapere quante microplastiche ingeriamo

Le micro e le nanoplastiche sono presenti nel nostro cibo, nell’acqua e nell’aria che respiriamo e ne sono state trovate tracce anche nei polmoni e nella materia cerebrale. Ora i ricercatori della University of British Columbia hanno sviluppato uno strumento portatile e a basso costo per misurare con precisione la plastica rilasciata da fonti quotidiane come tazze e bottiglie d’acqua usa e getta.

Il dispositivo, abbinato a un’app, utilizza un’etichettatura fluorescente per rilevare particelle di plastica di dimensioni comprese tra 50 nanometri e 10 micron – troppo piccole per essere rilevate a occhio nudo – e fornisce risultati in pochi minuti. Il metodo e i risultati sono illustrati nel sito ACS Sensors.

“La scomposizione dei pezzi di plastica più grandi in microplastiche e nanoplastiche rappresenta una minaccia significativa per i sistemi alimentari, gli ecosistemi e la salute umana”, spiega Tianxi Yang, professoressa assistente presso la facoltà di Scienze del territorio e dei sistemi alimentari, che ha sviluppato lo strumento. “Questa nuova tecnica consente di rilevare queste plastiche in modo rapido ed economico, contribuendo così a proteggere la nostra salute e gli ecosistemi”.

Le nano e microplastiche sono sottoprodotti della degradazione di materiali plastici come contenitori per il pranzo, tazze e utensili. Essendo particelle molto piccole con un’ampia superficie, le nanoplastiche sono particolarmente preoccupanti per la salute umana a causa della loro maggiore capacità di assorbire tossine e penetrare le barriere biologiche all’interno del corpo umano.

Il rilevamento di queste materie plastiche richiede in genere personale specializzato e attrezzature costose. Il team di Yang voleva rendere il rilevamento più rapido, accessibile e affidabile. Per questo ha creato una piccola scatola biodegradabile stampata in 3D contenente un microscopio digitale wireless, una luce led verde e un filtro di eccitazione. Per misurare le plastiche, hanno personalizzato il software Matlab con algoritmi di apprendimento automatico e lo hanno combinato con il software di acquisizione delle immagini.

Il risultato è uno strumento portatile che funziona con uno smartphone o un altro dispositivo mobile per rivelare il numero di particelle di plastica in un campione. Lo strumento necessita solo di un minuscolo campione di liquido (meno di una goccia d’acqua) e fa brillare le particelle di plastica sotto la luce led verde del microscopio per visualizzarle e misurarle. I risultati sono di facile comprensione, sia per un tecnico di un laboratorio di trasformazione alimentare sia per un semplice curioso della sua tazza di caffè mattutina.

Per lo studio, il team ha testato tazze di polistirene monouso. Gli scienziati hanno riempito le tazze con 50 ml di acqua distillata e bollente e le hanno lasciate raffreddare per 30 minuti. I risultati hanno mostrato che le tazze rilasciavano centinaia di milioni di particelle di plastica di dimensioni nanometriche, più o meno un centesimo della larghezza di un capello umano.

“Una volta che il microscopio nella scatola cattura l’immagine fluorescente, l’applicazione abbina l’area dei pixel dell’immagine con il numero di plastiche”, dice il co-autore Haoming (Peter) Yang, studente di master presso la facoltà di sistemi territoriali e alimentari. “La lettura mostra se la plastica è presente e in che quantità. Ogni test costa solo 1,5 centesimi”.

Lo strumento è attualmente calibrato per misurare il polistirene, ma l’algoritmo di apprendimento automatico potrebbe essere modificato per misurare diversi tipi di plastica come il polietilene o il polipropilene. I ricercatori intendono poi commercializzare il dispositivo per analizzare le particelle di plastica in altre applicazioni reali. Gli impatti a lungo termine dell’ingestione di plastica dalle bevande, dagli alimenti e persino dalle particelle di plastica trasportate dall’aria sono ancora in fase di studio, ma destano preoccupazione. “Per ridurre l’ingestione di plastica, è importante evitare i prodotti a base di petrolio, optando per alternative come il vetro o l’acciaio inossidabile per i contenitori degli alimenti. Anche lo sviluppo di materiali di imballaggio biodegradabili è importante per sostituire la plastica tradizionale e progredire verso un mondo più sostenibile”, conclude Yang.

I cellulari ‘verdi’ Fairphone partono alla conquista dell’Europa

Dopo oltre dieci anni e più di 600.000 modelli venduti, il produttore olandese Fairphone, i cui smartphone puntano a essere etici ed ecologici, vuole accelerare la sua crescita in Europa, dove i suoi clienti sono ancora concentrati in Germania, Francia e Paesi Bassi. Dalla sua creazione nel 2013, “Fairphone ha dimostrato che è possibile creare un mercato redditizio per l’elettronica etica”, ha dichiarato Reinier Hendriks, Ceo di Fairphone, a margine del World Mobile Exhibition (Mwe) di Barcellona. Secondo Hendriks, il posizionamento dell’azienda è quello di offrire smartphone facili da smontare, riparabili e durevoli nel tempo, oltre che prodotti in modo “responsabile” sia dal punto di vista sociale che ambientale.

“La grande tecnologia non è una macchina fotografica nuova o qualcosa che si usa e si butta via. La grande tecnologia è qualcosa che si può usare per sempre”, afferma questo veterano dell’industria delle telecomunicazioni, nominato responsabile dell’azienda di Amsterdam all’inizio di febbraio. Sebbene i suoi telefoni siano prodotti in Cina, Fairphone si impegna a garantire il rispetto delle condizioni di lavoro e dei salari dei lavoratori. Allo stesso tempo, dà la preferenza ai fornitori di materie prime provenienti dall’esterno delle zone di conflitto e ai componenti riciclati. “Ogni anno vengono prodotti più di 15 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici e l’industria degli smartphone è la principale responsabile. Se continuiamo a utilizzare cicli brevi, la quantità di rifiuti elettronici non potrà che aumentare”, spiega Hendriks, chiedendo un “cambiamento di mentalità” nella produzione di questi prodotti.

Fairphone ha venduto più di 600.000 smartphone dal suo lancio, più della metà dei quali sono ancora in uso. “Questo significa che la durata media dei nostri prodotti è di 5,5 anni, quasi il doppio della media del settore”, afferma Hendricks. Secondo il suo nuovo capo, Fairphone ha registrato un fatturato di 56 milioni di euro nel 2022, con un aumento di oltre il 50% rispetto all’anno precedente. Ma “l’azienda ha bisogno di essere più forte, di crescere a livello internazionale, di espandersi nel mercato enterprise e di ottenere risultati migliori in termini di volume, perché è così che contiamo il nostro impatto alla fine della giornata”, ammette Reinier Hendriks.

Sebbene l’attività di Fairphone sia concentrata principalmente in tre Paesi – Germania (40%), Francia (30%) e Paesi Bassi (15%) – grazie al supporto di importanti operatori locali come Deutsche Telekom, Orange e KPN, l‘azienda vuole attirare più consumatori europei in altri mercati nazionali. I prossimi territori su cui puntare sono i Paesi nordici (Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia), dove “la sostenibilità è un fattore molto importante”, la Svizzera e l’Austria, nonché il Regno Unito, afferma Reinier Hendriks.

E gli Stati Uniti? “Prima di attraversare l’Atlantico, vogliamo essere sicuri di aver già fatto tutto quello che dobbiamo fare per l’Europa. Questo è il nostro obiettivo”, risponde. Per raggiungere i suoi obiettivi, Fairphone può contare su una raccolta di 49 milioni di euro all’inizio del 2023, che intende investire principalmente in marketing e comunicazione. Reinier Hendriks insiste sul fatto che “oggi dobbiamo predicare alle masse” perché “lo smartphone è un’industria globale di massa” dominata dai giganti Apple, Samsung e Xiaomi. “Siamo molto piccoli, siamo rimasti il Davide in un mondo di Golia e i Golia sono molto forti e molto grandi, quindi abbiamo ancora molto lavoro da fare per garantire che il nostro impatto si sviluppi molto rapidamente e in modo sostenibile”, aggiunge.

Il 2024 porterà in dono ai cittadini europei il caricabatterie universale Ue

“Lasciateci districare le vostre vacanze natalizie. Dal 2024 l’Usb-C sarà la porta comune per i dispositivi elettronici portatili sul territorio dell’Unione europea”. Mancano sempre meno giorni all’anno di svolta per la tecnologia di tutti i giorni sul territorio Ue e la Commissione Europea non perde l’occasione per ricordare uno dei successi maggiori a vantaggio dei cittadini e consumatori europei arrivato quest’anno al termine del processo legislativo a Bruxelles: “Potrete utilizzare lo stesso cavo per caricare gli smartphone e i tablet vostri e della vostra famiglia, indipendentemente dal produttore”.

Entro la fine del prossimo anno l’Unione Europea avrà un caricabatterie universale per smartphone, fotocamere e tablet e – al più tardi all’inizio del 2026 – anche per i laptop. Il requisito di base sarà la porta di ricarica Usb-C, che diventerà l’unica possibile per tutti i dispositivi di piccole dimensioni che compaiono nella lista dei 15 prodotti su cui era stato trovato l’accordo tra i co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue nel giugno 2022. Oltre a smartphone, fotocamere e tablet sono inclusi anche consolle per videogiochi, e-reader, cuffie, auricolari, mouse, tastiere wireless, altoparlanti e navigatori portatili, ma la vera svolta ha riguardato proprio i computer portatili, che originariamente erano stati esclusi dalla proposta della Commissione Ue sul caricabatterie universale.

La data limite per i produttori per adeguarsi ai nuovi standard della revisione della direttiva sulle apparecchiature radio sarà il 28 dicembre del prossimo anno, mentre saranno concessi 16 mesi di tempo in più per i computer portatili (entro il 28 aprile 2026).

Per quanto riguarda i dispositivi che supportano la ricarica rapida, sarà armonizzata la velocità sul lato della porta Usb-C Pd (che sfrutta la stessa porta dell’Usb-C), assicurando agli utenti una ricarica rapida alla stessa velocità con qualsiasi caricatore.

All’esecutivo comunitario è stato invece affidato il compito di lavorare all’armonizzazione della ricarica wireless, per permettere a questa nuova tecnologia di diventare più diffusa e disponibile tra i vari dispositivi elettronici, con un’interoperabilità basata sui più recenti sviluppi tecnologici per il caricabatterie universale. Altra introduzione di rilievo è la possibilità per i consumatori dell’Ue di scegliere se acquistare un nuovo dispositivo elettronico con o senza il caricabatterie universale, indipendentemente dal produttore. Questo obbligo è legato sia alla volontà di far risparmiare fino a 250 milioni di euro all’anno sull’acquisto di caricabatterie non necessari, sia all’obiettivo di abbattere lo spreco di cavi e apparecchiature tecnologiche, che ogni anno è stimato sulle 11 mila tonnellate di rifiuti elettronici.

smartphone

Smartphone ricondizionati: quante emissioni si risparmiano

Comprare uno smartphone ricondizionato non permette solo un risparmio economico, ma consente anche di evitare emissioni nocive nell’ambiente. L’azienda Back Market, in un suo studio, le ha quantificate: 79,68 kg di CO2 a persona, la quantità necessaria per produrre uno smartphone nuovo. Non una cifra enorme: una cifra leggermente maggiore rispetto a quello che si produce con un viaggio di 100 km con un veicolo a benzina. Si deve ricordare, però, che nel 2021 sono stati prodotti 1,4 miliardi di smartphone nel mondo, secondo uno studio di Counterpoint Research. Questa quantità di CO2, quindi, va considerata in relazione ai numeri del mercato. Uno smartphone ricondizionato, invece, produce 6,82 kg di CO2 a causa della riparazione, dall’approvvigionamento dei pezzi di ricambio alla consegna.

Possiamo parlare di sostenibilità anche in modo più ampio. Uno smartphone ricondizionato fa risparmiare, infatti, 68.400 litri di acqua. Una quantità d’acqua sufficiente per far assumere ad una persona 8 bicchieri d’acqua (2 litri) giornalieri per quasi 94 anni. Per vedere le cose in prospettiva, uno smartphone nuovo necessita di circa 112 anni umani di acqua potabile: la gran parte dell’acqua necessaria serve per l’estrazione delle materie prime. Con il ricondizionato, quindi, si utilizza l’83% di acqua in meno.

La sostenibilità rappresenta anche una delle leve sui cui spingono di più le società che si occupano di smartphone ricondizionati. E il mercato cresce sempre di più. Si stima che nel 2024 il giro d’affari raggiungerà nel mondo i 65 miliardi. Si prevede che entro il 2027 le vendite aumenteranno a un ritmo attorno al 10%. Tutto ciò emerge da uno studio CertiDeal: secondo il report l’aumento costante dei prezzi e la crescita dell’attenzione all’ambiente spingeranno ulteriormente il trend della domanda con una ulteriore proliferazione di piattaforme dedicate.

Secondo questo studio lo smartphone rigenerato consente di risparmiare tra il 15 e il 70% sul prezzo originale. Ci sono alcune regioni, però, in cui il mercato è più sviluppato che nelle altre. Lombardia, Liguria e Lazio sono le regioni che presentano il maggior numero di utenti per acquisti. Queste tre regioni, tra l’altro, hanno raddoppiato la spesa di ricondizionati rispetto al 2020. Al contrario, le regioni più fredde nei confronti dei ricondizionati sono, in ordine percentuale, la Basilicata (1,11%), la Calabria (1,32%) e la Campania (2.85%). Con l’eccezione della Valle d’Aosta, altra regione che registra ordini molto bassi, questi dati evidenziano una forte differenza tra Nord e Sud. Dalle analisi emerge anche che sono le donne a spingere il mercato dello smartphone ricondizionato. Le regioni in cui le donne comprano più smartphone ricondizionati sono la Campania, il Piemonte e la Toscana.

Per quanto riguarda brand e modelli preferiti, gli iPhone di Apple dominano la scena con percentuali decisamente superiori rispetto agli altri dispositivi ricondizionati. In particolare, sempre secondo i dati di acquisto del 2021, i device più acquistati dagli utenti italiani sono stati iPhone 8 (20%), iPhone X (9%) e iPhone 7 (6%).

repair score

Il progetto Enea per recuperare 96% materiali dai vecchi cellulari

Tra meno di un anno (il 25 aprile 2023, per la precisione) terminerà il progetto Enea, avviato un anno fa, pensato per rendere lo smaltimento degli smartphone più sostenibile grazie al recupero e al riciclo dei metalli e materiali che compongono questi apparecchi. Si tratta del progetto Portent.

La tendenza della imprenditoria italiana che si occupa di riciclo – spiega l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – è di fermarsi alle fasi di trattamento e riciclo più semplici, ma meno remunerative, lasciando ad operatori stranieri il vantaggio di recuperare la parte ‘nobile’ del rifiuto (in particolare le schede elettroniche, ricche di metalli quali oro, argento, palladio e rame)”. Spesso infatti si recupera soltanto quello che interessa di più, mentre altri materiali come la plastica ad esempio, vengono gettati.

Partendo dalle ampie competenze nel settore, Enea ha quindi sviluppato, in sinergia con l’università La Sapienza di Roma, un processo innovativo per il recupero di materiali dai cellulari a fine vita, propedeutico al completamento della filiera che adesso si ferma al commercio verso l’estero degli stock dei materiali separati. Nel campo del recupero e purificazione di materiali da matrici complesse, l’Enea ha realizzato un impianto pilota denominato ‘Romeo’ (Recovery Of MEtal by hydrOmetallurgy) per testare le potenzialità industriali dei processi chimici sviluppati. L’impianto è collocato nella hall tecnologica del Laboratorio Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione di Rifiuti e Materiali del Cr Enea Casaccia.

Grazie alle tecnologie a disposizione, sarebbe possibile riciclare oltre il 96% dei dispositivi elettronici: in questo modo si eviterebbe anche di danneggiare il pianeta attraverso l’estrazione di nuovi materiali che potrebbero essere già disponibili grazie al recupero da vecchi cellulari.

Le persone, in media, cambiano il proprio cellulare ogni 2-5 anni e quindi in tantissimi si ritrovano nei cassetti di casa vecchi smartphone inutilizzati, ma a volte ancora funzionanti. Essendo rifiuti speciali, i cellulari vanno smaltiti nelle isole ecologiche, oppure possono essere resi ai negozi di elettronica o all’e-commerce da cui sono stati acquistati. Per legge entrambi i canali sono obbligati al ritiro.

Un discorso a parte merita invece il fenomeno dei cellulari ricondizionati. Da qualche anno a questa parte, soprattutto nelle grandi città italiane, sono spuntate decine di negozi che ritirano e rimettono a nuovo cellulari di seconda mano ancora funzionanti, ma ‘passati di moda’. Una volta ottenuta una nuova ‘verginità’ vengono rimessi sul mercato a prezzi molto più contenuti. Siti come Trendevice, BlackMarket, Refurbed, Rebuy, Swappie, Ricompro, Joojea o negozi fisici che svolgono lo stesso compito, permettono di recuperare cellulari funzionanti portando vantaggi per l’ambiente e il portafogli.

Un esempio per tutti: Apple ogni hanno sforna un nuovo modello di iPhone per il quale migliaia di ragazzi fanno la fila fuori dagli Apple store; ora siamo al modello numero 13 e a settembre sarà presentato il 14. Ma quelli dal 7 in avanti sono ancora perfettamente funzionanti, forse un po’ più lenti e meno glam, ma comunque utilizzabili. Quindi questi nuovi negozi li ricondizionano (ovvero liberano la memoria, nel caso sostituiscono la batteria) e li vendono a prezzi contenuti. L’aspetto interessante è che queste piattaforme allungano la vita ai modelli più vecchi, senza contare che chi li compra tende, secondo le indagini delle diverse società, a tenerlo più a lungo, contribuendo a salvarli dallo smaltimento, spesso incontrollato o criminale.

Acquistando un telefono ricondizionato si risparmiano infatti 185 grammi di rifiuti tecnologici, si taglia dell’84% il peso in termini di CO2 rispetto all’acquisto di uno nuovo (56 kg di CO2 equivalente contro 9 kg per il ricondizionato, stando a uno studio di Recommerce) e si evita l’estrazione di oltre 200 kg di materiali rocciosi necessari per le materie prime utili alla produzione di un nuovo pezzo con un display da 5,5 pollici.

(Photo credits: Bruno Germany)

rifiuti smartphone

Gli smartphone inquinano quanto Paesi Bassi e Venezuela

Immaginiamo di riunire assieme tutti i 4,5 miliardi di smartphone presenti nel mondo e di misurarne in un anno l’impronta nociva sull’ambiente. Il risultato? Circa 146 milioni di tonnellate di CO2 (o CO2e, emissioni equivalenti), un quantitativo simile a quello generato da stati come i Paesi Bassi o il Venezuela. I numeri forniti da Deloitte nelle sue TMT Predictions 2022 fanno ben capire quanto operazioni all’apparenza innocue, come acquistare o utilizzare un telefonino (o un altro device elettronico), possano avere ripercussioni sull’ambiente.

Secondo il rapporto Digital Green Evolution di Deloitte, le emissioni sono collegate soprattutto alle prime fasi del ciclo di vita di uno smartphone. Ben l’83% del totale è collegato alla produzione, al trasporto e al primo anno di utilizzo. Solo l’11% delle emissioni riguarda l’utilizzo a partire dal secondo anno di vita, mentre risulta residuale l’impatto delle attività di ripristino di smartphone esistenti (4%) e i processi di fine-vita, riciclo incluso (1%). Questo scenario rende evidente che la strada maestra per ridurre l’impronta ambientale degli smartphone è quella di incidere sulla produzione, favorendo soprattutto l’utilizzo di materiali riciclati che limitino le attività di estrazione delle terre rare, particolarmente inquinanti. Fondamentale anche allungare il ciclo di vita dei prodotti, rendendo maggiormente vantaggiosa la riparazione rispetto alla sostituzione del dispositivi. E in tal senso potrà giocare un ruolo chiave l’eventuale estensione del diritto alla riparazione che attualmente non include gli smartphone e altri device quali tablet e pc portatili.

Diritto riparazione

Anche i consumatori però possono fare la loro parte, adottando comportamenti maggiormente consapevoli. Oggi la vita media degli smartphone è stimata tra i 2 e i 5 anni, ma la tendenza sembra essere quella di ritardare sempre più la sostituzione del device. Secondo Deloitte, nel 2016 due italiani su tre dichiaravano di aver acquistato nell’ultimo anno e mezzo uno smartphone, mentre nel 2021 questa quota si è abbassata a poco meno della metà. Trend simili sono stati rilevati anche in Paesi come Germania, Regno Unito, Austria e Belgio.

Questa tendenza è senza dubbio positiva per l’ambiente, anche se pare essere più legata a motivazioni di stampo economico che a un’effettiva coscienza green dei consumatori in fatto di smartphone. Sempre secondo la ricerca di Deloitte, solo il 14% di chi acquista uno smartphone considera la durata attesa del dispositivo come una caratteristica importante nella scelta del modello. Si bada molto più a caratteristiche tecniche come la durata della batteria (49%), la velocità del processore (32%), la qualità della fotocamera (27%) e la capacità della memoria (27%), piuttosto che al semplice richiamo del brand (24%). Inoltre, appena il 2% presta attenzione all’eventuale impiego di materiali riciclati. Stesse dinamiche anche per chi utilizza uno smartphone usato o ricondizionato, cioè appena il 7% dei partecipanti all’indagine Deloitte. Tra questi, solo il 9% afferma di aver compiuto questa scelta per la volontà di essere rispettosi dell’ambiente: la spinta principale invece arriva dalla maggior economicità rispetto a un cellulare nuovo e dalla possibilità di ‘ereditare’ il device da parenti o amici (41% per entrambe le motivazioni).

Cover per cellulari, se ‘eco’ è meglio

Ogni anno vengono acquistati nel mondo oltre 1,5 miliardi nuovi telefoni cellulari. La vita media di uno smartphone infatti è di appena 22 mesi, poi viene sostituito. E molto più spesso vengono cambiate le cover del cellulare. Una pratica che aumenta in modo esponenziale il consumo di plastica, che poi non è possibile riciclare completamente. Se un cellulare ‘dura’ infatti nemmeno due anni, ancora meno durano le cover che soprattutto i più giovani sostituiscono a seconda delle mode o dell’umore. Per ogni cellulare infatti si possono stimare almeno tre cover. E per ogni modello nuovo di smartphone si ricomincia da capo, perché a quelli nuovi non si adattano più le cover vecchie. Insomma un circolo vizioso che può avere un forte impatto sull’ambiente. Ma mettiamo il caso che il rapporto sia comunque 1 cellulare=1 cover. In media, una custodia per telefono pesa 20 grammi e, poiché i consumatori si liberano di oltre 1,5 miliardi di custodie ogni anno, il peso totale raggiunge le 30 tonnellate che finiscono in discarica se le cover non sono green.

QUELLO DELLE CUSTODIE È UN MERCATO FIORENTE

In tutte le città capita di incappare in quei negozi che vendono solo custodie per cellulari, pareti intere di cover colorate realizzate prevalentemente in silicone o plastica. La vera soluzione per non creare rifiuti non smaltibili sono le cover biodegradabili al 100%. Da qualche tempo Bigben, società francese specializzata in accessori e prodotti di elettronica di consumo di vario genere, ha lanciato sul mercato la linea Just Green di accessori per smartphone. Questi prodotti sono made in Europa, favoriscono l’economia di prossimità e contribuiscono alla riduzione delle emissioni di CO2 grazie anche a una confezione ridotta all’osso, 100% compostabile e biodegradabile.

COVER BIODEGRADABILI

iNature invece è stata la prima cover made in Italy 100% biodegradabile. La particolarità di iNature è il materiale: una bioplastica in grado di degradarsi nel giro di pochi mesi. La cover biodegradabile è disponibile sia per iPhone sia per smartphone Samsung e la sua sensibilità ambientale ha colpito anche il Wwf: dalla partnership tra Wwf e iNature è nata la cover biodegradabile che rispetta l’ambiente e salvaguarda gli animali. Questa custodia infatti impiega solo 112 giorni per diventare ‘compost’, mentre le cover in plastica impiegano decine di anni per decomporsi.

IL PROBLEMA DEGLI ALTRI MATERIALI

Esistono poi le cover in pelle e molti credono che siano più sostenibili rispetto a quelle di gomma. In parte è vero, ma non è tutto oro quel che luccica. La pelle infatti viene trattata prima di diventare custodia per telefoni; i coloranti e le sostanze chimiche utilizzate per ammorbidire e preservare la pelle possono danneggiare il pianeta. A meno che questo processo non impieghi conservanti biocompatibili, gli effetti delle custodie in pelle sull’ambiente sono simili a quelle di plastica. Non va meglio per le cover in fibra di carbonio, perché qui il problema sta a monte: per realizzare una tonnellata di questo materiale si consuma 14 volte l’energia necessaria per produrre circa lo stesso peso di acciaio. Inoltre le fibre di carbonio sono durevoli e non si decompongono. E il silicone? Idem, come sopra. Durante il processo di produzione di tutti i prodotti sintetici, le acque di scarto e i gas emessi hanno un impatto sull’ambiente circostante. In più le coperture in silicone rilasciano sostanze tossiche nell’acqua di scarto che possono compromettere la vita di pesci e microrganismi.

LA NUOVA VITA DELLE VECCHIE COVER

Nel corso del tempo le case produttrici di cover si sono riconvertite alla sostenibilità e si sono impegnate a realizzare prodotti riciclabili. C’è dunque chi li realizza in elastomero bioplastico e materiali in paglia di lino, rendendoli compostabili e resistenti o chi utilizza il sughero 100% green. La svedese A good company invece oltre a realizzare ogni singola custodia in materiale completamente compostabile, destina il 4% di ogni acquisto per implementare iniziative eco-compatibili in tutto il mondo. La spagnola Popsicase invece realizza le sue cover con reti da pesca abbandonate e alluminio di scarto. Quando la custodia non piace più o è inservibile perché si è cambiato cellulare, l’azienda la ritira e la ricicla per farne altre. Inoltre aiuta anche il pianeta compensando le emissioni di CO2 e promuovendo campagne a difesa degli oceani.

COME LA CUSTODIA DIVENTA PORTASAPONE O ETICHETTA PER BAGAGLI

Infine c’è chi aguzza l’ingegno e dà nuova vita alle vecchie cover. Diversi siti infatti suggeriscono idee per trasformare le custodie che non si usano più; un suggerimento è quello di utilizzarle come porta saponetta. Le cover infatti hanno un bordino rialzato che impedisce alla saponetta di scivolare via, e persino un buco che fa scolare l’acqua per evitare ristagni. Inoltre possono diventare anche dei sottobicchieri oppure delle etichette da applicare ai bagagli quando si parte per un viaggio.