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In Costa Azzurra arriva Canua Island: spiaggia galleggiante che allarma gli ambientalisti

Non è segnata su alcuna carta geografica, ma a maggio, a largo di Mandelieu-la-Napoule comparirà un’isola, Canua Island, che ha già creato il caos nel mondo degli ambientalisti. Ma di cosa si tratta? Sarà una sorta di spiaggia privata – che promette di essere una delle più esclusive della Costa Azzurra – con un lounge bar, ristoranti, una piscina di acqua dolce e persino una suite di 45 mq per pernottare. Una “aberrazione ecologica” l’hanno definita i detrattori. Nessuno sa ancora esattamente come sarà questo esclusivo parco galleggiante, la cui costruzione sta per essere ultimata nel porto di La Spezia. Dopo l’ispezione di una commissione di sicurezza, la ‘nave’, immatricolata in Francia, raggiungerà la baia di Mandelieu “ad aprile, per un avvio delle operazioni auspicato a maggio“, spiega una fonte vicina ai promotori del progetto. Dopo alcune campagne mediatiche, “i fondatori desiderano ora concentrarsi sulla finalizzazione dell’iniziativa e non alimentare ulteriormente le polemiche“, fa sapere l’agenzia che cura la loro comunicazione.

Canua Island è stata immaginata da Marc Audineau, ex numero uno al mondo di vela ed ex atleta olimpico, poi fino al 2014 direttore della comunicazione di Foncia, insieme Tony Philp, ex campione del mondo di windsurf. Membro di una famiglia a capo di un grande gruppo industriale nel settore dei trasporti marittimi e dei porti turistici, Philp in passato aveva creato una piattaforma simile, Cloud 9, un bar flottante definito ‘il paradiso galleggiante delle Fiji’.

Il Comune di Cannes ha emesso “parere sfavorevole all’accoglienza della piattaforma, per “proteggere l’ambiente e la sicurezza della navigazione marittima“. E, tra l’altro, l’amministrazione comunale ha parlato di “concorrenza sleale” con gli stabilimenti balneari ‘tradizionali’ che pagano un canone. Per Renaud Muselier, presidente del Consiglio regionale di Provenza-Alpi-Costa Azzurra, bisogna “rifiutare questa aberrazione ecologica nella regione più bella del mondo, dove il criterio clima-biodiversità è una regola d’oro“.

Ma per i suoi promotori l’isola di Canua creerà 100 posti di lavoro ed è stata costruita “nel rispetto del mare e della natura”. Il riferimento è a una “nave eco-progettata, a basse emissioni di carbonio, che genera tre volte meno emissioni di carbonio durante la costruzione rispetto a una barca a vela“. I rifiuti saranno “smistati a bordo” poi trasportati a terra e la nave si ancorerà “su fondali sabbiosi“, senza minacciare la posidonia.

Il progetto, per il quale sono stati investiti 15 milioni di euro, è sostenuto dalla Banca Pubblica Investimenti (BPI), nell’ambito di un partenariato con la Regione. Quanto a Mandelieu, il Comune continua a difendere un progetto “molto innovativo ed ecologico” ma dice di “attendere la fine dell’istruttoria” delle richieste di autorizzazioni amministrative per decidere “sul principio di un possibile ormeggio nel golfo“.

Photo credit: pagina Facebook Canua Island

Jovanotti

Il Jova Beach Party divide l’Italia e gli ambientalisti fra pro e contro

Mega eventi in spiaggia sì, mega eventi in spiaggia no. Inutile girarci intorno: la pietra dello scandalo è il Jova Beach Party. L’Italia si divide fra chi della grande festa estiva di Jovanotti non vuole farne a meno, soprattutto dopo i lunghi anni di pandemia che ci hanno privati del divertimento della musica live, e chi invece difende l’ambiente senza se e senza ma. Ma addirittura fra gli ambientalisti stessi si è creata una frattura. Già, perché se il Wwf nazionale appone il suo sigillo di garanzia sugli eventi, Marevivo, Enpa, LAV e Sea Shepherd Italia lanciano addirittura una petizione contro. Senza citare direttamente Jovanotti, certo, ma il riferimento è puramente non casuale.

‘L’ambiente urla: non nel mio nome’ è il titolo della petizione che parla di “spiagge prese d’assalto da decine di migliaia di persone durante i grandi eventi musicali estivi”. E cita l’impatto “sull’equilibrio degli ecosistemi, causando gravi danni a carico di diverse specie selvatiche e, in generale, all’ambiente marino”. Nulla di neanche vagamente sostenibile, secondo le associazioni.

Il Wwf, invece, da parte sua, continua a difendere la scelta di sostenere il Jova Beach Party. Anche in prospettiva, considerando tutti i progetti e le iniziative collegate che permetteranno di ripulire le spiagge e investire sull’ambiente. L’ultimo caso è quello di Fermo, dove le polemiche sono state più aspre rispetto alle altre tappe. Soprattutto per la nidificazione in loco del fratino. E il Wwf spiega, in sintesi, il suo ruolo: non organizzatore del concerto, ma supporto per “favorire la trasformazione di un evento che comunque si sarebbe tenuto al fine di ridurne al massimo gli impatti”. Senza contare che, all’interno del progetto, c’è anche spazio per il futuro: “Wwf Italia e Comune realizzeranno un intervento naturalistico più a sud su un’area costiera in località Marina Palmense, ben più estesa di quella di Casabianca. L’intervento avrà la funzione di rafforzare la rete ecologica oltre che di favorire attività di didattiche tramite la realizzazione di un percorso natura. Una concessione delocalizzata e un tratto di spiaggia che viene ripristinato con specifica finalità di tutela del Fratino, un’ampia zona costiera naturalizzata per finalità di tutele e didattiche: il WWF Italia ritiene di avere ottenuto qualcosa di concreto per la tutela della costa di Fermo. Le polemiche più o meno strumentali sono poi altra cosa”, spiega il Wwf.

Insomma, fra i contendenti è difficile capire chi abbia ragione e stia combattendo la battaglia giusta. Ma sarà l’ambiente stesso, prima o dopo, a dare la sua risposta.

spiaggia

Allarme Legambiente: Italia poche spiagge libere, pesa l’inquinamento

Estate 2022, tempo di spiagge e mare. Ma nel Belpaese è sempre più difficile trovare una spiaggia libera dove prendere il sole. A pesare un mix di fattori: la crescita in questi anni delle concessioni balneari che toccano quota 12.166, l’aumento dell’erosione costiera che riguarda circa il 46% delle coste sabbiose, con i tratti di litorale soggetti ad erosione triplicati dal 1970, e il problema dell’inquinamento delle acque che riguarda il 7,2% della costa sabbiosa interdetto alla balneazione per ragioni di inquinamento. A fare il punto della situazione e dei cambiamenti in corso lungo le aree costiere è il nuovo rapporto di Legambiente ‘Spiagge 2022’, diffuso oggi a pochi giorni dall’approvazione del Ddl concorrenza che pone fine alla proroga alle concessioni balneari fissando l’obbligo di messa a gara dal primo gennaio 2024, così come deciso dalla sentenza del Consiglio di Stato.

Rimangono alcuni nodi da risolvere subito come quello della scarsa trasparenza sulle concessioni balneari, i canoni per buona parte ancora irrisori, la non completezza dei dati sulle aree demaniali e soprattutto l’assenza di un regolare e affidabile censimento delle concessioni balneari ed in generale di quelle sul Demanio marittimo. Quest’ultimo punto emerge chiaramente dal rapporto: il dato sui canoni di concessioni è fermo al 2021. Si parla di 12.166 concessioni per stabilimenti balneari, secondo i dati del monitoraggio del Sistema informativo demanio marittimo (S.I.D.), effettuato a maggio 2021. In alcune Regioni ci sono dei veri e propri record a livello europeo, come in Liguria, Emilia-Romagna e Campania, dove quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari. Nel Comune di Gatteo, in Provincia di Forlì e Cesena, tutte le spiagge sono in concessione, ma anche a Pietrasanta (LU), Camaiore (LU), Montignoso (MS), Laigueglia (SV) e Diano Marina (IM) siamo sopra il 90% e rimangono liberi solo pochi metri spesso in prossimità degli scoli di torrenti in aree degradate.

Seppur l’approvazione del Ddl concorrenza abbia portato un’importante novità, per l’associazione ambientalista sono ancora molti gli ostacoli da superare per garantire una gestione delle coste attenta alle questioni ambientali. Per questo Legambiente lancia un pacchetto di cinque proposte affinché nella prossima legislatura si arrivi ad avere una legge nazionale per garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge e allo stesso tempo un quadro di regole e un quadro di regole certe che premino sostenibilità ambientale, innovazione e qualità. Cinque i pilastri su cui si dovrà concentrare il lavoro: garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge, premiare la qualità dell’offerta nelle spiagge in concessione, ristabilire la legalità e fermare il cemento sulle spiagge, definire una strategia nazionale contro erosione e inquinamento e un’altra per l’adattamento dei litorali al cambiamento climatico.

coste legambiente

In Italia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione. Un’anomalia tutta italiana a cui occorre porre rimedio. L’errore della discussione politica di questi anni sta nel fatto che si è concentrata tutta l’attenzione intorno alla Direttiva Bolkestein finendo per coprire tutte le questioni, senza distinguere tra bravi imprenditori e non, e senza guardare a come innovare e riqualificare. È un peccato che non si sia riusciti a definire le nuove regole in questa legislatura, in modo da togliere il tema dalla campagna elettorale. Occorre, infatti, dare seguito alle innumerevoli sentenze nazionali ed europee, altrimenti si arriverà presto a multe per il nostro Paese per violazione delle direttive comunitarie e, a questo punto, anche di una legge nazionale che stabilisce di affidarle tramite procedure ad evidenza pubblica a partire dal primo gennaio 2024”.

spiagge

Le spiagge di Rimini sposano il green: Ma i turisti si adattano poco

La spiaggia di Rimini, dal boom degli anni Sessanta ad oggi, ne ha fatta di strada in tema di sensibilità ambientale. Anche perché il mare e la sabbia e la loro tutela danno da ‘mangiare’ a migliaia di famiglie, tra gestori di stabilimenti balneari e ristoratori. GEA ne ha parlato con Mauro Vanni, presidente della cooperativa bagnini di Rimini, presidente nazionale di Confartigianato imprese demaniali e gestore del Bagno 62. Innanzitutto serve un quadro d’insieme: sui 15 km di costa riminese si trovano 240 stabilimenti balneari, 160 a sud del porto, che fa da spartiacque, e 80 a nord. E praticamente tutti i gestori, da 20 anni a questa parte, hanno mostrato interesse alle tematiche ambientali e della sostenibilità.

Tutto è partito nel 2003 con Agenda 21 – spiega Vanni -, in quell’occasione la Provincia di Rimini fece promozione e investimenti per rendere le spiagge più ecologiche. Si cominciò con la raccolta differenziata dei rifiuti, con un progetto di Hera (multiservizi dell’Emilia Romagna, ndr): pratica che dura ancora oggi ed è seguita da tutti gli affiliati. Vennero quindi distribuiti a tutti i Bagni i raccoglitori per recuperare vetro, carta e plastica e da allora non si è più smesso. Poi il Comune di Rimini propose di rendere accessibili tutti gli stabilimenti, eliminando le barriere architettoniche“. In questo caso furono costruite passerelle fino alla battigia e realizzati ingressi e bagni per le persone diversamente abili. Poi sempre nei primi anni 2000 iniziò a diffondersi la pratica dell’installazione di pannelli fotovoltaici, grazie ai finanziamenti della Provincia di Rimini, per sfruttare energia pulita e risparmiare sulla bolletta.

Più recentemente invece – prosegue Vanni – alcuni di noi hanno anche applicato riduttori di flusso nei rubinetti per risparmiare acqua. E sempre in tema idrico diversi stabilimenti fanno la raccolta delle acque reflue grigie, cioè quelle di docce e lavandini, per riutilizzarle per irrigare il verde o come acqua per gli scarichi del bagno“. Infine, come ulteriore servizio al cliente, sono state realizzate cabine e tabelle informative per non vedenti.

Tutte queste iniziative, a distanza di quasi 20 anni dalla loro prima applicazione, hanno poi portato benefici anche dal punto di vista economico? Una domanda che si porta dietro una risposta immediata: “I pannelli fotovoltaici, l’illuminazione con lampade a led e la raccolta delle acque reflue hanno portato a un risparmio notevole – spiega Vanni -. E pure la raccolta differenziata portò i suoi benefici anche perché all’inizio della sperimentazione il Comune di Rimini fece uno sconto del 5% sulla tassa per la raccolta rifiuti a tutti quelli che si adeguavano. Insomma, gli investimenti fatti sono stati ampiamenti ripagati“.

C’è sensibilità sull’uso di particolari materiali per sedie, sdraio o ombrelloni anche se, spiega Vanni, “alcuni esperimenti non hanno avuto successo, penso ad esempio agli ombrelloni in paglia. In questo particolare settore servono infatti materiali resistenti, che reggano l’usura; ma so che alcuni bagnini hanno invece posizionato pedane amovibili realizzate in materiali vegetali come l’ulivo. Ma più in generale quasi tutti gli stabilimenti hanno arredi in legno, materiale ecologico per eccellenza; certo questo richiede una maggiore cura“.

Vanni spiega che gli stabilimenti che seguono tutte le linee di Agenda 21 sono circa 5 o 6, mentre sono una cinquantina (quindi poco meno di un quinto) quelli che hanno installato pannelli fotovoltaici. Sono invece una decina quelli che riutilizzano le acque grigie, mentre sul fronte della differenziata e della piena accessibilità alla spiaggia, tutti si sono adeguati.
Ma i villeggianti dimostrano una sensibilità green? “Il cliente in generale è distratto – annota Vanni – soprattutto quello italiano; apparentemente gradisce iniziative di questo genere, ma poi si adatta poco. Alcuni sono più attenti, penso ad esempio agli stranieri, ma molti in vacanza non vogliono limitazioni, non vogliono pensieri. Pensi ad esempio che ad ogni ombrellone è applicato un posacenere, ma non sa quanti mozziconi di sigaretta troviamo sotto i lettini…“.

Infine, la nota dolente: la ‘Bolkestein’, vale a dire la direttiva europea del 2006, recepita dall’Italia nel 2010, ma mai applicata. Ma ora il governo ha deciso che le spiagge (demanio pubblico) dal 2024 dovranno essere date in concessione solo attraverso bandi pubblici. Questo potrebbe frenare i gestori di stabilimenti dal fare investimenti green: “Noi viviamo in questo limbo da decenni – conclude Vanni – nonostante tutto nel tempo abbiamo migliorato sempre di più i servizi, ma ancora adesso il settore non esprime tutto il suo potenziale. Chi ha ristrutturato, ha mostrato attenzione al green, ma servono politiche a sostegno del comparto. Quando abbiamo acquistato i primi pannelli solari, costavano l’ira di dio e non duravano tantissimo, ora invece sono più performanti. La sostenibilità ambientale ha anche un costo economico, quindi in futuro, da parte di chi ci amministra, serviranno certezze e sostegni per continuare sulla strada tracciata e dalla quale non si può tornare indietro“.

Progetto Bargain difende le spiagge. Cappucci (Enea): “Riutilizzare biomasse”

Quelle foglie di Posidonia Oceanica che potevano rappresentare un problema, soprattutto dal punto di vista estetico, sono invece diventate preziose risorse grazie al Progetto Bargain gestito da Enea, Ispra e Università Roma Tor Vergata. Ne parla a GEA il ricercatore Enea, Sergio Cappucci. “Questa tecnologia – spiega – nasce sulle isole Egadi con il Progetto Egadi e ora è stata implementata grazie a un processo innovativo e brevettato che ha ci ha permesso anche di ricevere un premio nel 2013“.

Ma partiamo dall’inizio: la Posidonia è una pianta acquatica diffusa in tutto il Mediterraneo (meno nell’Adriatico). Le sue foglie sono come delle lunghe fettucce verdi che ogni anno si spiaggiano perché portate a riva dalle correnti. Lo spiaggiamento della Posidonia sugli arenili è un processo naturale, ma i bagnanti, soprattutto nel Lazio, la considerano spesso un rifiuto maleodorante invece di una componente naturale del litorale, ignorandone le importanti funzioni ecologiche. Nel ‘Progetto Bargain, spiaggia ecologica’, si realizza invece una convivenza equilibrata tra elementi naturali e antropici e la Posidonia spiaggiata viene gestita in modo corretto e consapevole, evitando il conferimento in discarica. “Con le mareggiate – prosegue Cappucci – a riva si mescolano sia i rifiuti plastici che le foglie di Posidonia; per questo ci siamo inventati questo sistema per riutilizzare le biomasse”.

Tra aprile e maggio quindi, sia l’amministrazione locale che i gestori dei lidi, raccolgono le foglie, le separano dagli altri rifiuti e le fanno asciugare. Una volta asciutte, le foglie vanno a costituire l’arredo balneare, come l’imbottitura di sedute della spiaggia, oppure diventano passerelle sulla sabbia, paraventi tra ombrelloni e spiagge, camminamenti o strutture ombreggianti. Terminata la stagione balneare, il materiale vegetale torna di nuovo al suo stato naturale per formare cumuli che possano difendere la spiaggia dall’erosione del mare. Un circolo virtuoso che si ripete dunque ogni anno. “Sulla stessa linea – spiega Cappucci – c’è stato il Progetto Stratus a Villasimius, poi quello a Capo Carbonara e a Favignana. Nel biennio 2018-2020 invece è stato mandato in porto, con Ispra e Università di Tor Vergata, il Progetto Bargain“. E ha avuto parecchio successo. Cappucci riferisce infatti che i bagnanti hanno apprezzato quest’anima ecologica degli stabilimenti balneari e li hanno premiati frequentandoli. “La nuova frontiera – conclude Cappucci – è ora legata alla legge Salvamare, recentemente approvata dal Parlamento. L’articolo 5 infatti parla specificatamente di gestione delle biomasse vegetali spiaggiate, come lo sono appunto le foglie della Posidonia“.

Secondo le norme la reimmissione nell’ambiente naturale, anche con riaffondamento in mare o trasferimento nell’area dietro le dune di sabbia, può essere effettuata solo dopo la separazione della sabbia dal materiale organico nonché alla rimozione dei rifiuti plastici, e la loro destinazione può essere anche finalizzata al ripascimento dell’arenile. Tutte iniziative che Enea, con Ispra, effettua ormai da anni.

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La responsabilità degli italiani passa anche dalle spiagge. Quanto ce ne prendiamo cura?

L’esperienza della sporcizia sui litorali è comune a gran parte della popolazione: 27,4 milioni gli italiani che l’hanno vissuta. Pochissimi (solo il 12%) quelli che dicono di non averla mai provata. Il sentimento più diffuso che questo stato di degrado provoca è il fastidio, provato da circa 25 milioni di persone. Per fortuna ci sono anche buone notizie: 19 milioni di italiani (circa il 62% del totale), i ‘responsabili’, si prendono cura del luogo in cui si trovano, rimuovendo se necessario gli oggetti abbandonati che incontrano. Lo fanno con stati d’animo diversi: la maggior parte di loro (circa 14 milioni) prova fastidio e sdegno, una piccola parte sembra invece non essere particolarmente colpita dalla presenza dei rifiuti in spiaggia; nonostante due sentimenti così diversi, la reazione è la medesima: fare la propria parte. I responsabili sono per lo più giovani, con meno di 24 anni, vivono in prevalenza nelle grandi città del sud, sono lettori e appassionati di sport e vita all’aperto. È quanto emerge in una indagine di Sorgenia tramite Human Highway sul sentimento degli italiani rispetto alla pulizia delle spiagge.

Ci sono poi i vorrei ma non posso (18,7%): persone che provano rabbia di fronte ai litorali sporchi ma non agiscono. Le ragioni? Non ritengono sia compito loro, non hanno gli strumenti adeguati o sono preoccupati per ragioni igieniche, ancora più sentite dopo questi anni di Covid. In fin dei conti pensano sia pressoché impossibile cambiare lo status quo.

Troviamo anche gli indifferenti, ovvero 2,5 milioni di italiani che, pur notando la sporcizia, non provano alcun fastidio né sentono il bisogno di intervenire.

Infine, abbiamo i distratti (l’11,7% del totale), persone che addirittura non vedono i rifiuti; difficile risalire alle possibili motivazioni: abitudine oppure frequentazione di litorali molto curati dove la pulizia è impeccabile? È questo il quadro che emerge dal sondaggio di Sorgenia realizzato da Human Highway su un campione statisticamente rilevante, con l’obiettivo di misurare i sentimenti di 31 milioni di italiani che frequentano abitualmente le spiagge del Paese. L’indagine arriva a conclusione delle iniziative di plogging promosse da Sorgenia in alcuni lidi italiani in concomitanza con il progetto M.A.R.E. (Marine Adventure for Research & Education), ideato da Centro Velico Caprera e One Ocean Foundation per studiare la salute del Tirreno.

Ma quali sono i rifiuti più diffusi? Al primo posto i mozziconi di sigaretta (notati dal 72,3% del campione), poi bottiglie, lattine e plastiche (intorno al 50%) e, new entry tra gli oggetti d’uso quotidiano, le mascherine (39,8%). Nella classifica degli oggetti indebitamente abbandonati sui litorali anche avanzi di alimenti, carte e giornali, escrementi di animali domestici e indumenti.

Per prevenire il degrado, il 40% degli italiani suggerisce un maggior numero di cestini e bidoni a margine dei lidi e una quota simile reclama la figura della “guardia marina” per far rispettare le regole. Tra le altre proposte, aumentare i cartelli informativi e dare ai bagnanti gli strumenti per portare via i propri rifiuti. Soprattutto i responsabili sono favorevoli a nuove forme di interventi condivisi, come flashmob da organizzare periodicamente sulle spiagge: il 22,8% di loro vorrebbe istituire la “mezz’ora di pulizia” e uno su sette consiglia di puntare sulla tecnologia, segnalando gli appuntamenti di plogging su canali social o promuovendo apposite App che indichino le spiagge più sporche e convochino i volontari a pulirle.

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Plastica, mascherine e cotton fioc: così Legambiente ripulisce le spiagge

Le spiagge italiane? Sono sporche, senza distinzioni geografiche e con la costante di una tendenza all’aumento della quantità di rifiuti. Che, comunque, non rappresentano l’unica problematica per le nostre coste ma – come emerge dai risultati dell’indagine ‘Mare Monstrum’ firmata da Legambiente – sono in compagnia dell’insidioso diffondersi di scarichi illegali di liquami e dell’aggressivo abusivismo edilizio ‘vista mare’. Senza calcolare gli effetti prodotti dalla pandemia che ha ‘popolato’ le spiagge di dispositivi di sicurezza come mascherine e guanti.

Legambiente si occupa di pulizia delle spiagge fin dal 2014, e lo fa in un’ottica di citizen science, ossia coinvolgendo direttamente le persone perché si prendano cura con impegno del pianeta”, racconta a GEA Stefania di Vito, Ufficio Scientifico di Legambiente. “Attraverso la recente indagine Beach Litter è stato effettuato un monitoraggio accurato dei litorali italiani applicando un protocollo comune messo a punto da Ministero dell’Ambiente e basato sulla valutazione di 11 parametri, tra i quali rientra anche la presenza di rifiuti marini. Degli oltre 44mila rifiuti censiti nell’indagine svolta quest’anno la plastica ha rappresentato il materiale di composizione dominante, costituendo oltre l’80% degli oggetti rinvenuti”, aggiunge.

Proprio sugli oggetti in plastica – dalle stoviglie usa e getta per arrivare ai cotton fioc – è necessario intervenire. Ad esempio, agire in maniera mirata sulla riduzione della plastica monouso permetterebbe di limitare considerevolmente la portata del problema, diminuendo una parte importante dei rifiuti. In questa direzione si inserisce la direttiva europea Single Use Plastics, che contempla anche il ripensamento del design degli oggetti: ne costituisce un modello la produzione di tappi che restano attaccati per un lembo al collo delle bottiglie. Per attutire invece l’impatto dei mozziconi – ne vengono abbandonati nelle spiagge 5 milioni ogni giorno – è stato incentivato il coinvolgimento dei produttori di sigarette nelle attività di raccolta e smaltimento.

Ma che fine fanno poi i rifiuti raccolti? Una domanda che non può restare sospesa nell’aria: “Ci sono alcuni progetti sperimentali per il recupero della plastica – racconta di Vito –. Tuttavia soltanto una minima parte, quella che non ha subito eccessive degradazioni, può essere riutilizzata e avere una seconda vita. Non si tratta di una filiera strutturata in quanto il materiale risulta spesso danneggiato in maniera importante”.

La presenza di plastica e microplastica è un pericolo per gli organismi marini sotto diversi versanti: intrappolamento, ingestione, soffocamento e rilascio di sostanze tossiche come additivi e composti persistenti che si insinuano nei tessuti delle specie ittiche causando problematiche in tutta la filiera trofica. “A questo proposito – dichiara di Vito – Legambiente sta seguendo un progetto di studio in collaborazione con i dipartimenti di Ecologia ed Ecotossicologia dell’Università di Siena per approfondire l’impatto delle microplastiche in mare”.

Come si diceva, ad aggravare la situazione, complici gli ultimi anni di pandemia, le spiagge italiane e di tutto il mondo si sono ‘sporcate’ dei rifiuti legati all’emergenza sanitaria, come mascherine e guanti. Tanto che i dispositivi di sicurezza individuale sono presenti in quasi la metà delle spiagge censite dall’iniziativa ‘Clean up the Med’ svoltasi lo scorso maggio: i quantitativi maggiori sono stati rinvenuti in Grecia, seguita da Algeria, Croazia, Libano e Spagna.