Pichetto: “Le e-car sono il futuro, ma ora diciamo no alla monocultura dell’elettrico”

Le e-car saranno sicuramente il futuro “tra 15-20 anni“, ma per il momento l’Italia dice “no alla monocultura dell’elettrico“. Parola di Gilberto Pichetto. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, ospite del panel sui cambiamenti climatici alla quinta edizione della ‘Venice Soft Power Conference‘, riprende la vecchia ‘battaglia‘ sulla neutralità tecnologica e annuncia una delle prime mosse che il governo intende portare avanti una volta che si sarà insediata la nuova Commissione Ue: “Chiederemo di iscrivere i biocarburanti nella tassonomia europea, allargando il loro uso oltre aviazione e marina“.

Il concetto base non cambia: “Per raggiungere i nostri ambiziosi obiettivi dobbiamo fare in modo che la politica climatica vada di pari passo con la nostra economia e la nostra società”, dunque anche l’Europa deve attivarsi per tenere insieme la tutela ambientale, i target climatici ma anche la sostenibilità per le tasche dei cittadini. Altrimenti “il rischio che si corre è di introdurre riforme e provvedimenti che rendano la transizione ecologica invisa all’opinione pubblica – avverte -. Che il cambiamento sia vissuto come un peso, un limite, non come un’opportunità”. Non a caso, sfruttare appieno le opportunità che arrivano dallo sviluppo della tecnologia è proprio la strada che Roma suggerisce a Bruxelles: “Non abbiamo bisogno di un’Europa proibizionista, ma di un’Europa innovativa che ponga le esigenze economiche, finanziarie e sociali dei suoi cittadini al centro del futuro approvvigionamento energetico”.

In questo senso non si può rinviare ancora la discussione su uno dei temi maggiormente divisivi nel dibattito pubblico e politico. “Sul nucleare il Parlamento si è espresso per andare avanti con ricerca e sperimentazione, ma tutte le forze politiche devono essere coscienti, e ancor di più lo devono essere i cittadini, perché ci sono stati due referendum sul tema, che senza questa tecnologia non ci sono altre forme di energia per raggiungere gli obiettivi”, sia energetici che ambientali.

Le sole fonti alternative non bastano è mantra ripetuto spesso da chi ha responsabilità di governo. Ma Pichetto coglie l’occasione per togliersi anche qualche sassolino dalle scarpe: “Il problema del consenso è fondamentale, anche se colgo qualche contraddizione in chi a Roma ci accusa di essere negazionisti e poi blocca le rinnovabili a livello locale dove governa”. Ogni riferimento al braccio di ferro con la Sardegna sulla legge per le aree idonee dove installare nuovi impianti, appare puramente voluto.

Nel discorso, molto articolato, che il ministro porta al tavolo della discussione a Venezia, c’è anche la necessità di cambiare approccio con i Paesi da cui oggi ci forniamo per gli approvvigionamenti energetici. Primo tra tutti l’Africa. L’Italia ha lanciato da tempo il Piano Mattei: “Il nostro Governo vuole invertire la rotta, puntando a un cambio di prospettiva per costruire con i nostri vicini della sponda Sud del Mediterraneo un rapporto partitario e non predatorio”, assicura Pichetto. Che allarga la riflessione: “Il Piano Mattei incarna una missione storica dell’Italia, che oggi si riprende con orgoglio il proprio spazio” nel Mediterraneo, dove “riveste un ruolo cruciale” anche come “ponte” con l’Europa.

Ma i vantaggi sono potenzialmente più ampi e importanti, per tutti. Perché “la diffusione delle rinnovabili in Nord Africa è un contributo essenziale alla transizione energetica, sia diminuendo le emissioni globali complessive sia fornendo energia pulita da esportare nell’Europa che ne ha bisogno”. La stagione politica è ripresa.

In Europa è battaglia per l’inserimento in tassonomia ‘verde’

Nucleare o non nucleare nel mix energetico del futuro dell’Ue. La necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili importati dalla Russia, costringe l’Unione Europea a ripensare le sue forniture di energia, soprattutto nel caso del gas naturale come fonte di transizione nel passaggio dal carbone alle energie rinnovabili. Da Mosca arriva oltre il 40% del gas importato in Ue e Bruxelles ha lasciato ai governi carta bianca su quando e come liberarsi dalle forniture di idrocarburi russi, dando il suo ok all’idea di prolungare – se pure “di poco” – l’uso delle centrali a carbone o del nucleare per la produzione di energia elettrica, evitando di ricorrere al gas come ponte di transizione.

La crisi dei prezzi del gas che va avanti dall’autunno ha rilanciato il fronte di chi vede nell’energia nucleare la migliore alternativa, nel breve periodo, al gas russo. L’Ue punta sulle energie rinnovabili, che ora sono più economiche e prive di carbonio ma non c’è ancora produzione su larga scala che consenta di affidarvisi completamente. Quindi Bruxelles è alla ricerca di una fonte più “stabile” per l’energia e guarda all’atomo. L’energia elettrica prodotta da centrali nucleari non produce emissioni di CO2 ed è questo il motivo per cui diversi Stati membri – e la stessa Commissione europea – continuano a sostenerne l’inclusione nel proprio mix energetico.

Sebbene sia una fonte energetica “pulita” perché a basse emissioni, gli Stati che la impiegano devono convivere con lo smaltimento di scorie e rifiuti radioattivi che restano sui territori per decenni. L’Italia, ad esempio, attraverso un referendum ha deciso di abbandonare la produzione di energia elettrica dal nucleare nel 1987, e ancora oggi sconta di non aver costruito un centro nazionale per lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.

In Europa c’è chi, come la Germania e l’Austria, hanno scelto di prolungare temporaneamente l’uso del carbone per ridurre la dipendenza da Mosca, chi, come la Francia o il Belgio, rilanciano la costruzione di nuovi reattori nucleari per la propria sicurezza energetica o ritardano la chiusura degli impianti esistenti. Il dibattito è più vivo che mai, dal momento che le istituzioni europee dovranno decidere nelle prossime settimane se inserire l’energia dell’atomo, insieme al gas naturale, nella lista delle attività economiche classificate come sostenibili, la cosiddetta Tassonomia verde dell’Ue. Un insieme di criteri comuni per mobilitare grandi somme di capitale (provenienti in particolare dal settore privato) in attività che possano contribuire ai suoi obiettivi climatici e ambientali.

Nel corso della prossima sessione plenaria che si terrà a Strasburgo dal 4 al 7 luglio, il Parlamento europeo si esprimerà su una risoluzione contro l’inserimento dell’energia nucleare e del gas naturale nella tassonomia. Il secondo atto delegato del regolamento della Commissione – quello che riguarda il nucleare e il gas – è stato adottato lo scorso 2 febbraio e presentato ai due co-legislatori di Parlamento e Consiglio per il voto decisivo.

Secondo la proposta della Commissione, per essere inseriti nella lista verde dell’Ue, i permessi per la costruzione di nuovi impianti nucleari non potranno essere rilasciati dopo il 2045 dagli Stati membri, mentre per estendere la vita degli impianti esistenti i permessi dovranno essere rilasciati entro il 2040. Le centrali serviranno per la produzione di elettricità o calore e anche la produzione di idrogeno, ma per poter costruire nuove centrali, gli Stati saranno vincolati a creare un fondo per la gestione dei rifiuti radioattivi e lo smantellamento degli impianti a fine vita. I governi dovranno mettere a punto un piano per fare entrare in funzione, al più tardi entro il 2050, un impianto a livello nazionale per lo smaltimento di rifiuti altamente radioattivi, sul quale riferiranno ogni 5 anni alla Commissione Ue.

Alla plenaria dell’Europarlamento servirà la maggioranza assoluta per opporsi al nucleare e al gas in tassonomia (353 voti). Molto più facile da raggiungere rispetto alla maggioranza rafforzata (20 su 27 Stati) che servirebbe in Consiglio. È proprio in Consiglio dove una maggioranza neanche si cerca ed è qui che è possibile osservare quanto sia cambiato l’approccio degli Stati membri negli ultimi mesi in relazione alla tassonomia, condizionato prima dall’aumento dei prezzi del gas e dell’energia e poi dalla guerra, che ha ricordato quanto l’Ue sia dipendente energeticamente da Stati terzi. A marzo di un anno fa c’erano solo Francia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria, Slovenia e Polonia dichiaratamente a favore del nucleare nella tassonomia, oggi se ne contano oltre dieci con Bulgaria, Croazia, Finlandia, Romania, Slovacchia ma anche i Paesi Bassi. Poco si dice, però, di quanto l’atomo renda l’Unione dipendente dalla Russia, dal momento che nel 2020 il 26% dell’uranio arricchito (usato nella produzione di energia nucleare) era importato proprio da Mosca.

commissione ue

Sì o no alla tassonomia? C’è tensione per l’esito della plenaria

Una smorfia che dice tutto. Quell’omone alto, candidamente barbuto, dall’aria simpatica di un babbo Natale, usa tutto il suo corpo per dire che sì, la sconfitta è vicina, forse quasi certa. Frans Timmermans, vice presidente della Commissione europea con delega al Clima fosse, nel suo intimo, è anche contento che la tassonomia verde messa a punto dal Team von der Leyen venga bocciata dal Parlamento europeo la prossima settimana.

Quando gli abbiamo chiesto se ritiene possibile una bocciatura da parte dei deputati resta qualche istante con gli occhi fissi sull’interlocutore, poi gira un poco la testa sulla destra e la fa seguire da un accenno di torsione del busto e sorride, e sospira, e sorride ancora, ma non parla. La posizione della Commissione è quella e lui sa che i deputati ne hanno un’altra, e si rassegna.

La tassonomia è un affare in sostanza tutto finanziario, definisce quali investimenti sono “verdi” e dunque possono giovarsi di aiuti pubblici. È, come spiega bene la collega Fabiana Luca su Eunews, testata sorella di Gea sulla quale anche abbiamo raccontato la storia, il sistema europeo di classificazione degli investimenti economici sostenibili con cui Bruxelles vuole fissare criteri comuni per assicurarsi che grandi somme di capitale (soprattutto privato) vadano nella direzione del Green Deal e della transizione. Il problema è su due punti: l’inclusione del gas e del nucleare tra le attività economiche sostenibili con cui realizzare il Green Deal europeo.

A Bruxelles i lobbisti del settore sono in fibrillazione, a seconda di chi rappresentano sono felici o sono disperati, soprattutto quelli che da un anno organizzano il loro lavoro, e quello delle aziende che rappresentano, dando per scontato che alla fine la tassonomia sarebbe passata, con dentro nucleare e gas.

Invece le commissioni riunite degli Affari economici (detta ‘Econ’) e dell’Ambiente (‘Envi’) del Parlamento europeo hanno approvato il 14 giugno (con 76 voti favorevoli, 62 contrari e 4 astenuti) un’obiezione sull’atto delegato con cui la Commissione europea vuole considerare gas e nucleare tra gli investimenti sostenibili dal punto di vista climatico. Se l’obiezione sarà approvata anche dalla maggioranza assoluta dei deputati (353) in seduta plenaria, la Commissione UE sarà costretta a rivedere la sua idea di tassonomia.

E questa volta è possibile che finisca così, perché se è vero che spesso la Envi si lancia su posizioni che poi la plenaria ribalta, la Econ (presieduta dall’italiana Irene Tinagli, PD), no, è molto influente e difficilmente l’Aula si discosta dalle sue decisioni.

Il voto sarà nella plenaria del 4-7 luglio. Saranno momenti intensi.

tassonomia verde

No a gas e nucleare in tassonomia, Wwf: “Priorità alle rinnovabili”

‘No’ all’inclusione del gas e del nucleare tra le attività economiche sostenibili con cui finanziare il Green Deal europeo. Le commissioni riunite degli Affari economici (Econ) e dell’Ambiente (Envi) del Parlamento europeo hanno approvato un’obiezione sull’atto delegato con cui la Commissione europea vuole considerare gas e nucleare tra gli investimenti sostenibili dal punto di vista climatico. Se l’obiezione sarà approvata anche dalla maggioranza assoluta dei deputati in seduta plenaria a luglio, la Commissione Ue sarà costretta a rivedere la sua idea di tassonomia.

La tassonomia ‘verde’ è il sistema europeo di classificazione degli investimenti economici sostenibili con cui Bruxelles vuole fissare criteri comuni per assicurarsi che grandi somme di capitale (soprattutto privato) vadano nella direzione del Green Deal e della transizione. I deputati “riconoscono il ruolo del gas nucleare e fossile nel garantire un approvvigionamento energetico stabile durante la transizione verso un’economia sostenibile”, ma “ritengono che gli standard di screening tecnico proposti dalla Commissione non rispettino i criteri per le attività economiche ecosostenibili”, si legge in una nota dell’Eurocamera pubblicata dopo il voto.

Nel congratularsi con gli eurodeputati per aver scelto la strada giusta per proteggere la credibilità della tassonomia dell’Ue Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia del Wwf Italia, ha ribadito che “non c’è nulla di sostenibile nei combustibili fossili e nelle scorie nucleari”. Per questo, ha proseguito, “etichettarli come ecologici nella tassonomia europea potrebbe sottrarre miliardi di euro di investimenti alle energie rinnovabili e alle tecnologie verdi”.

Inoltre, il gas è ormai diventato una fonte di insicurezza energetica e di rischio geopolitico in Europa. “L’energia nucleare è costosa, lenta da costruire e crea scorie altamente radioattive che ancora non sappiamo come gestire”, ha avvertito Midulla. Ora come ora le rinnovabili sono la nostra energia di ‘libertà’ e quindi la chiave per la sicurezza energetica. L’etichettatura del gas come investimento sostenibile porterebbe l’Europa a utilizzarne ancora di più. Il che, ha spiegato, “significa continuare la dipendenza e bollette più elevate per i cittadini europei“.

Anche Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha voluto dire la sua in merito alla bocciatura da parte delle commissioni sul nucleare e il gas nella tassonomia verde: “Si tratta di un primo importante risultato – ha dichiarato – che apre la strada alla bocciatura della proposta di considerare gas fossile e nucleare come fonti energetiche sostenibili, in base al regolamento sulla tassonomia che classifica gli investimenti verdi. Una decisione importante che può scongiurare, rigettando la proposta della Commissione, un duro colpo al Green Deal Europeo e a un’ambiziosa politica in grado di fronteggiare l’emergenza climatica”.

L’Europarlamento – ha concluso Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo Legambiente – ora può e deve rigettare la proposta della Commissione ed evitare così che centinaia di miliardi di euro, anziché essere investiti in rinnovabili ed efficienza energetica, vadano sprecati con il nucleare e il gas fossile aggravando la duplice crisi climatica ed energetica”.