Le trivelle non si sbloccano: cala del 5,5% all’anno la produzione nazionale gas

Un quarto di secolo fa il nostro Paese estraeva una trentina di miliardi di metri cubi di gas all’anno, una quantità che più o meno copriva il 30% del fabbisogno italiano. Ora la produzione continua a calare a poco più di 3 miliardi di metri cubi annui. Da inizio 2023 l’attività di estrazione è scesa di oltre il 5% nei confronti dello stesso periodo del 2022, nonostante provvedimenti e incentivi governativi e nonostante l’Italia abbia sudato 7 camicie, spendendo svariati miliardi, per recuperare gas in giro per il mondo ed evitare un lockdown energetico lo scorso inverno.

I giacimenti attivi sarebbero circa 1.300, anche se quelli che vengono realmente utilizzati con continuità si aggirano sui 500. In prossimità dello scoppio della guerra in Ucraina, il governo Draghi nel decreto Bollette aveva deciso di incentivare la produzione interna, per sopperire alle eventuali mancanze di forniture dalla Russia. L’obiettivo era appunto di aumentare l’estrazione di 2,2 miliardi di metri cubi di gas grazie una semplificazione burocratica in alcune aree, dal Canale di Sicilia alle Marche. Inoltre era stata affidata al Gse, il Gestore del sistema elettrico, la conduzione del piano-rilancio.

A gennaio, il governo Meloni ha rilanciato con il provvedimento sblocca-trivelle. Con il decreto Aiuti quater si è infatti aperto al ritorno delle estrazioni nelle acque dei golfi di Napoli, di Salerno e delle isole Egadi, e si è creato uno spiraglio per tirar fuori gas nell’Alto Adriatico, attività ferma da 30 anni, permettendo agli operatori di muoversi in una piccolissima porzione – che corrisponde all’estremità più a sud (tra il 45° parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po) -, oltre le 9 miglia dalla costa e per giacimenti con un potenziale sopra i 500 milioni di metri cubi.

Ovviamente i titolari di concessione, per estrarre, dovranno presentare analisi e monitoraggi che escludano il rischio subsidenza, cioè lo sprofondamento del suolo. A tal proposito a dicembre si era riunito presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica un tavolo di confronto tra i ministri Gilberto Pichetto Fratin, Adolfo Urso e il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, non del tutto propenso al ritorno delle trivelle. I rappresentanti istituzionali avevano concordato di coinvolgere, in via preliminare, alcune eccellenze italiane nel campo della ricerca, da Leonardo a Ispra, insieme alle Università del territorio, da affiancare ai tecnici e agli studiosi nel percorso di analisi e approfondimento del tema.

Da quel 7 dicembre 2022 non si è più saputo nulla. Si sa però, osservando i dati forniti dallo stesso ministero dell’Ambiente, che a marzo la produzione nazionale è ulteriormente calata del 6,9% annuale. Nel primo trimestre 2023, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, sono stati estratti 778 milioni di metri cubi, cioè il 5,5% in meno. In Croazia, che insiste con la sua attività di estrazione sempre nel mare Adriatico, secondo i dati forniti dal Ceic a febbraio la produzione è stata di 56 milioni di metri cubi, in calo dai 61 milioni di gennaio. Dal 2008 la media è di 144 milioni mensili con un massimo storico toccato a 245 milioni nel dicembre 2009 e un minimo raggiunto a settembre 2020 con appena 49 milioni. Il governo di Zagabria aveva annunciato a settembre scorso di voler incrementare la produzione del 10% entro il 2024. Tuttavia l’incremento dell’afflusso di Gnl in Europa e il potenziamento dei rigassificatori, nelle due sponde dell’Adriatico, riduce l’interesse verso nuovi investimenti e quindi verso un aumento dell’estrazione.

Il governo riattiva le trivelle: via libera all’estrazione di gas italiano

Il governo sceglie di riaprire la questione delle concessioni per l’estrazione di gas dai giacimenti nazionali. Il Consiglio dei ministri dà il via libera a un emendamento dell’esecutivo al decreto Aiuti ter, attualmente al vaglio delle commissioni speciali di Camera e Senato. Gli obiettivi, spiega il ministro dell’Ambiente e la sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, sono quelli di “ampliare le fonti di approvvigionamento e calmierare l’andamento dei prezzi, almeno sul fronte del sistema imprese“.

Tra le condizioni per la stipula dei contratti a lungo termine, infatti, c’è quella che i soggetti interessati dovranno mettere a disposizione del gruppo Gse “un quantitativo di diritti sul gas corrispondente, fino al 2024, ad almeno il 75% dei volumi produttivi attesi dagli investimenti” e per gli anni successivi “ad almeno il 50% dei volumi produttivi attesi dagli investimenti medesimi“. Per quel che concerne i costi, invece, si applica “una riduzione percentuale, anche progressiva, ai prezzi giornalieri registrati al punto di scambio virtuale” e comunque variabile “nel limite di livelli minimi e massimi quantificati rispettivamente in 50 e 100 euro per MWh“. Un tetto, di fatto, che la premier, Giorgia Meloni, definisce comunque “vantaggioso.

La norma, però, prevede anche una limitazione all’area in cui poter attivare le trivelle. Secondo il testo approvato in Cdm è “consentito il rilascio di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi in zone di mare poste fra le 9 e le 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette“, ma solo per i giacimenti di almeno 500 milioni di metri cubi metri cubi. Questo “per evitare il proliferare eccessivo di giacimenti“, chiarisce Pichetto.

Il Cdm, poi, ha dato anche il via libera alla Nota di aggiornamento al Def. Che libera “circa 9,5 miliardi che intendiamo iniziare a utilizzare già a partire dalla prossima settimana sul caro energia“, sottolinea Meloni. E non solo, perché “liberiamo tra i 22 e i 23 miliardi per il 2023, che intendiamo destinare in via esclusiva per affrontare il tema del caro energia, per un totale di oltre 30 miliardi“, continua la premier. Che comunque attende dall’Europaimmediate e concrete risposte su prezzo del gas“, perché i primi passi mossi sono serviti a far calare il prezzo del gas e mettere in difficoltà gli speculatori “ma non durerà senza segnali chiari e seri” dall’Ue. Nell’attesa che il Vecchio continente faccia le proprie mosse – ne ha parlato anche ieri con Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel, anche sul disaccoppiamento tra il prezzo del gas e quello dell’energia elettrica -, l’Italia ad ogni modo “deve tutelarsi“.

L’obiettivo della Nadef è mitigare gli effetti del caro energia su famiglie e imprese con un approccio prudente, realistico e sostenibile“, dice il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “Creiamo lo spazio rispetto a quello che riteniamo un intervento doveroso per famiglie e imprese“. Ma il governo è “consapevole che fare previsioni a lungo termine in questo momento, in materia economica, può essere un esercizio di pura accademia e siamo consapevoli e pronti a fronteggiare i rischi di recessione che da più parti a livello globale ed europeo vengono evocate e che potrebbero toccare anche l’economia italiana“. Per questo l’indebitamento netto per il 2023 “viene stimato del 4,5%, in aumento rispetto a quello previsto che crea spazio per fare quello riteniamo doveroso per le famiglie e imprese, per circa 23 miliardi per l’energia“, sottolinea il responsabile del Mef. La partita del governo Meloni, dunque, è iniziata.

Tanti soldi e trivelle: è la scommessa del governo Meloni

Trenta miliardi per contrastare il caro bollette, di qui a tutto il 2023, di cui 9,5 subito e fino al 31 dicembre di quest’anno, e poi la possibilità di trivellare per estrarre gas dove sono stati individuati i giacimenti. Il governo – volendo sintetizzare – non si è tirato indietro: la Nota di aggiornamento al Def è stata approvata dal Consiglio dei ministri e porta in dote un tesoretto per venire incontro a famiglie e imprese stressate dalla crisi energetica. “Dobbiamo metterci in sicurezza, questa è la priorità”, ha detto Giorgia Meloni, al primo, importante passaggio della sua leadership dopo la missione di Bruxelles, durante la quale ha chiesto “alla Ue di fermare la speculazione sul gas”. L’avranno ascoltata?

Atteso al varco, il governo non si è tirato indietro. E ha adottato provvedimenti importanti sotto il profilo dell’esposizione finanziaria. “Un approccio prudente, realistico e sostenibile”, nell’accezione di Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, che ha preferito non sbilanciarsi in altre previsioni. Però i soldi messi sul tavolo sono tanti, anche se per il futuro, non quello immediato, molto dipenderà dalla piega che prenderà nei prossimi mesi la guerra tra Russia e Ucraina, dalle posizioni dell’Europa, dall’inflazione e dalle speculazioni varie ed assortite. Trenta miliardi, insomma, possono essere tanta o poca roba, dipende. Però va dato atto all’esecutivo di non aver tentennato di fronte a una situazione che sta precipitando e che sta mettendo in ginocchio il sistema paese. E, di conseguenza, il sistema famiglie. Ora ci sarà il passaggio in Parlamento, non proprio una passeggiata di salute.

Al di là dei denari, un’altra svolta sostanziale è rappresentata dall’emendamento al dl aiuti in cui si autorizzano le trivellazioni in quei “giacimenti nazionali con capacità superiori ai 500 milioni di metri cubi”. La stima del governo è di 15 miliardi di metri cubi estratti nei prossimi 10 anni, sostanzialmente tutti nell’Adriatico, al di sotto del 45° parallelo. Insomma, là dove trivellano i croati, trivelleremo pure noi malgrado non sia così semplice mettere a terra queste intenzioni che, tecnicamente, hanno attuazioni e tempistiche non proprio immediate. Pure questo passaggio, immaginiamo, non sarà indolore. Sulle trivelle era stata netta l’opposizione di M5s, Verdi e Sinistra Italiana. In Parlamento, immaginiamo, sarà battaglia.

Siccità, energia, guerra: tre dossier ‘hot’ per il nuovo governo

Sarà una campagna elettorale ‘lampo’, ma non senza scontri, tensioni e anche qualche ‘colpo basso’. Lo scenario con cui l’Italia si prepara al ritorno alle urne, il prossimo 25 settembre, è ricco di insidie. Per ogni schieramento. Non solo il cronoprogramma di riforme e progetti per non perdere i fondi europei del Pnrr, nell’agenda di tutte le forze politiche ci sono almeno tre temi cerchiati con in rosso: strategia nazionale sull’energia, transizione ecologica e digitale e, ovviamente, la guerra in Ucraina, che trascina con sé non solo implicazioni geopolitiche ma anche legate alla crisi alimentare. Lo sblocco, graduale, delle scorte di grano e cereali bloccati da mesi nei porti del Mar Nero è una buona notizia – se gli accordi firmati con i garanti Onu e Turchia reggeranno -, ma il tempo stringe perché alle porte ci sono i nuovi raccolti e le incertezze si triplicano senza il cessate il fuoco tra Mosca e Kiev.

L’altro, grande capitolo riguarda inevitabilmente gli approvvigionamenti energetici. Non soltanto – e non tanto – per la conferma e il rispetto degli accordi stipulati dal governo Draghi con Algeria, Libia, Egitto, Mozambico, Azerbaijan, Congo e Qatar: queste partnership ci renderanno indipendenti dalle forniture russe entro la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Piuttosto il prossimo governo dovrà prendere una decisione sul ritorno o meno a puntare sulla produzione nazionale di gas. Ovvero, per dirla con il gergo utilizzato da alcune associazioni ambientaliste e movimenti politici, se l’Italia tornerà a muovere le proprie trivelle per sfruttare le possibilità del territorio. Il dibattito si è acceso negli ultimi mesi, quando la crisi energetica ha imposto una riflessione sul mix da adottare. Ad oggi le divisioni rimangono e la discussione non fa passi avanti.

In ballo ci sono interessi economici altissimi, però. Perché da circa una ventina d’anni, da quando è stata operata la scelta di comprare il gas da fornitori esteri (la Russia è diventata in pochissimo tempo il nostro partner principale), c’è chi conta una perdita in termini di occupazione, sviluppo delle nostre aziende e di risorse pubbliche, dovendo pagare l’Iva ai Paesi di appartenenza dei ‘venditori’. Il rovescio della medaglia, però, riguarda la tutela dell’ambiente e delle biodiversità. Non un problema da poco, visti gli effetti a volte devastanti dei cambiamenti climatici. Per ovviare a tutti i rischi c’è chi si appella alle nuove tecnologie, considerandole un valido alleato. Ma non tutti – in entrambi gli ‘schieramenti’ – sono pronti a metterci le mani sul fuoco.

Mentre la discussione va avanti, c’è comunque il presente da affrontare. Ad oggi il problema più grave è la siccità. Continua a non piovere su diverse zone del Paese, mentre dove finalmente scende giù l’agognata acqua, molto spesso lo fa con una violenza dirompete, a causa dell’incontro-scontro con le temperature record di questi mesi estivi. Il governo, prima che deflagrasse la crisi politica, era all’opera per un nuovo decreto Aiuti. La fine della maggioranza, le dimissioni di Mario Draghi e lo scioglimento delle Camere sembravano aver mandato in fumo l’opportunità. L’allargamento del perimetro dei cosiddetti affari correnti, però, ha riacceso la speranza e ora ci sono oltre 14 miliardi di euro da utilizzare per prorogare le misure di contrasto ai rincari di energia, carburanti e beni alimentari, ma anche i primi sostegni per i danni all’agricoltura. Il decreto dovrebbe vedere la luce la prossima settimana. Certo, le cifre stanziate non saranno sufficienti a coprire tutti gli ammanchi, ma va anche detto che oggi è tecnicamente impossibile fare la conta dei danni, quando le colture sono ancora in itinere.

Giocoforza questo sarà uno dei primi dossier su cui il nuovo governo, e la maggioranza che lo sosterrà, dovrà impegnarsi. Chi verrà dopo l’ex Bce, però, si troverà comunque una situazione economica e finanziaria di tutto rispetto. Almeno secondo quanto certificano diverse analisi, non ultima quella dell’Istat. “Con il dato sulla crescita del secondo trimestre” dice il ministro uscente della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, “è ragionevole aspettarsi un tasso di crescita annuo per il 2022 più vicino al 4%“. L’ex forzista si toglie anche un sassolino dalle scarpe: “Il governo Draghi ha lavorato bene, addirittura benissimo. Tanto che tra i Paesi del G7 nel 2022 l’Italia sarà quello che crescerà più di tutti“. E’ la campagna elettorale, bellezza. Ma anche una buona notizia per chi verrà tra due mesi circa.