Lo ha detto anche il Papa a febbraio durante il suo ultimo viaggio in Africa (“Giù le mani dal Congo”) per denunciare lo sfruttamento minerario nel paese. In condizioni umanitarie e ambientali critiche si estrae di tutto: in particolare cobalto, ingrediente fondamentale delle batterie al litio. E così anche il sogno di una mobilità elettrica e sostenibile in Europa finisce per passare da strade molto poco ‘green’. Dalla Repubblica democratica del Congo provengono oltre due terzi del cobalto mondiale, e oltre il 70% viene spedito in Cina per essere lavorato. Inquinamento delle falde acquifere a monte, consumo di idrocarburi a valle.
Ora, se esiste una soluzione, è forse da cercare in un difficile processo di regolamentazione. Ma anche intervenire sulla domanda rappresenterebbe una buona leva. In altre parole: se vogliamo batterie sostenibili da produrre e da smaltire (per automobili, ma non solo), dovremo dire addio a componenti come nichel e cobalto.
Su questo punto siamo indietro, va detto. Ma sempre meno. Uno studio, curato da un gruppo di ricerca internazionale di cui fa parte l’università di Pisa, ha appena individuato a livello ingegneristico e chimico i punti deboli di una delle potenziali alternative alla classica batteria agli ioni di litio: la batteria ‘litio-aria’.
Le litio-aria sono batterie che sfruttano l’ossigeno come elettrodo positivo abbinato a un elettrodo negativo metallico, ed evitano quindi l’impiego di nichel e cobalto. Non sono una novità in sé. Si studiano da tempo, in particolare da quanto, 10 anni fa, la tecnologia è diventata interessante grazie all’individuazione di catalizzatori detti ‘mediatori redox’, rivoluzionando lo scenario. Hanno però un difetto che le esclude ancora dal mercato: la fase di ricarica è infatti troppo lenta.
Da cosa è causata questa inefficienza? È il tema della ricerca pubblicata su ‘Nature Chemistry’ a cui hanno partecipato per l’università di Pisa Marco Lagnoni e Antonio Bertei, rispettivamente ricercatore e professore in ingegneria chimica. In un lavoro durato 3 anni, hanno sviluppato modelli numerici per prevedere le prestazioni energetiche degli elettrodi e simulare il processo di ricarica con mediatori redox.
In particolare i ricercatori hanno osservato che anche per i catalizzatori delle batterie litio-aria la velocità di ricarica è determinata dal potenziale elettrico. “Significa che, per poterli migliorare, è necessario che facciano un percorso reattivo diverso da quello pensato fino ad ora” spiega Antonio Bertei. Inoltre, la ricerca ha evidenziato gli altri fenomeni – oltre al processo chimico all’interno della batteria – che ne rallentano l’efficienza. E che sono quindi da affrontare: “In una visione d’insieme – continua Bertei – dobbiamo considerare, ad esempio, il processo di trasporto della carica elettrica, oppure il trasporto di specie chimiche fra cui l’ossigeno (disciolto in un liquido), tutti fenomeni ugualmente importanti”.
I risultati permetteranno di indirizzare la ricerca verso la creazione di nuove classi di mediatori redox e l’impiego di materiali diversi da quelli utilizzati finora. Non significa che siamo al traguardo (“Non credo che nei prossimi dieci anni vedremo già un prototipo commerciale di batteria litio-aria”, ha precisato Antonio Bertei), ma è un passo importante verso un futuro meno bisognoso di materiali critici per la mobilità elettrica. Anche – perché no – riuscendo a evitare lo stesso litio, altro materiale che porta con sé effetti indesiderati per l’ambiente: “I nostri risultati – conclude Bertei – si applicano a tutte le batterie metallo-aria, dove al posto del litio può essere impiegato il ferro o altri elementi più reperibili”.