Vajont, Papa: “Casa comune si sgretola per deliri onnipotenza uomo”

Il Pontefice riceve una rappresentanza della popolazione colpita dalla tragedia del 1963

Poco più di 60 anni fa, il 9 ottobre 1963, 260 milioni di metri cubi di roccia franarono dal Monte Toc nell’invaso della diga costruito a ridosso del torrente Vajont. Un’onda alta 70 metri oltrepassò la diga a 100 chilometri orari, spazzando via la località di Longarone e facendo in una sola notte 1.910 morti.

Vittime non di un errore di progettazione, ma dell'”avidità dell’uomo“, riflette Papa Francesco, ricevendo in udienza una rappresentanza della popolazione colpita da una delle tragedie più note della storia d’Italia. “Voi portate a Roma un pesantissimo carico di memoria e di sofferenza“, afferma, sottolineando come a quell’ondata di “annientamento e distruzione” la popolazione abbia risposto con il coraggio della memoria e della ricostruzione.

Pensando al disastro del Vajont, Bergoglio si confessa colpito da un aspetto: a causare la tragedia non furono sbagli di realizzazione della diga, ma il fatto stesso di voler costruire un bacino artificiale nel luogo sbagliato. Tutto per aver, denuncia, “anteposto la logica del guadagno alla cura dell’uomo e dell’ambiente in cui vive; così che, se la vostra ondata di speranza è mossa dalla fraternità, quell’ondata che portò disperazione era provocata dall’avidità. E l’avidità distrugge, mentre la fraternità costruisce“. La cura del creato, ripete il Pontefice, non è un fattore semplicemente ecologico, ma una “questione antropologica”: ha a che fare, spiega, “con la vita dell’uomo, così come il Creatore l’ha pensata e disposta, e riguarda il futuro di tutti, della società globale in cui siamo immersi”. Ancora oggi, la casa comune si sgretola e il motivo è sempre lo stesso: “L’avidità di profitto, un delirio di guadagno e di possesso che sembra far sentire l’uomo onnipotente”.

Ma è un grande inganno, avverte il Papa: “Perché siamo creature e la nostra natura ci chiede di muoverci nel mondo con rispetto e con cura, senza annullare, anzi custodendo il senso del limite, che non rappresenta una diminuzione, ma è possibilità di pienezza“.