Che la Cop 28 sia stata un fiasco o quasi un fiasco dipende solo dai punti di vista più o meno ideologici. Che molto poco si potesse pretendere da un evento che ha avuto come presidente Sultan Ahmed al-Jaber, amministratore delegato di Abu Dahbi National Oil Company (la Adnoc, principale compagnia petrolifera degli Emirati Arabi), era abbastanza scontato. Che la Cop28 potesse riservare un epilogo analogo alla Cop27 era persino prevedibile. Che non tutte le posizioni emerse dalla convention Onu di Dubai siano da buttare nel bidone della spazzatura un’altra evidenza sulla quale riflettere.
Dopo una decina di giorni di chiacchiere e confronti, alla fine sembra che troveremo carbone (fossile) sotto l’albero di Natale. La prima bozza di accordo non convince, gas & oil continuano a farla da padrone, i Paesi produttori non ne vogliono sapere di dare un taglio alla loro principale fonte di introiti, la progressiva dismissione dei combustibili fossili pare abbia la cadenza musicale del fado. E pure la sua tristezza. La luce in fondo al tunnel sono le rinnovabili e, forse, il nucleare. Ma tra mille eccezioni, come da dichiarazione del ministro Gilberto Pichetto Fratin per quanto riguarda la posizione dell’Italia: una fessura non un’apertura. E, comunque, siamo nell’ordine di molti anni, insomma non una soluzione immediata.
Mentre le associazioni ambientaliste si ostinano a gettare vernice verde in fiumi, lagune e fontane, il mondo prende la sua piega. La spaccatura che emerge è netta. C’è preoccupazione per l’innalzamento della temperatura planetaria e per i risultati non in linea con le prospettive delineate dall’accordo di Parigi, probabilmente adesso c’è anche minore distanza tra Europa, Usa, Cina e India, nessuno dubita sulla necessità di “fare qualcosa”, ma sono i tempi e i modi che generano lo stallo. Da un lato la Ue che pesta sull’acceleratore per velocizzare la transizione green, dall’altro i Paesi produttori e in via di sviluppo che azionano il freno. Usando la ragione e non la pancia, è inimmaginabile pensare al mondo senza gas e senza petrolio in uno spazio temporale ristretto. Sultan al-Jaber sostiene con un’iperbole che si tornerebbe alla caverne: non è così, però non è nemmeno possibile ipotizzare a breve una società spinta solo da energie rinnovabili o biocarburanti. E siccome di radicalismo si perisce, lo sforzo maggiore dovrebbe farlo il buonsenso che non produce gas serra: non tutto subito, ma nemmeno niente per sempre. Sarebbe utile conoscere, oltre alla posizione del Governo, anche quelle delle nostre aziende di bandiera: da Eni a Enel, fino a Terna e Edison, Eph, A2A. Come si pongono in questa controversia?
La fotografia scattata alla Cop28 è chiarissima: Emirati, Arabia Saudita, Iraq, Iran e Russia non vogliono abbandonare la strada dei combustibili fossili, gli Stati Uniti stanno strategicamente nel mezzo, i giganti Cina e India manco si sono fatti sentire e tirano dritto allegramente. Insieme fanno 3 miliardi di persone, oltre un terzo della popolazione mondiale. Assodato che la transizione ecologica costi cara, vanno tutelate parimenti la stabilità delle economie e la salute del pianeta. Senza la prima non c’è la seconda. Sono da evitare gli estremismi o le asticelle fissate troppo in alto. E qui l’Europa può e deve darsi una regolata perché l’era-Timmermans ha prodotto guasti e lasciato strascichi. C’era una volta l’Europa che dettava il ritmo al mondo, adesso ci sono nazioni che da sole contano più di un continente intero. E che inquinano anche di più. Prenderne coscienza non è avere meno peso geopolitico ma capire in che epoca si sta vivendo. Diceva Seneca: non possiamo dirigere il vento ma possiamo orientare le vele.