Fatta la legge, trovato il modo per aggirarla. La scorsa settimana la Ue ha deciso dazi provvisori sui veicoli elettrici importati dalla Cina, colpendo Byd con un’ulteriore tassa del 17,4% in aggiunta all’attuale aliquota del 10%. E Byd decide di aprire uno stabilimento in Turchia, dal valore di un miliardo di dollari, per dribblare i dazi stessi. Sono infatti arrivate ulteriori conferme, dopo lo scoop di Bloomberg di venerdì, sul fatto che il primo produttore mondiale di veicoli elettrici installerà la sua fabbrica nella provincia di Manisa, vicino alla città costiera occidentale di Izmir. L’annuncio ufficiale è atteso a ore e a farlo sarà direttamente il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.
Per gli osservatori, l’installazione di una fabbrica Byd in Turchia consentirebbe alla casa automobilistica di accedere al mercato europeo eludendo le tasse sui veicoli elettrici cinesi. D’altro canto, l’unione doganale conclusa dalla Turchia con l’UE alla fine del 1995 ha aperto il mercato europeo alle automobili “made in Turkey“, facilitando l’esportazione del 70% della produzione locale verso l’Europa occidentale. Inoltre, la Turchia ha deciso a giugno di esentare gli investimenti cinesi nel suo territorio e di non tassare le importazioni di automobili di origine cinese, al fine di incoraggiare gli investimenti.
Secondo il consulente indipendente Levent Taylan, contattato da France Presse, lo Stato turco avrebbe gentilmente fornito a Byd un terreno inizialmente assegnato al produttore tedesco Volkswagen, che aveva progettato un vasto stabilimento prima di rinunciarvi. Con Byd “sarà un investimento per il mercato turco ma soprattutto per quello europeo, eludendo le tariffe doganali imposte sui veicoli di origine cinese”, ritiene Taylan, secondo il quale Byd arriverebbe in Turchia con “un potenziale di vendita” di circa 20-25.000 veicoli/anno sul mercato locale e di circa 50-75.000 per l’esportazione nell’Ue.
“Una fabbrica con una capacità installata compresa tra 100 e 125.000 veicoli all’anno sarebbe un investimento ragionevole“, giudica questo buon conoscitore del mercato automobilistico turco sentito da Afp. Per fare un confronto, la fabbrica recentemente aperta in Thailandia da Byd ha una capacità produttiva di 150mila veicoli all’anno.
La mossa a tenaglia cinese sull’Europa segue la visita del presidente Xi Jinping aveva fatto in Europa, visitando la Francia ma soprattutto Serbia e Ungheria. L’8 maggio a Belgrado, insieme al presidente serbo Aleksandar Vucic, il leader cinese firmò 29 accordi volti a rafforzare la cooperazione legale, normativa ed economica. Inoltre, un significativo accordo di libero scambio, che è iniziato l’1° luglio, consentirà l’esportazione senza dazi del 95% dei prodotti serbi verso la Cina nei prossimi cinque-dieci anni. Il giorno dopo, a Budapest, è stata invece annunciata la firma di almeno 16 accordi con il governo ungherese guidato da Viktor Orban – ora in missione a Pechino -, nei settori delle infrastrutture ferroviarie e stradali, dell’energia nucleare e ovviamente dell’automobile. Infatti proprio Byd aveva annunciato a fine 2023 che costruirà la sua prima fabbrica automobilistica in Europa a Szeged in Ungheria. La nuova struttura del colosso cinese si concentrerà sulla produzione di veicoli elettrici e ibridi plug-in destinati al mercato europeo, promettendo di generare migliaia di posti di lavoro. Il governo ungherese supporterà l’impianto con sussidi, sebbene l’importo preciso sarà annunciato solo dopo l’approvazione della Commissione europea.
Negli ultimi cinque anni l’Ungheria ha attratto circa 20 miliardi di euro di investimenti legati ai veicoli elettrici, compreso un impianto di batterie da 7,3 miliardi di euro costruito da Contemporary Amperex Technology (Catl) a Debrecen. Byd, tra l’altro, già produce autobus elettrici con successo nella città ungherese di Komarom. E per il nuovo impianto a Szeged, Orban ha destinato finanziamenti significativi per migliorare le infrastrutture intorno al parco industriale. L’apertura nella città a sud del Paese consentirà al colosso di Shenzhen di evitare tariffe di importazione. In attesa della realizzazione della fabbrica, ecco allora l’investimento in Turchia, che vanta un know-how riconosciuto nel settore automobilistico con una rete di oltre 500mila subappaltatori avendo attirato dagli anni ’70 numerosi produttori come Fiat, Renault, Ford e Toyota.