Pnrr: è tempo di concentrarsi sul fare, non sui ritardi
Non è il momento della comunicazione, delle campagne elettorali, dell’attribuire colpe a chi governava prima o all’Unione europea. Il Pnrr va realizzato nel migliore dei modi, i cantieri vanno aperti e terminati, solo così l’Italia non perderà la corsa della ripresa e guadagnerà il rispetto dei partner
A Bruxelles chi deve verificare tutto sommato è soddisfatto. Certo, non tutto ciò che riguarda lo sviluppo e l’attuazione del Pnrr (parliamo, ricordiamo, di quasi 200 miliardi di finanziamenti) è perfettamente in linea, ma non lo è non solo per l’Italia. Le condizioni dell’economia europea e mondiale sono cambiate negli ultimi tre anni, l’inflazione galoppante mette i bastoni tra le ruote, la guerra della Russia in Ucraina ha creato nuove urgenze, e dunque è chiaro per tutti, anche per la Commissione europea, che aggiustamenti saranno probabilmente necessari.
E’ però necessario mostrare buona volontà e capacità di spesa e realizzazione. I ‘no’ preventivi preoccupano chi osserva, anche perché l’Italia non ha un ruolino di marcia storico di quelli immacolati, di soldi europei ne abbiamo sprecati tanti, di cantieri avviati e mai chiusi è piena la Penisola. Il timore che si ripetano storie già viste è legittimo.
Questa volta i soldi sono davvero tanti, non bastano ovviamente a “rivoltare il paese come un calzino”, ma son un bell’aiuto, in particolare per l’Italia, di gran lunga il maggior beneficiario del Piano di ripresa europeo, per scrollarsi di dosso le debolezze del passato ed affrontare da protagonista la transizione. Perché il tema non è, qui, affermare la “sovranità decisionale” del nostro Paese, ma è quello di dargli le gambe per partecipare alla corsa verso la transizione irrobustendo la propria economia, e di conseguenza anche la situazione sociale, l’occupazione, la formazione, il problema demografico e così via.
Ci si deve dunque concentrare, questo è il messaggio che viene dai partner dell’Unione europea, sull’ammodernare il Paese, sul creare le condizioni perché sia competitivo, perché non perda la corsa con gli altri grandi Paesi industriali restando arretrata tecnologicamente e dunque debole economicamente.
La ‘transizione‘ non è solo una meritevole lotta per la difesa del clima, è oramai una condizione fondamentale della crescita economia. Chi resta indietro ora lo sarà sempre più nei prossimi anni, perché altri produrranno a costi più bassi, produrranno merci che avranno più mercato, occuperanno gli spazi che saranno lasciati liberi da chi non avrà le gambe per partecipare alla corsa,
Dunque iniziamo a realizzare i progetti, dimostriamo la capacità di farlo, e poi, se sarà obiettivamente necessario cambiare qualcosa, come prevedono le stesse regole del programma Next Generation Eu, lo si cambierà. Ma la base non può essere lo scontro politico (o polemico), non può essere dare l’immagine di voler mettere le mani avanti scaricando colpe e ritardi su altri (che sia vero o meno, non è questo il punto). La base deve essere dimostrare che le cose le si vogliono fare, che ci si attrezza per farle e che le si fanno. Nell’interesse dell’Italia, non di altri, per permettere all’Italia di sedersi ai tavoli internazionali ed essere vista con rispetto, quel rispetto che poi permette di far ascoltare la propria voce.