L’obiettivo del ministero delle Imprese era dichiarato: arrivare a produrre in Italia 1,3 milioni di veicoli per far sopravvivere la componentistica del Paese. Nello specifico, un milione di automobili e 300mila veicoli commerciali leggeri. Dopo mesi di confronti, frecciate al vetriolo e riavvicinamenti con Stellantis, Adolfo Urso non ha dubbi: una casa non basta, servono altri competitor che garantiscano il lavoro e non internazionalizzino. Per questo, da tempo sono in corso interlocuzioni con Tesla, la casa statunitense di Elon Musk (ricevuto due volte a Palazzo Chigi e ospite al Festival Atreju 2023) e tre case cinesi produttrici di auto elettriche.
Il titolare del dicastero di via Veneto viene sentito in commissione Attività produttive della Camera, per fare il punto sul settore auto. La componentistica in Italia è composta da 2.200 imprese, che danno occupazione a oltre 167mila addetti. Se si guarda alla filiera allargata, oltre 5.500 aziende occupano 273mila addetti diretti nelle attività produttive e 1,2 milioni inclusi gli indiretti. “Il tutto genera circa 90 miliardi di euro di fatturato, pari al 9,9% di tutto il settore manufatturiero, con una incidenza sul Pil del 5,2%“, ricorda il ministro. In sintesi, è il settore produttivo a più elevato moltiplicatore di valore aggiunto.
I fattori di rischio da monitorare sono sostanzialmente tre: l’andamento produttivo che è “fortemente influenzato dalla produzione di veicoli sia a livello nazionale che europeo”, le sfide imposte dalla decarbonizzazione e le strategie del principale produttore italiano.
Le immatricolazioni sono cresciute nel 2023, segnando un +19% sul 2022, ma non raggiungono i livelli pre-Covid e sono lontane dal picco di 2,2 milioni raggiunto nel 2017. “Secondo le previsioni di mercato, nei prossimi anni il mercato dell’auto si stabilizzerà su 1,5-1,7 milioni di veicoli immatricolati“, informa Urso.
Al momento, in Italia si fabbricano veicoli a combustione interna, e seguire la strada della totale elettrificazione, mette in guardia il ministro, è rischioso: “Comporterebbe un significativo restringimento del campo di attività economica, perché con l’elettrico si riduce il numero delle componenti necessarie all’assemblaggio dei mezzi e, allo stesso tempo, il principale componente è la batteria, la cui catena del valore è per l’80% di dominio asiatico“. Alla nuova Commissione europea chiederà, assicura, di “abbandonare l’approccio ideologico che ha sacrificato le esigenze delle imprese“.
Intanto, le interlocuzioni con le altre case proseguono, anche perché l’Italia è un caso unico in Europa: “Solo qui – lamenta Urso – c’è un solo produttore di auto. In Germania ce ne sono sei, ai quali se ne aggiunge uno ulteriore per i veicoli commerciali leggeri. In Francia i produttori sono quattro, in Spagna sono sette. Persino nella Repubblica Ceca sono tre e in Ungheria quattro“.
Stellantis potrebbe decidere di internazionalizzare ancora, ma Urso si smarca da qualsiasi responsabilità: “E’ nata nel 2019-2020. Fu presentato al governo il progetto, secondo la golden power. In quel momento, si ritenne di non esercitare quella facoltà. A me risulta che si prospettava una ipotesi di fusione, invece poi fu incorporazione; che dovesse esserci governance paritetica che non fu paritetica; che i soci non avrebbero dovuto aumentare le quote, invece avvenne. In quel momento il governo doveva intervenire, ma se ne lavò le mani“, tuona.
Ora, la sua, è una corsa ai ripari. A metà dello scorso anno, una delegazione del governo ha visitato le principali case cinesi produttrici di veicoli elettrici. Dopo quella missione, tre aziende leader cinesi sono venute in Italia per vagliare le possibilità offerte dal Paese e visitare luoghi di possibili stabilimenti. “Questi gruppi, tutti e tre, hanno esplicitamente detto che i preconcetti con cui sono arrivate in Italia, dal costo del lavoro alla burocrazia, sono stati fugati dagli incontri – garantisce il ministro -. Hanno trovato un paese con un ecosistema molto favorevole agli investimenti“.