Il viaggio della premier Giorgia Meloni a Pechino segna una (nuova) svolta nei rapporti tra Italia e Cina dopo lo strappo della Via della Seta, là dove i rapporti con una delle grandi potenze del mondo non è mai stato agevole in passato e pare resti comunque delicato nel presente. Però, pur con tutte le tutele del caso, è quasi un passaggio ineludibile guardare alla Cina per dare ossigeno al made in Italy e per capire quali ricadute (positive) possano scaturire da alcune sinergie industriali che riguardano il nostro Paese, segnatamente nel settore dell’automotive. Nell‘accordo quadro (triennale) strutturato in sei punti, l’auto elettrica e la possibilità da parte di aziende cinesi di impiantare fabbriche in Italia è forse lo snodo più importante, assieme a un accordo sulle rinnovabili, in particolare l’eolico offshore, e all’eventualità di scansare i dazi sulle merci importate dalla Ue, in risposta ai dazi imposti dall’Europa sulle auto cinesi.
La Cina, assieme all’India, è uno dei grandi inquinatori del Pianeta. Eppure sull’elettrico è anni luce avanti rispetto a tutti i potenziali competitor. E l’Italia, che attualmente ha un solo produttore di automobili, potrebbe/vorrebbe accogliere aziende cinesi. Sembra che ce ne siano sei pronte a sbarcare da noi, agevolate dall’ok del governo e dal dialogo che sta portando avanti da mesi Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy. Se da un lato è fondamentale la stabilità del sistema delle regole che sta alla base di una cooperazione non solo commerciale, dall’altro è indispensabile una certa flessibilità interpretativa per non irrigidire le posizioni. “Solo i cinesi possono produrre un’utilitaria elettrica”, ha detto Federico Visentin, presidente di Federmeccanica, certificando la superiorità tecnologica di Pechino. Tutto questo anche se il mercato dell’elettrico è in stallo per una questione di prezzo (elevato) delle autovetture, di autonomia delle stesse e di carenze di strutture, le agognate colonnine di ricarica. Rimane un dato inconfutabile: il 20% delle auto elettriche acquistate entro i confini dell’Unione europea è cinese e persino Tesla costruisce in Cina dove il costo della manodopera è inferiore.
Tornando all’Italia, il paradosso è che attualmente importiamo di più dalla Cina di quanto esportiamo in Cina (47 miliardi a fronte di 19 miliardi) e la missione della premier a Pechino va vista anche sotto questo aspetto non proprio trascurabile. Dalla Via della Seta si è passati alla Via della Meta, con l’obiettivo dichiarato di intensificare le relazioni commerciali. Meloni si è anche offerta come facilitatore dei rapporti tra la Cina e la Ue, proprio perché alcune rigidità di Bruxelles sono state mal digerite da Pechino, ma aggettivamente gli equilibri della nuova Ue non legittimano a ottimismi assortiti.