
Inflazione in leggera accelerazione a febbraio. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, è aumentata dello 0,2% rispetto a gennaio 2025 e dell’1,6% rispetto a febbraio 2024 (da +1,5% del mese precedente). La stima preliminare era +1,7%. A renderlo noto è l’Istat, che ha diffuso le stime preliminari dei prezzi al consumo. Sempre a febbraio, il cosiddetto ‘carrello della spesa’ torna ad accelerare ma meno del previsto: il tasso tendenziale di variazione dei prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona sale infatti dal +1,7% di gennaio a +2,0%, con le stime preliminari che prevedevano un incremento del 2,2%.
Diminuisce invece la variazione tendenziale dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto, da +2,0% di gennaio a +1,9% a febbraio. La dinamica tendenziale dei prezzi dei beni evidenzia una nuova accelerazione (da +0,7% a +1,1%), mentre quella dei servizi rallenta (da +2,6% a +2,4%). Il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni scende quindi a +1,3 punti percentuali (dai +1,9 di gennaio 2025), mentre l’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, si riduce, così come quella al netto dei soli beni energetici (entrambe le variazioni tendenziali passano da +1,8% a +1,7%). L’inflazione acquisita per il 2025 è pari a +1,1% per l’indice generale e a +0,6% per la componente di fondo. L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente ai prezzi degli Energetici regolamentati (+0,8%) e non regolamentati (+0,7%), ma anche a quelli dei Beni non durevoli (+0,4%) e dei Servizi relativi all’abitazione (+0,3%); i prezzi dei Tabacchi (+2,5%) risentono anche dell’aumento delle accise. Gli effetti dei suddetti aumenti sono stati solo in parte compensati dalla diminuzione dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti e dei Beni durevoli (entrambi a -0,2%). A livello geografico, la variazione percentuale del tasso di inflazione sui dodici mesi, a febbraio, è più alta di quella nazionale nel Nord-Est, nel Sud (per entrambe passa da +1,7% a +1,8%) e nel Centro (da +1,6% a +1,7%), è uguale alla nazionale nelle Isole (stabile a +1,6%), mentre risulta inferiore nel Nord-Ovest (da +1,3% a +1,4%). Tra i capoluoghi delle regioni e delle province autonome e nei comuni non capoluoghi di regione con più di 150mila abitanti, l’inflazione più elevata si osserva a Rimini (+2,7%), Bolzano (+2,6%) e Padova (+2,4%), mentre la più contenuta si registra a Modena (+1,1%), ad Aosta e a Firenze (+0,9% entrambe). Sull’altro fronte della classifica non c’è più nessuna città in deflazione. La città più virtuosa d’Italia è Lodi, dove con +0,8%, l’inflazione più bassa d’Italia, si ha un aumento annuo di 210 euro. Al secondo posto Caserta, +1% e un maggior costo di 214 euro. Medaglia di bronzo per Catanzaro, +1,3% e +230 euro.
In testa alla classifica delle regioni più “costose“, con un’inflazione annua a +2,1%, il Trentino che registra a famiglia un aggravio medio pari a 597 euro su base annua. Segue il Friuli Venezia Giulia (+1,9%, +450 euro) e al terzo posto Veneto ed Emilia Romagna, ex aequo con + 449 euro e un’inflazione pari, rispettivamente, a +1,8% e +1,7 per cento. La regione più risparmiosa è la Valle d’Aosta: +0,9% e +234 euro. In seconda posizione la Sardegna, in terza il Molise. L’Istat ha poi effettuato delle simulazioni valutando gli effetti sui redditi disponibili delle famiglie generati dalle politiche redistributive introdotte nel 2024. In particolare, gli effetti della riforma di aliquote e scaglioni Irpef e detrazioni da lavoro, dell’eliminazione del Reddito di cittadinanza (RDC) e dell’introduzione dell’Assegno di Inclusione (Adi), della prosecuzione dell’esonero contributivo parziale per i lavoratori dipendenti e dell’introduzione dell’esonero totale per le lavoratrici dipendenti madri e, infine, dell’indennità una tantum per i lavoratori dipendenti (Bonus Natale). Dalla simulazione, si stima che siano 11,8 milioni le famiglie che vedono migliorare, grazie alle misure, il proprio reddito disponibile, per un ammontare medio annuo di 586 euro. Ma ci sono 300mila famiglie che invece registrano una perdita. Il peggioramento, pari in media a 426 euro, è riconducibile in larga parte alla perdita del diritto al trattamento integrativo dei redditi da lavoro dipendente (Bonus Irpef). L’indennità una tantum di 100 euro per i lavoratori dipendenti si stima abbia raggiunto circa 3 milioni di famiglie (11,6% delle famiglie residenti), generando una variazione del reddito disponibile pari in media allo 0,2%. Mentre il passaggio dal reddito di cittadinanza, già depotenziato nel corso del 2023, all’assegno di inclusione ha comportato un peggioramento dei redditi disponibili per circa 850mila famiglie (3,2% delle famiglie residenti). La perdita media annua è di circa 2mila 600 euro e interessa quasi esclusivamente le famiglie che appartengono al gruppo delle famiglie più povere.
Critico il Movimento Cinquestelle: “Mentre l’inflazione continua a erodere il potere d’acquisto delle famiglie italiane, con aumenti del 31,4% sui beni energetici e del 2% sui prodotti alimentari, ben 850mila famiglie hanno subito un drastico impoverimento a causa dell’abolizione del Reddito di cittadinanza. Un colpo mortale inferto proprio alle fasce più vulnerabili della popolazione”. “Grazie al governo Meloni, un milione di occupati”, replica il vice responsabile nazionale del Dipartimento Imprese e mondi produttivi di FdI, Lino Ricchiuti. Preoccupate le associazioni. “L’inflazione rialza la testa in Italia con i prezzi al dettaglio che a febbraio salgono all’1,6% – commenta il Codacons – una accelerazione che, in termini di spesa e considerata la totalità dei consumi di una famiglia, equivale ad un aggravio pari in media a +526 euro annui per la famiglia ‘tipo’, +716 euro per un nucleo con due figli”. Per il presidente Codacons, Carlo Rienzi, i numeri Istat certificano come “l’emergenza energia abbia effetti a cascata sull’economia nazionale e sulle tasche delle famiglie. Per questo consideriamo inadeguate le misure introdotte dal governo col recente decreto bollette, che non intervengono per contrastare le cause strutturali che fanno salire le tariffe di luce e gas e non risolvono il problema del caro-energia sul lungo periodo”.
Parla di “dati allarmanti” l’Unione Nazionale Consumatori: “Un’impennata che, su base tendenziale, prosegue ininterrottamente da settembre 2024, passando da 0,7% a 1,6%, più del doppio in appena 5 mesi”. Per il presidente UNC, Massimiliano Dona, la fiammata “è dovuta anche al caro bollette, contro le quali, purtroppo, il Governo è intervenuto tardivamente, non impedendo gli effetti nefasti sull’inflazione”. Per Assoutenti, i dati “evidenziano ancora una volta la necessità di intervenire sulle cause che scatenano il rialzo dei prezzi in Italia, a partire dal caro-energia, combattendo le speculazioni e tutelando la capacità di spesa degli italiani”.