L’inflazione sale e cresce anche il carrello della spesa. M5S: “Senza Rdc famiglie sul lastrico”

Inflazione in leggera accelerazione a febbraio. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, è aumentata dello 0,2% rispetto a gennaio 2025 e dell’1,6% rispetto a febbraio 2024 (da +1,5% del mese precedente). La stima preliminare era +1,7%. A renderlo noto è l’Istat, che ha diffuso le stime preliminari dei prezzi al consumo. Sempre a febbraio, il cosiddetto ‘carrello della spesa’ torna ad accelerare ma meno del previsto: il tasso tendenziale di variazione dei prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona sale infatti dal +1,7% di gennaio a +2,0%, con le stime preliminari che prevedevano un incremento del 2,2%.

Diminuisce invece la variazione tendenziale dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto, da +2,0% di gennaio a +1,9% a febbraio. La dinamica tendenziale dei prezzi dei beni evidenzia una nuova accelerazione (da +0,7% a +1,1%), mentre quella dei servizi rallenta (da +2,6% a +2,4%). Il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni scende quindi a +1,3 punti percentuali (dai +1,9 di gennaio 2025), mentre l’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, si riduce, così come quella al netto dei soli beni energetici (entrambe le variazioni tendenziali passano da +1,8% a +1,7%). L’inflazione acquisita per il 2025 è pari a +1,1% per l’indice generale e a +0,6% per la componente di fondo. L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente ai prezzi degli Energetici regolamentati (+0,8%) e non regolamentati (+0,7%), ma anche a quelli dei Beni non durevoli (+0,4%) e dei Servizi relativi all’abitazione (+0,3%); i prezzi dei Tabacchi (+2,5%) risentono anche dell’aumento delle accise. Gli effetti dei suddetti aumenti sono stati solo in parte compensati dalla diminuzione dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti e dei Beni durevoli (entrambi a -0,2%). A livello geografico, la variazione percentuale del tasso di inflazione sui dodici mesi, a febbraio, è più alta di quella nazionale nel Nord-Est, nel Sud (per entrambe passa da +1,7% a +1,8%) e nel Centro (da +1,6% a +1,7%), è uguale alla nazionale nelle Isole (stabile a +1,6%), mentre risulta inferiore nel Nord-Ovest (da +1,3% a +1,4%). Tra i capoluoghi delle regioni e delle province autonome e nei comuni non capoluoghi di regione con più di 150mila abitanti, l’inflazione più elevata si osserva a Rimini (+2,7%), Bolzano (+2,6%) e Padova (+2,4%), mentre la più contenuta si registra a Modena (+1,1%), ad Aosta e a Firenze (+0,9% entrambe). Sull’altro fronte della classifica non c’è più nessuna città in deflazione. La città più virtuosa d’Italia è Lodi, dove con +0,8%, l’inflazione più bassa d’Italia, si ha un aumento annuo di 210 euro. Al secondo posto Caserta, +1% e un maggior costo di 214 euro. Medaglia di bronzo per Catanzaro, +1,3% e +230 euro.

In testa alla classifica delle regioni più “costose“, con un’inflazione annua a +2,1%, il Trentino che registra a famiglia un aggravio medio pari a 597 euro su base annua. Segue il Friuli Venezia Giulia (+1,9%, +450 euro) e al terzo posto Veneto ed Emilia Romagna, ex aequo con + 449 euro e un’inflazione pari, rispettivamente, a +1,8% e +1,7 per cento. La regione più risparmiosa è la Valle d’Aosta: +0,9% e +234 euro. In seconda posizione la Sardegna, in terza il Molise. L’Istat ha poi effettuato delle simulazioni valutando gli effetti sui redditi disponibili delle famiglie generati dalle politiche redistributive introdotte nel 2024. In particolare, gli effetti della riforma di aliquote e scaglioni Irpef e detrazioni da lavoro, dell’eliminazione del Reddito di cittadinanza (RDC) e dell’introduzione dell’Assegno di Inclusione (Adi), della prosecuzione dell’esonero contributivo parziale per i lavoratori dipendenti e dell’introduzione dell’esonero totale per le lavoratrici dipendenti madri e, infine, dell’indennità una tantum per i lavoratori dipendenti (Bonus Natale). Dalla simulazione, si stima che siano 11,8 milioni le famiglie che vedono migliorare, grazie alle misure, il proprio reddito disponibile, per un ammontare medio annuo di 586 euro. Ma ci sono 300mila famiglie che invece registrano una perdita. Il peggioramento, pari in media a 426 euro, è riconducibile in larga parte alla perdita del diritto al trattamento integrativo dei redditi da lavoro dipendente (Bonus Irpef). L’indennità una tantum di 100 euro per i lavoratori dipendenti si stima abbia raggiunto circa 3 milioni di famiglie (11,6% delle famiglie residenti), generando una variazione del reddito disponibile pari in media allo 0,2%. Mentre il passaggio dal reddito di cittadinanza, già depotenziato nel corso del 2023, all’assegno di inclusione ha comportato un peggioramento dei redditi disponibili per circa 850mila famiglie (3,2% delle famiglie residenti). La perdita media annua è di circa 2mila 600 euro e interessa quasi esclusivamente le famiglie che appartengono al gruppo delle famiglie più povere.

Critico il Movimento Cinquestelle:Mentre l’inflazione continua a erodere il potere d’acquisto delle famiglie italiane, con aumenti del 31,4% sui beni energetici e del 2% sui prodotti alimentari, ben 850mila famiglie hanno subito un drastico impoverimento a causa dell’abolizione del Reddito di cittadinanza. Un colpo mortale inferto proprio alle fasce più vulnerabili della popolazione”. “Grazie al governo Meloni, un milione di occupati”, replica il vice responsabile nazionale del Dipartimento Imprese e mondi produttivi di FdI, Lino Ricchiuti. Preoccupate le associazioni. “L’inflazione rialza la testa in Italia con i prezzi al dettaglio che a febbraio salgono all’1,6% – commenta il Codacons – una accelerazione che, in termini di spesa e considerata la totalità dei consumi di una famiglia, equivale ad un aggravio pari in media a +526 euro annui per la famiglia ‘tipo’, +716 euro per un nucleo con due figli”. Per il presidente Codacons, Carlo Rienzi, i numeri Istat certificano come “l’emergenza energia abbia effetti a cascata sull’economia nazionale e sulle tasche delle famiglie. Per questo consideriamo inadeguate le misure introdotte dal governo col recente decreto bollette, che non intervengono per contrastare le cause strutturali che fanno salire le tariffe di luce e gas e non risolvono il problema del caro-energia sul lungo periodo”.

Parla di “dati allarmanti” l’Unione Nazionale Consumatori: “Un’impennata che, su base tendenziale, prosegue ininterrottamente da settembre 2024, passando da 0,7% a 1,6%, più del doppio in appena 5 mesi”. Per il presidente UNC, Massimiliano Dona, la fiammata “è dovuta anche al caro bollette, contro le quali, purtroppo, il Governo è intervenuto tardivamente, non impedendo gli effetti nefasti sull’inflazione”. Per Assoutenti, i dati “evidenziano ancora una volta la necessità di intervenire sulle cause che scatenano il rialzo dei prezzi in Italia, a partire dal caro-energia, combattendo le speculazioni e tutelando la capacità di spesa degli italiani”.

Crolla l’industria in Italia. Opposizioni: “Urso si dimetta”. Il ministro: “Crisi in tutta Ue”

Crolla la produzione industriale in Italia. A dicembre 2024 l’Istat stima una perdita del 3,1% rispetto a novembre, del 7,1% su base annua. Nella media del quarto trimestre il livello della produzione si riduce dell’1,2% rispetto ai tre mesi precedenti, quando le stime erano solo per un -0,1% mensile dopo il +0,3% congiunturale di novembre.

Nel 2024, spiega l’istituto commentando i dati, la dinamica tendenziale dell’indice corretto per gli effetti di calendario è stata negativa per tutti i mesi, con cali in tutti i trimestri. Solamente per l’energia c’è un incremento nel complesso e, nell’ambito della manifattura, solo le industrie alimentari, bevande e tabacco sono in crescita rispetto all’anno precedente, mentre le flessioni più marcate si rilevano per industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori e fabbricazione di mezzi di trasporto.

Una catastrofe secondo le opposizioni, che chiedono la testa del ministro delle Imprese e del Made in Italy. “La crisi della produzione industriale non è italiana, ma europea, a partire da Paesi come la Germania“, si difende Alfonso Urso. L’idea è quella di rafforzare la posizione italiana come seconda industria manifatturiera europea, anche perché, osserva, “la Germania ha problemi strutturali maggiori dei nostri“.

Intanto però i parlamentari del Movimento 5 Stelle ricordano i 42 miliardi di ricavi “bruciati” nel 2024, oltre al “calo eclatante” della produzione. Si tratta del 23esimo mese in fila di “crollo inesorabile” che per i pentastellati è ascrivibile in toto alla “inesistente politica industriale del governo Meloni“. I deputati M5S domandano le dimissioni del titolare del Mimit, accusando la premier di aver affidato un ministero chiave a “una figura assolutamente inadeguata“.
Di “desertificazione industriale” in Italia parla il responsabile Economia nella segreteria nazionale del Pd, Antonio Misiani, un “disastro” di fronte al quale qualunque governo correrebbe ai ripari. Nell’ultima legge di bilancio, denuncia l’esponente Dem, è stato “drasticamente tagliato non solo il fondo automotive (-75%) ma l’insieme delle risorse stanziate per le politiche industriali, che passeranno dai 5,8 miliardi del 2024 a 3,9 miliardi nel 2025 fino a 1,2 miliardi nel 2027“. Il parlamentare chiede che il governo riferisca in Parlamento per spiegare all’Italia cosa ha intenzione di fare.
L’Italia “non è il Paese delle meraviglie come vuoi farci credere“, tuona il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli, rivolgendosi alla premier: “E’ il Paese in cui la produzione industriale cala a picco, in cui il caro energia mette in ginocchio le famiglie italiane e la disoccupazione giovanile aumenta. Basta propaganda, Giorgia Meloni, comincia a raccontare il Paese reale“.

Green Deal, Meloni: “Effetti disastrosi sull’industria”. Avs-M5S: “La crisi è colpa sua”

L’approccio “ideologico” delle politiche ambientali europee ha effetti “disastrosi” sull’industria, perché “inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è un suicidio, ed è una strada che noi non intendiamo seguire“. Ancora una volta, Giorgia Meloni denuncia le conseguenze del Green Deal, che derubrica a un “errore del passato” da non ripetere.

In un messaggio inviato per il decennale dell’Associazione italiana Pressure equipment, che rappresenta i produttori italiani che operano nel settore degli apparecchi in pressione, ricorda che il suo esecutivo, fin dall’insediamento, lavora per mettere le imprese e i lavoratori “nelle condizioni di esprimere al massimo il loro potenziale, non creando difficoltà e ostacoli”.
La ricetta del governo per la transizione ecologica parte dal principio di neutralità tecnologica: “Abbiamo bisogno di tutte le tecnologie che ci permettono di trasformare l’economia da lineare a circolare, e tutte le tecnologie utili alla transizione devono essere prese in considerazione“, spiega la premier.

Non parla solo di rinnovabili, ma anche di gas, biocarburanti, idrogeno, cattura dell’anidride carbonica e, non ultima, la “grande prospettiva” che arriva dalla possibilità di produrre, in un futuro che definisce “non troppo lontano“, energia dal nucleare da fusione. “L’Italia è la Patria di Enrico Fermi, e su questo fronte non è seconda a nessuno, grazie all’expertise tecnologico di cui disponiamo, alla nostra formazione accademica superiore e all’attività di ricerca e sviluppo, portata avanti dai nostri centri d’eccellenza e dal nostro sistema produttivo“, rivendica, considerando la fusione un “obiettivo nel quale possiamo e dobbiamo credere“.

Parole che non piacciono alle opposizioni. “E’ la presidente Meloni che porta al suicidio la nostra economia non il Green deal“, tuona Angelo Bonelli, che grida alla “miopia” e alla “totale mancanza di visione” di fronte all’emergenza climatica in atto. Le “lobby del fossile – denuncia – si ostinano a mantenere lo status quo“. Intanto, ricorda Bonelli, la devastazione degli eventi meteo estremi legati alla crisi climatica e ai danni economici e sociali, ogni anno costano all’Italia 300 euro per abitante “un record in Europa“.

Meloni “frigna“, accusano i parlamentari delle commissioni Attività Produttive di Senato e Camera del Movimento 5 Stelle, ma “la crisi è colpa del suo immobilismo”: “Con i patrioti alla gricia, del resto, è sempre colpa di qualcun altro”, scrivono. Certi “piagnistei“, sostengono, “cominciano a stancare, in primis agli imprenditori italiani, i quali sanno benissimo che anche quest’anno in manovra rimarranno all’asciutto“. I pentastellati definiscono Transizione 5.0 un “reticolo informe di ostacoli burocratici, creato ad hoc per far sì che le imprese rinuncino a priori a investire su sé stesse“. E parlano del “down” in cui sta sprofondando il settore delle costruzioni, dall’eliminazione del Superbonus: “Dopo due anni di becera e fasulla narrazione sui bonus edilizi, presto Meloni si accorgerà che la paralisi dell’edilizia porterà con sé nell’abisso tanti altri segmenti industriali“, osservano i parlamentari, chiedendo che si eviti un “impresicidio di massa“.

Tridico: “In Europa serve politica industriale, tassa unica e reddito di cittadinanza”

Dice Pasquale Tridico, capolista per il Movimento 5 Stelle alle elezioni europee nella circoscrizione Sud, ex presidente dell’Inps ed economista, che qualora dovesse venire eletto al Parlamento si “trasferirà a Bruxelles”. E, aggiunge, “la famiglia sarà con me. L’impegno deve essere nelle istituzioni europee, come fanno altri parlamentari francesi o tedeschi. Invece, molti nostri parlamentari considerano il Parlamento europeo un taxi con cui tornare più forti, per creare un partito o per affari che poco c’entrano con la posizione con cui si è eletti. Questo ha allontano i cittadini italiani dal voto europeo”.

Nel pieno della campagna elettorale, Tridico espone durante un #GeaTalk quali sono gli obiettivi che si dà come uomo di punta del Movimento nella corsa al seggio europeo. Racconta, ad esempio, che “dovremmo migliorare il mercato unico europeo, perché non si regge con questo dumping. Per cui l’Unione dovrebbe iniziare a pensare a una tassa unica sul capitale”. Ma non basta: “Poi iniziamo a fare un welfare dell’Unione europea”, spiega. E, tra le altre cose, cita un reddito di cittadinanza europeo che farà drizzare le antenne all’attuale esecutivo che quello italiano, di reddito di cittadinanza, lo ha appena cancellato: “E’ quello che vogliamo portare in Europa, un reddito minimo universale che sia un dividendo sociale per tutti i cittadini europei che stanno al di sotto della soglia di povertà relativa in tutti i Paesi membri. E questo verrebbe finanziato con una nuova fiscalità, che non è nuova, ma avremmo un bilancio comune più vicino al 5 per cento in modo che gli shock dei Paesi possano essere gestiti in modo comune. Quello che manca è la gestione comune della crisi, che abbiamo visto col Covid e non con le crisi finanziarie”.

Ad ascoltare ancora Tridico, “negli ultimi decenni nel nostro Paese vedo una follia, una tendenza a fare investimenti a scarso contenuto tecnologico. Si aprono bar e ristoranti a ogni angolo di città, che non portano produttività ma sfruttano il lavoro. Potrei fare esempi di altri tipi di investimento che non hanno una responsabilità sociale, ma che al contrario sfruttano il costo del lavoro e la flessibilità per galleggiare, per fare competizione”. Non basta, l’ex presidente dell’Inps va oltre: “Noi abbiamo bisogno di investire in automotive, nella frontiera delle tecnologie, per quello c’è l’esigenza di un grande piano industriale. Stiamo facendo morire le industrie, Melfi chiude, Mirafiori chiude, Stellantis delocalizza. Negli anni ’90 producevamo 1,8 milioni di veicoli all’anno, oggi ne produciamo 900mila, e questo rappresenta il declino industriale del Paese. Se questo è sostituito da bar e ristoranti non cresceremo mai”.

Garbato ma severo, Tridico. Sul Superbonus ‘sgrida’ il ministro Giorgetti: “Il Superbonus nasce nel luglio del 2020, nel febbraio 2021 il governo Conte cade, arriva il governo Draghi col ministro Giorgetti che fa i decreti attuativi al ministero dello Sviluppo economico. Abbiamo il governo Draghi dunque e dopo il governo Meloni, con ancora il ministro Giorgetti. Cioè, il Superbonus è gestito da tre anni e mezzo dai governi Draghi e Meloni con Giorgetti ministro. Possiamo dirne bene o male, ma con certezza possiamo dire che è stato gestito da Giorgetti, che si lamenta senza mai modificarlo”. Meno garbato, ma ugualmente severo in merito al Ponte sullo Stretto considerato “non sostenibile, non economicamente efficiente , non prioritario, inutile”. Perché spiega “dal Nord della Calabria al Sud della Calabria ci vogliono cinque ore e mezzo. Non c’è Alta Velocità, non ci sono strade adeguate. Se arrivo e passo il ponte in venti minuti, cinque minuti, un minuto, cosa me ne faccio? Qual è la priorità per noi calabresi? Passare il ponte in un minuto o avere strade che ad esempio collegano Reggio Calabria con Bari?”.

Rimandata Ursula von der Leyen (“Sulla pandemia ha fatto bene, dopo mi ha deluso”), non promosso Mario Draghi (“Ha contribuito a quella governance del passato, dalla Bce e poi da premier. Sono certo che alcune cose che ha scritto si possano e si debbano fare ma non si possono fare con le stesse persone che hanno contribuito a creare quella governance”), l’euro-ricetta sta nel libro che Tridico ha scritto con un titolo emblematico ‘Governare l’economia per non essere governati dai mercati’. Sostiene l’ex numero uno dell’Inps: “Noi non siamo un Paese in via di sviluppo, non possiamo fare competizione sul lavoro, ma sull’innovazione e la tecnologia. Il lavoro deve essere ben retribuito, ben qualificato, dignitoso. Questo vuol dire governare i mercati”. Il lavoro, sottolinea, “non va considerato un mercato come il carciofo, come il pesce, ma governare i mercati vuol dire governare l’economia, attraverso regole che partono dal mercato del lavoro: il salario minimo, il reddito minimo, i tempi di lavoro, la tecnologia, lo smart working e la produttività che deriva anche dalle competenze acquisite”.

L’ultimo passaggio è sul Green Deal. Che non ha funzionato, perché “ha bisogno di essere sostenuto dagli Stati. Se pensiamo che il costo debba essere supportato da agricoltori, cittadini e aziende, vuol dire che questa transizione non solo non avverrà mai, ma creerà dei ‘perdenti’. Fondi pubblici, perché siamo a un bivio”. In fondo, il ragionamento finisce sempre lì: “In Europa abbiamo avuto una legislazione che ha vincolato, con il divieto agli aiuti di stato le politiche pubbliche. Per questo abbiamo accumulato ritardi nella transizione. Dobbiamo capire che questa transizione deve essere guidata da grandi investimenti pubblici”.

Inflazione, Urso: “Italia al minimo in Ue grazie a carrello tricolore”. Ira opposizioni

L’Eurostat comunica che a dicembre l’inflazione in Italia è scesa ancora allo 0,5%, mentre in Ue è cresciuta al 2,9%, con Francia al 4,1%, Germania al 3,8% e Spagna al 3,3%. “Un’ottima notizia per le famiglie italiane“, festeggia il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che rivendica il “pieno successo” del ‘carrello tricolore’. “Smentiti i profeti di sventura!”, chiosa su X.

Di “profeti di sventura” smentiti parla anche il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti: “La sinistra anti-Meloni e che gioca contro l’Italia cambi disco perché quello che da un anno manda in onda è rotto“, ironizza.

Una lettura che scatena le ire delle opposizioni. Daniela Torto, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Bilancio della Camera, giudica le parole di Urso “abominevoli“: “Dire che il merito del calo dell’inflazione italiana sia da ascrivere al ‘carrello tricolore’ è una pagliacciata di proporzioni mai viste”, tuona. Per l’esponente pentastellata il calo dell’inflazione di deve solo alla discesa dei prezzi dei beni energetici. “Purtroppo ad aumentare in modo clamoroso sono i prezzi dei beni alimentari non lavorati, ovvero carne fresca, frutta fresca, pesce fresco, la cui dinamica a dicembre è passata dal +5,6 al +7%, secondo quanto riportato da Istat“, evidenzia, additando il ‘Carrello Tricolore’ come una “buffonata di centrodestra“.

Di “parodia” parla Stefano Patuanelli, presidente dei senatori del M5S, per cui il trimestre salva-spesa è stato una delle “tante misure spot del Governo Meloni, bellissime sul piano comunicativo ma decisamente inutili sul piano dell’economia reale“. Un “fallimento totale – accusa -, ma annunciato e rivendicato dal Governo come un provvedimento che ha fatto scendere l’inflazione“.

Si chiede “dove vivano e quali negozi frequentino” il ministro Urso, gli altri esponenti del Governo e della destra che “esultano per dati Istat che confermano il salasso subito dalle famiglie italiane” la deputata del Pd Debora Serracchiani.Uno zero-virgola in meno di inflazione viene spacciato come un successo mentre l’esperienza quotidiana delle persone è fatta di prezzi che aumentano, di rinunce e di sacrifici“, scandisce. Fa riferimento a beni di consumo essenziali, come i trasporti o gli alimentari, “contro cui è stato ininfluente il ‘carrello tricolore’ della Meloni. C’è una questione sociale ed economica – sostiene – che va affrontata“.

Manovra, scintille in commissione ma il governo tira dritto: “Il Superbonus è un’allucinazione”

Le opposizioni chiedono a gran voce un confronto e Giancarlo Giorgetti non si sottrae, presentandosi in commissione Bilancio per dare spiegazioni sulla legge di Bilancio 2024. Ma soprattutto sul ‘no’ al Mes in Parlamento e sul ‘sì’ alla riforma del Patto di stabilità in Europa. Il ministro dell’Economia sceglie la linea dura, ascolta poi contrattacca. Rivendicando tutte le scelte compiute, a partire da quelle degli unici emendamenti passati in Senato in prima lettura, a firma dell’esecutivo: “Hanno portato un miglioramento di tutti i saldi di finanza pubblica”.

Altro passaggio delicato è il Ponte sullo Stretto, con la decisione di spostare una parte delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinate a Calabria e Sicilia per assegnarle alla realizzazione dell’opera. Giorgetti ne parla quasi subito, ma parte con un approccio soft: “Abbiamo mantenuto l’impianto originario, non mi sono perso in quelle piccole situazioni che in qualche caso evidentemente suscitano curiosità. E’ stata modificata solo la spalmatura sulle annualità”. Poi, però, il tono sale di intensità politica: “Non trovo per nulla scandaloso che alcune Regioni, soprattutto quelle interessate, contribuiscano alla realizzazione dell’opera”.

Altro capitolo delicato è il Superbonus, misura varata negli anni del governo giallorosso M5S-Pd e oggi di fatto archiviato dall’esecutivo di Giorgia Meloni. La questione è nota: oltre ad una parte di opposizioni, c’è anche un pezzo di maggioranza (Forza Italia) a non rassegnarsi all’idea che la serranda sul provvedimento venga tirata giù di colpo. Pd e M5S (in particolare) chiedono di ripristinarla, mentre gli azzurri sono disposti anche ad accettare una prorogare per chi ha già completato parte di lavori di riqualificazione energetica nel 2023.

Purtroppo per loro, il muro resta alto: “I dati degli ultimi mesi sul Superbonus dicono che, dal punto delle uscite di finanza pubblica, vanno peggio rispetto alla Nadef”, mette subito in chiaro Giorgetti. Riconoscendo che “il Parlamento deciderà, ma per quanto riguarda il ministro dell’Economia, in cuor mio so quale il limite entro il quale non si può andare e lo proporrò al Cdm”. Anche in questo caso, l’affondo arriva qualche secondo dopo. Dopo aver confermato di definire il 110% “radioattivo” , rincara la dose: “Tutti quanti noi ci lamenteremo al momento in cui entreremo l’anno prossimo al 70% delle detrazioni” ma “quello che a noi da dentro sembra poco, visto da fuori è tantissimo”. Ragion per cui “dico che dobbiamo uscire da questa allucinazione vissuta negli ultimi anni in cui tutto ci sembra dovuto. Quando fai debito lo paghi, e caro. Sono soldi sottratti alle famiglie italiane”.

Ovviamente non ci stanno le opposizioni: “Giorgetti in commissione Bilancio si attacca a tutto per cercare un alibi ad una Manovra ingiusta e senza prospettive”, commenta la capogruppo Pd a Montecitorio, Chiara Braga. Per il M5S, invece, “paragonare una misura che ha generato valore economico, occupazione e maggiori entrate fiscali all’Lsd definisce bene il personaggio, lo stesso che da un anno parla di buchi di bilancio immaginari senza fornire numeri e soprattutto senza approntare correzioni”.

Forza Italia tenta invece una mediazione, facendo sapere al ministro di stare “stimolando a trovare una soluzione per il comparto edilizia sul Superbonus, su cui non c’è contrarietà degli alleati ma solo una criticità riguardo la copertura economica”, spiega il portavoce nazionale, Raffaele Nevi. Magari con una proroga (anche di due o tre mesi) per chi ha già completato lavori oltre il 70%, come sostiene anche il segretario nazionale, Antonio Tajani.

Giorgetti per ora vuole portare a casa il risultato senza brutte sorprese e per il futuro spiega che “buona parte della possibilità di crescita di questo Paese dipende da come riusciamo a spendere le importanti risorse del Pnrr e della componente RePowerEu, che deve essere considerata a tutti gli effetti come parte integrante della legge di Bilancio a favore delle imprese”. Inoltre, “le previsioni e le correzioni della Nadef sono coerenti con quello che è previsto dal nuovo Patto di stabilità”, quindi “non sono previste manovre diverse o aggiuntive”. La legge di bilancio compirà, quindi, il suo ultimo giro di boa alla Camera come previso. Il testo è atteso in aula oggi, ma è praticamente scontato che il governo porrà la questione di fiducia per chiudere la partita entro la serata di venerdì 29 dicembre. Le polemiche, invece, quasi sicuramente non se le porterà via il voto.

Cdm approva nuovo dl Energia da 27,4 miliardi. Non c’è la proroga del mercato tutelato

A pochi giorni dall’approvazione definitiva in Parlamento del decreto varato nello scorso mese di settembre, il Consiglio dei ministri vara un nuovo dl Energia. Avanti sulle rinnovabili e sulla decarbonizzazione delle aziende gasivore ed energivore. Avanti sull’approvvigionamento, con la norma che sblocca i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle. Non c’è la proroga del mercato tutelato, ma non è una novità: il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, lo aveva anticipato la scorsa settimana, parlando di uno spacchettamento degli utenti, in modo da tutelare i fragili.

Una scelta che fa saltare sulla sedia l’opposizione. “È davvero sconcertante l’atteggiamento di questo governo che, su un tema come il mercato tutelato, fa orecchie da mercante e gioca a scarica barile“, tuona Annalisa Corrado, responsabile Ambiente nella segreteria Pd. E annuncia una conferenza stampa sul tema al Nazareno con la segretaria Elly Schlein, Pierluigi Bersani, la capogruppo alla Camera, Chiara Braga, e Antonio Misiani. I deputati M5S in commissione Attività Produttive della Camera bollano la mancata proroga come “furia cieca verso le famiglie” e Luana Zanella, capogruppo di Avs a Montecitorio, avverte: “Famiglie e imprese si preparino al salasso voluto da una destra pericolosa e irresponsabile“.

Il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo rivendica però lo sforzo fatto per un decreto che definisce “molto variegato“, con una serie di misure riconducibili a “una solida e pragmatica visione energetica”. Si liberano, scandisce, “le grandi potenzialità del Paese“, per renderlo “riferimento nel Mediterraneo sulle rinnovabili“.

Il provvedimento vale 27,4 miliardi di investimenti: “Vogliamo sostenere famiglie e imprese, per renderle ancor più protagoniste di una transizione bilanciata e realistica”, spiega Pichetto.

C’è il sostegno all’eolico offshore nel Mezzogiorno, con l’individuazione di due porti del Sud per sviluppare investimenti nel settore, funzionali a ospitare piattaforme galleggianti, da individuare dopo le manifestazioni di interesse.

Si sostengono i settori produttivi impegnati nel percorso di decarbonizzazione, “fornendo ad esempio importanti risposte per migliaia di imprese a forte consumo di energia elettrica e gas“, afferma Pichetto. Al via anche un nuovo studio per valorizzare la filiera della cattura e stoccaggio di carbonio. Per accelerare sullo sviluppo delle rinnovabili verso gli obiettivi 2030, si spingono le Regioni a realizzare impianti fotovoltaici in aree idonee con un fondo per opere compensative. Il fondo, per Regioni e Province Autonome, ammonta a 350 milioni l’anno fino al 2032.

Il provvedimento adotta poi un sistema di incentivazione a installare impianti a fonti rinnovabili rivolto a circa 3.800 imprese a forte consumo di energia elettrica come quelle della chimica, del vetro e del tessile, che potranno vedersi anticipare dal GSE gli effetti della realizzazione di questi impianti, da restituire nei successivi venti anni.

Approviamo inoltre una norma per considerare di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, le opere per la costruzione e l’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquido on-shore, nonché le infrastrutture connesse: una norma importante per impianti come Porto Empedocle e Gioia Tauro“, precisa. Avanti anche sul geotermoelettrico e sul bioetanolo, sul teleriscaldamento.

Un portale digitale raccoglierà dati e informazioni sullo sviluppo della rete elettrica nazionale. Gli enti territoriali potranno infine autocandidarsi a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. “Un passo necessario – insiste il ministro – per accelerare i tempi di individuazione di un’area di cui il Paese ha forte bisogno”.

Sul termovalorizzatore di Roma è sfida aperta tra Pd e M5S

Sfida tra opposizioni sul termovalorizzatore di Roma. Gli ordini del giorno presentati da Alleanza Verdi Sinistra e Movimento 5 Stelle al decreto sulla riorganizzazione della governance del Pnrr, che sostanzialmente chiedono di stoppare il progetto del Campidoglio, anche se ormai è in avanzata fase di avviamento. Una mossa che dalle parti del Pd non è stata presa certo bene. “Scopro dai giornali che nel Pnrr compare il tema del termovalorizzatore a Roma, che col Pnrr non c’entra nulla. Noi facciamo opposizione al governo Meloni, mi auguro che gli altri partiti di opposizione facciano lo stesso, perché se c’è qualcuno che si illude con un odg di provare a creare problemi ad altri partiti di opposizione, io penso che questa pratica non aiuti nessuno“, dice il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia. Che rincara la dose: “Troviamo inaccettabile aprire una discussione su un ordine del giorno che non c’entra nulla col provvedimento di cui si sta discutendo“.

La risposta di Giuseppe Conte non tarda. “Gualtieri, ministro dell’Economia del Conte 2, aveva sottoscritto con tutto il governo un programma che diceva no ai termovalorizzatori. Quindi è stata una ‘piroetta’, un capovolgimento a 360 gradi da parte del sindaco di Roma“, dice il presidente dei Cinquestelle. Che insiste: “Mi auguro recuperi la linearità che c’era prima di questa piroetta, confido che questa segreteria ce l’abbia la linearità, che voti con noi, anche se questo è un ordine del giorno rivolto al governo“. Anche Avs prova a “sgombrare il campo da qualunque equivoco: non c’è nessuno sgarbo fatto a Elly Schlein. C’è solo una questione di merito, l’inceneritore proposto da Gualtieri, che in campagna elettorale tra l’altro aveva detto cose diverse, porterà all’incenerimento 600mila tonnellate di rifiuti“, sottolinea il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi Sinistra, Angelo Bonelli.

Il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, invece, è favorevole all’infrastruttura. E sul rischio che il suo partito si spacchi, risponde: “Mi auguro di no, i gruppi parlamentari hanno la loro autonomia, si sa come la penso io e come la pensa la gran parte del Pd“. La segretaria del Pd, Elly Schlein, intanto, non si esprime ma domani (mercoledì 19 aprile) terrà la prima conferenza stampa, al Nazareno, dal varo della nuova segreteria. Proprio nel giorno in cui si voterà sugli odg. Segno che la partita è aperta e i dem già studiano le contromosse.

Bianchi: “Superbonus Lazio per green edilizia. Roma no pattumiera d’Europa”

Una vita vissuta tra le sue due grandi passioni: giornalismo e ambiente. Dopo essere diventata uno dei volti più amati della televisione pubblica con il programma ‘Lineablu’, Donatella Bianchi scende in campo per le elezioni regionali nel Lazio, correndo come candidata presidente del Movimento 5 Stelle. Ligure di La Spezia, romana di adozione, Bianchi muove i primi passi della sua carriera nella redazione del Secolo XIX, poi collaborazioni con radio e tv, per la quale realizza reportage e monografie su turismo, beni culturali e ambientali su scala internazionale, fino al grande lancio con la Rai. Ma nel curriculum può vantare anche esperienze importanti alla presidenza del Wwf Italia
e del Parco nazionale delle Cinque Terre, la medaglia d’oro al merito della Marina militare italiana, il ruolo di ambasciatore italiano sia del Green Book della Commissione europea che per la Biodiversità da parte del ministero dell’Ambiente. Con GEA parla del suo programma e dei progetti che ha in mente per il Lazio.

Bianchi, a che punto è la Regione Lazio nella transizione ecologica?

“Grazie al grande lavoro fatto dalle due assessore del M5S abbiamo raggiunto obiettivi che fino a pochi mesi fa sembravano utopie. Il cambio di passo in Regione si è visto negli ultimi 18 mesi, quando il Movimento 5 Stelle è entrato in giunta e ha spostato l’attenzione su questioni rimaste irrisolte da troppi anni. E mi riferisco alla legge sul turismo, ferma da 15 anni, o all’assessorato alla Transizione ecologica che abbiamo fortemente voluto. È notizia recente l’approvazione del piano di Transizione ecologica che vale oltre 5 miliardi di euro. Molto è stato fatto, ma molto vogliamo e dobbiamo fare ancora. La destra al governo sta dimostrando di non considerare strategica la transizione ecologica, nascondendo la testa sotto la sabbia quando parliamo di cambiamenti climatici o salvaguardia ambientale. Noi invece abbiamo il tema ambientale al centro della nostra agenda e non faremo un passo indietro su argomenti che per noi hanno un valore assoluto”.

Il tema dei rifiuti è sempre molto attuale sul territorio: sul termovalorizzatore di Roma la posizione del M5S è chiara, ma se fosse eletta quali correttivi apporterebbe al piano regionale?

“Il ciclo dei rifiuti nel Lazio, dopo quasi un ventennio di commissariamenti e inadeguata pianificazione, deve essere ripensato verso l’economia circolare riducendo il consumo di materie prime: si deve investire in filiere corte di aggiornamento tecnologico, ricondizionamento dei beni, riparazione e riuso in grado di prevenire la produzione di rifiuti e far crescere di pari passo le industrie che riutilizzano le materie prime seconde distinguendolo dal rifiuto residuo. Il futuro non è bruciare tonnellate di rifiuti o trasformare il Lazio nella pattumiera d’Europa come vorrebbe il commissario Gualtieri, una buona parte del Pd laziale o Bonelli. Il futuro è la transizione ecologica e solo noi siamo in grado di spingere la Regione in questa direzione”.

Tra le vostre proposte c’è anche la nascita di un Superbonus Regione.

“La Regione Lazio potrebbe essere la prima ad aprire un canale parallelo a quello nazionale di incentivi alla ristrutturazione in chiave green. Possiamo mettere in campo una società regionale per comprare i crediti fiscali dalle banche e fluidificare il mercato degli interventi di ristrutturazione. La Regione potrebbe costituire un Fondo di garanzia per il credito bancario a favore delle imprese edilizie che non riescono a monetizzare i loro crediti. Questo significherebbe rilanciare comparto edile e generare posti di lavoro. I cosiddetti ‘green jobs’ sono la chiave per ridurre il nostro impatto ambientale e creare nuovi posti di lavoro specializzati e meglio remunerati”.

Il nucleare è il ‘male assoluto’ o una strada percorribile per l’indipendenza energetica?

“Le mie non sono posizioni ideologiche sul nucleare, ma guardo ai numeri e ai fatti. L’Italia ha deciso di uscire dal nucleare nel 1987 e abbiamo dimostrato in tutti questi anni di non essere capaci di gestire le dismissioni, siamo circa al 30%. Numeri molto bassi. Siamo un Paese che non ha completato lo smantellamento delle centrali nucleari che abbiamo ereditato negli anni passati. Siamo in infrazione europea da 10 anni per un deposito di scorie che ancora non sappiamo dove mettere. Il nucleare di quarta generazione sarà disponibile forse tra dieci anni perché la maturità della tecnologia non è immediata. Il nostro no al nucleare è basato su motivazioni concrete. Chi oggi continua a parlare di nucleare non risponde mai alle seguenti domande: dove vorreste fare gli impianti? Come e quando? E dove andrebbero stoccate le scorie radioattive? Sono soluzioni miopi e pericolose, che tentano di risolvere il problema con la stessa mentalità che l’ha creato. Noi siamo coerenti. Lasciamo ad altri il populismo sul nucleare”.

Elezioni, gli ex M5S ripartono dalla Transizione ecologica

Il gioco di cerchi concentrici della politica si sta avvicinando alla definizione del primo anello: le alleanze. Manca davvero poco alla presentazione di simboli, programmi e liste: entro il 24 agosto tutto dovrà essere compiuto e, al netto della dialettica del momento, anche aspra, il tempo delle decisioni è arrivato. I dubbi sono ovviamente nel campo del centrosinistra, da qualcuno definito area progressista, da altri riformismo, ma la sostanza cambia poco. E’ questo il terreno di gioco dove sta nascendo qualcosa di nuovo, almeno cronologicamente. Soprattutto dalle formazioni che si sono staccate – nella maggioranza dei casi in maniera traumatica – dal Movimento 5 Stelle. Che in comune con il loro recente passato hanno un tema predominante: l’ambiente. Anzi, la transizione ecologica.

Il nuovo partito di Luigi Di Maio, Impegno civico, nato dal tandem con il Centro democratico di Bruno Tabacci, si prepara a spaziare nella prateria di centro dello scacchiere politico. E lo fa mettendo nel simbolo la serigrafia di un’ape, segno “della nostra coscienza ecologica“, spiega il ministro degli Esteri. Andando anche più a fondo: “Nel momento in cui scomparissero le api non esisterebbe nemmeno più l’essere umano – svela -. Questo è un aspetto poco conosciuto, ma racconta quello che sta accadendo sul nostro Pianeta. Metterla nel simbolo significa mettere al centro la transizione ecologica, che è fondamentale nel Pnrr; significa che non risolveremo il problema del cambiamento climatico singolarmente come Stati ma dobbiamo portarlo ai tavoli internazionale del G7, del G20, della prossima Cop27 in Egitto“.

Il cuore di Ic sarà il riformismo, “guardiamo con molta attenzione all’innovazione, all’ecologia, alla digitalizzazione e ai giovani“, mentre “non ci interessa parlare agli estremisti, a quelli che vogliono sfasciare tutto, a coloro che dicono solo dei ‘no’“. Ecco perché “la prima proposta non è divisiva” e riguarda la battaglia europea per il price cap sul gas. “Dobbiamo continuare a portare avanti la battaglia sul tetto massimo al prezzo del gas, che riduce l’inflazione e ferma gli aumenti per le famiglie in bolletta – dice Di Maio-. Oggi lo facciamo con un governo in carica per gli affari correnti, che non ha pieno mandato: magari saremo degli illusi, ma ci proviamo. L’unico modo per portare al tavolo il governo italiano col massimo della sua forza è fare in modo che tutti i leader dei partiti impegnati in questa campagna elettorale sottoscrivano la nostra proposta con una lettera alla Commissione europea in cui si sostiene il governo Draghi per ottenere il tetto massimo al prezzo del gas“. Un primo obiettivo ambizioso, il cui esisto ad oggi è ancora imprevedibile.

Oltre Impegno civico, dall’addio al Movimento 5 Stelle nasce anche un altro soggetto. Stavolta un’associazione, che si chiama ‘Ambiente 2050’, ed è animata dall’ormai ex capogruppo pentastellato alla Camera, Davide Crippa, dal ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, e dai parlamentari Alessandra Carbonaro, Maurizio Cattoi e Niccolò Invidia. Sarà un “laboratorio“, un “contenitore” dove la parola d’ordine sarà una sola: “Ascolto“. Perché “vogliamo essere pronti a capire quali siano le richieste forti” che arrivano soprattutto dai giovani, sottolinea Crippa. “Vogliamo confrontarci con la società civile, innanzitutto“, spiega D’Incà. Ma “anche con quelle associazioni che sono state costituite, nel corso del tempo, da quei cittadini che ogni giorno si impegnano e danno l’esempio“, senza dimenticare un “forte collegamento anche con il mondo industriale e produttivo” oltre che con “tutti gli amministratori locali: consiglieri comunali, assessori, sindaci“. L’area è quella progressista, in dialogo con il Pd, ma non è prevista la presentazione di liste alle prossime elezioni politiche del 25 settembre: la situazione “è in divenire“, dunque “è prematuro” intavolare discorsi di alleanze. “Noi poniamo temi, vedremo se qualcuno vorrà raccoglierli“. Gli ex Cinquestelle partono. Anzi, ripartono dall’ambiente.