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Scaroni: “Avremo bisogno di gas per altri 10 anni. Trivellare? L’Italia è un Paese contro tutto”

Intervista al Deputy Chairman di Rothschild & Co e presidente del Milan. Per anni è stato amministratore delegato sia di Enel che di Eni: "Saremmo nei guai se la Russia interrompesse le forniture domani mattina"

Paolo Scaroni

Paolo Scaroni è Deputy Chairman di Rothschild & Co, oltre che presidente del Milan. Ma per anni è stato amministratore delegato sia di Enel che di Eni: insomma, è una autorità nel mondo dell’energia.

Presidente, avremo gas abbastanza questo inverno o batteremo i denti?
“Ne avremo abbastanza se le modeste forniture dalla Russia – riceviamo ancora circa 20-25 milioni di metri cubi di gas al giorno – dovessero continuare ancora per qualche mese. Se dovessero interrompersi domani mattina avremmo qualche preoccupazione”.

Gli italiani stanno ‘scoprendo’ che cos’è il gas. Si stanno facendo programmi a breve-medio termine per arrivare all’indipendenza dalle forniture russe, ci stiamo però legando ad altri fornitori di gas, molti in Africa. Qual è la soluzione per diventare veramente indipendenti? Quella delle rinnovabili, del nucleare, dell’idrogeno?
“Cominciamo col dire che l’Italia per ragioni storiche è stato il Paese che ha inventato l’utilizzo ampio del gas, perché quando Mattei cercava il petrolio in pianura padana, nelle perforazioni trovava gas ed ebbe l’idea di usarlo come combustibile nelle fabbriche e non solo per la giovane repubblica italiana. Quindi gli italiani ora scoprono il gas ma in realtà siamo stati i precursori. Oggi rinunciare al gas russo, vuol dire utilizzare gas per molti anni che arriva da altri Paesi. È difficile immaginare una transizione energetica in quattro e quattrotto. Certo, oggi riceviamo gas dall’Algeria, dalla Libia, dall’Azerbaigian via tubo, quindi solo per noi, e poi possiamo acquistare gas liquido nel mondo, che viaggia come il petrolio. Però quest’ultimo è sul mercato mondiale e va a chi lo paga di più. A lungo termine, certo, rinnovabili e nucleare potranno giocare un ruolo importantissimo, però almeno per i prossimi dieci anni noi abbiamo bisogno di gas”.

Noi il gas ce l’abbiamo, non estratto, soprattutto nell’Adriatico. C’è lo stop di ambientalisti e di alcuni partiti probabilmente per salvaguardare la laguna di Venezia. Intanto i croati trivellano e lo fanno anche gli albanesi di fronte alla Puglia. È un po’ un controsenso all’italiana?
“Noi nel passato abbiamo estratto 15-20 miliardi di metri cubi all’anno e le ricordo che il consumo italiano è di circa 70 miliardi, quindi coprivamo circa il 20-25% del fabbisogno. Progressivamente siamo calati come risultato perché non abbiamo fatto nuove esplorazioni, non è stato possibile realizzare nuove piattaforme e così via. Certo, gli italiani sono contro lo sfruttamento degli idrocarburi in mare, ma in realtà siamo un Paese che è sempre contro tutto. Siamo un Paese dove è difficilissimo realizzare qualunque infrastruttura. E così avviene che, siccome il gas non ha passaporto, se un giacimento è tra le acque di interesse economico di due Paesi, il Paese che lo estrae se lo porta a casa. Se si volesse ripartire con un aumento della produzione in Italia di gas, dovremmo ripartire con le esplorazioni, e far tante cose che suscitano opposizione ma non dalla politica, dai nostri concittadini. Sono loro che si organizzano per bloccare qualunque cosa. Pensiamo solo che oggi riceviamo 11 miliardi di metri cubi di gas all’anno dall’Azerbaigian, e meno male che li riceviamo altrimenti saremmo veramente in difficoltà , e quel tubo che ci collega alla Grecia – il famoso Tap – ha avuto opposizioni incredibili. Oggi però si va lì e non lo si vede nemmeno. Quindi da questo punto di vista siamo veramente un Paese curioso”.

Rigassificatori, l’Italia ne ha realizzato uno grande al largo delle coste venete nel 2008, poi stop. Abbiamo scoperto con questa crisi energetica che la Germania non ha rigassificatori. Com’è possibile che grandi Paesi europei come Italia e Germania non abbiano investito in rigassificatori?
“È possibile perché per decenni, Germania, Italia ma anche Austria, Repubblica Ceca e altri Paesi del centro Europa hanno considerato la Russia il loro Texas, ritenendolo un Paese affidabile, che rispettava i contratti e che aveva tutto il gas di cui avevamo bisogno. Tra l’altro, il gas russo era più competitivo di quello liquido. Spagna e Portogallo si sono dotati di impianti di rigassificazione perché non potevano accedere al gas russo.”

Le risposte alla crisi energetica dell’Unione Europea lasciano un po’ il tempo che trovano, manca la volontà di creare una politica energetica vera continentale?
“Quando penso all’Europa penso alla governance che ci siamo dati. Ce la siamo data noi quindi è inutile criticarla, ma abbiamo una governance così complicata, farraginosa, bloccata da veti, per cui qualunque decisione o azione rilevante a livello europeo richiede tempi non compatibili con le emergenze. Questo è un vero problema. Vorrei anche aprire il capitolo Nato, perché quando a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina l’Alleanza Atlantica ha deciso azioni fortissime – armi, sanzioni – a quel tavolo c’erano dei Paesi petroliferi, primo fra tutti la Norvegia, che è un grandissimo esportatore di gas. In quel momento era largamente prevedibile che la reazione della Russia sarebbe stata quella di tagliarci il gas e che i prezzi sarebbero quindi schizzati a livelli inimmaginabili. A quel tavolo c’era chi ci guadagnava – Norvegia, Stati Uniti, Canada – e chi perdeva enormemente. Ecco, quella poteva essere la sede e potrebbe essere ancora la sede per chiedere una distribuzione più equa, perché è strano che un’azione presa collettivamente veda qualcuno che ci guadagna enormemente e qualcuno che ci perde enormemente”.

È vero che la guerra in Ucraina ha determinato un aumento fortissimo del prezzo del gas, ma qualche sommovimento c’era già prima. Qualcosa si percepiva?
“No, direi che non è così. Quello che avveniva nel 2021 è stato un aumento dei prezzi e dei consumi di gas, una crescita fisiologica frutto di economie che uscivano dalla pandemia, di transizione dal carbone al gas, quindi da una domanda più forte che spingeva i prezzi al rialzo. Per darle un dato: in Cina, dove molte case sono riscaldate a carbone, si è deciso proprio per ragioni ambientali di trasformare il riscaldamento di 15 milioni di case da carbone a gas. Il mercato vedeva prezzi in salita, ma niente a che vedere con quello che è accaduto dopo l’invasione dell’Ucraina. Una osservazione: quando l’Europa ha deciso di rinunciare al gas russo, ha rinunciato a 150 miliardi di metri cubi all’anno. Non è che sul mercato c’erano 150 miliardi di metri cubi pronti a soppiantare il gas russo.”

Il Ttf, il prezzo alla Borsa di Amsterdam, è al centro delle polemiche. C’è chi dice che è una fiera di paese, che bisogna riformarla, che si deve addirittura agganciarsi all’Henry Hub americano per determinare le bollette…
“Magari ci legassimo all’Henry Hub, il problema è che l’Henry Hub è il mercato del gas domestico americano, non del gas di importazione…”

Il prezzo sarebbe ovviamente più alto di quello russo, però inferiore a quello che vediamo attualmente sul Ttf…
“Noi non possiamo condizionare i prezzi di una merce che non abbiamo. Quello che potremmo teoricamente fare è fissare un tetto ai prezzi per il gas che ci arriva via tubo quindi Norvegia, innanzitutto, Azerbaigian, Libia e Algeria, perché questo gas norvegesi e algerini non possono che venderlo a noi dato che il gasdotto è collegato con noi, non hanno alternative. A questi Paesi, in particolare alla Norvegia nostra partner nella Nato, potremmo chiedere un prezzo calmierato. Per quanto riguarda il gas liquido parlare di price cap mi sembra francamente una stupidaggine: se noi fissiamo un tetto che non è del mercato mondiale, il gas non verrà da noi ma andrà da un’altra parte”.

Lei è stato amministratore delegato di Enel e di Eni, il futuro come vede?
“Due osservazioni. Ci stiamo incamminando verso un’Europa che avrà costi energetici superiori agli Stati Uniti e alla Cina, i due grandi competitor a livello mondiale. Quindi le nostre imprese che utilizzano molta energia soffriranno e magari delocalizzeranno la loro produzione andando alla ricerca di energia meno cara. Il consumatore europeo avrà meno soldi in tasca perché dovrà pagare di più per scaldarsi, quindi da questo punto di vista vedo un futuro un po’ grigio. Penso però che dalle crisi vengano fuori nuove idee e può darsi che sul terreno delle rinnovabili, che dobbiamo spingere al massimo, l’Europa possa prendere quella leadership che vuole avere senza fermarsi solo a pannelli solari e pale eoliche ma con nuovi prodotti e soluzioni, attraverso i quali possiamo ritornare alla testa della tecnologia mondiale. Ultima cosa, il mondo non fa che cambiare: oggi ci diciamo delle cose, magari fra 5 anni ci diremo il contrario. Se ci fossimo incontrati nel 2012, dieci anni fa, prima dell’operazione russa in Crimea, e mi aveste chiesto una valutazione sul fornitore Russia per il gas, avrei detto che è un buon fornitore come puntualità delle consegne, prezzi, tranquillità…”.

Ultimissima domanda. C’è l’ipotesi che lei potrebbe essere il nuovo amministratore delegato di Milano-Cortina 2026. Se la chiamasse Draghi ci andrebbe?
“No, perché un compito full time come lo immaginano Draghi, il Coni, il Cio, mi obbligherebbe a lasciare tante cose che faccio, prima di tutte il Milan, che è una avventura che non ho nessuna intenzione di lasciare. Proprio ieri sono stato rinnovato per tre anni come Presidente. Immaginate se posso lasciare il Milan che negli ultimi anni sta dando discrete soddisfazioni…”.