Bricolo: “Sarà un Vinitaly sorprendente, attesi 30mila operatori da 140 Paesi del mondo”

L‘edizione 2024 di Vinitaly sarà “sorprendente, mai vista prima anche per quella che sarà la presenza dei tanti buyer dall’estero, ma anche perché avremo la visita dei rappresentanti istituzionali di tanti Paesi del mondo e questo credo che renda ancora più internazionale l’immagine di Vinitaly”. Lo dice il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo, a margine della presentazione della Conferenza internazionale del vino ‘Wine ministerial meeting’, in programma dall’11 al 13 aprile prossimi in Franciacorta, nel Bresciano, e alla vigilia del Vinitaly di Verona.

Un’immagine che serve in questo momento, dove il vino italiano deve competere con tanti altri Paesi nei mercati del mondo – spiega -. Vino italiano che vuole crescere, vuole stare al passo, ma soprattutto vuole aprire anche nuovi mercati. Ecco, su questo stiamo dando il massimo e cerchiamo, siamo convinti di poter dare davvero un servizio migliore con l’attività che è stata fatta”.

C’è anche il ringraziamento al Masafper questa grande opportunità. I rappresentanti dei Paesi produttori di vino di tutto il mondo saranno a Vinitaly per un confronto anche con noi”, continua Bricolo. “Avremo la possibilità di far degustare a tutte queste autorità, ai rappresentanti delle istituzioni dei vari Paesi, agli ambasciatori, ai ministri dell’Agricoltura, le eccellenze dei vini italiani con il nostro ‘OperaWine’ che aprirà proprio lo stesso giorno dove le 131 cantine selezionate dalla rivista ‘Wine Spectator’ presenteranno i loro prodotti. Dunque, un momento di confronto importante ma anche una grande opportunità per presentare l’eccellenza del Made in Italy, dei vini italiani a una così grande platea internazionale”.

Inoltre, “non è una novità, ma sicuramente abbiamo aumentato e implementato anche quest’anno l’incoming dei buyers, che poi è la cosa più importante per i nostri espositori: avere l’opportunità di incontrarne quanti più è possibile”, prosegue Bricolo. “Ci aspettiamo 30mila operatori da 140 Paesi diversi del mondo, davvero una grande fiera internazionale che riesce ad arrivare in tutti i continenti e riesce a portare tutto l’interesse del mondo del vino proprio a Verona. Possiamo dire – conclude – che se tutte le strade portano a Roma, in questo caso, nei giorni della nostra manifestazione, tutte le strade del vino portano a Verona e al Vinitaly”.

Agricoltura, primo via libera del Consiglio dell’Ue alle proposte di modifica della Pac

Nel pieno della terza protesta degli agricoltori a Bruxelles in meno di due mesi, le istituzioni Ue procedono spedite ad accontentare le richieste del comparto agroalimentare europeo, a partire dalla modifica della tanto contestata Politica Agricola Comune (Pac). Mentre i trattori fuori dal palazzo del Consiglio Ue sono tornati a invadere le strade e scontrarsi con le forze dell’ordine, è arrivato il primo via libera alle norme modificate per la semplificazione e la riduzione degli oneri della Pac, che “aumenteranno i redditi dei nostri agricoltori”.

A confermare che “stiamo avanzando verso la semplificazione amministrativa, abbiamo misure che possono portare più flessibilità alla Pac” è stato il vicepremier del Belgio responsabile per l’Agricoltura e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, David Clarinval. Il via libera alle proposte presentate dalla Commissione Ue lo scorso 15 marzo è arrivato dai 27 rappresentanti degli Stati membri al Comitato speciale Agricoltura per “affrontare i problemi riscontrati nell’attuazione dei piani strategici” e per “assicurare competitività all’agricoltura europea, sovranità alimentare e una giusta remunerazione agli agricoltori”. A questo punto la palla passa alla commissione per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale (Agri) del Parlamento Ue – che ricorrerà alla procedura d’urgenza – mentre la posizione degli eurodeputati dovrebbe arrivare all’ultima sessione plenaria in agenda (22-25 aprile). Il Regolamento sarà poi formalmente adottato dal Consiglio e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue: “Se tutto va come previsto, entrerà in vigore entro la fine della primavera”, sono le previsioni della presidenza di turno belga.

La revisione della Pac prevede di eliminare completamente la destinazione di una quota minima di terreno coltivabile ad aree non produttive dallo standard 8 delle ‘Buone condizioni agronomiche e ambientali’ (Bcaa) – cioè terreni incolti – anche se gli Stati membri dovranno istituire un eco-schema per sostenere il mantenimento dello stato non produttivo o per la creazione di nuovi elementi paesaggistici (come siepi o alberi). Sono previste esenzioni specifiche dalle norme sugli standard Bcaa 5, 6 e 7 (gestione della lavorazione del terreno, copertura del suolo e terreni a riposo), in particolare sulla rotazione delle colture (standard 7) potrà essere aggiunta la diversificazione delle colture per consentire agli agricoltori colpiti da siccità o precipitazioni eccessive di rispettare la condizione. Tra le modifiche più significative c’è l’esenzione per le aziende agricole sotto i 10 ettari dai controlli di condizionalità e dalle sanzioni, per alleviare l’onere amministrativo legato ai controlli del 65% dei beneficiari della Pac (ma solo solo il 10% della superficie agricola totale). Inoltre aumenterà il numero di richieste di modifica del Piano strategico della Pac da una a due all’anno.

Per quanto riguarda la remunerazione degli agricoltori e la loro posizione nella filiera alimentare, si seguiranno tre strade. In primis con un osservatorio dei costi di produzione, dei margini e delle pratiche commerciali nella catena di approvvigionamento agroalimentare. In secondo luogo con un rafforzamento delle norme applicabili ai contratti che gli agricoltori stipulano con gli acquirenti dell’industria alimentare o della vendita al dettaglio, attraverso nuove opzioni al Regolamento che istituisce un’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (Ocm) e all’applicazione transfrontaliera delle norme contro le pratiche commerciali sleali. Infine la Commissione dovrà condurre una valutazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare in vigore dal 2021, con la prima relazione consegnata nella primavera del 2024 e una valutazione più dettagliata nel 2025.

Ue, Meloni: “Agricoltura in Consiglio, basta guerra santa in nome del clima”

L’agricoltura sarà sul tavolo del Consiglio europeo del 21 e 22 marzo e Giorgia Meloni si intesta il merito di aver fatto inserire il tema in agenda. Perché, spiega nell’informativa in Senato, ritiene doveroso intervenire a sostegno di un settore che è stato “troppo a lungo dimenticato e oggetto di attenzioni non sempre benevole“.

La pandemia prima, la guerra in Ucraina poi, hanno colpito le catene di approvvigionamento alimentare e “gravato le imprese agricole di un aumento dei costi fissi che ne ha ulteriormente ridotto la redditività“, osserva la premier. A questo si sono aggiunti da un lato “l’appesantimento burocratico” introdotto dalle misure di “inverdimento” della Pac e dall’altro, denuncia, “l’accanimento ideologico” di molte norme del Green Deal, del pacchetto Fit for 55 e della strategia Farm to Fork. E’ così che l’Europa “si è risvegliata con i trattori nelle strade”. Ma Meloni rivendica di guidare il governo che “più ha investito in agricoltura nella storia repubblicana” (Con la rimodulazione del Pnrr, ha destinato fino a 8 miliardi di euro al comparto).

La presidente del Consiglio punta il dito ancora una volta contro una certa visione “ideologica” di Bruxelles sulla transizione green, che sostiene abbia individuato nell’agricoltore, nel pescatore, negli operatori economici che lavorano a contatto con la natura, dei “nemici da colpire in nome della guerra santa contro il cambiamento climatico“. Quello su cui si dovrà lavorare ora, “con urgenza“, insiste, è la revisione della Pac, sostenuta in un momento in cui il contesto era diverso: quando cioè non si era ancora verificato lo shock dell’invasione russa in Ucraina. La Politica Agricola Comune che è stata votata, era comunque una “mediazione rispetto alle folli pretese dell’allora vicepresidente Timmermans“, affonda la premier, che voleva una Pac “ancora più sbilanciata verso le misure di inverdimento, tanto da voler ricomprendere al suo interno gli obiettivi di riduzione delle emissioni del Green Deal”.

Pretese“, commenta, che non si materializzarono allora, ma che si sono verificate successivamente con la definizione degli eco-schemi e delle condizionalità verdi, ed è “proprio da quelle che si deve partire, semplificando al massimo le procedure ed eliminando con effetto retroattivo l’obbligo di messa a riposo del 4% dei terreni e l’obbligo di rotazione delle colture, che limiterebbe in maniera sensibile la produttività delle nostre imprese“, afferma. Bene per Meloni la recente proposta della Commissione di ampia revisione della Pac: “Ora è importante lavorare rapidamente alla riforma, a partire dal prossimo Consiglio Agricoltura e Pesca di fine marzo“. Roma lavora perché possano trovare spazio altre proposte italiane, come l’estensione del Quadro temporaneo per gli aiuti di Stato, prevedendo comunque un incremento del regime de minimis, oltre che una moratoria dei debiti delle imprese agricole. Dopo anni di “emarginazione” nei più importanti consessi internazionali, “l’agricoltura torna centrale in Europa“, le fa eco il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che ricorda il documento sulla Pac presentato all’Agrifish a febbraio, con cui sono state rappresentate le criticità e “gli errori” che l’Europa ha compiuto fino ad ora, con delle indicazioni su una “strada per correggerlo“. Per il titolare del dicastero di via Venti Settembre, oggi l’Europa comincia a rendersi conto che “se manca l’agricoltura, viene giù tutto”. L’obiettivo dell’Italia è “ripensare la sovranità alimentare in Europa”: “La sfida della sicurezza alimentare è dare buon cibo a tutti e non possiamo raggiungerla – ribadisce – se non diamo valore a chi ogni giorno lavora per garantire la qualità delle nostre produzioni“.

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I prezzi agricoli crollano ai livelli di 3 anni fa, ma gli alimentari costano il 23% in più

La speculazione esiste? Molti la evocano, pochi la misurano. Tuttavia, confrontando i dati diffusi dalla Fao oggi sui prezzi agricoli mondiali con i prezzi alimentari al consumo globali, non si può non notare che qualcosa non torna.

L’Indice Fao dei prezzi alimentari è sceso per il settimo mese consecutivo a 117,3 punti a febbraio, il livello più basso in tre anni, rispetto ai 118,2 rivisti al rialzo di gennaio. La diminuzione degli indici dei prezzi dei cereali e degli oli vegetali ha più che compensato gli aumenti di quelli dello zucchero, della carne e dei latticini. Negli ultimi tre anni l’indice PriceStats Daily World Food Inflation Index – realizzato da State Street – fa vedere invece che gli alimentari sono rincarati del 23%, passando da un punteggio di 133 del febbraio 2021 a quota 164 al termine dello scorso mese. Quello di State Street è un indice composito per Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Spagna, Grecia, Canada, Australia, Giappone, Corea del Sud, Russia, Sud Africa, Brasile, Cile, Cina, Colombia, Uruguay, Turchia e Argentina. L’indice utilizza la componente alimentare e delle bevande analcoliche non destagionalizzata dell’inflazione di ciascun Paese, con ponderazioni basate sulla spesa per consumi finali delle famiglie del 2010, in dollari correnti, dalla Banca Mondiale.

Vedendo il grafico, il PriceStats Daily World Food Inflation Index, non sembra dare segni di inversione. Sale. Il contrario della traiettoria intrapresa dai prezzi agricoli globali. L’Indice Fao delle quotazioni cerealicole è diminuito del 5% a febbraio, raggiungendo un livello inferiore del 22,4% rispetto a quello di febbraio 2023. I prezzi all’esportazione del mais sono diminuiti maggiormente tra le aspettative di grandi raccolti in Sud America e i valori competitivi offerti dall’Ucraina, mentre quelli internazionali del grano sono diminuiti soprattutto grazie al forte ritmo delle esportazioni dalla Russia. Anche i prezzi internazionali del riso sono diminuiti dell’1,6% a febbraio. L’Indice Fao dei prezzi degli oli vegetali è calato invece dell’1,3% da gennaio, attestandosi all’11% al di sotto del valore di febbraio 2023. Quelli internazionali dell’olio di soia sono diminuiti notevolmente, sostenuti dalle prospettive di abbondanti produzioni di soia in Sud America, mentre le ampie disponibilità di esportazioni globali di oli di girasole e di colza hanno spinto i loro prezzi verso il basso. I prezzi mondiali dell’olio di palma sono aumentati marginalmente a febbraio a causa del calo stagionale della produzione.

L’indice Fao dei prezzi dello zucchero, al contrario, è aumentato del 3,2% a febbraio. L’aumento riflette le persistenti preoccupazioni sull’imminente produzione del Brasile dopo un periodo prolungato di precipitazioni inferiori alla media, nonché i previsti cali di produzione in Tailandia e India, due principali paesi esportatori. Anche l’indice dei prezzi della carne è aumentato dell’1,8% da gennaio, con le quotazioni della carne di pollame che sono aumentate maggiormente, seguite da quelle della carne bovina, colpite dalle forti piogge che hanno interrotto il trasporto del bestiame in Australia. Anche i prezzi della carne suina sono aumentati leggermente a causa della maggiore domanda da parte della Cina e della situazione di offerta limitata in Europa occidentale. I prezzi internazionali della carne ovina sono diminuiti in parte a causa della produzione record conseguente alla ricostituzione del gregge in Australia. In crescita anche l’Indice dei prezzi dei prodotti lattiero-caseari, aumentato dell’1,1%, guidato dalla maggiore domanda di importazioni di burro da parte degli acquirenti asiatici. Anche i prezzi del latte in polvere e del formaggio sono aumentati marginalmente.

Guardando avanti, la Fao ha pubblicato un nuovo Brief sull’offerta e la domanda di cereali, alzando leggermente le sue previsioni per la produzione totale mondiale di cereali nel 2023 a 2.840 milioni di tonnellate. Caleranno i prezzi al consumo?

8 marzo, crescono le agricoltrici e puntano sul green. Ma resiste la discriminazione anche nei campi

Sono quasi 200mila le donne italiane che hanno scelto campi e trattore. Sono imprenditrici che hanno puntato sul settore agricolo, abbattendo così barriere e pregiudizi e portando in campo un nuovo protagonismo tutto al femminile. Il 25% è laureata, il 50% svolge attività multifunzionali, come ad esempio, vendita diretta, agriturismo, trasformazione dei prodotti, fattoria didattica e sociale. Il 60% pratica attività green come l’agricoltura biologica. A tracciare la fotografia è un’analisi di donne Coldiretti su dati del Registro delle Imprese divulgata in occasione dell’8 marzo.

Il 28% delle aziende agricole italiane, quindi, è guidato da donne, con una ‘quota giovane’ in crescita. Sono 13mila, infatti, le imprese femminili in capo a ragazze sotto i 35 anni, che hanno puntato soprattutto sull’uso della tecnologia per migliorare organizzazione, gestione, rese e qualità.

“Le donne contadine – dice Coldiretti – sono presenti in tutto il territorio italiano e la Sicilia è la regione con il maggior numero di imprese femminili in assoluto (24mila). Sul podio salgono anche Puglia e Campania, che vantano rispettivamente più di 23mila e quasi 20mila aziende guidate da donne. Seguono Piemonte e Toscana”.

Ed è grande anche l’attenzione al green. Il 60% delle donne ha scelto di dedicare parte della produzione al biologico o al biodinamico e di operare per una filiera di qualità attenta alla sostenibilità, alla tutela della biodiversità e delle risorse naturali, del paesaggio e del benessere animale. In particolare, poi, le donne creano legami forti con il territorio e sono un vero e proprio presidio per la sopravvivenza e la valorizzazione delle aree rurali.

Secondo un recente studio della Penn State e dell’Università del Wisconsin-Madison, infatti, più agricoltrici equivalgono a un maggior benessere della comunità. Ma perché accade? Secondo i ricercatori la causa principale è dovuta al modo in cui le donne affrontano le loro attività; modi che hanno un impatto positivo sulle comunità a cui appartengono. Lo studio, pubblicato su Applied Economics Perspectives and Policy, ha rivelato che le contee degli Stati Uniti con una quota maggiore di aziende agricole possedute o gestite da donne hanno tassi più elevati di imprenditorialità non agricola, aspettative di vita più lunghe e tassi di povertà più bassi. La ricerca esplora, quindi, il concetto di “agricoltura civica” a guida femminile, che “si traduce effettivamente in un miglioramento del benessere della comunità in luoghi con percentuali più elevate di donne agricoltrici”.

Eppure, è la denuncia di Donne in Campo-Cia, non si fa ancora abbastanza per favorire un’agricoltura al femminile. Basti pensare che “le donne oggi non solo sono assenti da provvedimenti dedicati nel Pnrr e nella Pac, ma sono state escluse dagli incentivi ad hoc della misura Più Impresa, non rifinanziata dall’ultima legge di Bilancio, e colpite dal netto peggioramento di Opzione donna. Anche il Fondo Impresa Donna ammette agli stanziamenti le imprenditrici di tutti i settori, compreso quello della trasformazione alimentare, ma tiene fuori la produzione agricola”. “Le agricoltrici risultano così fortemente penalizzate e discriminate nei confronti delle colleghe di altri comparti – spiega la presidente Pina Terenzi-. Stessa situazione con la Politica agricola comune dell’Ue, che prescrive regole uguali per tutti piuttosto che valorizzare le differenze garantendo pari opportunità”.

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INFOGRAFICA INTERATTIVA Agricoltura, in Italia oltre 3 mln di ettari coltivati a cereali

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA è illustrato il censimento agricoltura 2020, per quanto riguarda le coltivazioni, diffuso oggi da Istat. Come si vede nel grafico sono state riportate le superfici per principale tipo di coltivazione: in testa ci sono i cereali con oltre 3 milioni di ettari coltivati; seguono foraggere permanenti (prati e pascoli); quelle avvicendate e le coltivazioni legnose agrarie.

La crisi del Mar Rosso è roba nostra: in ansia agricoltura e porti

Si può discutere sulle cifre, non sull’impatto pesantemente negativo della crisi del Mar Rosso. Ad esempio, c’è chi dice che la guerra degli houthi costi al settore agroalimentare 5,5 miliardi a livello di export, chi invece sostiene ‘solo’ 4. Ma sono comunque cifre enormi. Sotto pressione c’è soprattutto l’ortofrutta ma anche vino, pasta, prodotti da forno non se la passano bene. Un conto è sfruttare il canale di Suez, un conto è dover circumnavigare l’Africa e sobbarcarsi costi ulteriori di energia e di noli, un conto ancora è non poter raggiungere le rotte verso l’Asia come si faceva prima.

Un altro esempio da massima allerta sono i porti del Mediterraneo che rischiano di trovarsi tagliati fuori dai traffici commerciali. La situazione è così delicata che pure l’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) nella sua newsletter sottolinea i pericoli che stiamo correndo: tra gli stretti di Bab-el-Mandeb e il Canale di Suez transita circa il 22% del commercio mondiale e se le navi non passano da lì “i porti del Mediterraneo tornano al 1868”, la citazione di una dichiarazione del presidente dell’Autorità portuale di Trieste, Zeno D’Agostino. In effetti, allungando il viaggio con la circumnavigazione dell’Africa dal Capo di Buona Speranza si passa (prendendo come esempio la rotta Singapore-Rotterdam) da 8500 a 11800 miglia, cioè da 26 a 36 giorni di navigazione. E, in particolare, non ci si affaccia più subito sul Mare Nostrum – Trieste, Genova, Gioia tauro, Piombino, Ravenna – ma diventano prioritari l’Olanda e gli scali del Nord.

Tutto questo per dire che il Mar Rosso non è un luogo lontano ma è casa nostra, è roba nostra. Prima si risolve questa crisi, prima tornerà a sorridere un’economia già stressata dalla guerra Russia-Ucraina e dal conflitto tra Israele e Hamas. Al netto di qualsiasi analisi geopolitica, di collegamenti veri o presunti tra gli houthi e cosa sta accadendo nella striscia di Gaza, dell’ingerenza iraniana e della strategia attendista di Putin e Xi Ping, conviene che l’Europa non smetta di darsi da fare e di considerare quella zona del mondo particolarmente calda come centrale nel dibattito dell’esecutivo di Ursula von der Leyen e in quello che verrà dopo le elezioni di giugno. Se il presidio militare è indispensabile per proteggere le navi – la missione Ue Aspides che vede coinvolta in prima linea la Marina italiana – diventa dirimente l’azione diplomatica da portare avanti anche sottotraccia. Una volta noi europei eravamo bravissimi a mediare, una volta.

Equa distribuzione, ambiente e politiche europee: agricoltura a confronto ad Agrifood24

Non solo le politiche ambientali dell’Unione Europea, ma anche questioni di lunga data come l’equa distribuzione del valore lungo la catena di approvvigionamento alimentare. All’evento ‘Nuove coordinate per la sostenibilità dell’agricoltura Ue’ organizzato da Withub a Bruxelles gli attori della filiera agroalimentare hanno messo in luce le cause all’origine delle proteste degli agricoltori in Europa, e in particolare a Bruxelles.

Il problema degli agricoltori non è iniziato con il Green Deal, ma oltre 10 anni fa con una serie di politiche sbagliate sulla giusta retribuzione per quello che fanno e producono tutti i giorni”, ha avvertito il presidente della sezione Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente (Nat) del Comitato economico e sociale europeo (Cese), Peter Schmidt. Parlando del contributo della filiera agroalimentare sullo stile di vita europeo, Schmidt ha attaccato sul fatto che “non si parla mai degli interessi all’interno della catena di approvvigionamento” e ha ribadito che “la narrativa secondo cui ‘non ci sono abbastanza soldi’ è decisamente sbagliata”. Sulla stessa linea l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle Maria Angela Danzì: “Ciò che il consumatore paga al supermercato è all’80 per cento il costo della filiera che viene dopo l’agricoltore“. L’eurodeputata membro della commissione per l’Ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (Envi) ha ricordato che “servono politiche agricole che incentivino i piccoli agricoltori, faremmo di più l’interesse nazionale se quello che spendono in termini di energie, materiali e sacrificio fosse retribuito in modo adeguato”.

L’amministratore delegato di Filiera Italia e presidente di Eat Europe, Luigi Scordamaglia, ha concordato sul fatto che “serve una più equa ripartizione del valore nella filiera agroalimentare, tutelando la produzione agricola”, ma ha anche sottolineato che “se smantelliamo la produzione sull’alimentare e sulla manifattura con un ambientalismo interpretato in modo sbagliato, l’unica possibilità sarà importare da Paesi terzi che inquinano di più”. Nessuno, ha spiegato “può farci lezioni di ambientalismo, perché agroalimentare italiano emette un terzo delle emissioni rispetto a  Francia e Germania, 1/5 per ettaro di altri Paesi come il Brasile”

Ad animare il contraddittorio è stata l’eurodeputata in quota Movimento 5 Stelle, che ha ricordato come “l’approccio One Health ci può consentire di non fare politiche schizofreniche per tutelare la salute degli ecosistemi, delle persone e degli animali”, ma che negli ultimi mesi “il discorso sulle politiche della Commissione è stato condizionato da interessi personali, che le hanno definite ‘mera ideologia di stampo ambientalista’”.

Anche il coordinatore della coalizione #CambiamoAgricoltura, Franco Ferroni, ha attaccato quello che definisce “negazionismo agricolo“, che ha “responsabilità sul cambiamento climatico e sulla perdita di biodiversità”, dal momento in cui “la stretta connessione tra l’agricoltura e il benessere degli ecosistemi non trova la stessa attenzione da parte delle associazioni degli agricoltori”. Nel suo intervento Ferroni ha chiesto di “riaprire il dialogo e il confronto”, perché “è stato creato un clima volutamente di contrapposizione tra agricoltura e ambiente che aveva come obiettivo quello di demolire la strategia del Green Deal”.

È per questo motivo che l’organizzazione che riunisce le associazioni a sostegno della riforma della Politica agricola comune (Pac) considera in modo “positivo” l’approvazione della legge sul ripristino sulla natura. Non è invece d’accordo l’amministratore delegato di Filiera Italia Scordamaglia: “Ci sono 500 milioni di consumatori europei che devono consumare, e non tutti con la stessa capacità di spesa”. Questo significa che “o consumano quello che c’è in Europa o quello che viene prodotto nel Mercosur disboscando“. Scordamaglia ha poi sottolineato che “abbiamo contrastato il fatto che, nel momento in cui il mondo affronta la più grave crisi di sicurezza alimentare, qualcuno voleva imporre di togliere il 10 per cento dei terreni all’agricoltura per il ritorno delle torbiere”.

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Agroalimentare, per l’ingresso dell’Ucraina in Ue servirebbero 100 miliardi di euro in più alla PAC

100 miliardi per salvare la Pac. Ecco quanto servirebbe per sostenere la Politica Agricola Comune se l’Ucraina entrasse in Unione Europea. Un tema, questo, al centro dei dibattiti di questi giorni, che ha guidato anche l’evento, organizzato dalla piattaforma editoriale Withub, tenutosi oggi a Bruxelles, ‘Nuove coordinate per la sostenibilità dell’agricoltura Ue’, alla presenza delle principali associazioni di categoria – Cia, Coldiretti, Confagricotura, Eat Europe e Filiera Italia – e del Commissario Europeo per l’Agricoltura, Janusz Wojciechowski.

PAC: + 100 MILIARDI O MENO SOSTEGNO PER TUTTI. Quali sarebbero gli effetti sulla Pac dell’ingresso in Europa di un gigante agricolo come l’Ucraina? L’Europa assegna i finanziamenti ai paesi membri prevalentemente in base all’estensione in ettari della superficie agricola. Oggi, i 27 Stati dell’Ue hanno una superficie agricola di 157 milioni di ettari, la sola superficie coltivabile dell’Ucraina è di 41 milioni di ettari (dati 2020 estrazione a partire da Eurostat, Servizio Statistico Ucraino). Secondo l’elaborazione del Centro Studi GEA su una simulazione a cura del professor Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia, basata su un calcolo effettuato sui criteri della Pac attuale, se l’Ucraina entrasse in Ue oggi, dovrebbe ricevere – in base agli ettari coltivati – fondi per oltre il 20% del budget annuale dell’intera Europa dedicato al sostegno agli agricoltori. Questa proiezione non tiene presente le future azioni correttive dell’effettivo negoziato di adesione dell’Ucraina all’Unione europea, ma calcola l’ipotesi di un’erogazione del sostegno europeo sulla base della superficie agricola per il primo pilastro della PAC, ipotizzando l’ingresso dell’Ucraina alle stesse condizioni degli attuali Paesi membri dell’Ue. Si tratta, quindi di un’importante, ma necessaria, semplificazione dello scenario secondo la quale, tuttavia, l’equilibrio degli altri Paesi Ue sarebbe sconvolto. In un’Unione Europea a 28 Stati, infatti, gli ettari coltivati salirebbero a 198 milioni e mezzo rispetto ai 157 milioni e mezzo attuali. A parità di budget, stando alla simulazione, per ogni ettaro coltivato si riceverebbero 272,34 euro anziché gli attuali 343,52. Ciò significa, facendo il calcolo sull’Italia, che il nostro Paese passerebbe da un contributo di 5,6 miliardi di euro l’anno a 4,2 miliardi. Se invece si volessero continuare a sostenere tutti gli agricoltori dei Paesi Ue con le stesse cifre di oggi e a questi si aggiungessero quelli ucraini, servirebbero appunto 98,9 miliardi di euro in più (per un settennio del quadro finanziario pluriennale), che si andrebbero a sommare ai 378,5 miliardi, il budget pluriennale della Pac attuale.

PAC IN ITALIA. LE CONSEGUENZE REGIONE PER REGIONE. Secondo le elaborazioni dell’università di Perugia su dati Eurostat registrate dal centro studi GEA, inoltre, le 10 regioni che perderebbero di più con l’entrata in Ue dell’Ucraina, immaginando di mantenere i livelli attuali di sostentamento agli agricoltori, sarebbero: la Lombardia (che perderebbe il 52%, passando da oltre 600 milioni a meno di 300); la Calabria (con -48%, quindi da quasi 400 milioni a 200), il Veneto (-47%, da quasi 500 milioni a circa 250). A seguire il Piemonte, l’Emilia Romagna, le Marche, il Friuli Venezia Giulia, la Campania e l’Umbria.

NON SOLO PAC: F2F E FERTILIZZANTI. Cosa comporterà l’applicazione delle norme sulla riduzione del 20% dei fertilizzanti chimici contenute nella Farm2Fork? Secondo un’elaborazione del Centro Studi GEA su dati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore campus di Piacenza e Cremona – Vsafe e Federchimica Assofertilizzanti, una diminuzione in produzione per le principali colture italiane: -14,5% per il frumento duro, -12,3% per il frumento tenero, -12% per il mais, -12,6% per il pomodoro, -6,6% per la soia, -9,9% per l’uva da vino. Una calo di produzione che si rifletterebbe sull’economia italiana con una perdita pari a 5,4 miliardi di euro. In questo scenario, potrebbero avere un ruolo importante i biostimolanti. Secondo un’elaborazione del Centro Studi GEA su dati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore campus di Piacenza – ISA (Innovation for Sustainable Agriculture R&D), questi prodotti, potrebbero arginare le perdite generate dall’adeguamento richiesto dalla Farm to Fork. Dai test effettuati dall’Università Cattolica di Piacenza, infatti, è evidente come i biostimolanti compensino la riduzione di input chimici e aiutino la pianta in condizioni di stress. Nei test effettuati sulle colture di pomodoro, ad esempio, riducendo i fertilizzanti ma impiegando biostimolanti, la resa non è statisticamente diversa da quella ottenuta con fertilizzazione 100% in termini di altezza delle piante, produzione di frutti e foglie.

 

 

FILIERA ITALIA. “I 378 miliardi di PAC attuali rappresentano una risorsa fondamentale che aiuta gli agricoltori a sostenere i costi di standard produttivi di sicurezza e ambientali più elevati al mondo e rendere competitiva con la fase di produzione agricola l’intera filiera e sono tutto il contrario di un sostegno passivo al reddito degli agricoltori. Se non ci fossero, 300 miliardi sarebbero stati caricati direttamente sul carrello della spesa dei consumatori con conseguenze tutt’altro che positive soprattutto per le fasce più povere, alle quali non sarebbe permesso di accedere a un’alimentazione di qualità che caratterizza i paesi europei e l’Italia in particolare”, ha detto Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia e presidente di Eat Europe. E sull’Ucraina: “È fondamentale sostenerla in questo momento difficile ma non è accettabile che a pagare il prezzo di una possibile entrata del Paese in UE sia la filiera agroalimentare, anche considerando che sempre di più fondi speculativi internazionali stanno mettendo le mani su una parte crescente dell’agricoltura ucraina danneggiando gli stessi piccoli agricoltori ucraini, Quindi aiutare l’Ucraina (ma non certo la speculazione), tutelando anche la nostra filiera”.

CONFAGRICOLTURA. “Confagricoltura da sempre sostiene che l’attuale Pac sia inadeguata oggi e inadatta a rispondere alle prossime sfide, poiché mette a rischio non solo un settore produttivo, ma la sicurezza alimentare globale. Per rispondere alle esigenze emerse chiaramente in questi ultimi anni e in prospettiva di un futuro allargamento dell’Ue, anche il budget dedicato deve essere rivisto tenendo conto pure degli aumenti dei costi di produzione e dell’inflazione. Il tema della dimensione del bilancio agricolo Ue impone poi un approfondimento alla luce del fatto che la sicurezza alimentare dell’Europa dipende dai livelli di efficienza e competitività delle imprese, e dal reddito che gli agricoltori riescono ad ottenere dal proprio lavoro”, ha detto Cristina Tinelli, Direttrice Relazioni Ue e internazionali di Confagricoltura e Presidente del gruppo Sviluppo rurale di Copa-Cogeca.

CIA. “Serve un cambio di rotta deciso da parte dell’Ue per costruire un futuro che consenta la sopravvivenza della produzione europea, redditi dignitosi, mantenimento e crescita delle aree rurali, sostenibilità economica, ambientale e sociale”, ha dichiarato il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini. “Questo significa ragionare su una nuova Pac, con meno burocrazia e regole semplificate per facilitare i pagamenti, a partire dagli ecoschemi, cancellando l’obbligo del 4% per l’incolto. Abbiamo già subito una drastica riduzione delle rese a causa della crisi climatica, è assurdo che la Ue ci dica di tenere dei terreni a riposo. In più, la Pac non può più essere l’unica politica a rispondere alle sfide della transizione verde. Poi c’è lo scenario politico internazionale: considerato il ruolo strategico dell’Europa sul fronte della sicurezza alimentare, nonché il potenziale ingresso dell’Ucraina nell’Unione, il prossimo quadro finanziario pluriennale dovrà essere in linea con tali ambizioni, richiedendo maggiori risorse e tutele sul mercato. Per tutto questo, è importante lavorare affinché il futuro Commissario europeo all’Agricoltura abbia un peso politico importante e sia in grado di creare consenso sui dossier più caldi, come le TEA, e favorire l’intesa tra tutti gli Stati membri”.

COLDIRETTI. “Abbiamo bisogno di tempi certi e urgenti per la maggiore flessibilità sugli aiuti di Stato e sulle semplificazioni della Pac annunciate dalla Commissione europea per gli agricoltori. Serve una risposta sulla moratoria dei debiti per le aziende agricole, in risposta all’aumento dei tassi di interesse. Molte delle nostre proposte sono state accolte dal Commissario europeo all’agricoltura, ma non basta se non si capisce una volta per tutte che i tempi dei nostri agricoltori non sono quelli della burocrazia europea. Ci aspettiamo che nel Consiglio europeo di marzo ci sia la svolta necessaria e anche in prospettiva chiediamo una Pac più vicina alle imprese”, ha detto Ettore Prandini, presidente di Coldiretti.

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A Bruxelles l’evento ‘Nuove coordinate per la sostenibilità dell’agricoltura Ue’

Si tiene oggi a Bruxelles, presso la Sala Félicien Cattier, Fondazione Universitaria, l’evento ‘Nuove coordinate per la sostenibilità dell’agricoltura Ue’, organizzato da Withub con la direzione editoriale di GEA, Eunews e Fondazione art. 49. L’incontro si concentrerà sulla nuova Politica Agricola Comune e sugli investimenti del prossimo Mff sull’agricoltura e la sua sostenibilità; sulla prospettiva dell’ingresso dell’Ucraina nell’Ue; sul ruolo dell’industria agroalimentare nella tutela della salute e sulla promozione di stili di vita sani. Sarà possibile seguire il convegno in diretta streaming qui.

L’appuntamento è alle 9.30, con l’opening del direttore di Eunews Lorenzo Robustelli. A seguire, il primo panel si occuperà di ‘Pac e nuovo Mff: le risorse per l’agricoltura e la sua sostenibilità ambientale, sociale ed economica’ e vedrà gli intervento di Paolo De Castro, eurodeputato, Comm. AGRI e INTA; Leonardo Pofferi, vice presidente Cogeca; Ettore Prandini, presidente di Coldiretti; Cristiano Fini, presidente di Cia; Cristina Tinelli, direttrice Relazioni Ue e internazionali di Confagricoltura e Presidente del gruppo Sviluppo rurale di Copa-Cogeca; Carmen Naranjo Sanchez, Commissione Ue, Direttrice Risorse DG AGRI. Modererà il direttore di GEA, Vittorio Oreggia.

Il secondo panel, dal titolo ‘Il contributo della filiera agroalimentare a un sano stile di vita europeo’, vedrà gli interventi di Peter Schmidt, Cese, presidente della sezione Agricoltura, sviluppo rurale e ambiente; Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia e Presidente di Eat Europe; Franco Ferroni, coordinatore della Coalizione #CambiamoAgricoltura. Modererà il direttore di Eunews, Lorenzo Robustelli.

Le conclusioni saranno affidate, intorno alle 12.15, al commissario europeo per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski