Forlini (Unaitalia): Sì a sovranità alimentare, rischi con Farm to Fork

Antonio Forlini è il presidente di Unaitalia (Unione nazionale filiere agroalimentari carni e uova) e dall’alto della sua competenza lancia un grido di allarme per la crisi che sta soffocando il settore e spedisce un monito all’Europa, affinché la strategia Farm to Fork non abbia esisti disastrosi sulla nostra filiera agroalimentare. Forlini è stato intervistato da GEA nel corso di ‘How we can govern Europe?’, evento organizzato a Roma nei giorni scorsi sotto l’egida di Eunews.

Presidente Forlini, quali sono le principali sfide per l’agroalimentare stretto nella morsa tra crisi energetica e guerra?

“Viviamo un anno non facile, pensavamo che dopo la pandemia ci saremmo proiettati in un futuro meno pieno di insidie, invece ci sono criticità legate al conflitto russo-ucraino che sta producendo effetti devastanti su più ambiti. Innanzitutto la crisi delle materie prime, ovvero la difficoltà di approvvigionamento, poi i costi delle materie prime stesse che in questo momento affliggono tutto il mondo agroalimentare e infine i costi energetici. Sui primi in particolare c’è una grandissima preoccupazione perché quello che il conflitto ha generato va poi a sovrapporsi a una crisi climatica evidente a tutti noi. Da un lato abbiamo avuto gli ultimi raccolti deficitari rispetto ai fabbisogni, quindi una erosione delle scorte, soprattutto cerealicole, dopo di che il conflitto ha ulteriormente indebolito il flusso di materie prime verso il mondo occidentale. Ultimamente da un’intervista con il ministro ucraino dell’agricoltura abbiamo appreso che il 25% dei terreni non verrà seminato e questo genererà una ulteriore difficoltà a livello di approvvigionamenti. Tutto ciò ci porta a pensare ad altri due, tre anni di costi elevati con criticità per filiere e per consumatori”.

La filiera della carne si confronta in tutta Europa con la sfida della sostenibilità ma anche con alcune contraddizioni della strategia Farm to Fork e dei suoi obiettivi. C’è rischio che si perda competitività?

“Questo è un tema che noi abbiamo posto più volte ai nostri parlamentari europei perché la strategia Farm to Fork va poi declinata in tutti i suoi aspetti. Ebbene, una delle criticità che noi intravvediamo e che il rischio di perseguire obiettivi di sostenibilità, che però non tengano conto solo della sostenibilità ambientale ma anche di quella sociale ed economica, rischiano di rendere Europa meno competitiva nella produzione delle proteine nobili. O addirittura indurranno – e mi riferisco alla produzione biologica – a produrre di meno. I cittadini italiani dovranno mangiare meno carne, ma questo mette in discussione la dieta mediterranea, fondamento della longevità italiana. Oppure dobbiamo importare carne dall’estero, di qualità peggiore e allevata con metodi meno sostenibili dal punto di vista climatico”.

Il governo ha istituito un nuovo ministero, quello della sovranità alimentare. Qual è il vostro giudizio e il vostro auspicio?

“Me la cavo con una battuta: il nostro settore, in particolare quello avicolo che rappresento come Unaitalia, è da sempre sovrano alimentare, nel senso che da sempre produce più di quanto i consumatori italiani consumano, circa il 106,8%. Sposiamo assolutamente l’idea che l’Italia con il suo patrimonio di Dop e Dpg e con il suo patrimonio di agroalimentare abbia l’opportunità di avere un’autosufficienza che sia il più possibile estesa in tutti i settori”.

Agroalimentare, Pasquali (Banco BPM): Ruolo banche è essere presenti e favorire investimenti

Negli ultimi due anni, e anche adesso, continuano ad essere importanti le garanzie statali. Quindi il decreto Aiuti recentemente emanato ha permesso a tutte le aziende italiane e al settore agroalimentare di ottenere finanziamenti con garanzie pubbliche che coprono fino al 100% dei rischi con condizioni agevolate e questi sono interventi estremamente importanti. Nella nuova legge ci saranno il rinnovo di queste garanzie, quindi un aiuto ulteriore. E non dimentichiamoci del Pnrr, che deve ancora mettere a terra tante cose, tanti soldi. Ad esempio nella missione 2, una delle più ricche, c’è anche la componente dell’agroalimentare che pesa quasi 6 miliardi di euro. In questo momento stiamo lavorando su tutto quello che è il fotovoltaico, presto lavoreremo anche sul biogas, sul biometano. Sono interventi interessanti che si sommano a altri e confidiamo che possano portare ulteriore impulso al settore dell’agroalimentare”. Lo ha detto Massimo Pasquali, Responsabile Coordinamento Aziende di Banco BPM, a margine dell’evento ‘How can we govern Europe?’, organizzato da GEA e Eunews, che si è svolto a Roma il 29 e 30 novembre.

Pasquali ha preso parte al panel che trattava di ‘Sicurezza alimentare: PAC, Fit for 55 e Farm to Fork di fronte alla guerra e alla siccità’ e ha spiegato come “il ruolo delle banche in generale e nello specifico di Banco BPM è quello di essere sempre presenti. Sicuramente possiamo giocare un ruolo importante: quello di mantenere un dialogo costante con l’impresa, perché in questi momenti la banca può dare coraggio. Quindi un intervento mirato della banca, con un finanziamento o un prodotto delicato, può permettere a un imprenditore di superare il momento più difficile e riprendere una propria attività nel modo migliore”.

Poi – ha concluso – c’è la parte sana: l’impresa italiana nel settore agroalimentare, che è un settore di eccellenza a livello mondiale, ha continuato comunque a investire. Quindi il ruolo della banca, e Banco BPM è assolutamente presente, è quello di favorire questi investimenti perché l’azienda deve crescere, innovarsi e trovare strade innovative”.

Agroalimentare, Pasquali (Banco BPM): Ruolo banche è essere presenti e favorire investimenti

A margine dell’evento ‘How can we govern Europe?’, organizzato da GEA e Eunews, che si è svolto a Roma il 29 e 30 novembre, GEA ha parlato con Massimo Pasquali, Responsabile Coordinamento Aziende di Banco BPM del ruolo delle banche nel settore dell’agroalimentare.

Pesca e acquacoltura: un 2020 da record. Fao: “Più sostenibilità”

Il settore della pesca e dell’acquacoltura, con una produzione mondiale che ha raggiunto “livelli record” nel 2020, deve intraprendere una “trasformazione blu” a livello mondiale per affrontare “la duplice sfida della sicurezza alimentare e della sostenibilità ambientale“, secondo un rapporto pubblicato dalla Fao.

Dobbiamo trasformare i sistemi agroalimentari in modo che i prodotti alimentari acquatici siano raccolti e catturati in modo sostenibile, che i mezzi di sussistenza siano salvaguardati e che la biodiversità e gli habitat acquatici siano protetti“, afferma il direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) Qu Dongyu.

LA PRODUZIONE NEL 2020

La crescita dell’acquacoltura, in particolare in Asia, ha permesso alla produzione totale della pesca e dell’acquacoltura di raggiungere il massimo storico di 214 milioni di tonnellate nel 2020, di cui “178 milioni di tonnellate di animali acquatici e 36 milioni di tonnellate di alghe“, secondo il rapporto della Fao ‘State of World Fisheries and Aquaculture’, pubblicato ogni due anni e reso noto durante la conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani a Lisbona. La produzione di animali acquatici nel 2020 è stata superiore del 30% rispetto alla media degli anni 2000. “Questi risultati sono in gran parte attribuibili alla produzione record dell’acquacoltura, pari a 87,5 milioni di tonnellate di animali acquatici“, si legge nel rapporto. “Le risorse ittiche continuano a diminuire a causa della pesca eccessiva, dell’inquinamento, della cattiva gestione e di altri fattori, ma la quantità di sbarchi da stock biologicamente sostenibili è in aumento”, ha dichiarato la FAO.

21,4 KG PRO CAPITE NEL 2030

In un mondo che dovrà sfamare 10 miliardi di persone entro il 2050, la ‘trasformazione blu’ è, per la Fao, una “strategia visionaria per affrontare la duplice sfida della sicurezza alimentare e della sostenibilità ambientale“. Dal 1961 il consumo globale di prodotti alimentari acquatici (escluse le alghe) è cresciuto a un tasso medio annuo del 3%, quasi il doppio della crescita annuale della popolazione mondiale, raggiungendo i 20,2 kg pro capite. A livello globale, questi prodotti hanno fornito circa il 17% delle proteine animali consumate nel 2019, e fino al 50% in diverse parti dell’Asia e dell’Africa. Nel 2020, la produzione di animali acquatici è aumentata del 6% rispetto al 2018. Per contro, la produzione della pesca di cattura è scesa a 90,3 milioni di tonnellate, con un calo del 4% rispetto alla media degli ultimi tre anni – un calo “dovuto principalmente alla pandemia” legata alla Covid-19. I Paesi asiatici rappresentano il 70% della produzione mondiale. La Cina è rimasta il maggior produttore di pesche, seguita da Indonesia, Perù, Russia, Stati Uniti, India e Vietnam. Secondo le stime della Fao, il consumo globale dovrebbe “aumentare del 15% fino a raggiungere una media di 21,4 kg pro capite entro il 2030”, spinto dall’aumento dei redditi e dall’urbanizzazione. “Si prevede che la produzione totale di animali acquatici raggiunga i 202 milioni di tonnellate nel 2030, soprattutto grazie alla crescita sostenuta della produzione dell’acquacoltura, che dovrebbe superare per la prima volta la soglia dei 100 milioni di tonnellate nel 2027 per poi raggiungere i 106 milioni di tonnellate nel 2030“, si legge nel rapporto. Essenziali per la sicurezza alimentare, la pesca e l’acquacoltura hanno anche un’importanza economica fondamentale:si stima che 58,5 milioni di persone siano impiegate nel settore, di cui circa il 21% sono donne” e “circa 600 milioni di persone dipendono da questo settore per il loro sostentamento. Il valore totale di prima vendita della produzione di animali acquatici nel settore “è stato stimato in 406 miliardi di dollari nel 2020“, di cui il 65% è destinato all’acquacoltura.

(Photo credits: Jonathan NACKSTRAND / AFP)

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Agroalimentare, nel 2021 export da record: +52 miliardi di euro

Dopo lo shock della pandemia, il settore agroalimentare italiano nel 2021 ha mostrato una buona tenuta, facendo registrare – in qualche caso – dati molto positivi. A cominciare dalle esportazioni dei prodotti made in Italy, che hanno fatto un balzo a doppia cifra (+11%), raggiungendo il valore record di 52 miliardi di euro. Nel report ‘Agrimercati’ di Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), si fa il punto sulle principali dinamiche del settore e l’export è sicuramente il fiore all’occhiello dell’anno passato.

Scambi commerciali

BOOM DI VINI E FORMAGGI

Sono aumentate le spedizioni all’estero di tutte le principali produzioni del made in Italy. Tra i segmenti produttivi di maggior successo all’estero si confermano vini, formaggi stagionati, prodotti da forno, cioccolata e preparati a base di pomodoro. Nel dettaglio, sono cresciute in maniera rilevante le esportazioni dei prodotti della panetteria e pasticceria (+19% in valore rispetto al 2020), seguite dalla cioccolata (+14%), dai vini (+12,4%) e dai formaggi e latticini (+12,3%). Hanno subìto, invece, una battuta d’arresto le spedizioni oltre confine di pasta (-3% in valore) e dei preparati e conserve di pomodoro (+0,2% in valore); si tratta tuttavia di due comparti che nel 2020 avevano fatto segnare incrementi estremamente rilevanti.

CRESCONO LE IMPORTAZIONI

Crescono dell’11,8% anche le importazioni agroalimentari. Resta confermato il segno positivo del saldo della bilancia commerciale agroalimentare che a dicembre 2021 raggiunge il valore di 3,5 miliardi di euro.

AUMENTO DEI PREZZI

L’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia è un fattore che grava pesantemente sia sul settore primario, sia sull’industria alimentare, sommandosi ai problemi collegati ai trasporti e alla logistica. L’incremento dei listini era già stato fotografato dall’Indice dei prezzi Ismea a fine 2021: durante l’ultimo trimestre dell’anno è continuato infatti il trend di espansione dei prezzi dei prodotti agricoli nazionali, con un incremento tendenziale del 15%, dietro la spinta soprattutto dei prodotti vegetali (+19,5%), ma anche di quelli zootecnici (+10%). L’aumento dei prezzi dei mezzi correnti di produzione è stato evidenziato anche dall’indice elaborato dall’Ismea, che nel quarto trimestre del 2021 ha segnato un +10,3% tendenziale, dovuto soprattutto ai listini dei concimi (+27,4%), dei prodotti energetici (+19%) e dei mangimi (+14,8%). Trascinato dagli aumenti di prezzo di molte materie prime così come da costi di trasporto marittimo sempre più proibitivi, il comparto concimi agricoli già dagli ultimi mesi del 2021 sta vivendo un periodo caldo.