Se anche il caffè finisce macinato dai cambiamenti climatici

Settemila caffé, cantava Alex Britti… chissà se nei prossimi anni potremmo ordinarli con serenità e assoluta certezza di consumarli. Uno studio dell’Università di Scienze Applicate di Zurigo mette in guardia sul futuro della produzione di chicchi di una delle bevande più amate al mondo: si bevono ogni giorno circa 3 miliardi di tazzine. Se la tendenza degli ultimi tre decenni continuasse, gli esperti prevedono che questa cifra probabilmente raddoppierà entro il 2050. Solo tra il 1990 e il 2022, il consumo globale annuo è salito infatti da 90 a 179 milioni di sacchi da 60 chilogrammi. Ma se il caffé dovesse sparire?
Il mondo si divide in due qualità: Arabica, che rappresenta attualmente il 56% della produzione globale ed è coltivata principalmente in Sud America, e Robusta (la restante produzione), coltivata soprattutto in Asia e utilizzata, tra le altre cose, per produrre il caffè solubile. Lo studio dell’università elvetica si è concentrato sull’idoneità attuale e sull’Arabica in base alle esigenze climatiche e del suolo, utilizzando i risultati climatici di 14 modelli di circolazione globale basati su tre scenari di emissione per modellare gli impatti futuri (2050) dei cambiamenti climatici sulle colture sia a livello globale che nei principali paesi produttori.

A livello produttivo, l’attuale idoneità complessiva più elevata dell’Arabica si riscontra nell’America centrale e meridionale (specialmente in Brasile), nell’Africa centrale e occidentale e in alcune parti dell’Asia meridionale e sud-orientale. Le estensioni settentrionali e meridionali delle regioni di coltivazione globali sono limitate da fattori climatici, principalmente da tre parametri: lunghe stagioni secche (confini settentrionali e meridionali delle regioni di coltivazione in Africa, India, Australia, Brasile orientale), temperature medie annuali elevate (ovest Africa, alcune regioni del Sud-Est asiatico, America Centrale) e le temperature minime medie basse del mese più freddo (confini settentrionali e meridionali dell’America, Cina, alcune regioni del Sud-Est asiatico, alcune aree montuose). In alcune delle regioni climaticamente adatte, i criteri del terreno e del suolo limitano notevolmente l’idoneità alla coltivazione del caffè. Il basso pH del suolo limita l’idoneità del caffè in Sud America (bacino dell’Amazzonia), Africa centrale (bacino del Congo) e Sud-Est asiatico (Sumatra, Malesia, Borneo, Nuova Guinea). In alcune regioni i fattori limitanti sono la struttura inadeguata del suolo (ad esempio in Florida) o i pendii ripidi (ad esempio nell’India settentrionale).

Tenendo conto degli scenari di cambiamento climatico – rivela lo studio – l’idoneità del caffè diminuirà drasticamente entro il 2050. L’idoneità più elevata calerà di oltre il 50% in tutti e tre gli scenari climatici (riscaldamento globale di 1,6, 2,4 e 4 gradi Celsius) e diminuiranno le regioni moderatamente idonee dal 31% al 41%. Cambiamenti negativi nell’idoneità saranno causati principalmente dall’aumento delle temperature medie annuali. Si prevede che la maggior parte delle attuali regioni in crescita diminuiranno di almeno una classe di idoneità (America centrale e meridionale, Africa centrale e occidentale, India, Sud-est asiatico), e che solo poche regioni, soprattutto ai confini settentrionali e meridionali delle aree di coltivazione, trarranno profitto dai cambiamenti climatici (ad esempio Brasile meridionale, Uruguay, Argentina, Cile, Stati Uniti, Africa orientale, Sud Africa, Cina, India, Nuova Zelanda) a causa dell’aumento delle temperature minime del mese più freddo.

ghiacciaio

Caldo record per altri 5 giorni consecutivi: zero termico raggiunto sopra i 5.300 metri

Una “situazione critica” quella in cui versano “tutti i ghiacciai alpini a tutte le quote sopra lo zero”. L’allarme scatta in una settimana in cui si prevede un’ondata di caldo duratura su tutto il Centro-Nord, con temperature oltre i 38°C per 5 giorni consecutivi. Fino a sabato 26 quindi i valori massimi diurni raggiungeranno facilmente i 37-39°C in Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Piemonte con le città principali che diventeranno roventi e irrespirabili come Milano, Roma, Firenze, Bologna, Padova, Pavia, Alessandria, Torino, Mantova, Bolzano, Terni. Soltanto al Sud il caldo sarà meno intenso e i 36-37°C si toccheranno soltanto su tarantino, casertano, siracusano, agrigentino e coste ioniche della Basilicata, altrove non si andrà oltre i 32-34°C.

Intanto, è stato necessario salire a un’altitudine record di quasi 5.300 metri affinché il servizio meteorologico svizzero registrasse il limite degli zero gradi. Lo ha annunciato MeteoSvizzera, quando gran parte del Paese è in allerta per l’ondata di caldo. “La radiosonda Payerne (una stazione meteorologica della Svizzera nordoccidentale, ndr) per questa notte dal 20 al 21 agosto 2023 ha misurato l’isoterma 0°C a 5.298 m, che è un record dall’inizio delle misurazioni nel 1954”, fa sapere su Twitter. Il record precedente risaliva solo al 25 luglio dello scorso anno con 5.184 metri.

Intanto, il ghiacciaio della Marmolada è sorvegliato speciale. A distanza di poco più di un anno dal disastro in cui persero la vita 11 alpinisti, sabato la Provincia autonoma di Trento ha diffuso un comunicato raccomandando prudenza per l’innalzamento termico di questi giorni.  A Punta Penia, a 3.343 di quota, la piattaforma “Marmoladameteo” ha registrato alle 16:50 di sabato la temperatura +13,3 gradi. Il 3 luglio dell’anno scorso, giorno del collasso di parte del ghiacciaio, il termometro segnava +12,7 gradi. Ieri alle 17.30  il termometro ha toccato i 14 gradi, la temperatura più alta degli ultimi 10 anni.

Alluvione

Il 40% della popolazione Ue vive su coste minacciate dai cambiamenti climatici

“Le regioni costiere sono estremamente importanti per l’economia europea. Circa il 40% della popolazione dell’Ue vive entro 50 km dal mare. Quasi il 40% del Pil dell’Ue è generato in queste regioni marittime e il 75% del volume del commercio estero dell’Ue è condotto via mare”. È quanto scrive il programma Ue Copernicus a proposito del dataset sulle zone costiere 2012-2018, avvertendo allo stesso tempo che “i cambiamenti climatici renderanno probabilmente più vulnerabili queste regioni e le società che le abitano”.

“Questo importante ruolo svolto dalle nostre coste ha avuto un costo per l’ambiente. Attività come il trasporto marittimo, l’estrazione di risorse, il turismo, le energie rinnovabili e la pesca esercitano pressioni sulle aree marine e costiere”, spiega Copernicus, sottolineando che “queste pressioni sono state avvertite nella maggior parte delle regioni costiere europee e hanno portato alla perdita di habitat, all’inquinamento e all’accelerazione dell’erosione costiera“.

Il deterioramento in atto “minaccia il perdurare della salute delle nostre aree costiere” e per questo motivo “la loro gestione deve essere condotta bilanciando gli interessi concorrenti dello sviluppo umano con la necessità di garantire ecosistemi costieri sani e resilienti”.

E in Italia? Secondo l’Ispra sono circa 1,3 milioni gli italiani che vivono in zone a rischio elevato di frane; quelli a rischio alluvioni in uno scenario di pericolosità idraulica media sono 6.818.375 (11,5% della popolazione). Le regioni con i valori più elevati di rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria.

Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono 565.548 (3,9%), quelli che si trovano in aree allagabili nello scenario medio sono 1.549.759 (10,7%).

 

Ricci di mare sentinelle del cambiamento climatico: colpa di inquinamento e acidificazione

Photocredit: Ispra

I ricci di mare sono diventati più sensibili all’inquinamento di rame a causa dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione del Mediterraneo. Il gruppo di ricerca Ispra con sede a Livorno, in collaborazione con una ricercatrice dell’Università di Nottingham, ha pubblicato su Marine Pollution Bulletin i risultati di una attività di laboratorio ventennale condotta utilizzando il riccio di mare. I dati hanno dimostrato come i cambiamenti climatici e l’acidificazione degli oceani, che sta già avvenendo nel mar Mediterraneo, abbiano causato una riduzione della tolleranza di una popolazione naturale di riccio alla tossicità del rame. Tale conclusione, spiegano i ricercatori, “supporta la necessità di rivalutare le conoscenze che oggi abbiamo dei contaminanti ambientali nel contesto dei futuri cambiamenti dell’ambiente”.

Il Mar Mediterraneo, infatti, rappresenta un laboratorio naturale per dedurre i possibili impatti dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione degli oceani. La ricerca ha mostrato peggioramento della capacità delle larve di riccio di mare (Paracentrotus lividus) di far fronte alla tossicità del rame negli ultimi 20 anni. A partire dalle misurazioni satellitari, gli esperti hanno valutato l’influenza di 5 fattori ambientali, cioè pH, salinità temperatura, CO2 e ossigeno. Considerando il continuo aumento delle concentrazioni di CO2 registrato di recente, questo studio potrebbe rivelare un rapido deterioramento delle condizioni di salute della popolazione di Ricci di mare in un ecosistema costiero.

Circa il 30% della CO2 antropogenica è stato assorbito dalla superficie dei mari e degli oceani e a ciò consegue l’alterazione della composizione chimica dell’acqua marina. Dall’inizio dell’era industriale, il pH degli oceani si è abbassato di circa 0.1-0.15 unità e questo calo corrisponde ad un aumento in concentrazione di circa il 30% di ioni idrogeno e quindi ad un forte aumento dell’acidità dell’acqua. Se non verranno apportate sostanziali restrizioni delle emissioni, la concentrazione di CO2atmosferica potrebbe arrivare attorno alle 450 parti per milione (ppm) entro il 2100. Oggi siamo arrivati al valore di 410 ppm, partendo da 280 ppm dell’era pre-industriale. Si prevede che gli oceani saranno progressivamente più acidi ed il loro pH si abbasserà di 0.4 unità entro il 2100, passando da circa 8.1 a circa 7.7.

I Ricci di mare sono considerati una specie “modello” per lo studio dei cambiamenti climatici, anche perché hanno una funzione fondamentale per gli ecosistemi marini. Sono moltissime le ricerche che analizzano l’effetto antropico su questa specie e tutti mostrano impatti molto forti: si va da anomalie della crescita delle larve a ritardi nello sviluppo.

caldo record

Il 3 luglio il giorno più caldo per la Terra: temperatura media di 17°C

Lunedì è stato il giorno più caldo mai misurato a livello globale, superando per la prima volta la media di 17°C, secondo le prime misurazioni effettuate da un’organizzazione meteorologica statunitense. La temperatura media giornaliera dell’aria sulla superficie del pianeta il 3 luglio è stata misurata a 17,01°C da un’organizzazione collegata alla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) statunitense. Questa misurazione supera il precedente record giornaliero (16,92°C) stabilito il 24 luglio 2022, secondo i dati dei National Centers for Environmental Prediction della NOAA che risalgono al 1979.

La temperatura dell’aria, che oscilla tra una media di circa 12°C e 17°C al giorno nel corso dell’anno, ha registrato una media di 16,20°C all’inizio di luglio tra il 1979 e il 2000. Questo record, che non è ancora stato confermato da altre misurazioni, potrebbe presto essere battuto poiché l’emisfero settentrionale inizia la stagione estiva e la temperatura media globale continua generalmente a salire fino alla fine di luglio/inizio agosto. Già all’inizio di giugno, le temperature medie globali erano le più calde mai registrate per questo periodo dal servizio europeo Copernicus, battendo i record precedenti con un “margine sostanziale”.

Queste osservazioni sono un probabile anticipo del fenomeno El Niño – generalmente associato a un aumento delle temperature globali – unito agli effetti del riscaldamento globale causato dall’attività umana. L’8 giugno, la Noaa ha annunciato l’arrivo ufficiale di El Niño, affermando che “potrebbe portare a nuovi record di temperatura” in alcune regioni.
A giugno sono stati battuti diversi record in Asia e il Regno Unito ha registrato il giugno più caldo mai registrato, mentre il Messico è stato colpito da un’ondata di caldo estremo. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo, l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite), c’è una probabilità del 66% che la temperatura media globale annuale vicino alla superficie superi temporaneamente i livelli preindustriali di oltre 1,5°C per almeno un anno tra il 2023 e il 2027. Il 2022 è stato l’ottavo anno consecutivo in cui le temperature globali annuali hanno superato di almeno 1 grado i livelli osservati tra il 1850 e il 1900.

caldo record

Copernicus: Aprile 2023 il quarto più caldo della storia nel mondo

Aprile 2023 è stato il quarto aprile più caldo a livello globale, con Spagna e Portogallo che hanno addirittura registrato le temperature più alte di sempre, mentre l’estensione del ghiaccio marino antartico è ben al di sotto della media, con un -19%, al terzo posto nella classifica dei dati satellitari di aprile. La drammatica situazione mondiale è evidenziata dal bollettino climatico mensile del Copernicus Climate Change Service (C3S).

Temperature più fredde della media solo in una fascia che va dal Regno Unito all’Europa sudorientale e in Alaska, Mongolia, Penisola Arabica, India e Australia, mentre aprile è stato ben più caldo della media in alcune parti dell’Africa, nell’Asia centrale intorno al Mar Caspio, nel sud-est asiatico e in Giappone, e nel nord America. Secondo Samantha Burgess, vicedirettore del C3S, “ad aprile si sono registrate temperature eccezionalmente calde in Spagna e Portogallo, accompagnate da condizioni di estrema siccità. Oltre all’ondata di calore nell’Europa meridionale, sono state osservate temperature superiori alla media nel Pacifico orientale equatoriale, un segnale precoce di una potenziale transizione verso le condizioni di El Niño, che spesso portano a temperature globali più calde“.

L’estensione del ghiaccio marino antartico a aprile è rimasta ben al di sotto della media, con un -19%, al terzo posto nella classifica dei dati satellitari di aprile. Le concentrazioni di ghiaccio marino sono state molto al di sotto della media in tutti i settori dell’Oceano Meridionale, tranne che nell’Amundsen e nella parte adiacente del Mare di Ross. L’estensione del ghiaccio marino artico è stata del 3% al di sotto della media, collocandosi al 10° posto tra i valori più bassi del mese di aprile registrati dai dati satellitari. Le concentrazioni di ghiaccio marino al di sotto della media hanno prevalso nella maggior parte dei settori dell’Oceano Artico, ad eccezione del Mare di Groenlandia, dove erano ben al di sopra della media, come nel mese precedente.

Aprile 2023 è stato più umido della media in un’ampia regione da ovest a est, dall’Irlanda, il Regno Unito e la Francia, attraverso l’Europa centrale fino alla penisola italiana, i Balcani e il Mar Nero. Condizioni eccezionalmente secche sono state registrate nella penisola iberica, a sud delle Alpi e nelle regioni della Francia mediterranea. Altre regioni più secche della media includono la Scandinavia nord-occidentale, i Paesi baltici e gran parte della Russia occidentale. Al di là dell’Europa, nell’aprile 2023 è stato più secco della media in gran parte degli Stati Uniti, in un’ampia regione della Russia occidentale, a est del Mar Caspio e nel sud-est asiatico extratropicale. Altre regioni più secche della media includono il Corno d’Africa, la maggior parte dell’Africa meridionale, l’Argentina e parti del Brasile. Condizioni più umide della media sono state registrate negli Stati Uniti sudorientali, nelle regioni dell’Asia orientale, nell’Australia nordoccidentale e in Tanzania.

Blitz Ultima generazione a Roma: a petto nudo bloccano via del Tritone

A seno e a petto nudo in strada. E’ l’ultima azione di Ultima Generazione questa mattina a Roma, in via del Tritone al semaforo di piazza Barberini, dove sette persone aderenti alla campagna ‘Non paghiamo il fossile’ hanno bloccato la strada e si sono tolte la maglia restando a torso nudo, mentre un’altra si è denudata completamente. Dopo pochi minuti di blocco, sono arrivate sul posto le Forze dell’ordine, che in poco tempo hanno portato via i presenti. Il blitz, spiegano gli attivisti, “per denunciare l’oscenità del Governo, che continua ad assistere imperturbabile alla morte dei propri cittadini a causa di eventi meteorologici estremi e ad alimentarne la causa, foraggiando senza scrupoli l’industria del fossile”.

Diranno forse che siamo oscene. Ma io mi chiedo. Siamo oscene? Osceno è quello che è successo ieri in Emilia Romagna e il Governo, che sa che questi eventi estremi continueranno a succedere e, nonostante ciò, continua a investire nelle fonti fossili“, ha dichiarato Eos.

Legati assieme con delle catene, i giovani si sono seduti a terra semi nudi sulle strisce perdonali.

Ultima Generazione: “Partita repressione con dl e inchieste ma non ci fermeremo”

Eco-vandali. Eco-terroristi. Accusati, in un’inchiesta della procura di Padova, di associazione a delinquere. Così sono definiti gli attivisti di Ultima generazione, collettivo ambientalista famoso per i blocchi stradali e gli imbrattamenti con vernice lavabile di opere d’arte o monumenti. “Siamo consci che ogni volta che si decide in questo modo, questo scontenti qualcuno. Ma come Ultima generazione riteniamo che il nostro agire sia l’unico necessario e il più sensato per ottenere un risultato”, ha spiegato a GEA l‘attivista Giovanni Romano, commentando l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del cosiddetto dl beni culturali che inasprisce le pene per chi imbratta o deturpa beni architettonici o paesaggistici. Nel mirino del governo ci sono proprio gli attivisti ambientalisti, in particolare quelli di Ultima generazione, che il primo aprile hanno ‘colorato’ di nero la Barcaccia di piazza di Spagna, a Roma, versando del carbone vegetale nella fontana, per denunciare l’emergenza climatica e energetica. Un blitz parte della campagna ‘Non paghiamo il fossile‘, uno dei tanti che il movimento organizza periodicamente. “Non ci fermeremo e non cambieremo le nostre azioni” anche alla luce del dl, ha aggiunto Giovanni. “Siamo non violenti, e ciò che orienta il nostro agire non è determinato da come il governo o le istituzioni possano reagire. A meno che, ovviamente, non inizino ad ascoltarci”.

Ma dopo la vernice e i placcaggi è arrivata in questi giorni anche una inchiesta penale. Le azioni degli attivisti sono infatti al centro di un’indagine aperta dalla procura di Padova: rinviate a giudizio risultano 12 persone legate a Ultima Generazione, di cui 5 accusate di associazione a delinquere. “Un aumento della repressione ce lo aspettavamo, soprattutto nel momento in cui il consenso nei nostri confronti aumenta esponenzialmente: le persone capiscono che siamo cittadini comuni, non abbiamo nessun interesse particolare, se non quello di tornare alle nostre vite, ma con uno Stato che ci protegga e che sappia affrontare l’emergenza in cui ci troviamo”, si legge in una nota ufficiale del movimento. Ma, come ha spiegato Giovanni, fermo restando la libera azione della magistratura, le accuse contestate “risultano spropositate e quantomeno contradditorie: se noi veniamo indagati per associazione a delinquere si fa fatica a comprendere come, per assurdo, non lo sia tutto l’arco parlamentare che da decenni asseconda politiche, o peggio l’inazione sul clima, dei vari governi, palesemente anticostituzionali”. Nel dettaglio, “l’articolo 2 della nostra Costituzione infatti recita che ‘La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…’. Impedire il diffondersi degli effetti di una crisi climatica già in atto non rappresenta un nostro diritto? Non dovrebbero essere le istituzioni a garantirlo?”. Di fatto, continuano a ricordare gli attivisti, “la crisi climatica è già in atto, e a poco servono le obiezioni sul fatto che si tratta di una crisi complessa che va gestita in modo globale. Il punto è che c’è un’unica via, e non è di certo quella di finanziare le multinazionali del gas e del petrolio. E rimandare serve solo ad aggravare la situazione”.

D’altra parte, per il governo, era necessaria una risposta alle azioni ritenute ‘vandaliche’. Risposta che, come ha precisato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, è stata “molto rapida, pronta e anche efficace“. “In Consiglio dei ministri abbiamo portato una proposta che stabilisce di introdurre anche una sanzione di tipo pecuniario” che dovrà essere utilizzata per “ripristinare lo stato dei luoghi. Le sanzioni amministrative possono arrivare fino a 60 mila euro ma già far pagare queste cifre è importante. Ci siamo ispirati a una questione di buon senso: chi rompe paga, fermo restando la parte penale e di risarcimento del danno” ha aggiunto. Ma, hanno precisato da Ultima generazione,mentre passa in sordina il condono ai grandi evasori fiscali, il governo vara decreti violenti e repressivi a danno delle famiglie arcobaleno, delle aggregazioni sociali come rave e occupazioni, delle trasformazioni linguistiche che spaventano il sovranismo. Una politica della distrazione di massa, per la quale ci rimettono i cittadini comuni, da quelli che vogliono esprimere il proprio dissenso, a quelli che semplicemente vorrebbero pagare meno tasse”. Secondo un’avvocata legata al collettivo, il dl del governo risulta essere “un atto palesemente intimidatorio” ma anche “altrettanto palesemente, incostituzionale“. “Se il Governo – ha spiegato – dovesse decidere di andare avanti su questa strada, sarebbe una scelta sbagliata, sia dal punto di vista culturale che della politica del diritto: le norme per la tutela del nostro patrimonio artistico ci sono, sono numerose e sono state aggiornate nel 2022. Si potrebbe, anzi, dire che, come quelle che tutelano l’ambiente, sono meno utilizzate di quando dovrebbero, pure a fronte di illeciti reali e gravissimi”.

Sud Sudan - giacinto - Bentiu

Sud Sudan, dal giacinto d’acqua nuova fonte di energia sostenibile

Nel Sud Sudan devastato dalle inondazioni e dal cambiamento climatico, dove non arriva la natura, l’istinto di sopravvivenza prende il sopravvento. Roda Nyawuy è madre di sette figli e vive a Bentiu, città del nord tra le più colpite dalle piogge devastanti. E’ suo il compito di raccogliere legna da ardere, necessaria a cucinare e a scaldare l’acqua. E per farlo è costretta a guadare acque torbide, senza sapere cosa ci sia sotto la superficie. “Probabilmente serpenti e piante piena di spine”, racconta, “ma non possiamo permetterci né gas né carbone”. E legna asciutta non se ne trova più. Così, la donna, ha trovato una soluzione sicuramente innovativa, grazie a un’erba spontanea che cresce abbondantemente nella zona. A prima vista i bricchetti che ardono nella stufa assomigliano al carbone venduto al mercato di Bentiu, ma non derivano dal legno. Sono fatti di giacinto d’acqua, una pianta galleggiante invasiva a a crescita rapida che ha prosperato nel Sud Sudan negli ultimi quattro anni a causa delle inondazioni. E’ ricca di biomassa, un materiale organico che produce energia e che può essere utilizzato come combustibile sostenibile ed economico per le necessità domestiche.

A Bentiu il cambiamento climatico sta ridisegnando il paesaggio e il giacinto d’acqua si sta diffondendo a perdita d’occhio, ricoprendo di macchie di verde la pianura allagata. Quella che è considerata un’erbaccia invasiva nel resto del mondo qui sta aiutando le donne a far sopravvivere le loro famiglie. Il difficile e pericoloso compito di raccogliere legna da ardere, infatti, ricade su donne e ragazze, che devono avventurarsi su lunghe distanze per trovarla. Lontane dagli argini di terra che proteggono la città dalle inondazioni, sono spesso vittime di aggressioni e violenze sessuali. Il giacinto, invece, viene raccolto in modo rapido e sicuro dalle rive utilizzando lunghi rastrelli, prima di essere essiccato al sole. I gambi vengono posti in un tamburo di metallo sigillato e cotti sul fuoco per circa 20 minuti, quindi mescolati con acqua fino a diventare una pasta nera da modellare in piccoli bricchetti. Un procedimento che non richiede formazione o attrezzature specifiche.

Non è come produrre carbone, che può richiedere tre mesi”, spiega Simon Riak, che sovrintende all’iniziativa finanziata dal Programma Alimentare Mondiale (WFP). Il carbone della varietà ampiamente utilizzata nei Paesi in via di sviluppo viene prodotto riscaldando lentamente la legna nei forni di terra. Ma questo processo richiede grandi quantità di materia prima, fattore che incide pesantemente nella deforestazione. Il legno è scarso e difficile da trovare, anche perché gli alberi marciscono nell’acqua.
I prezzi del carbone sono raddoppiati in appena un anno a Bentiu mettendo a dura prova la popolazione locale, che sta già lottando per ottenere i beni di prima necessità. Alla fine, i bricchetti di giacinto potrebbero essere venduti a metà del prezzo del carbone e fornire reddito ai piccoli produttori. Circa 300 persone, per lo più donne, hanno già avviato questa attività. Di fronte allo scetticismo, vengono organizzate manifestazioni pubbliche. Venditori di tè lungo la strada e ristoratori sono stati invitati a testare l’efficacia delle bricchette. “È una sorpresa per la maggior parte delle persone. Non sanno che il giacinto d’acqua può essere usato in questo modo”, afferma Riak
Gli esperti stimano che le inondazioni intorno a Bentiu potrebbero richiedere anni o addirittura decenni per placarsi. “Ne ho parlato con i miei vicini. Sono pronti a vedere come si fa e come lo usiamo“, assicura Roda Nyawuy. “Quelli di noi che imparano a fare questi bricchetti avranno un vantaggio“, conclude.

 

 

Photocredit: Afp

svalbard - cnr

Salvare la ‘memoria’ del ghiacciaio Artico prima che si sciolga: la spedizione alle Svalbard

Un gruppo internazionale di scienziati ha raggiunto il 1° aprile 2023 il ghiacciaio Holtedahlfonna, nell’arcipelago delle Svalbard, iniziando la preparazione di un campo remoto a 1.100 metri di quota nell’Artico (latitudine 79,15 Nord). Obiettivo: raccogliere secoli di dati climatici e ambientali prima che scompaiano sotto l’effetto del riscaldamento globale. La spedizione è guidata dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) e coinvolge scienziati del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (Cnrs), dell’Istituto polare norvegese, dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’Università degli Studi di Perugia.

Nel dettaglio, l’obiettivo scientifico è raccogliere due carote di ghiaccio di 125 metri ciascuna per comprendere meglio il fenomeno della ‘amplificazione artica’ ovvero del fenomeno dovuto alla riduzione della copertura del ghiaccio marino che ha tra le sue conseguenze il riscaldamento dell’oceano. Questi effetti a catena hanno un impatto sul riscaldamento dell’Artico, anomalo rispetto alle medie globali. Grazie alla collaborazione con la Ice Memory Foundation, una carota di ghiaccio sarà conservata per i secoli a venire nell’apposito ‘Ice Memory Sanctuary’ in Antartide. Le future generazioni di scienziati avranno così accesso a una carota di ghiaccio di alta qualità per studiare il clima passato del nostro pianeta e anticipare i cambiamenti futuri, anche molto tempo dopo la scomparsa dei ghiacciai a causa del riscaldamento globale.

“I ghiacciai alle alte latitudini, come quelli dell’Artico, hanno iniziato a fondersi ad un ritmo elevato. Vogliamo recuperare e preservare, per le future generazioni di scienziati, questi straordinari archivi del clima del nostro Pianeta prima che tutte le informazioni che contengono vadano completamente perdute“, spiega Carlo Barbante, paleoclimatologo, direttore dell’Istituto di scienze polari del Cnr, professore all’Università Ca’ Foscari Venezia e vicepresidente della Ice Memory Foundation. L’arcipelago delle Svalbard, la terra più settentrionale d’Europa, ha subito alcuni dei più gravi aumenti di temperatura degli ultimi decenni. Secondo studi recenti, la temperatura è aumentata di 4-5°C negli ultimi 40-50 anni. Il gruppo internazionale di scienziati che studia le complesse dinamiche di questa “amplificazione artica” è al lavoro sull’Holtedahlfonna, sull’isola di Spitsbergen. Il team sta installando il campo base e domani inizierà la perforazione con l’obiettivo di estrarre due carote di ghiaccio: una per la scienza di oggi, l’altra per le generazioni future.

I dati contenuti nei ghiacciai delle Svalbard sono infatti seriamente minacciati dal cambiamento climatico. L’obiettivo è aumentare la comprensione scientifica della ‘amplificazione artica’. “Miriamo a determinare il ruolo del ghiaccio marino nell’amplificazione artica e il suo impatto sull’atmosfera, in particolare sui processi chimici del bromo e del mercurio. I dati ottenuti saranno confrontati con i dati satellitari sull’estensione del ghiaccio marino e con le misure di accumulo della neve. Inoltre, i modelli di trasporto atmosferico saranno utilizzati per stabilire le possibili aree di provenienza delle due specie chimiche”, spiega Andrea Spolaor, glaciologo e geochimico dell’Istituto di scienze polari del Cnr e capo spedizione alle Svalbard. Gli scienziati di questa spedizione hanno unito le forze con la Ice Memory Foundation per raccogliere una carota di ghiaccio che sarà conservata, insieme a molte altre provenienti da ghiacciai a rischio in tutto il mondo, per i secoli a venire in un apposito santuario della memoria del ghiaccio in Antartide. Le future generazioni di scienziati dotate di nuove tecnologie e nuove idee di ricerca potranno così continuare a studiare gli archivi di informazioni sul clima e l’ambiente contenute nelle carote di ghiaccio. Le precedenti carote di ghiaccio estratte nello stesso sito hanno fornito registrazioni dettagliate delle condizioni climatiche del passato, tra cui temperatura, precipitazioni e composizione atmosferica. Tuttavia, gli scienziati stanno attualmente indagando se e come la recente accelerazione degli aumenti di temperatura abbia già avuto un impatto sulla qualità dei segnali climatici e ambientali. I risultati preliminari suggeriscono l’urgenza di raccogliere una carota di ghiaccio da preservare. Gli scienziati opereranno per circa 20 giorni a un’altitudine di 1.100 metri, affrontando temperature che possono raggiungere i -25 gradi.

Il sito di perforazione di Holtedahlfonna si trova su un “ice field”, ovvero un’interconnessione di più ghiacciai, relativamente accessibile nell’arcipelago, grazie alla sua vicinanza a Ny-Ålesund, la stazione di ricerca più settentrionale del mondo, attiva tutto l’anno. Gli scienziati intendono raggiungere una profondità di circa 125 metri nel ghiacciaio e ricostruire i segnali climatici degli ultimi 300 anni. È previsto che una delle carote di ghiaccio di Holtedahlfonna venga conservata in una grotta di neve dedicata presso la Stazione franco-italiana Concordia in Antartide entro il 2024-2025. Gestito congiuntamente dall’Istituto polare francese e dal Programma nazionale di ricerche in Antartide (Pnra), tale archivio consentirà di conservare naturalmente le carote di ghiaccio a -50°C. Garantirà la conservazione a lungo termine, proteggendo così i preziosi campioni dai rischi di interruzione della refrigerazione che potrebbero accadere se venissero stoccati nei congelatori commerciali in Europa (ad esempio, problemi tecnici, crisi economica ed energetica, conflitti, ecc.). Le carote di ghiaccio saranno conservate per un periodo di tempo indefinito, nel pieno rispetto del Protocollo di Madrid per la protezione ambientale dell’Antartide. Grazie al ‘santuario dei ghiacci’ della Fondazione Ice Memory, le prossime generazioni di scienziati avranno accesso a carote di ghiaccio di alta qualità per portare avanti ricerche sull’ambiente e sul clima globale. “Il bello dell’iniziativa Ice Memory non è produrre un valore aggiunto in termini di conoscenza odierna, ma creare le condizioni che permetteranno a chi verrà dopo di noi di produrlo”, sottolinea Jérôme Chappellaz, scienziato del clima e presidente della Fondazione Ice Memory. Il patrimonio della Memoria dei Ghiacci – estratto da circa 20 ghiacciai in 20 anni – è destinato a diventare un bene comune dell’umanità e sarà conservato in futuro sotto una governance internazionale.