Squadra von der Leyen 2 fatta: Entra FdI, escono i Verdi. Voto finale mercoledì

La squadra di Ursula von der Leyen è pronta e può presentarsi alla plenaria del Parlamento europeo il 27 novembre, alle 12, per incassare l’approvazione definitiva ed entrare in funzione il primo dicembre. Dopo oltre una settimana di stallo, e la giornata di ieri incastrata tra veti, litigi e sospensioni alle procedure di voto fino alle 23, oggi commissari e vice presidenti hanno nomi e competenze confermati dagli eurodeputati e la maggioranza a sostegno del collegio adotta confini diversi da quelli che, a luglio, rielessero la presidente tedesca uscente: escono i 4 eurodeputati Verdi italiani ed entra Fratelli d’Italia.

Mercoledì è andato in scena un ping-pong tra Socialisti (S&D) e Popolari (Ppe). I due campi di gioco sono stati i nomi di Teresa Ribera e di Raffaele Fitto come vicepresidenti. Alla fine, entrambi sono stati approvati, diventando colleghi e riassemblando due pezzi grandi della maggioranza, ma l’equilibrio è sottile e il nuovo esecutivo Ue parte su premesse di non fiducia tra i gruppi politici. Tutto ciò è emerso velocemente: alle 17 i tre leader di S&D, Ppe e liberali di Renew Europe confermano l’accordo, ma alle 19 i meccanismi stabiliti – linee guida politiche di von der Leyen di luglio e ‘logica a pacchetto’ per il voto sui sei i vice presidenti esecutivi e sul commissario ungherese Oliver Varhelyi – si inceppano nelle riunioni dei coordinatori delle commissioni che dovevano promuovere i candidati. Risultato: riunioni interrotte. L’incaglio – dopo il voto a Varhelyi, a cui vengono ridotte le competenze – parte dalla richiesta di popolari e conservatori di mettere nero su bianco le dimissioni di Ribera in caso di ‘indagini’ per le conseguenze e i morti della Dana a Valencia. Un linguaggio rifiutato da socialisti, liberali e verdi che fa esplodere il litigio che sospende la riunione e, di riflesso, blocca anche la valutazione di Fitto. Il balletto caotico si conclude solo poco prima delle 23 e, in entrambi i casi, le lettere di valutazione che accompagnano il via libera ai candidati vengono integrate da un allegato: il Parlamento chiede alla spagnola “un impegno chiaro e inequivocabile” a dimettersi in caso di procedimenti legali nei suoi confronti “che potrebbero compromettere l’integrità del collegio”; l’italiano dovrà essere invece “completamente indipendente dal suo governo nazionale come richiesto dai Trattati e pienamente impegnato ad applicare il meccanismo di condizionalità dello Stato di diritto e a lavorare al rafforzamento dello Stato di diritto nell’Unione”.

Ma se i grandi gruppi hanno provato a finire in pareggio, per gli altri si tratta di entrare o uscire dai giochi. Subito dopo il voto, il capo delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, Carlo Fidanza, ha parlato di “risultato storico” e il co-presidente di Ecr, Nicola Procaccini, ha affermato: “Siamo orientati a votare favorevolmente” alla Commissione. Oggi, il capo delegazione del Pd, Nicola Zingaretti, si è detto “fiducioso” che gli eurodeputati dem voteranno sì al von der Leyen 2 e ha rivendicato l’impegno “per far partire la legislatura” ed “evitare che anche l’Europa cada nelle mani dell’estremismo di destra“. Delusi i Verdi: il gruppo deciderà la linea lunedì prossimo, ma la delegazione italiana, che a luglio aveva sostenuto von der Leyen, ha dichiarato già il suo No. Il M5S con l’eurodeputata Valentina Palmisano ha definito “farsa” l’accordo tra i 3 gruppi e ha denunciato la “virata a destra della Commissione europea“. Congratulazioni a Fitto sono arrivate dall’eurodeputato Salvatore De Meo di Forza Italia, mentre il capo delegazione della Lega, Paolo Borchia, ha spiegato che il Carroccio voterà contro una Commissione “di qualità e competenze basse“. Ma ciò “non pone alcun problema” all’interno del governo italiano, anche se “c’erano i numeri per fare altre scelte“.

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Dal Green Deal al ‘Fit for 55’, i piani Ue per decarbonizzare l’economia

Una tabella di marcia, ma anche e soprattutto una strategia di crescita economica a emissioni zero. Nel 2019 la Commissione europea da poco insediata a Palazzo Berlaymont ha presentato il Green Deal, il Patto verde per l’Europa fissando l’impegno a non generare più nuove emissioni nette di gas a effetto serra dal 2050 e a dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse. Da lì, la Commissione ha adottato una serie di proposte per trasformare in maniera più o meno radicale le politiche europee in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità in modo da ridurre l’impatto dell’economia europea sul clima e sulla generazione delle emissioni. Nel 2021 è arrivata la prima Legge (europea, ma anche globale) sul clima che per la prima volta ha reso giuridicamente vincolante l’obiettivo di raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050 e di tagliare le emissioni del 55% (rispetto ai livelli registrati nel 1990) entro il 2030, come tappa intermedia per la neutralità climatica. Il tema sarà fra quelli affrontati il 30 maggio a Roma durante l’evento ‘L’energia per l’Italia e l’Ue: le fonti e le regole del mercato energetico’, organizzato da Withub con la direzione editoriale di GEA ed Eunews, durante il panel L’impatto delle normative Ue sull’economia: come realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione senza mettere in crisi l’industria’.

L’accordo in Ue sulla prima Legge climatica ha impegnato tra le altre cose Bruxelles a stabilire un nuovo obiettivo climatico intermedio anche per il 2040 (da fissare nei prossimi anni) e un bilancio indicativo previsto per i gas a effetto serra dell’Unione per il periodo 2030-2050, ovvero quante emissioni nette di gas serra possono essere emesse in quell’arco temporale senza mettere a rischio gli impegni dell’Unione. Sono tutti impegni a cui l’esecutivo comunitario lavora in questo momento, agli sgoccioli dell’attuale legislatura. A luglio 2021 è arrivato l’ambizioso pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, che letteralmente significa ‘pronti per il 55’, in riferimento all’obiettivo climatico per il 2030. Una tabella di marcia per arrivare al 2030 con il 55% di emissioni in meno (ottimisticamente, arrivare anche al 57%) attraverso una serie di iniziative legislative presentate da Bruxelles per rivoluzionare la politica energetica e climatica dell’Unione europea, tra cui la revisione delle direttive energie rinnovabili ed efficienza energetica (entrambe del 2018), l’introduzione di un’innovativa tassa sul carbonio alle frontiere sulle emissioni importate, ma anche la revisione del mercato del carbonio interno all’Ue.

Quasi due anni dopo la sua presentazione da parte della Commissione e a un anno dalla fine della legislatura nel 2024, i co-legislatori europei (Parlamento e Consiglio) hanno già raggiunto accordi politici su una buona parte dei principali dossier legislativi del pacchetto. Uniti negli intenti della transizione energetica, gli Stati membri spesso non si trovano d’accordo su come realizzarla concretamente, temendo ricadute sul tessuto sociale ma anche industriale. Ne è stato un esempio lo stallo dei mesi scorsi sul dossier che riguarda le emissioni delle auto, che tra le altre cose prevede lo stop alla vendita di motori tradizionali a combustione (come diesel e benzina) dal 2035. La misura è stata contestata anche in Italia, che ha chiesto (senza ottenerla) una apertura alla Commissione europea per immatricolare dopo il 2035 motori alimentati da biocarburanti, di cui il Paese è produttore.

Timori per le ripercussioni sociali sono stati sollevati anche per quanto riguarda il maxi pacchetto di revisione del mercato europeo del carbonio, che comprende la riduzione progressiva delle quote gratuite per l’industria e l’estensione anche ai carburanti per i trasporti su strada e per gli edifici. Per compensare il costo sociale di questa transizione che rischia di essere contesta nei Paesi membri una volta che la rivoluzione sarà attuata, tra le tredici proposte del pacchetto Bruxelles ha lavorato per introdurre il Fondo sociale per il clima, uno strumento finanziario compensatorio che mobiliterà 86,7 miliardi di euro tra 2026 e 2032 ed è stato introdotto letteralmente all’ultimo minuto, con l’idea di compensare i costi aggiuntivi della transizione per i più vulnerabili. Il fondo è chiaramente un modo della Commissione per contrastare le critiche (che comunque non mancheranno), contro chi già preannuncia rivolte politiche e sociali alla stregua dei gilet gialli francesi che a partire dal 2018 occuparono le strade di centinaia di città francesi per protestare contro le nuove tasse imposte da Macron che avrebbero fatto aumentare il prezzo del gasolio e della benzina.