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E’ la Giornata mondiale contro la desertificazione e la siccità: obiettivo ripristino natura

Ripristinare 1,5 miliardi di ettari di terreni degradati e dare impulso a un’economia di ripristino dei terreni da mille miliardi di dollari entro il 2030. E’ l’obiettivo della Giornata mondiale contro la desertificazione e la siccità che si svolge il 17 giugno. Il tema scelto quest’anno è ‘Ripristinare la terra. Sbloccare le opportunità’ e mette in luce come il ripristino del fondamento della natura, la terra, possa creare posti di lavoro, aumentare la sicurezza alimentare e idrica, sostenere l’azione per il clima e costruire resilienza economica.

La Giornata mondiale contro la desertificazione e la siccità, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1994, ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere soluzioni alla desertificazione, al degrado del suolo e alla siccità. Gli eventi si svolgono in tutto il mondo, ma quello di commemorazione globale del 2025 sarà ospitato dal governo della Colombia. Le precedenti celebrazioni sono state ospitate da Germania (2024), Stati Uniti (2023), Spagna (2022), Costa Rica (2021), Repubblica di Corea (2020), Turchia (2019), Ecuador (2018) e Burkina Faso (2017).

Oltre la metà del Pil globale dipende da ecosistemi sani. Eppure, ogni anno, un’area delle dimensioni dell’Egitto si degrada, causando la perdita di biodiversità, aumentando il rischio di siccità e costringendo intere comunità a spostarsi. Gli effetti a catena sono globali: dall’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari all’instabilità e alle migrazioni.

Il ripristino del territorio capovolge la situazione: ogni dollaro investito genera un ritorno economico da 7 a 30 dollari. Rivitalizzare il territorio ripristina la produttività, rafforza i cicli dell’acqua e sostiene milioni di mezzi di sussistenza rurali. “Il degrado del suolo e la siccità sono gravi fattori di degrado per la nostra economia, la stabilità, la produzione alimentare, l’acqua e la qualità della vita”, ha dichiarato il segretario esecutivo dell’Unccd, Ibrahim Thiaw. “Il ripristino del suolo è la nostra opportunità per invertire queste minacce e creare nuove possibilità”.

Mentre ci avviciniamo al punto medio del Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino degli Ecosistemi (2021-2030), agire è più urgente che mai. Per raggiungere gli obiettivi globali, 1,5 miliardi di ettari devono essere ripristinati entro il 2030. Finora, 1 miliardo di ettari è stato promesso attraverso iniziative come la G20 Global Land Restoration Initiative e la Great Green Wall Initiative. Le ragioni finanziarie sono chiare, ma è necessario agire di conseguenza. Secondo il Meccanismo Globale dell’Unccd, il mondo dovrebbe investire 1 miliardo di dollari al giorno tra il 2025 e il 2030 per arrestare e invertire il degrado del suolo. Gli investimenti attuali sono insufficienti, attestandosi a 66 miliardi di dollari all’anno, e solo il 6% proviene dal settore privato. Dobbiamo aumentare l’ambizione e gli investimenti sia da parte dei governi che delle imprese. Ciò significa sbloccare nuove fonti di finanziamento, creare posti di lavoro dignitosi, abbracciare l’innovazione e sfruttare al meglio le conoscenze tradizionali.

“Esorto governi, imprese e comunità – è il messaggio del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres – a rispondere a questa chiamata e ad accelerare l’azione sui nostri impegni globali condivisi per un uso sostenibile del suolo. Dobbiamo invertire il degrado e incrementare i finanziamenti per il ripristino, anche sbloccando gli investimenti privati”.

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Cop16, Onu: “La siccità costa al mondo quasi 300 miliardi di euro all’anno”

La siccità costa al mondo quasi 300 miliardi di euro all’anno. E’ l’avvertimento lanciato dall’Onu durante la Cop16 sulla desertificazione, in un rapporto che chiede investimenti urgenti in soluzioni basate sulla natura come la riforestazione. Si prevede che la siccità, alimentata dai cambiamenti climatici e da una gestione non sostenibile delle risorse idriche e del suolo, colpirà il 75% della popolazione mondiale entro il 2050, si legge in un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato martedì e intitolato ‘The economics of drought: investing in nature-based solutions for drought resilience’. Il rapporto illustra come queste soluzioni basate sulla natura, come la “riforestazione” o la “gestione dei pascoli”, possano ridurre le perdite e aumentare i redditi agricoli, offrendo al contempo benefici climatici e ambientali.

Uno studio del 2020 pubblicato sulla rivista scientifica Global Change Biology ha concluso che “gli interventi basati sulla natura si rivelano il più delle volte altrettanto efficaci, o addirittura più efficaci” nel 59% dei casi, “rispetto ad altri interventi per combattere gli effetti del cambiamento climatico”.

L’anno 2024, che sarà quasi certamente il più caldo mai registrato sulla Terra, è stato segnato da diverse devastanti siccità nel Mediterraneo, in Ecuador, Brasile, Marocco, Namibia e Malawi, che hanno causato incendi e carenze idriche e alimentari. Il loro costo “va oltre le perdite agricole immediate, colpendo l’intera catena di approvvigionamento, riducendo il Prodotto interno lordo (PIL), incidendo sui mezzi di sussistenza e portando a problemi a lungo termine come la fame, la disoccupazione e la migrazione”, ha sottolineato Kaveh Madani, co-autore del rapporto e direttore dell’Istituto universitario delle Nazioni Unite per l’acqua, l’ambiente e la salute (UNU-INWEH).

Gestire la terra e le risorse idriche in modo sostenibile è essenziale per stimolare la crescita economica e rafforzare la resilienza delle comunità intrappolate in cicli di siccità”, ha dichiarato Andrea Meza, vice segretario esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD). La sua organizzazione sta guidando la Cop16, che si terrà questa settimana a Riyad, in Arabia Saudita. “In un momento in cui si sta discutendo di una decisione storica sulla siccità, il rapporto invita i leader mondiali a riconoscere i costi eccessivi ed evitabili della siccità e a utilizzare soluzioni proattive e basate sulla natura per garantire lo sviluppo umano entro i limiti del pianeta”, ha spiegato.

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Arabia Saudita ospiterà conferenza mondiale su desertificazione a dicembre

L’Arabia Saudita ospiterà la prossima settimana una conferenza mondiale sulla desertificazione, dimostrando il suo impegno nell’affrontare le sfide ambientali, nonostante le critiche sul ruolo del gigante petrolifero nella lotta al riscaldamento globale. La 16esima riunione delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD), in programma dal 2 al 13 dicembre a Riyad, è stata descritta dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres come un “momento decisivo” nella lotta contro la siccità e l’avanzata dei deserti. L’ultima conferenza, tenutasi in Costa d’Avorio nel 2022, ha portato all’impegno di “accelerare il ripristino di un miliardo di ettari di terreni degradati”, ossia di terreni la cui qualità è stata alterata da attività umane come l’inquinamento o la deforestazione, entro il 2030.

L’UNCCD, che riunisce 196 Paesi e l’Unione Europea, stima ora che 1,5 miliardi di ettari di terreni degradati devono essere ripristinati entro la fine del decennio. L’Arabia Saudita, che ospita uno dei più grandi deserti del mondo, si è posta l’obiettivo di ripristinare 40 milioni di ettari, ha dichiarato all’AFP il suo vice ministro dell’Ambiente, Osama Faqeeha, senza fornire un calendario.

Il regno del Golfo ha finora ripristinato 240.000 ettari, in particolare combattendo l’abbattimento illegale di alberi e aumentando il numero di parchi nazionali, che secondo Faqeeha sono passati da 19 nel 2016 a oltre 500. “Siamo esposti alla forma più grave di degrado del territorio, la desertificazione”, ha sottolineato il funzionario saudita.

I colloqui a Riyad si aprono dieci giorni dopo la fine della COP29 a Baku, in Azerbaigian, dove l’Arabia Saudita – il più grande esportatore di petrolio al mondo – è stata accusata di aver lavorato per evitare che i combustibili fossili fossero menzionati nell’accordo finale.

Questa conferenza sul cambiamento climatico ha portato alla promessa da parte dei Paesi ricchi di sbloccare 300 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima, ma il testo è stato ritenuto largamente insufficiente dai Paesi più poveri e più esposti al riscaldamento globale.
Alla COP16 sulla desertificazione, che si terrà a dicembre, la sfida è quella di raggiungere un consenso sulla necessità di accelerare il ripristino dei terreni degradati e di sviluppare un approccio ‘proattivo’ alla siccità, ha dichiarato all’AFP il Segretario esecutivo dell’UNCCD Ibrahim Thiaw. “Abbiamo già perso il 40% della nostra terra e del nostro suolo”, ha detto, evidenziando le conseguenze in termini di insicurezza alimentare e di migrazione. “La sicurezza globale è davvero in pericolo e lo vediamo in tutto il mondo. Non solo in Africa, non solo in Medio Oriente”, ha insistito Thiaw. “Se continuiamo a lasciare che la terra si degradi, subiremo perdite enormi”, ha avvertito anche il funzionario saudita Osama Faqeeha. “Il degrado della terra è ora un fenomeno importante che passa inosservato”, ha lamentato.

Mentre il regno del Golfo viene criticato per le emissioni generate dalla sua enorme produzione di petrolio, il fatto che sia esposto alla desertificazione potrebbe dargli maggiore credibilità nei negoziati di Ryad. A differenza del riscaldamento globale, a cui contribuisce chiaramente, “l’Arabia Saudita non contribuisce necessariamente in modo diretto al problema” della desertificazione, ha sottolineato Patrick Galey di Global Witness. Può, “con una certa legittimità, affermare di difendere le vittime”. Si prevede che migliaia di delegati parteciperanno alla COP16, tra cui quasi un centinaio di ministri, secondo il signor Thiaw.

Il Presidente francese Emmanuel Macron dovrebbe partecipare al One Water Summit, che si terrà in concomitanza con la conferenza il 3 dicembre. Le discussioni sulla desertificazione in genere attirano meno interesse di quelle sul cambiamento climatico o sulla biodiversità, ma i funzionari sauditi dicono di sperare in una forte partecipazione della società civile. “Abbiamo pianificato molti panel, eventi e padiglioni, in modo che tutte le parti interessate possano partecipare alla discussione in modo costruttivo”, ha detto Osama Faqeeha. Sebbene il sovrano de facto dell’Arabia Saudita, il Principe ereditario Mohammed bin Salmane, abbia avviato riforme volte ad attrarre turisti e investitori, è stato accusato dalle organizzazioni per i diritti umani di reprimere le voci critiche.

Crisi climatica e attività umana: Spagna in lotta contro la ‘desertificazione’

Suoli aridi, senza microrganismi, senza vita: in Spagna ripetute siccità e sovrasfruttamento industriale o agricolo fanno temere un’irreversibile progressione di “terre sterili“, capaci di trasformare l'”orto d’Europa” in un territorio inospitale. “La Spagna non diventerà un deserto, con dune come nel Sahara, è morfologicamente impossibile“, spiega Gabriel del Barrio, ricercatore presso la Stazione sperimentale delle zone aride (Eeza) ad Almeria, in Andalusia. Ma la desertificazione, segnata da un intenso “degrado del suolo”, non è meno “preoccupante”, insiste lo specialista della desertificazione.
Sul banco degli imputati: il riscaldamento globale, all’origine di un innalzamento delle temperature che favorisce l’evaporazione dell’acqua e il moltiplicarsi di incendi devastanti, ma anche e soprattutto l’attività umana – e in particolare l’agricoltura intensiva.
Nonostante il suo clima ultra-arido, la provincia di Almeria si è trasformata negli anni nell’orto d’Europa, sviluppando immense coltivazioni in serra: un’area conosciuta come il ‘mare di plastica’, da cui migliaia di tonnellate di pomodori, peperoni e cetrioli vengono prodotti sia d’inverno sia d’estate. Tuttavia, questi 40.000 ettari, irrigati grazie a una falda di diverse migliaia di anni, aggravano il problema “esaurendo le falde acquifere”, spiega Gabriel del Barrio.

Sebbene estremo, questo scenario non è un’eccezione in Spagna. Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione, il 75% del territorio spagnolo è ora soggetto a un clima che può portare alla desertificazione. Il che lo rende il paese europeo più colpito da questo problema. “Questo ci pone in una situazione complessa, dove la combinazione di temperature estreme, siccità e altri fattori aggrava il rischio di erosione, perdita di qualità del suolo”, ha avvertito di recente la ministra per la Transizione ecologica, Teresa Ribera. Secondo il Consiglio superiore spagnolo per la ricerca scientifica (Csic), da cui dipende Eeza, il degrado attivo del suolo è triplicato negli ultimi dieci anni. Un fenomeno tanto più problematico in quanto spesso “irreversibile a misura d’uomo”, insiste.

Incapacità del suolo di trattenere acqua e materia organica, di sostenere colture e bestiame… Per la Spagna, che ha fatto dell’agricoltura un pilastro economico, con quasi 60 miliardi di euro di esportazioni all’anno, questa situazione è motivo di preoccupazione. “L‘erosione del suolo è oggi il problema principale per la maggior parte degli agricoltori in Spagna“, ha affermato l’Unione dei piccoli agricoltori (UPA), parlando di una situazione “grave” che potrebbe avere un “costo economico” significativo.

In Andalusia, questa situazione ha convinto alcuni a rimboccarsi le maniche. “Dobbiamo agire al nostro livello quando possibile” e non “cedere al destino“, esorta Juan Antonio Merlos, proprietario di una fattoria di mandorle di 100 ettari sulle alture di Velez-Blanco, a nord dell’Almería. Con un pugno di allevatori riuniti all’interno dell’associazione AlVelAl, ha avviato nuove pratiche, dette “rigenerative”, rilevando tre anni fa l’azienda agricola dei suoi genitori, ora convertita al biologico. Sperando di “fermare l’erosione” in corso nella regione. Tra queste pratiche: l’uso del letame al posto dei concimi chimici, l’abbandono dei pesticidi “che uccidono gli insetti”, un uso limitato dell’aratura “che danneggia il suolo” e l’uso di coperture vegetali costituite da cereali e leguminose per conservare l’umidità quando la cadono rare piogge.
Al di là di queste nuove pratiche, le associazioni ambientaliste invocano, da parte loro, un cambio di modello, con una riduzione delle superfici irrigate e l’utilizzo di colture a minore intensità idrica. “Dobbiamo adattare le nostre richieste alle risorse effettivamente disponibili“, insiste il WWF.

Grande muraglia verde

In Africa la Grande Muraglia Verde contro la desertificazione

Un muro contro la desertificazione, gli effetti dei cambiamenti climatici e l’insicurezza alimentare. Oltre 8 mila chilometri che collegano il Senegal a Gibuti, passando per altri 18 Paesi delle regioni del Sahara, del Sahel e del Corno d’Africa, a costituire la Grande Muraglia Verde, l’iniziativa per affrontare le più urgenti minacce che incombono sul continente africano e – di conseguenza – su tutta la comunità globale: siccità, carestie, conflitti, migrazioni. Non è un caso se l’Unione Europea è tra i maggiori sostenitori e, attraverso la sua strategia globale per lo sviluppo di infrastrutture e interconnesioni sostenibili, è pronta a porre “un altro mattone nel muro verde“, con finanziamenti e sostegno economico.

Il progetto approvato dalla Conferenza dei capi di Stato e di governo della Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara nel giugno del 2005 in Burkina Faso – e nato ufficialmente due anni più tardi – si pone l’obiettivo di attraversare per il verso della larghezza l’intero continente africano, da ovest a est, ripristinando 100 milioni di ettari di terreno degradato, sequestrando 250 milioni di tonnellate di carbonio dai terreni e creando 10 milioni di posti di lavoro verdi nelle aree rurali entro la fine del decennio. Una volta completata, la Grande Muraglia Verde sarà “la più grande struttura vivente del pianeta, tre volte più estesa della Grande Barriera Corallina“, come si legge nella presentazione del progetto guidato dall’Unione Africana.

Nel suo sforzo di combattere cambiamenti climatici e desertificazione, la Grande Muraglia Verde contribuirà direttamente anche agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) 2030 delle Nazioni Unite. A 15 anni dal via libera, è stato completato circa il 15 per cento del progetto, con risultati tangibili in almeno 11 Paesi che hanno aderito, dalla Mauritania all’Etiopia, dal Mali al Sudan, passando dalla Nigeria, il Chad, il Niger e l’Eritrea. La barriera verde svolgerà anche un ruolo cruciale nel garantire al continente africano la sicurezza alimentare che oggi è stata messa ancora più a rischio dal blocco russo delle esportazioni di cereali dall’Ucraina. E su questo punto l’Unione Europea è toccata direttamente.

Oltre a mobilitare 600 milioni di euro per rafforzare la produzione locale nei Paesi vulnerabili, in aggiunta al pacchetto già annunciato di 3 miliardi di euro per la sicurezza alimentare globale, la Commissione Ue è pronta a mobilitare la sua strategia per le infrastrutture sostenibili Global Gateway per alzare il “baluardo contro l’insicurezza alimentare e il cambiamento climatico“. Lo ha messo in chiaro la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di apertura delle Giornate europee dello sviluppo 2022, spiegando che Bruxelles “aiuterà a completare il progetto di milioni di ettari per un’alimentazione sostenibile nel continente“, perché “la soluzione sul medio e lungo termine è la produzione e la resilienza in loco“.

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Possiamo scegliere tra desertificazione e benessere: chi ha dubbi?

Il primo Piano di Azione di lotta alla desertificazione venne varato dalle Nazioni Unite nel 1977. Nel 1997, il Governo italiano ha istituito il Comitato Nazionale per la Lotta alla siccità ed alla Desertificazione. Il 22 luglio 1999 sono state varate le Linee-Guida del Programma di Azione Nazionale di lotta alla siccità e desertificazione. In tutti questi anni, però, ai Governi (e non a questi organismi) è mancato qualcosa di molto importante: il coraggio e la volontà di fare scelte risolutive. Scelte che devono avere un unico obiettivo: ridurre la concentrazione di CO2 in atmosfera. E oggi ci ritroviamo, come ampiamente previsto, a vivere gravissime crisi idriche.

La siccità di questi giorni sta svelando uno spettacolo sconfortante e irritante allo stesso tempo. Non quello dei raccolti che rischiano la distruzione: quella è una realtà drammatica, non è uno spettacolo, non è sconfortante e neppure irritante. L’incredibile spettacolo a cui mi riferisco, che dovrebbe irritare tutti noi, è quello delle dichiarazioni sorprese, del tono emergenziale come se quanto sta accadendo fosse un evento totalmente inatteso. Dovrebbe irritarci ma anche farci riflettere sullo scarsissimo interesse mostrato da gran parte della popolazione per questi temi, gli unici davvero vitali.

Spiace per chi ha creduto agli speculatori che fino a ieri hanno negato l’evidenza e gridato al catastrofismo quando qualcuno parlava di gravi rischi, ma la scienza ci avverte da quasi 40 anni che la desertificazione avanza anche nel nostro Paese, anche nelle aree storicamente più ricche d’acqua. Quella straordinaria risorsa di biodiversità, di acqua e di materie prime che sono le Alpi soffre da decenni lo scioglimento dei ghiacciai e l’estinzione di specie: segnali chiarissimi di un’evoluzione catastrofica (e non catastrofista) della situazione. Quando si parla di ghiacciai che si sciolgono, si parla della nostra vita futura – agricoltura, manifattura, turismo – che svanisce, anche nelle pianure circostanti. E cosa succede alle aree del Sud già storicamente colpite dalla carenza d’acqua? In questi giorni l’invasione di cavallette nel Nuorese ci fornisce un altro esempio di fenomeni che hanno conseguenze gravissime, ma che solo gli stolti possono definire imprevisti o emergenze.

Non dobbiamo più tollerare le risposte supponenti di chi non ha fato nulla sino ad oggi, di coloro che addirittura hanno negato e pretendono di proporre nuovamente ricette farlocche, inconcludenti, dilatorie. Le necessità sono chiare: non sono soltanto ristori per chi è colpito con la perdita dei raccolti. Dobbiamo ridurre la concentrazione di CO2 presente nell’atmosfera perché restando con la concentrazione attuale (siamo arrivati a oltre 400 parti per milione, i record precedenti quasi 1000 anni fa erano di 284) staremo sempre peggio. Molto semplicemente.

Dobbiamo farlo in maniera massiccia e farlo più in fretta possibile. Invece, ci tocca sentire penose litanie sul fatto che trasformare la mobilità privata entro il 2035 metterebbe a rischio la nostra economia. O che investire sulle risorse rinnovabili sia poco conveniente: cosa c’è di più conveniente della vita?

Dobbiamo chiederci: nel 2035, proseguendo di questo passo, quante industrie potranno ancora esistere nel nostro Paese, senza acqua? Che agricoltura potremo ancora proporre? Che turismo? Quindi: che lavoro potrà esistere, quale benessere? Un po’ di coraggio, un po’ di ambizione, un po’ di ottimismo: facciamo la rivoluzione ecologica!

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Africa a rischio desertificazione. In arrivo la Grande Muraglia Verde

Misure concrete per fermare l’aumento della desertificazione. È l’obiettivo al quale mira la Cop15, la Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD). Ad Abidjan, in Costa d’Avorio, si riuniscono oggi nove capi di stato africani, tra cui il presidente del Niger Mohamed Bazoum, il suo omologo congolese Felix Tshisekedi e Faure Gnassingbé del Togo, dovrebbero partecipare all’incontro con il presidente ivoriano Alassane Ouattara. Il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen parteciperanno ai dibattiti in videoconferenza.

TERRA. VITA. PATRIMONIO: DA UN MONDO PRECARIO A UN FUTURO PROSPERO

Il tema dell’evento è ‘Terra. Vita. Patrimonio: Da un mondo precario a un futuro prospero’ è “una chiamata all’azione per assicurare che la terra, che è la nostra fonte di vita su questo pianeta, continui a dare i suoi benefici alle generazioni presenti e future“, ha affermato l’UNCCD in una dichiarazione. “La conferenza presterà particolare attenzione al ripristino di un miliardo di ettari di terra degradata entro il 2030, assicurando la sostenibilità dell’uso della terra di fronte agli impatti del cambiamento climatico, e combattendo l’aumento dei rischi di disastri come siccità, tempeste di sabbia e polvere e incendi boschivi“, ha sottolineato l’agenzia delle Nazioni Unite.

GRANDE MURAGLIA VERDE

Il continente africano è particolarmente colpito dalla desertificazione, soprattutto nel Sahel. La questione della Grande Muraglia Verde, un progetto faraonico che mira a ripristinare cento milioni di ettari di terra arida in Africa entro il 2030 su una striscia di 8.000 km dal Senegal a Gibuti, dovrebbe essere affrontata durante la riunione, che si concluderà il 20 maggio.

Kerbala

La cintura verde di Kerbala (Iraq) sta morendo. “Doveva fermare la desertificazione”

La ‘cintura verde’ di Kerbala, piantata 16 anni fa, è ora trascurata e lontana dall’adempiere alla sua funzione primaria: contrastare la desertificazione e le tempeste di sabbia, sempre più frequenti in Iraq.

L’idea di partenza, però, era brillante. Quando gli eucalipti, le palme da dattero e gli ulivi cominciarono ad essere piantati nel 2006, le autorità di Kerbala (Iraq centrale) promisero che le decine di migliaia di alberi avrebbero aiutato a rallentare la desertificazione e a mitigare le tempeste di sabbia e polvere. “Eravamo molto felici perché la cintura verde è una barriera efficace contro la polvere”, ricorda Hatif Sabhan al-Khazali, un nativo di Kerbala, una delle città sante sciite. Ma 16 anni dopo, la cintura verde, una lunga mezzaluna che avrebbe dovuto circondare la città, ha poco a che fare con i piani originali che promettevano 76 chilometri di verde. Il suo asse meridionale è ora lungo solo 26 chilometri e largo 100 metri e il suo asse settentrionale è lungo 22 chilometri e largo 100 metri. “La costruzione è stata fermata”, sottolinea Nasser al-Khazali, ex consigliere provinciale. “Da parte del governo centrale e delle autorità locali c’è una totale mancanza di interesse. Il finanziamento non ha avuto seguito”, denuncia. Dei 16 miliardi di dinari (10 milioni di euro) assegnati al progetto dell’asse settentrionale, solo 9 (5,6 milioni di euro) sarebbero stati pagati.

Negligenza, cattiva gestione: due parole che affiorano spesso sulla bocca di milioni di iracheni stufi della stasi politica e che hanno manifestato in massa contro la corruzione alla fine del 2019. Nell’indice 2021 di Transparency International, l’Iraq è al 157° posto (su 180) nella percezione della corruzione. “Negligenza” è anche la parola che Hatif Sabhan al-Khazali sceglie per descrivere la Cintura Verde di Kerbala oggi. L’irrigazione è più casuale e non c’è più nessuno che eradichi le erbacce. La cintura non trattiene quasi nulla quando soffia il vento polveroso, un fenomeno che sta diventando sempre più comune in Iraq, specialmente a Kerbala, che è circondata dal deserto. Quando due tempeste di polvere hanno piegato il paese all’inizio di aprile, Amer al-Jabri, direttore dei servizi meteorologici iracheni, ha messo in allerta sull’aumento di questi fenomeni. “Le cause principali sono la mancanza di precipitazioni, l’accelerazione della desertificazione e l’assenza di cinture verdi”, ha spiegato. L’Iraq è uno dei paesi più vulnerabili al cambiamento climatico e alla desertificazione.

Lo scorso novembre, la Banca Mondiale ha stimato che il paese potrebbe subire un calo del 20% delle risorse idriche entro il 2050 a causa del cambiamento climatico e dei suoi effetti – temperature superiori ai 50 gradi e prosciugamento delle falde acquifere. La carenza d’acqua è anche causata dal calo del livello dell’acqua nei fiumi Tigri ed Eufrate a causa delle dighe costruite a monte in Turchia e Iran. Questa scarsità d’acqua e il degrado del suolo stanno portando a una diminuzione delle terre coltivabili. L’Iraq “perde circa 100mila dunam (250 km2) di terra agricola ogni anno. Questa terra si sta trasformando in deserto”, avverte Nadhir al-Ansari, uno specialista delle risorse idriche all’Università svedese di Lulea. “Possiamo aspettarci più tempeste di polvere”, afferma, con conseguenze disastrose per la salute pubblica e l’agricoltura.

Ma Ansari punta il dito contro il governo iracheno e “la mancanza di pianificazione idrica”. Dopo l’ultima tempesta di polvere, il Ministero dell’Agricoltura ha assicurato che stava lavorando per “ripristinare la copertura vegetale” in Iraq. Nel 2021, un funzionario del ministero delle risorse idriche parlava già dell’ambizione di piantare cinture verdi. “Ci sono state alcune iniziative, ma purtroppo queste cinture non sono state mantenute”, ha detto, citando Kerbala come esempio, secondo l’agenzia di stampa statale Ina.