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I permessi frenano i progetti, ma sull’eolico l’Italia potrebbe puntare al podio globale

L’Italia è il terzo mercato a livello mondiale per potenziale di sviluppo dell’eolico offshore galleggiante e, in prospettiva, leader della filiera tecnologica in Europa. Questo il messaggio forte uscito dall’evento organizzato a Milano da Anie, la Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche, e da Elettricità Futura, la principale associazione nazionale della filiera industriale del settore elettrico.

Sono 76 i GW di rinnovabili da installare in Italia dal 2024 al 2030 per centrare gli obiettivi climatico-energetici fissati dall’Unione Europea. Considerando che circa 8 GW degli impianti esistenti dovranno essere sostituiti perché obsoleti, per raggiungere i 143 GW al 2030 sarà necessario realizzarne oltre 12 GW all’anno. Secondo dati Terna, a fine 2021 la potenza totale rinnovabile in Italia era pari a 58 Gw. Nel 2022 sono stati però installati solo 3 GW di rinnovabili in Italia, contro gli 11 in Germania, i 6 in Spagna e i 5 in Francia, numeri che danno evidenza della necessità di accelerare notevolmente il rilascio di nuove autorizzazioni nel nostro Paese. Stando all’Osservatorio Permitting di Anie, alla data del 30 giugno 2023 erano depositate presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica istanze di progetti di impianti a fonte rinnovabile per la Valutazione di Impatto Ambientale (Via) per complessivi 108 GW. Tuttavia, per il 2023, la stima dell’installato elaborata da Anie ed Elettricità Futura, in base a dati Terna, è di appena 6 GW di rinnovabili.

La domanda di turbine da parte degli sviluppatori è frenata dalla lentezza dei processi di approvazione dei nuovi progetti e da norme inadeguate in materia di licenze e permessi in generale in tutta Europa, nonostante l’adozione di nuovi obiettivi per l’energia pulita fissati dai governi, sottolinea Wind Europe, che rappresenta a livello continente i principali attori dell’energia del vento. Nel 2022, infatti, i Paesi europei hanno investito in nuovi parchi eolici l’importo più basso dal 2009 (17 miliardi di euro rispetto ai 41 miliardi di euro del 2021). Lo scorso dicembre il Consiglio della Ue ha approvato una proposta della Commissione europea volta a semplificare temporaneamente e di conseguenza ad accelerare la procedura di concessione delle autorizzazioni. La direttiva Ue aggiornata sulle energie rinnovabili include tali misure su base permanente, il che dovrebbe quindi facilitare il processo di autorizzazione quando la direttiva entrerà in vigore. In ogni caso si prevede che nei prossimi cinque anni in Europa verranno sviluppati meno progetti eolici offshore rispetto a quanto previsto in precedenza. Il Global Wind Energy Council ha infatti rivisto al ribasso le sue previsioni per la nuova capacità eolica offshore installata nel Vecchio Continente tra il 2023 e il 2027 da 40,8 GW nel rapporto dello scorso anno a 34,9 GW.

Non a caso i colossi europei produttori di turbine sono in crisi. Vestas ha registrato una perdita ante imposte di 130 milioni di euro nel secondo trimestre, Siemens Energy ha riportato una perdita netta di 2,9 miliardi a causa di problemi nel business delle turbine eoliche Siemens Gamesa, che è stato colpito da difetti tecnici e problemi di qualità in alcuni componenti delle turbine installate, tra cui pale del rotore e cuscinetti. Godono dunque i big cinesi, che controllano già il 55% del mercato mondiale. Secondo Wood Mackenzie stanno sfruttando la loro forte posizione finanziaria e l’enorme portata della loro catena di fornitura nazionale per sfidare le società occidentali, anche nei mercati emergenti.

Il cinese MingYang si sta preparando a diventare il nuovo leader di mercato, capitalizzando il portafoglio ordini di 6,5 GW e un portafoglio di prodotti esteso che copre turbine sia a bassa che ad alta velocità. SEwind perderà invece slancio – in base all’analisi di Wood Mackenzie – a causa dei margini ridotti e della forte concorrenza, in particolare da parte dei nuovi concorrenti offshore Windey, Crrc e Sany. La forte concorrenza all’interno della Cina sta a sua volta abbassando il prezzo medio delle turbine offshore da 10 MW e oltre in Cina del 19% nel primo semestre del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022. Da qui la perdita di redditività delle società europee.

Rinnovabili, decreto sulle Aree idonee in arrivo: l’obiettivo è 80 Gigawatt al 2030

Questione di giorni, non più di mesi. Il decreto legge che individua le Aree idonee ad accogliere gli impianti per aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili è pronto, ora mancano il passaggio in Conferenza unificata e in Cdm. La bozza, che GEA ha potuto visionare, conferma quanto ha sempre sostenuto il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, in questi mesi: l’obiettivo è raggiungere una potenza aggiuntiva di 80 Gigawatt entro il 2030. La tabella di ripartizione tra Regioni e Province autonome vede sul gradino più alto del podio la Sicilia, con un target progressivo che dovrà portare l’isola a 10.380 Megawatt entro i prossimi 7 anni. Alle sue spalle c’è la Lombardia con 8.687 MW e in terza posizione la Puglia con 7.284 MW.

A seguire ci sono i 6.255 MW al 2030 per l’Emilia-Romagna, 6.203 per la Sardegna, 5.763 MW per il Veneto, 4.921 MW per il Piemonte, 4.708 MW per il Lazio, 4.212 per la Toscana, 3.943 MW per la Campania, 3.128 MW per la Calabria, 2.313 MW per le Marche, 2.076 MW per la Basilicata, 2.067 MW per l’Abruzzo, 1.940 MW per il Friuli Venezia Giulia, 1.735 MW per l’Umbria, 1.191 MW per la Liguria, 995 MW per il Molise, 848 MW per la provincia di Trento, 804 MW per Bolzano e 549 per la Valle d’Aosta.

Dal momento in cui il decreto sarà operativo, Regioni e Province avranno 180 giorni di tempo per emanare leggi locali utili a individuare le superfici dove potranno sorgere gli impianti. Per chi non rispetterà le scadenze, sarà il Cdm a prendere le redini in mano, con il Mase che potrà proporre al presidente del Consiglio gli schemi di atti normativi di natura sostitutiva. Gli enti locali potranno anche concludere fra di loro accordi per il trasferimento statistico di determinate quantità di potenza, ma in caso di inadempienze, rispetto agli obiettivi minimi assegnati al 2030, ci saranno compensazioni economiche “finalizzate a realizzare interventi a favore dell’ambiente, del patrimonio culturale e del paesaggio, di valore equivalente al costo di realizzazione degli impianti“. Ci sarà l’Osservatorio nazionale, un “organismo permanente di consultazione e confronto tecnico sulle modalità di raggiungimento degli obiettivi regionali, nonché di supporto e di scambio di buone pratiche in particolare finalizzate all’individuazione delle superfici e delle Aree idonee e non idonee“.

Quanto ai criteri, le aree agricole classificate come Dop e Igp sono considerate idonee solo ai fini dell’installazione di impianti agrivoltaici. Inoltre, nel processo di individuazione delle superfici devono essere rispettati “i princìpi della minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale, sul paesaggio e sul potenziale produttivo agroalimentare, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo.

Tra le aree idonee rientrano i “siti dove sono già installati impianti della stessa fonte in cui vengono realizzati interventi di modifica, anche sostanziale” che “non comportino una variazione dell’area occupata superiore al 20%“, anche se questo limite “non si applica per gli impianti fotovoltaici“. Restando sempre sul punto, per “impianti fotovoltaici standard realizzati su suoli agricoli, una percentuale massima di utilizzo del suolo agricolo nella disponibilità del soggetto che realizza l’intervento, comunque non inferiore al 5% e non superiore al 10%“, Mentre “per impianti classificati come ‘agrivoltaici’ che rispettino le prescrizioni di esercizio previstela percentuale raddoppia al 20.

Per quanto concerne gli impianti eolici, i criteri assegnati a Regioni e Province autonome c’è quello di valutare le aree “con adeguata ventosità” tale da “garantire una producibilità maggiore di 2.250 ore equivalenti a 100 metri di altezza“. Ma vanno escluse le superfici “ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela, come i siti che rientrano “nel patrimonio Unesco, nella lista Fao Gihas e in quelli iscritti nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici“, sui quali, è possibile “introdurre fasce di rispetto di norma fino a 7 chilometri, purché le aree idonee complessivamente individuate sul territorio regionale o provinciale abbiano una superficie pari almeno all’80% di quella individuabile applicando i limiti di 3 chilometri e comunque pari almeno all’80% di quella individuabile considerando i criteri specifici di ventosità“. Una scelta che non piace all’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento: “Ancora una volta sembra penalizzare il settore eolico, il provvedimento risulta poco soddisfacente“.

Il decreto, poi, stabilisce che le nuove leggi regionali o quelle varate dalle Province autonome per rispettare le nuove disposizioni sulle Aree idonee “prevalgono su ogni altro regolamento, programma, piano o normativa precedentemente approvato a livello regionale, provinciale o comunale, inclusi quelli in materia ambientale e paesaggistica“. Infine, i procedimenti avviati prima dell’entrata in vigore del dl Aree idonee vengono comunque portati a termine con le regole in vigore dal 2021.

L’energia geotermica può aiutare la transizione, l’Italia ha grandi risorse

Abbiamo più volte sostenuto che l’approccio giusto alla transizione energetica e cioè del passaggio dall’energia prodotta con fonti fossili, che comporta grandi emissioni di CO2, all’energia prodotta da fonti rinnovabili senza emissioni di CO2 è quello che si definisce di ‘neutralità tecnologica’.

Applicare il principio della neutralità tecnologica significa sfruttare tutte le tecnologie che producono energia senza emissioni di CO2 e non limitarsi solo ad alcune filiere tecnologiche quali tipicamente fotovoltaico, eolico e idroelettrico, che vanno benissimo ma per varie ragioni, prima fra tutte la loro non programmabilità e intermittenza, non sono sufficienti.

Le industrie, gli ospedali, altri servizi essenziali hanno bisogno di energia elettrica h 24 e cioè anche quando il sole non c’è, il vento non tira e c’è poca acqua nei fiumi.

Tra le fonti energetiche che possono fornire energia continua e senza emissioni di CO2 c’è certamente il geotermico.

Un caro amico geologo, il dottor Sandro De Stefanis che legge regolarmente i miei articoli sulla transizione energetica e che insieme alla Confederazione Italiana libere professioni sta organizzando per settembre un bel convegno a Genova sulla sicurezza energetica, mi ha sollecitato ad occuparmi anche dell’energia geotermica come importantissimo strumento per la decarbonizzazione, per la produzione di elettricità continua, per l’utilizzo di grandi risorse naturali ancora da sfruttare , nel rispetto dell’ambiente circostante.

Come si vedrà l’Italia ha un potenziale importantissimo per la produzione di questa energia, un potenziale che per ragioni difficilmente spiegabili non viene adeguatamente sfruttato.

L’energia geotermica è la forma di energia ottenibile dal calore proveniente da fonti geologiche presenti nel sottosuolo.

Si tratta di una forma di energia alternativa e rinnovabile che si basa sullo sfruttamento del calore naturale del pianeta Terra dovuto all’energia termica rilasciata da processi di decadimento nucleare naturale di elementi radioattivi quali uranio, torio e potassio contenuti nelle rocce presenti nel sottosuolo terrestre (nucleo, mantello, crosta terrestre). Ma come è possibile recuperare il calore della terra?

La temperatura del suolo aumenta mano a mano che si scende in profondità, registrando un incremento di 3 gradi ogni 100 metri. Le acque sotterranee a contatto con rocce ad alta temperatura si trasformano in vapore.

Il grande interesse dell’energia geotermica è che si tratta di una fonte stabile da cui si può ricavare energia costante (il famoso base load decarbonizzato) e che determina un’occupazione di suolo più contenuta rispetto alle altre fonti di energia rinnovabile. Inoltre l’assenza di processi di combustione contribuisce alla riduzione delle emissioni di inquinanti e di CO2 in atmosfera; infatti l’energia termica fuoriesce dalla superficie terrestre attraverso vettori fluidi quali acqua e vapore.

Senza entrare troppo nei dettagli tecnici esistono diverse tipologie di centrali geotermiche che sfruttano il vapore e l’acqua calda per azionare turbine e produrre energia elettrica.

Molti e significativi sono i vantaggi dell’energia che sfrutta il calore della terra.

  • Si tratta di un’energia verde e continua, indipendente dalle temperature esterne, dalle condizioni metereologiche e dall’alternanza notte-giorno;
  • Tra le energie rinnovabili è quella che riesce a produrre maggiore quantità di elettricità;
  • Gli impianti geotermici sono silenziosi, non creano problemi acustici e non emettono anidride carbonica né polveri sottili;
  • L’assenza di processi di combustione riduce al minimo la necessità di interventi di manutenzione sugli impianti.

Dal punto di vista geotermico l’Italia ha grandissime risorse ed è un paese privilegiato con un potenziale enorme che sarebbe capace di soddisfare, secondo gli studiosi, il 40% del fabbisogno interno di energia elettrica. Nel nostro Paese le zone ad alta geotermia si trovano in Toscana: si tratta del triangolo Lardarello-Travale -Radicondoli e del Monte Amiata.

Proprio gli italiani sono stati all’inizio del ’900 i primi a sfruttare a Lardarello questa fonte energetica. Oggi gli impianti toscani, tutti gestiti dall’Enel producono 6 miliardi di Kwh l’anno coprendo circa il 30% del fabbisogno elettrico regionale. La centrale elettrica più grande è quella di Valle del Secolo a Lardarello che ha una capacità di 120 MW e oggi è in manutenzione.

Sono in attesa di autorizzazione impianti per oltre 700 GWh/anno che da soli, secondo stime dell’ex ministro dell’Energia e dell’Ambiente Cingolani, potrebbero dare il 10% dell’energia rinnovabile da immettere in rete nel 2030.

Infine, oltre le grandi centrali elettriche di cui si è detto sopra, possono risultare interessanti anche più piccole applicazioni domestiche del geotermico per riscaldare e climatizzare le abitazioni con consumi molto bassi e costi di manutenzioni irrisori.

Il principio anche in questo caso è molto semplice: si manda acqua in profondità, oltre i 100 metri, per scaldarla di 3-4 gradi centigradi; questo gradiente termico è sufficiente a trasformare un fluido contenuto in un serbatoio della centrale termica in un gas che espandendosi crea energia e calore alimentando caloriferi e scambiatori di calore. Ideale per le case in montagna dove non è difficile scendere di 100 metri con i tubi dell’acqua. Si tratta di un investimento piuttosto costoso che però viene ripagato nel tempo dalla totale assenza di consumi di combustibile. L’unica energia che viene consumata nel processo è quella della piccola pompa elettrica che manda l’acqua in profondità. Ma anche qui basta mettere qualche pannello solare sul tetto per coprire con fonti verdi anche questo fabbisogno energetico.

La Danimarca è sempre più green: ora punta alle isole energetiche

Che tutti vogliano la transizione green è ormai ovvio. Ma c’è chi, fra i Paesi europei, ha trasformato la volontà in fatti, già a partire dagli anni ‘70. E’ la Danimarca, che proprio in quel periodo iniziò ad accorgersi, con largo anticipo, che per proteggersi dai rigidi inverni del Nord l’energia proveniente dal Medioriente non era abbastanza. E, soprattutto, non era sicura. Così è iniziata la ricerca, con la convinzione che “sicurezza energetica equivale a sicurezza nazionale”, secondo Magnus Hojber Mernil, capo della comunicazione di State of Green, partnership pubblico-privata senza scopo di lucro tra il governo danese e le tre principali associazioni imprenditoriali del Paese (Confederazione dell’industria danese, Green Power Denmark e Consiglio danese per l’agricoltura e l’alimentazione).

La forza della Danimarca nel perseguire la transizione è stata la sua stabilità interna. Dagli anni ‘70 a oggi si sono susseguiti molti governi, l’uno in contrasto con l’altro, di destra e di sinistra. Ma una cosa non è mai cambiata: la politica energetica. E così, nel 2019 il clima è diventato addirittura il tema più importante della campagna elettorale: ognuno voleva essere considerato il partito più green, e la gara continua ancora oggi. Il tutto con l’obiettivo di abbandonare gas e carbone, puntando sull’eolico, per essere completamente indipendenti a livello energetico. Cosa che è sostanzialmente accaduta, mantenendo esclusivamente come backup le importazioni da Norvegia, Svezia e Paesi Bassi. Senza aperture al nucleare, come deciso negli anni ‘80. Anche se, pure qui, con la possibilità di quello di quarta generazione qualche discussione politica inizia a nascere. Ma, al momento, spiega Mernil, “produciamo l’energia che ci serve, non abbiamo blackout. Siamo un Paese piccolo”, ammette.

Nel 2020 il Paese ha deciso di ridurre del 70% le emissioni di CO2 entro il 2030. Incredibilmente a oggi sono già calate del 40%. E per quell’ultimo 30% rimanente come si può fare? Secondo la Danimarca la chiave di volta sta proprio nelle partnership pubblico-privato. E dopo lo sviluppo dell’eolico offshore, ora l’orizzonte è quasi visionario: costruire delle vere e proprie isole dell’energia. Con queste, le turbine eoliche per la produzione dell’energia potrebbero essere posizionate più distanti dalla costa, rispetto a quanto lo sono oggi, e ciò permetterebbe non solo di incrementare lo sfruttamento dei venti presenti, ma anche di distribuire l’energia generata dai parchi eolici in maniera più efficiente tra diversi Paesi, in quanto le isole avrebbero anche la funzione di hub per la raccolta dell’energia prodotta dai diversi parchi eolici offshore. Senza considerare che più lontane le turbine sono dalla costa, meno danno fastidio ai cittadini. Anche se, chiosa Mernil, “bisogna avere il coraggio di dire che la transizione green è più importante di un puntino in lontananza che ‘rovina’ il paesaggio”.

Inoltre, gli architetti danesi hanno aiutato gli esperti di costruzioni idriche a sviluppare un progetto per la costruzione di isole energetiche con il minor impatto negativo possibile sull’ambiente marino circostante, utilizzando materie prime, come la sabbia, già disponibili sul sito. E pare che questo addirittura possa contribuire a migliorare la biodiversità dell’area, non solo a preservarla. Il progetto di sviluppo si basa su un approccio unico che percepisce le forze marine, come le onde e le maree, come opportunità esterne che possono essere utilizzate per mantenere le spiagge artificiali – in contrasto con l’approccio tradizionale, in cui l’ambiente marino è considerato un generatore di problemi. Questo approccio, noto anche come ‘ingegneria dolce’, “riduce l’impatto negativo sull’ambiente e crea soluzioni più sostenibili rispetto ai progetti di ingegneria dura, come la costruzione di dighe, pennelli e altre strutture“, spiega il dottor Nicholas Grunnet, responsabile della Dinamica costiera ed estuarina dell’Istituto idraulico danese.

Teleriscaldamento urbano green? In Danimarca è possibile

Un teleriscaldamento verde è possibile? La risposta è sì, e l’esempio è visivile in Danimarca. Din Forsyning è un’azienda multiutility che opera nei comuni di Varde ed Esbjerg. Nell’ambito delle attività di Din Forsyning nel comune di Esbjerg, l’azienda si occupa della produzione e della distribuzione di teleriscaldamento in alcune zone del comune. Din Forsyning contribuisce attivamente, attraverso il dialogo e la cooperazione, a una gestione efficiente e sostenibile delle risorse della società, tra cui acqua potabile, acque reflue, calore e riciclo dei rifiuti.

Din Forsyning ha lanciato un importante piano verde per sostituire la produzione di calore della sua centrale a carbone con una produzione di calore sostenibile. La soluzione complessiva è costituita da una serie di soluzioni individuali più piccole collegate a una rete di distribuzione centrale, con l’obiettivo di avere molti piccoli impianti, invece di quelli più grandi.

Una di queste soluzioni, ad esempio, è l’utilizzo del calore in eccesso proveniente da aziende di produzione locali, dal trattamento delle acque reflue o da futuri centri dati. Se un’unità non può produrre a causa di un guasto o di problemi di servizio, sarà possibile, attraverso la rete, collegare i clienti con altre unità.

L’eolico si produce in casa: l’esempio della Danimarca

Se il vento è una fonte energetica, per sua stessa natura, ‘prodotta in casa’ e non implica alcuna dipendenza da Paesi esteri, diverso può essere il caso delle turbine necessarie a immagazzinarlo. Lo sa bene la Danimarca, che nell’eolico, soprattutto offshore, è leader mondiale. Per questo nel Paese si è deciso di produrre internamente le tecnologie e i materiali necessari per sostenere l’uso di elettricità interno con l’energia eolica.

Ecco perché SEMCO, produttore di piattaforme eoliche offshore, ha deciso di aprire i suoi stabilimenti e Esbjerg. Qui facilita la progettazione, la fabbricazione, l’installazione, l’assistenza e la manutenzione di impianti offshore, fornendo una gestione completa di tutte le fasi dei progetti energetici. In collaborazione con i suoi partner, SEMCO Maritime ha completato con successo la progettazione e la costruzione di oltre 20 sottostazioni offshore, diventando così leader nelle soluzioni e nei servizi EPCI (Engineering, Procurement, Construction, Inspection) per l’industria eolica offshore. I loro specialisti interni coprono tutti gli elementi coinvolti nella connessione dell’impianto eolico offshore alla rete terrestre.

Sempre a Esbjerg ha poi deciso di aprire il suo magazzino Vattenfall, un’azienda energetica internazionale che ha l’obiettivo di rendere possibile una vita senza fossili entro una generazione, trasformando le proprie attività e aiutando altre aziende a farlo. Nata in Svezia, Vattenfall collabora con l’industria e i governi di Svezia, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, Francia, Danimarca e Finlandia.

Dopo la chiusura delle centrali a carbone di Amsterdam e Amburgo, e oltre alla costruzione di Hollandse Kust Zuid, il primo parco eolico offshore al mondo esente da sovvenzioni, Vattenfall smetterà di utilizzare il carbone in tutte le sue attività, investirà in più energia eolica e solare e aiuterà a elettrificare i processi industriali.

Il magazzino di Vattenfall al porto di Esbjerg è il più grande del Nord Europa con i componenti principali e i pezzi di ricambio critici per le turbine eoliche. Lo scopo del magazzino centrale di Esbjerg è quello di rifornire i parchi eolici di Vattenfall in Nord Europa di componenti critici per le turbine eoliche, come riduttori, generatori, trasformatori, alberi e pale, nonché dei componenti principali necessari per portare l’elettricità a terra, come i cavi degli array e i quadri elettrici. Vattenfall gestisce più di 1.300 turbine eoliche onshore e offshore nell’Europa settentrionale, distribuite in parchi che vanno dalla Svezia settentrionale alla Danimarca, alla Germania e ai Paesi Bassi. I parchi sono monitorati dalla sala di controllo locale di Vattenfall a Esbjerg.

Le tre vite di Esbjerg: da porto peschereccio a hub mondiale eolico

Esbjerg, città portuale nell’Ovest della Danimarca, ha già vissuto tre vite. Nata come principale porto peschereccio del Paese, è stata in grado negli anni Settanta-Ottanta di adattarsi al declino del settore della pesca cogliendo le opportunità legate all’esplorazione alla ricerca di gas e petrolio nel Mare del Nord. Negli ultimi anni, invece, seguendo le ambizioni di una transizione green, ha deciso di rinnovarsi ancora una volta, emergendo come uno dei principali hub mondiali per l’eolico offshore. Non solo installando al largo il proprio parco eolico in mare aperto, ma costruendo intorno una vera e propria industria, un indotto, che porta la città a produrre ed esportare componenti per turbine in tutto il mondo.

Non a caso Esbjerg, nel 2022, ha ospitato il primo vertice sul Mare del Nord, che ha riunito i leader dei Paesi della regione e ha portato ad una dichiarazione congiunta che prevede di “sviluppare il Mare del Nord come centrale elettrica verde d’Europa, un sistema di energia rinnovabile offshore che collega Belgio, Danimarca, Germania e Paesi Bassi, ed eventualmente altri partner del Mare del Nord”.

E Esbjerg, oggi, è veramente il luogo dove si può toccare con mano la transizione energetica. Oltre a quella che ha vissuto e sta vivendo la città stessa. E’ riuscita a sfruttare le dimensioni del suo porto per diventare leader nel mercato delle turbine: pochissimi altri posti al mondo possono maneggiare strutture di tali dimensioni. Basta pensare che, a oggi, la turbina più grande, da 15 gigawatt è alta all’incirca 250 metri, ossia come la Torre Eiffel. Difficile immaginare altri luoghi dove poter mobilitare simili grandezze, a meno di costruirli da zero con enormi costi economici e ambientali. Il ricollocamento del porto come hub energetico, inoltre, ha creato circa 10mila posti di lavoro. La stima è che a ogni gigawatt di energia prodotta corrispondano 9,45 posti di lavoro della durata di circa 30 anni. Un’ottima opportunità per una piccola città che avrebbe altrimenti rischiato di scomparire.

Danimarca verso le isole energetiche del vento: e pensa già all’export

Per essere sempre più indipendente a livello energetico, oltre che 100% green, nel 2020 il Parlamento della Danimarca ha raggiunto l’accordo per uno dei più ambiziosi progetti di energia rinnovabile esistenti. Si tratta della nascita delle prime due isole energetiche basate sull’eolico al mondo, una naturale e una artificiale, che sorgeranno a circa 100 chilometri dalle coste del Paese: la costruzione della prima isola energetica artificiale, che sorgerà sull’isola esistente di Bornholm, nel Mar Baltico, sarà attiva dal 2030 e avrà una capacità di 3 GW, assicurando il fabbisogno energetico di 3 milioni di famiglie; la seconda, costruita artificialmente nel Mare del Nord, e quindi di fattura un po’ più complessa, avrà una capacità di 3 GW nel 2033 e di 10 GW nel lungo periodo. Mentre il primo progetto avanza spedito, però, il secondo negli ultimi giorni ha subito una battuta d’arresto. La Danimarca ha infatti deciso di rivalutarlo a causa degli alti costi e dei rischi. “Alla luce delle sfide finanziarie, dovrebbero essere esplorate alternative in grado di rendere il progetto redditizio“, ha affermato il ministero dell’Energia.

Intanto, prosegue velocemente il progetto dell’isola energetica nel Mar Baltico. A svilupparlo è Energinet, impresa pubblica indipendente di proprietà del ministero danese per il Clima, l’energia e i servizi pubblici. Energinet possiede, gestisce e sviluppa i sistemi di trasmissione dell’elettricità e del gas in Danimarca. La missione sociale di Energinet è quella di convertire il sistema energetico con l’obiettivo di garantire che i cittadini e le imprese utilizzino energia rinnovabile per ogni necessità, con un alto livello di sicurezza di approvvigionamento e a un prezzo accessibile.

Il vantaggio delle isole energetiche sta nel fatto che possono mettere in comune l’energia proveniente da più parchi eolici offshore e indirizzarla direttamente a diversi Paesi. Facilmente comprensibile, in un Paese di poco più di 5 milioni di abitanti: se l’energia prodotta con l’eolico offshore potrà effettivamente coprire il fabbisogno di oltre 10 milioni di persone, l’export diventerà quasi una tappa obbligata. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla filosofia precedente, che prevedeva la costruzione di parchi eolici offshore isolati con una connessione elettrica a una sola area. Per questo sono già stati stipulati accordi politici con Germania, Belgio e Paesi Bassi per avviare l’analisi dei collegamenti con le isole energetiche. Un accordo vantaggioso per i Paesi che vi parteciperanno, ma anche per la Danimarca stessa che con le sue isole-hub potrà anche ricevere energia dagli altri Stati per assicurarsi un sistema stabile e la sicurezza delle forniture. L’ambizione è, quindi, diventare un hub dell’energia per il Nord Europa. Il vantaggio geografico c’è, appuntamento al 2030 per verificare l’effettiva nascita dell’infrastruttura.

L’eolico offshore: pilastro della transizione energetica

L’inesorabile marcia verso la neutralità climatica è ormai iniziata nell’Unione Europea. L’Ue ha fissato l’ambizione a lungo termine di diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Si è inoltre impegnata a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 (in particolare attraverso una serie di proposte pubblicate nel 2021, con il pacchetto Fit for 55). Al centro di questo impegno c’è il concetto di riduzione del consumo energetico (attraverso misure di efficientamento) e l’aumento della produzione e dell’utilizzo di energia rinnovabile al posto dei combustibili fossili.

I ministri dell’Energia e i membri del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico su un nuovo obiettivo per le energie rinnovabili per il 2030, che impegna l’Ue a raggiungere almeno il 42,5% di energie rinnovabili nel mix energetico, e idealmente il 45%, entro la fine di questo decennio. Si tratta di una cifra all’incirca doppia rispetto a quella del 2021. Ma spetta a ciascun Paese dell’Ue decidere come intende raggiungere questo obiettivo.

Molti Paesi stanno già investendo nell’eolico onshore. Tuttavia, la capacità di generazione dell’eolico offshore tende a essere significativamente più alta, in buona parte grazie a un vento più costante in assenza di ostacoli come colline, edifici o alberi. WindEurope, l’associazione che rappresenta le tecnologie eoliche in Europa, stima che i fattori di capacità per i nuovi parchi eolici onshore siano tra il 30-35%. Per i nuovi parchi eolici offshore, questa cifra oscilla tra il 42 e il 55%.

Nel 2020, la Commissione ha delineato le numerose opportunità di generazione di energie rinnovabili offshore nella Strategia dell’Ue per le energie rinnovabili offshore. La strategia evidenzia l’enorme potenziale dell’Ue sia per l’energia eolica offshore che per l’energia oceanica, con i suoi 5 bacini marini. La strategia conclude che “l’energia rinnovabile proveniente dai mari può essere sfruttata da una grande varietà di tecnologie, rendendola una pietra miliare della transizione energetica pulita“.

La capacità eolica offshore installata nell’Ue era di 14,6 GW nel 2021. La sfida è ora quella di accelerare l’aumento della capacità fino a raggiungere una cifra che, secondo le stime dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), potrebbe essere 25 volte superiore entro la fine del decennio.

A maggio i consumi di energia elettrica calano del 6,3%. Crescono le rinnovabili

Cala la domanda di energia elettrica in Italia. Secondo quanto emerge dai dati raccolti da Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale guidata da Giuseppina Di Foggia, a maggio la richiesta complessiva si è assestata sui 24,3 miliardi di kilowattora, facendo così registrare una diminuzione del 6,3% rispetto allo stesso periodo del 2022. Allo stesso modo scendono anche i consumi industriali, con una riduzione dell’8,1% rispetto allo stesso periodo di 12 mesi fa. Entrando nel dettaglio dei settori, c’è il segno positivo per i mezzi di trasporto, le ceramiche e vetrarie, oltre agli alimentari. Mentre gli altri settori sono in flessione, soprattutto quello dei metalli non ferrosi.

Scorporando il dato, la riduzione è confermata anche prendendo in esame i primi cinque mesi del 2023, durante i quali la richiesta di energia elettrica in Italia è calata del 4,5%, sempre rispetto allo stesso periodo del 2022 (-4,1% il dato rettificato).

Maggio ha avuto lo stesso numero di giorni lavorativi (22) e una temperatura media mensile inferiore di 1,8°C rispetto allo stesso mese del 2022, sottolinea Terna, mostrando il dato della domanda elettrica destagionalizzato e corretto dall’effetto della temperatura, risultata in calo del 5,6%. A livello territoriale, la variazione tendenziale di maggio 2023 è risultata negativa dovunque: -7,3% al Nord, -6,2% al Centro e -4,3% al Sud e Isole. In termini congiunturali, il valore della richiesta elettrica, destagionalizzato e corretto dall’effetto temperatura, risulta in flessione dell’1,7% rispetto ad aprile 2023. L’indice Imcei elaborato da Terna, che prende in esame i consumi industriali di circa 1000 imprese cosiddette ‘energivore’, ha registrato una diminuzione congiunturale rispetto ad aprile del 2,5%.

Buone notizie anche dai dati relativi alle fonti rinnovabili, che hanno prodotto complessivamente 10,4 miliardi di kWh, coprendo il 42,8% della domanda elettrica (a maggio 2022 era del 35,6%). La produzione si divide per il 40,3% da idrico, il 28,1% da fotovoltaico, il 14,6% da eolico, il 12,6% da biomasse e il 4,4% da geotermico. Secondo le rilevazioni Terna illustrate nel report mensile, considerando tutte le fonti rinnovabili, nei primi cinque mesi dell’anno l’incremento di capacità in Italia è pari a 2.001 MW. Il valore è superiore di 1.110 MW (+125%) rispetto allo stesso periodo del 2022. Complessivamente, rispetto a maggio dell’anno scorso, sono stati installati ulteriori 4.200 MW.

In crescita risulta la produzione da fonte idrica (+33,4%) ed eolica (+33,8%), mentre è in flessione quella da fonte termica (-19,8%) e fotovoltaica (-5,4%). Resta sostanzialmente stabile, invece, la produzione geotermoelettrica (+0,2%).

Sempre a maggio 2023, la domanda di energia elettrica italiana è stata soddisfatta per l’82,1% con la produzione nazionale e per la quota restante (17,9%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. La produzione nazionale netta, inoltre, è pari a 20,1 miliardi di kWh, in calo del 6,7% rispetto a maggio 2022. Infine, il saldo import-export, la variazione è -4,8% per un effetto combinato di una diminuzione dell’import (-3,3%) e un aumento dell’export (+28,5%).