Il cambiamento climatico affama il mondo: 750 milioni di persone senza cibo

(Photocredit: Roger Lo Guarro)

Nel mondo 750 milioni di persone soffrono la fame e il cambiamento climatico contribuisce sempre di più ad acuire il dramma: i progressi per contrastarla sono in stallo dal 2015 e nel 2023 la situazione è cupa, con la fame a livelli grave o allarmante in 43 Paesi e il numero di persone malnutrite salito a 735 milioni. Mentre si sommano l’impatto di disastri climatici, guerre, crisi economiche e pandemie, le conseguenze ricadono soprattutto sulle persone più giovani, le cui prospettive future sono minacciate: l’instabilità alimentare attuale significa rischiare una vita adulta di povertà estrema, di soffrire la fame, di vivere in contesti incapaci di far fronte ai disastri climatici e all’intrecciarsi di altre crisi.

Ad aver di fronte lo scenario più buio sono, in particolare, le ragazze: donne e bambine rappresentano circa il 60% delle vittime della fame acuta, mentre il lavoro di assistenza non pagato le sovraccarica, tanto da triplicare la loro probabilità di non accedere a lavori retribuiti rispetto ai loro omologhi. Il quadro emerge dall’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, organizzazioni umanitarie che fanno parte del network europeo Alliance2015. Il rapporto è stato presentato a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, che ha ospitato l’iniziativa. L’analisi, che calcola il punteggio GHI di ogni Paese sulla base dello studio di quattro indicatori (denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni) è stata presentata alla vigilia dell’apertura della Cop28 a Dubai.

Il cambiamento climatico ha un impatto diretto e significativo sull’insicurezza alimentare: all’aumentare di temperature e disastri climatici, crescono la difficoltà e l’incertezza nel produrre alimenti. Gli effetti sono particolarmente evidenti nei Paesi poveri e sulla salute dei loro abitanti: il 75% di chi vive in povertà nelle zone rurali si affida alle risorse naturali, come foreste e oceani per la sopravvivenza, essendo quindi particolarmente vulnerabile ai disastri; inoltre, stima il World Food Program, l’80% delle persone che soffrono la fame sul Pianeta vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. Secondo la Banca mondiale, dal 2019 al 2022 il numero di persone che vivono in insicurezza Alimentare è aumentato da 135 milioni a 345 milioni, sotto l’effetto combinato delle varie crisi ed emergenze. “La sovrapposizione delle crisi sta intensificando le diseguaglianze sociali ed economiche, vanificando i progressi sulla fame, mentre il peso più grave è sui gruppi più vulnerabili, come donne e giovani”, ha dichiarato Gloria Zavatta, presidente di Fondazione CESVI. “I giovani devono avere un ruolo centrale nei processi decisionali, mentre il diritto al cibo va posto al centro delle politiche e dei progressi di governance dei sistemi alimentari”, ha aggiunto. Inoltre, ha sottolineato, “nei prossimi anni è previsto che il mondo affronti un numero crescente di shock, provocati soprattutto dai cambiamenti climatici. L’efficacia della preparazione e della capacità di risposta alle catastrofi è destinata a diventare sempre più centrale dal punto di vista della sicurezza alimentare”.

Dopo che i passi avanti nella lotta alla fame si sono interrotti nel 2015, il punteggio di GHI 2023 per il mondo è 18,3, considerato moderato, meno di un punto in meno dal 2015 (19,1), e dal 2017 il numero di persone denutrite è aumentato da 572 milioni a circa 735 milioni. Le regioni con i dati peggiori sono Asia meridionale e Africa Subsahariana (27,0 per entrambe, ossia fame grave): negli ultimi vent’anni hanno costantemente registrato i più alti livelli di fame e, dopo i progressi dal 2000, nel 2015 la situazione è entrata in stallo.

Nel 2023 in nove Paesi la fame è allarmante: Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen. In altri 34 Paesi è grave. In 18 nazioni dal 2015 la fame è aumentata (situazioni moderate, gravi o allarmanti) e in altri 14 il calo è stato trascurabile (inferiore al 5%). Al ritmo attuale, 58 Paesi non raggiungeranno un livello di fame basso entro il 2030.

A destare le maggiori preoccupazioni nel 2023 sono Afghanistan, Haiti, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Yemen, oltre a Burkina Faso e Mali nel Sahel: tra i fattori chiave ci sono conflitti e cambiamento climatico, nonché la recessione economica. In sette Paesi il miglioramento è superiore al 5% dal 2015: Bangladesh, Ciad, Gibuti, Mozambico, Nepal, Laos e Timor Est. “I conflitti, insieme alla crisi climatica e agli shock economici, rappresentano le cause principali di queste emergenze che coinvolgono persone, comunità e territori ad ogni latitudine. Purtroppo, i dati indicano che nei prossimi 6 mesi l’insicurezza Alimentare acuta rischia di peggiorare in almeno 18 aree ad alto rischio. Insieme alla Palestina, sono il Burkina Faso, il Mali, il Sud Sudan le frontiere di massima preoccupazione dove il rischio di morire di fame o di un deterioramento rapido verso condizioni catastrofiche è altissimo. Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Haiti, Pakistan, Somalia, Siria, Yemen sono anch’esse realtà preoccupanti. La prospettiva non è incoraggiante, ma è necessaria per poter comprendere che occorre agire con urgenza”, dichiara Maurizio Martina, vice direttore generale FAO. 

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Rischio crisi alimentare per 200 milioni di persone: pesano clima e guerra

Nel 2021 quasi 200 milioni di persone nel mondo, suddivisi in 53 Paesi, vivono in una condizione di insicurezza alimentare. La situazione non è cambiata più di tanto quest’anno, anzi l’analisi delle tendenze rivela che può peggiorare almeno in altre 20 nazioni. I dati dell’indagine condotta dalla Fao e dal Programma Alimentare Mondiale diventano ancora più drammatici nella Giornata internazionale contro l’insicurezza alimentare, anche se questo aumento viene interpretato con cautela, prima di capire se le cause siano un peggioramento sostanziale della sicurezza alimentare o il frutto di una crescita della popolazione registrata tra il 2020 e il 2021. Restano, comunque, cifre esorbitanti. Soprattutto se si considera che c’è una media storica di 49 milioni di persone in 46 Paesi che rischia di finire in carestia senza aiuti immediati per garantire loro i mezzi di sussistenza.

Tra i territori al massimo livello di allerta figurano ancora Etiopia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen, ai quali si aggiungono anche Afghanistan e Somalia. Le rispettive popolazioni vengono classificate tra quelle destinate a soffrire la fame o la morte, con un deterioramento delle condizioni di vita che richiedono attenzioni più urgenti. Per quanto riguarda l’Afghanistan, 20mila persone della provincia di Ghor vivono in condizioni catastrofiche a causa del limitato accesso umanitario nel periodo che va da marzo a maggio. Da qui a settembre, però, l’insicurezza alimentare acuta dovrebbe aumentare del 60% rispetto allo stesso periodo del 2021. Inoltre, dopo aver previsto 401.000 persone in condizioni catastrofiche nel Tigray, in Etiopia, nel 2021, solo il 10% dell’assistenza richiesta è arrivata nella regione, almeno stando ai monitoraggi condotti fino al mese di marzo del 2022; anche se la produzione agricola locale, pari al 40% della media, è stata fondamentale per la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza.

Ci sono anche altri fattori che il rapporto tiene in considerazione. Anche perché la criminalità organizzata e i conflitti rimangono i principali fattori che causano la fame acuta. Con percentuali che sono aumentate anche nei primi 3 mesi di quest’anno: per avere un’idea, secondo i dati Acled, siamo passati dalle 2.537 guerre locali registrate a gennaio del 2022 alle 3.807 di marzo. La violenza ha ridotto l’accesso al cibo per le persone, distruggendo o bloccando i mezzi di sussistenza, comprese le attività agricole, il commercio, i servizi e i mercati attraverso l’imposizione di restrizioni e impedimenti amministrativi. Senza contare lo spopolamento di chi ha dovuto abbandonare la propria terra, riducendo anche la disponibilità di cibo per le comunità e i mercati. Inoltre, a ciò si uniscono tra le cause dell’insicurezza anche le condizioni climatiche estreme, come le tempeste tropicali, le inondazioni e la siccità, continuano ad essere elementi altamente critici in alcune regioni del mondo.

Per non parlare degli effetti a catena della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, che si sono riverberati a livello globale, sullo sfondo di una graduale e disomogenea ripresa economica dopo la pandemia di Covid-19, il costante aumento dei prezzi di cibo ed energia e il deterioramento delle condizioni macroeconomiche. Le restrizioni alle esportazioni ucraine riducono l’offerta alimentare mondiale, aumentano ulteriormente i costi dei prodotti alimentari e aumentano i livelli (già elevati) di inflazione. Per non parlare, poi, del costo dei fertilizzanti, che alla lunga potrebbero incidere sui rendimenti delle colture, quindi sulla futura disponibilità di cibo. Questi elementi, sommati all’instabilità economica, nei prossimi mesi potrebbero portare emergenze civili e disordini in alcuni dei Paesi più paesi più colpiti dalla crisi alimentare.

Le incertezze, senza un intervento deciso della comunità internazionale, rischiano di raggiungere nuovi record negativi. Ecco perché, in un tweet, il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, lancia un monito: “La sicurezza alimentare è un tema che riguarda tutti, dai governi alle imprese alimentari, agli esperti e i consumatori. Continuiamo a lavorare insieme e ad impegnarci per un mondo di cibo più sicuro per una salute migliore e una vita migliore“. Serve fare squadra. E serve farlo presto.

di maio

Crisi alimentare nel Mediterraneo. Di Maio: “Scarsità cibo è emergenza mondiale”

Individuare misure concrete per affrontare l’impatto sulla sicurezza alimentare nel bacino del Mediterraneo generato dall’invasione russa dell’Ucraina. Questo l’obiettivo del dialogo in corso alla Farnesina dove il ministro degli Esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, ha aperto l’incontro spiegando l’intento principale: “Siamo pronti ad ascoltare i bisogni dei Paesi più colpiti dalla crisi alimentare e a garantire che ogni azione internazionale che verrà intrapresa sia coerente con le loro richieste”. La situazione è di vera e propria emergenza, ha lasciato intendere il ministro: “La fame e la sicurezza alimentare sono sempre state in cima all’agenda internazionale, ma mai come ora la scarsità di cibo ha avuto un così grande impatto mondiale”.

Spreco e perdita di cibo, nella regione mediterranea, “sono problemi seri, che riguardano dal 16% al 20% della produzione alimentare”, ha spiegato Di Maio, ricordando che il nostro Paese ospita importanti centri di studio e può contribuire significativamente allo sviluppo e all’attuazione di strategie nazionali per ridurre le perdite e gli sprechi agricoli. “Vogliamo continuare a collaborare attivamente a tutti gli sforzi internazionali per trovare una soluzione a uno dei principali ostacoli causati dal conflitto, quello relativo alle milioni di tonnellate di grano e scorte di cibo attualmente bloccate nei silos nei porti ucraini”, ha poi puntualizzato.

La lotta alla fame richiede un approccio multilaterale e integrato“, ha continuato il titolare della Farnesina. Proprio come ha affermato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, “abbiamo scelto il multilateralismo e siamo consapevoli che i destini dei popoli sono interdipendenti nel mutuo rispetto per garantire universalmente la pace, lo sviluppo e la promozione dei diritti umani”, la sottolineatura del ministro.

Di Maio ha anche annunciato che “l’Italia intende convocare a dicembre una seconda edizione del Dialogo ministeriale del Mediterraneo durante la Conferenza sui Dialoghi Med 2022 a Roma per fare il punto sulla collaborazione regionale sulle aree chiave individuate” in maniera che non siano sempre e solo buoni propositi ma si scenda anche sul piano indispensabile della concretezza.