Buzzella (Federchimica): “5 proposte per evitare una lenta agonia dell’industria”

L’industria chimica in Italia è rappresentata da oltre 2.800 imprese e 112.000 addetti, un settore strategico con un valore di produzione di 67 miliardi di euro e quasi 40 miliardi di export. Tuttavia, uno studio di The European House Ambrosetti, presentato durante questa mattina durante l’assemblea di Federchimica, evidenzia come una politica industriale mirata potrebbe generare un incremento di 22,2 miliardi di valore aggiunto, apportando benefici economici all’intero sistema manifatturiero, stimati in 33,3 miliardi di euro e creando oltre 50mila nuovi posti di lavoro. Questa analisi, ha spiegato Francesco Buzzella, presidente di Federchimica, durante la sua relazione, “rappresenta una proposta corale che tutte le parti sociali di settore mettono a disposizione del Governo per promuovere iniziative a favore di un settore strategico come la chimica”, che “vive in anticipo e in modo amplificato il nuovo scenario di ‘policrisi’ che condiziona tutta l’industria”.

Pesano le stringenti regole ambientali Ue. “Paghiamo un prezzo carissimo, quello di una normativa che favorisce il primato ecologico dell’Europa a dispetto della competitività industriale”, ha evidenziato ancora Buzzella. Il gap competitivo è evidente, con il costo dell’energia in Italia ben superiore rispetto ad altri Paesi europei. “Serve un mercato unico europeo dell’elettricità,” ha affermato sottolineando il potenziale dell’Italia come hub energetico nel Sud Europa, integrando anche fonti rinnovabili e nucleari di nuova generazione. E proprio la chimica – ha proseguito Buzzella -, si configura come una soluzione fondamentale per la transizione ecologica. “Senza chimica non c’è industria“, ha detto mettendo in risalto il fatto che i prodotti chimici sono essenziali nel 95% dei manufatti quotidiani e nelle applicazioni strategiche. “La transizione ecologica richiederà non meno, ma più chimica”, con necessità di investimenti in tecnologie innovative come il riciclo chimico e l’idrogeno rinnovabile.

Cinque sono le proposte concrete avanzate alle istituzioni, e non solo, da Federchimica. La prima, appunto è quella di creare un mercato unico europeo dell’Elettricità, perché è essenziale garantire l’accesso a forniture energetiche a costi competitivi, mantenendo l’energia elettrica a livelli pari o inferiori rispetto agli altri Paesi europei. E in questo senso – sostiene l’associazione – l’Italia dovrebbe essere valorizzata come hub energetico per il Sud Europa, promuovendo gas, stoccaggio di CO2 e rinnovabili. Poi – seconda proposta – il settore chimico, deve essere accompagnato nella transizione ecologica evitando regolamentazioni eccessive. È necessaria una spinta verso investimenti in tecnologie innovative, come il riciclo chimico e l’idrogeno rinnovabile. Altra idea sul tavolo: per facilitare la decarbonizzazione della chimica, occorre rafforzare i finanziamenti provenienti dai permessi per le emissioni di CO2, raggiungendo anche in Italia il limite massimo di compensazione del 70%, come previsto dalla normativa europea. È inoltre cruciale – come emerge dalle proposte presentata all’assemblea di Federchimica – stabilire un quadro normativo che contempli obiettivi ambiziosi ma realizzabili, rispettando il principio di neutralità tecnologica. Qualsiasi restrizione sull’uso di sostanze deve considerare l’efficacia della gestione del rischio e la mancanza di valide alternative. L’Italia – in questo ambito – deve valorizzare la sua posizione di “eccellenza” nel riciclo, creando un vero Mercato Unico per la circolarità e migliorando la qualità delle materie prime seconde. Inoltre, si devono stimolare pratiche come l’Ecodesign e la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR). Infine, è fondamentale investire nella formazione e nelle competenze del settore, promuovendo programmi formativi e aumentando l’orientamento verso le professionalità tecnico-scientifiche nelle scuole.

Urgono cambiamenti radicali e massicci investimenti per rifondare l’economia nel segno dello sviluppo sostenibile e dell’innovazione high-tech. Altrimenti – ha sintetizzato Buzzella usando le parole di Mario Draghi – ‘sarà una lenta agonia’. La chimica, per la sua natura virtuosamente pervasiva in tutti i processi manifatturieri, può esserne il volano per tutto il Made in Italy“.

Buzzella è il neo leader Federchimica: “Bisogna arrivarci al 2030, serve fondo Ue per la transizione”

Francesco Buzzella da oggi è ufficialmente il nuovo presidente di Federchimica. E’ stato votato all’unanimità dall’assemblea riunita a Milano. Cinquantacinque anni e comproprietario della Coim, multinazionale fondata nel 1962 che conta 20 siti in 4 continenti e un giro d’affari di 1,4 miliardi, Buzzella non ha usato giri di parole per chiedere un cambio di rotta del percorso verso la transizione, perché “senza una chimica forte si rischia un insuccesso”.

Presidente, nella sua relazione ha parlato di idrogeno e nucleare come fonti di energia del futuro, però allo stesso tempo ha detto che con questi prezzi dell’energia c’è il rischio di deindustrializzazione europea. Siccome idrogeno e nucleare sono obiettivi al 2030, 2040 e 2050 mentre i prezzi alti sono adesso, non c’è un rischio di non farcela?
“Sì, bisogna arrivarci al 2030. Oltretutto l’idrogeno non è una fonte energetica ma un vettore energetico che va prodotto e l’idea di poter produrre l’idrogeno magari con una fonte nucleare a basso costo sarebbe l’ideale. Però noi dobbiamo fronteggiare un presente estremamente difficile, per quello chiediamo un minimo di aiuti soprattutto per i settori più energivori”.

I conti pubblici sono quello che sono…
“Conosciamo le finanze pubbliche, per quello ci vorrebbe un grande fondo europeo per la transizione. La Cina e gli Usa stanno predisponendo grandi fondi per la transizione. La Commissione Ue ha dichiarato che il costo per la transizione da qui al 2030 è di 3500 miliardi di cui 650-700 a carico dell’Italia. Non penso che oggi ci siano delle finanze, a livello di aziende o privati, per sostenere spese di questo tipo. Dovrebbero essere portate avanti all’interno di una governance europea”.

A livello finanziario, per attrarre investimenti, serve una quantificazione di un rendimento. Lei nella sua relazione dice che le rinnovabili non possono sostituire in tutto e per tutto i combustibili fossili.
“Sì, è passata un po’ questa idea che le rinnovabili possano in qualche modo possano soppiantare nel giro di breve tempo tutte le fonti fossili. Ma ci sono fonti fossili e fonti fossili. C’è l’idea di dire ‘non voglio usare più il carbone’ o ‘non voglio più usare gli oli pesanti’ ma bisogna allora prendere in considerazione passaggi come l’utilizzo del metano come fonte energetica di transizione. Non si può dire tout-court ‘basta metano’, ‘basta tutto’ o dire montiamo un po’ di pale eoliche e qualche pannello solare e ci salviamo…”

Il mondo però continua ad andare a petrolio…
“L’80% delle fonti energetiche sono ancora fossili. Possiamo benissimo essere degli apripista perché essere i primi in tema di definizione in materia di emissione può essere anche un vantaggio, se gli altri però ti seguono. Perché comunque sono tecnologie più costose. Insisto: vogliamo far la transizione? Bene, ma non possiamo farla pagare tutta ai cittadini e alle imprese, le quali scaricherebbero comunque i maggiori costi sui consumatori”.

E quindi più inflazione.
“Vedo un po’ di contraddizioni di carattere generale”.