Federchimica: Con più ricerca ricadute da 6 mld. Urso: “Chimica colonna portante economia”

La ricerca genera competitività e apre la via all’estero. L’effetto spillover è importante: 400 milioni di euro in investimenti nella chimica ad alta specialità generano 6 miliardi di euro sull’intera economia italiana. I dati arrivano dall’incontro ‘Innovazione chimica’, che si è tenuto questa mattina a Villa Madama a Roma, organizzato dal ministero degli Esteri e e da Federchimica.

“Il comparto ha un impatto a cascata su un numero infinito di settori della nostra economica e il rapporto che presentiamo oggi fotografa il ruolo della chimica come acceleratore di innovazione, export, crescita”, spiega, Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri ricorda di aver rafforzato la “squadra della crescita”, ovvero Ice, Sace, Simest, Cassa Depositi e Prestiti, che sono al fianco delle imprese per aiutarle a crescere nei circuiti internazionali. “Dall’inizio del mio mandato ho messo in campo una precisa strategia di Diplomazia della crescita, a favore dell’export e per l’internazionalizzazione dei nostri territori”, rivendica il vicepremier, che in questi giorni ha lanciato una strategia di ulteriore rafforzamento e diversificazione dei mercati di sbocco, con un occhio d’attenzione agli emergenti.

L’industria chimica in Italia è “una delle colonne portanti dell’economia”, osserva Adolfo Urso, che snocciola i numeri: “Con un fatturato di 77 miliardi di euro e un ruolo centrale in Europa, siamo terzi per produzione dopo Germania e Francia”. Ma il settore, assicura, diventerà sempre più “competitivo, innovativo e sostenibile”. La trasversalità della chimica “la rende un motore di innovazione in molti settori, dall’ambiente alla salute, dall’industria ai nuovi materiali“, scandisce Anna Maria Bernini. Sono 125 i corsi di laurea in Italia, che si evolvono per “rispondere alle sfide del mercato del lavoro e della società, con percorsi altamente specializzati e orientati alla sostenibilità e alle nuove tecnologie”, chiosa la ministra dell’Università e della Ricerca.

La chimica è un settore strategico dell’economia europea, ha un carattere pervasivo e abilitatore: il 95% di tutti i manufatti, già di uso comune o che lo diventeranno in futuro, sono disponibili a costi largamente accessibili grazie alla chimica. L’industria chimica, caratterizzata da specialità ad alto valore, offre le soluzioni tecnologiche che rendono possibile lo sviluppo e la produzione di molti prodotti finiti. In termini di competitività sui mercati globali, la geopolitica è entrata prepotentemente nelle nostre imprese con ricadute rilevanti per quanto riguarda la gestione sostenibile delle materie prime e i costi energetici, aspetti cruciali per contrastare la concorrenza globale, in particolare da Paesi che non sempre rispettano i nostri stessi standard ambientali, sociali e di sicurezza. Le imprese chimiche in Italia sono “fortemente orientate all’export e sono protagoniste in collaborazioni internazionali grazie alla forte spinta innovativa data dal loro Dna: esportano tecnologie e competenze, consolidando la presenza internazionale del settore e contribuendo al rafforzamento del Made in Italy a livello globale”, spiega Francesco Buzzella, Presidente Federchimica. Secondo l’Eurostat, l’export chimico italiano, dal 2010 al 2023, è cresciuto dell’85% con un valore totale che ha raggiunto i 40,6 miliardi di euro, il 6,4% sul totale delle esportazioni nazionali. Il confronto internazionale indica che gli Stati Uniti sono il primo mercato di destinazione per la chimica europea e la Cina è il primo fornitore per l’Europa. In questo scenario, la Cina produce prevalentemente commodities a basso costo, mentre gli USA sono anche alla ricerca di specialità innovative. In Italia la chimica è tra i settori con la più diffusa presenza di imprese innovative (80%) e, diversamente da altri comparti, l’innovazione si basa sulla ricerca. In effetti l’industria chimica è il primo settore – dopo la farmaceutica – in termini di quota di imprese che svolgono attività di R&S (75%). La ricerca non coinvolge solo le realtà più grandi, ma anche le PMI. In ambito europeo l’Italia è il secondo Paese, dopo la Germania, per numero di imprese chimiche attive nella ricerca, oltre 1.200. Secondo l’anticipazione di una indagine sul valore della ricerca chimica come moltiplicatore di internazionalizzazione e competitività, gli investimenti dell’industria chimica italiana toccano il 3,8% sui ricavi, percentuale che pone il settore ben al di là del 3% fissato dall’UE come obiettivo; nelle imprese ad alto valore aggiunto e specializzazione, l’investimento in R&S supera la soglia del 5%. Al tempo stesso l’81,5% delle imprese ha investito per cogliere opportunità all’estero, il 35,4% ha investito all’estero (da sola o in joint) e il 74,1% è impegnato in progetti internazionali. Oltre la metà delle imprese giudica importante la ricerca per farsi strada nei mercati internazionali.

Dati che ribadiscono il valore strategico dell’innovazione chimica a favore di una espansione sui mercati esteri. La ricerca genera, infatti, competitività e apre la via verso l’estero con importanti ritorni positivi per tutto il Sistema Paese: tre quarti delle imprese hanno programmi di collaborazione internazionali confermando la propensione delle imprese alla ricerca e il contributo che la chimica in Italia offre alla presenza internazionale dell’industria italiana in generale. L’export chimico italiano è cresciuto negli ultimi trent’anni e oggi vale il 4,4% del totale mondiale, con prestazioni positive anche nel confronto con Francia e Germania grazie al traino delle numerose nicchie di specializzazione nell’ambito della chimica a valle in un contesto di regole complesse e di costi elevati a cominciare dall’energia. “La competitività dell’industria europea è a rischio su terreni che tradizionalmente erano suoi punti di forza, come evidenziato dal Rapporto Draghi alla Commissione europea”, ricorda la vicepresidente alla ricerca di Federchimica, Ilaria Di Lorenzo, che denuncia un ritardo delle scelte comuni in materia di competitività e una cultura iper-regolatoria come “ostacoli da rimuovere al più presto per salvaguardare una preziosa e insostituibile infrastruttura tecnologica per il nostro Paese”.

Buzzella (Federchimica): “5 proposte per evitare una lenta agonia dell’industria”

L’industria chimica in Italia è rappresentata da oltre 2.800 imprese e 112.000 addetti, un settore strategico con un valore di produzione di 67 miliardi di euro e quasi 40 miliardi di export. Tuttavia, uno studio di The European House Ambrosetti, presentato durante questa mattina durante l’assemblea di Federchimica, evidenzia come una politica industriale mirata potrebbe generare un incremento di 22,2 miliardi di valore aggiunto, apportando benefici economici all’intero sistema manifatturiero, stimati in 33,3 miliardi di euro e creando oltre 50mila nuovi posti di lavoro. Questa analisi, ha spiegato Francesco Buzzella, presidente di Federchimica, durante la sua relazione, “rappresenta una proposta corale che tutte le parti sociali di settore mettono a disposizione del Governo per promuovere iniziative a favore di un settore strategico come la chimica”, che “vive in anticipo e in modo amplificato il nuovo scenario di ‘policrisi’ che condiziona tutta l’industria”.

Pesano le stringenti regole ambientali Ue. “Paghiamo un prezzo carissimo, quello di una normativa che favorisce il primato ecologico dell’Europa a dispetto della competitività industriale”, ha evidenziato ancora Buzzella. Il gap competitivo è evidente, con il costo dell’energia in Italia ben superiore rispetto ad altri Paesi europei. “Serve un mercato unico europeo dell’elettricità,” ha affermato sottolineando il potenziale dell’Italia come hub energetico nel Sud Europa, integrando anche fonti rinnovabili e nucleari di nuova generazione. E proprio la chimica – ha proseguito Buzzella -, si configura come una soluzione fondamentale per la transizione ecologica. “Senza chimica non c’è industria“, ha detto mettendo in risalto il fatto che i prodotti chimici sono essenziali nel 95% dei manufatti quotidiani e nelle applicazioni strategiche. “La transizione ecologica richiederà non meno, ma più chimica”, con necessità di investimenti in tecnologie innovative come il riciclo chimico e l’idrogeno rinnovabile.

Cinque sono le proposte concrete avanzate alle istituzioni, e non solo, da Federchimica. La prima, appunto è quella di creare un mercato unico europeo dell’Elettricità, perché è essenziale garantire l’accesso a forniture energetiche a costi competitivi, mantenendo l’energia elettrica a livelli pari o inferiori rispetto agli altri Paesi europei. E in questo senso – sostiene l’associazione – l’Italia dovrebbe essere valorizzata come hub energetico per il Sud Europa, promuovendo gas, stoccaggio di CO2 e rinnovabili. Poi – seconda proposta – il settore chimico, deve essere accompagnato nella transizione ecologica evitando regolamentazioni eccessive. È necessaria una spinta verso investimenti in tecnologie innovative, come il riciclo chimico e l’idrogeno rinnovabile. Altra idea sul tavolo: per facilitare la decarbonizzazione della chimica, occorre rafforzare i finanziamenti provenienti dai permessi per le emissioni di CO2, raggiungendo anche in Italia il limite massimo di compensazione del 70%, come previsto dalla normativa europea. È inoltre cruciale – come emerge dalle proposte presentata all’assemblea di Federchimica – stabilire un quadro normativo che contempli obiettivi ambiziosi ma realizzabili, rispettando il principio di neutralità tecnologica. Qualsiasi restrizione sull’uso di sostanze deve considerare l’efficacia della gestione del rischio e la mancanza di valide alternative. L’Italia – in questo ambito – deve valorizzare la sua posizione di “eccellenza” nel riciclo, creando un vero Mercato Unico per la circolarità e migliorando la qualità delle materie prime seconde. Inoltre, si devono stimolare pratiche come l’Ecodesign e la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR). Infine, è fondamentale investire nella formazione e nelle competenze del settore, promuovendo programmi formativi e aumentando l’orientamento verso le professionalità tecnico-scientifiche nelle scuole.

Urgono cambiamenti radicali e massicci investimenti per rifondare l’economia nel segno dello sviluppo sostenibile e dell’innovazione high-tech. Altrimenti – ha sintetizzato Buzzella usando le parole di Mario Draghi – ‘sarà una lenta agonia’. La chimica, per la sua natura virtuosamente pervasiva in tutti i processi manifatturieri, può esserne il volano per tutto il Made in Italy“.

Buzzella è il neo leader Federchimica: “Bisogna arrivarci al 2030, serve fondo Ue per la transizione”

Francesco Buzzella da oggi è ufficialmente il nuovo presidente di Federchimica. E’ stato votato all’unanimità dall’assemblea riunita a Milano. Cinquantacinque anni e comproprietario della Coim, multinazionale fondata nel 1962 che conta 20 siti in 4 continenti e un giro d’affari di 1,4 miliardi, Buzzella non ha usato giri di parole per chiedere un cambio di rotta del percorso verso la transizione, perché “senza una chimica forte si rischia un insuccesso”.

Presidente, nella sua relazione ha parlato di idrogeno e nucleare come fonti di energia del futuro, però allo stesso tempo ha detto che con questi prezzi dell’energia c’è il rischio di deindustrializzazione europea. Siccome idrogeno e nucleare sono obiettivi al 2030, 2040 e 2050 mentre i prezzi alti sono adesso, non c’è un rischio di non farcela?
“Sì, bisogna arrivarci al 2030. Oltretutto l’idrogeno non è una fonte energetica ma un vettore energetico che va prodotto e l’idea di poter produrre l’idrogeno magari con una fonte nucleare a basso costo sarebbe l’ideale. Però noi dobbiamo fronteggiare un presente estremamente difficile, per quello chiediamo un minimo di aiuti soprattutto per i settori più energivori”.

I conti pubblici sono quello che sono…
“Conosciamo le finanze pubbliche, per quello ci vorrebbe un grande fondo europeo per la transizione. La Cina e gli Usa stanno predisponendo grandi fondi per la transizione. La Commissione Ue ha dichiarato che il costo per la transizione da qui al 2030 è di 3500 miliardi di cui 650-700 a carico dell’Italia. Non penso che oggi ci siano delle finanze, a livello di aziende o privati, per sostenere spese di questo tipo. Dovrebbero essere portate avanti all’interno di una governance europea”.

A livello finanziario, per attrarre investimenti, serve una quantificazione di un rendimento. Lei nella sua relazione dice che le rinnovabili non possono sostituire in tutto e per tutto i combustibili fossili.
“Sì, è passata un po’ questa idea che le rinnovabili possano in qualche modo possano soppiantare nel giro di breve tempo tutte le fonti fossili. Ma ci sono fonti fossili e fonti fossili. C’è l’idea di dire ‘non voglio usare più il carbone’ o ‘non voglio più usare gli oli pesanti’ ma bisogna allora prendere in considerazione passaggi come l’utilizzo del metano come fonte energetica di transizione. Non si può dire tout-court ‘basta metano’, ‘basta tutto’ o dire montiamo un po’ di pale eoliche e qualche pannello solare e ci salviamo…”

Il mondo però continua ad andare a petrolio…
“L’80% delle fonti energetiche sono ancora fossili. Possiamo benissimo essere degli apripista perché essere i primi in tema di definizione in materia di emissione può essere anche un vantaggio, se gli altri però ti seguono. Perché comunque sono tecnologie più costose. Insisto: vogliamo far la transizione? Bene, ma non possiamo farla pagare tutta ai cittadini e alle imprese, le quali scaricherebbero comunque i maggiori costi sui consumatori”.

E quindi più inflazione.
“Vedo un po’ di contraddizioni di carattere generale”.