Coldiretti contro l’arrivo in Italia del cibo ‘fake’, blitz nei porti di Bari e Salerno

Photo credit: Coldiretti

 

No fake in Italy“, “Stop falso cibo italiano“, “Basta import sleale“: sono solo alcune delle grida di battaglia lanciate da Coldiretti dal Brennero, che ora arrivano anche nei porti di Bari e Salerno. Sono proprio Puglia e Campania i teatri dei blitz dei coltivatori diretti per impedire l’arrivo in Italia di “importazioni sleali fatte con lo sfruttamento dei lavoratori cinesi o senza rispettare gli standard europei“, come spiega il presidente, Ettore Prandini.

Entrando nel dettaglio, l’azione messa in campo a Bari è servita a denunciare l’arrivo in rada della “nave fantasma” con a bordo grano turco “di cui si erano perse le tracce dopo che aveva lasciato la Tunisia, da cui risulta sia stata respinta” spiega l’associazione. Sottolineando che l’arrivo allo scalo pugliese sarebbe avvenuto toccando le coste della Grecia. A Bari, però, sono salpate le imbarcazioni degli agricoltori di Coldiretti “decise a denunciare queste pratiche che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di centinaia di nostre aziende, facendo crollare i prezzi del prodotto italiano proprio alla vigilia dei raccolti“. I dati parlano chiaro: nel 2023 l’import di grano duro dalla Turchia è aumentato oltre l’800%, dalla Russia di oltre il 1000%, dal Kazakistan del 170 percento e dal Canada del 47, sebbene sia trattato con glifosato secondo modalità vietate a livello nazionale. Inoltre, solo nei primi 2 mesi del 2024 sono arrivati quasi 35 milioni di chili di frumento duro, lo stesso quantitativo dell’intero 2022.

Vogliamo che venga rimesso in discussione il principio del codice doganale sull’origine dei cibi, dove ciò che conta è solo l’ultima trasformazione“, dice ancora Prandini in audizione sul decreto Agricoltura davanti alla commissione Agricoltura del Senato. Il numero uno di Coldiretti apprezza l’apertura del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: “Per noi è la madre di tutte le battaglie a livello europeo. Non può e non deve essere l’ultima trasformazione, ma il prodotto che viene utilizzato, che ne deve esaltare l’italianità“.

Proprio per questo motivo i blitz. Il secondo dei quali è avvenuto a Salerno, con gommoni e imbarcazioni sui quali gli associati hanno contestato l’arrivo nei pressi del porto di una nave con 40 container di concentrato di pomodoro cinese, accusato di essere ottenuto con lo sfruttamento del lavoro delle minoranze. Un carico che ha iniziato il suo viaggio lo scorso 29 aprile sul treno della China-Europe Railway Express per essere poi trasferito sull’imbarcazione che è poi approdata in Campania dopo un viaggio di oltre diecimila chilometri tra binari e mare. “Il 90% del concentrato di pomodoro cinese destinato all’esportazione viene dai campi della regione dello Xinjiang, dove verrebbe coltivato grazie al lavoro forzato degli uiguri“, denuncia Coldiretti. Lo scorso anno l’Italia ha importato 85 milioni di chili di pomodoro trasformato cinese, proveniente in gran parte proprio dallo Xinjiang nonostante il fatto che gli Stati Uniti ne abbiano vietato l’importazione sul proprio territorio dal gennaio 2021 per evitare di sostenere il lavoro forzato.

A Salerno è anche il Masaf a muoversi, come conferma il ministro Lollobrigida a GEA, a margine di una visita nel Viterbese. “Ieri abbiamo avuto la segnalazione di una nave che stava per arrivare, che ha chiesto l’autorizzazione a entrare in porto e penso che quando ha saputo che avremmo controllato fino all’ultimo dettaglio del grano che portava e che era stato rifiutato dalla Tunisia, ha girato e se n’è andata. Ma potrebbe avere anche cambiato idea per altre ragioni, non lo sappiamo“. Comunque, assicura, “quel grano non sbarcherà in Italia“. Lollobrigida ribadisce l’impegno sulla “richiesta di revisione del codice doganale” e assicura: “Con noi i controlli sono aumentati. Non accetteremo che la concorrenza sleale dei paesi che non rispettano le stesse regole che imponiamo ai nostri agricoltori e allevatori desertifichi il nostro sistema produttivo“.

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Grano, parte piano straordinario controlli. Lollobrigida: “Qualità a ogni costo”

Controlli sul grano duro importato potenziati, per monitorare la filiera, nei porti di partenza e in quelli di arrivo. E’ il piano straordinario voluto dal ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che sul tema ha presieduto una cabina di regia con la rete degli enti responsabili dei controlli per il comparto agro-alimentare, con un confronto diretto con rappresentanti delle filiere.

Il piano parte da metà novembre. Obiettivo trasparenza: “Il Made in Italy è una garanzia di qualità e deve continuare ad esserlo. Per questo abbiamo chiesto alle nostre forze in campo un impegno straordinario, all’interno della cabina di regia, per controllare l’import e chi produce alimenti con 100% Grano italiano”, spiega il ministro.

La cabina di regia sui controlli agroalimentari, riunita per la prima volta il 13 marzo scorso, è stata creata per dotare il Paese di un sistema integrato di controllo e tutelare la produzione rispetto a eventuali concorrenze sleali a livello internazionale e al fenomeno dell’Italian sounding. Il 19 luglio sono stati presentati i risultati del primo trimestre di attività, che hanno registrato oltre 120mila controlli; in quella occasione, Lollobrigida e Adolfo Urso, ministro delle Imprese, hanno incontrato i pastai per discutere dell’equa distribuzione del valore lungo la filiera.

Secondo l‘Ismea, nel 2023 la superficie destinata al Grano duro in Italia è stata di 1,22 milioni di ettari, in sostanziale stabilità rispetto al 2022 (1,24 milioni di ettari). La produzione nazionale di frumento duro 2023 si stima intorno alle 3,8 milioni di tonnellate, dopo essere scesa a 3,7 mln nel 2022 a causa della siccità.
Puntiamo a una crescita“, fa sapere Lollobrigida, che però “tuteli il primo anello della catena, perché dobbiamo mettere in condizione l’imprenditore agricolo di produrre al giusto prezzo”.

L’Italia, al momento, importa quindi la maggior parte del prodotto. Nel primo semestre 2023 sono state importate oltre 1,2 milioni di tonnellate di grano duro (+61% rispetto allo stesso periodo del 2022). La quota di importazione (che oscilla mediamente intorno ai 2 milioni di tonnellate all’anno, un’alta percentuale di questi dal Canada) è ancora fondamentale per soddisfare il fabbisogno dell’industria. La produzione di pasta è invece di circa 3,6 milioni di tonnellate, per il 60% destinato all’export. Va detto che, a livello nazionale, il consumo pro-capite si è ridotto dell’11% negli ultimi 10 anni.

Della cabina di regia fanno parte i comandi dei carabinieri per la Tutela agroalimentare e per la Tutela forestale e parchi, la guardia di finanza, la capitaneria di porto, Agea, Agenzia delle Entrate e l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Masaf, a cui è affidato il ruolo di coordinamento operativo.

I nuovi controlli, assicura Lollobrigida, non saranno un aggravio per le imprese, ma un ulteriore “strumento di garanzia” dell’utilizzo di grano italiano, a vantaggio delle persone che acquistano e degli stessi produttori, che, ribadisce il ministro “vedono così garantito il valore della loro fatica e del loro valore nell’utilizzare una materia prima di origine nazionale”.

La necessità è anche quella di garantire equilibrio nei prezzi. Le continue fluttuazioni, dovute anche a costi di produzione in crescita e un prezzo del grano sempre inferiore, richiedono interventi che, scandisce Lollobrigida “vogliamo mettere in campo attraverso la concertazione con le rappresentanze del mondo degli agricoltori”. Per questo, l’Ismea è stato incaricato di ricostruire una catena del valore per chiarire come viene redistribuito il prezzo lungo la filiera ma anche il reddito. Si punta a un’equa distribuzione del valore aggiunto all’interno delle filiere, che è legato alla qualità che, nelle intenzioni del ministero, “deve essere preservata ad ogni costo”.

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I giganti mondiali del grano: Russia è primo esportatore al mondo

La Cina produce molto ma non esporta, la Russia domina il commercio e detta le regole: una panoramica del mercato del grano, cereale essenziale per il pane, che solo una decina di Paesi al mondo è in grado di esportare.
Semola, farina o pane: “Tutti mangiano il grano, ma non tutti sono in grado di produrlo“, sintetizzava l’economista francese Bruno Parmentier, autore di ‘Nourrir l’humanité’, nel luglio 2022.

Frutto dei climi temperati, nato in Mesopotamia, il grano tenero consumato oggi da miliardi di esseri umani può diventare un vettore di guerra, quando manca o la sua mobilità è ostacolata.
Ad agosto, l‘International Grain Council (IGC), che riunisce i principali Paesi importatori ed esportatori del mondo, ha previsto una produzione mondiale di grano di 784 milioni di tonnellate nel 2023-24, in leggero calo del 2,4% rispetto all’anno precedente.

Solo una decina di Paesi produce abbastanza da poter esportare: la Cina, di gran lunga il maggior produttore mondiale con 138 milioni di tonnellate nel 2022-23, importa ancora più di 10 milioni di tonnellate all’anno per nutrire i suoi 1,4 miliardi di abitanti, tenendo sempre a disposizione un’enorme scorta.
Dopo un raccolto record di 92-100 milioni di tonnellate nel 2022-23, a seconda delle fonti, la Russia è “sulla buona strada per avere il secondo miglior raccolto di sempre“, secondo Sébastien Poncelet, specialista del mercato dei cereali di Agritel (gruppo Argus media), che prevede circa 90 milioni di tonnellate.

In quanto primo esportatore mondiale, con 46 milioni di tonnellate nel 2022-23 secondo le stime dell’USDA, la Russia da sola potrebbe rappresentare un quarto del commercio mondiale di grano quest’anno. Dietro Mosca, i principali esportatori sono il Canada, l’Australia, gli Stati Uniti, che dovrebbero scendere sotto i 20 milioni di tonnellate, il livello più basso degli ultimi 50 anni, e la Francia. L’Ucraina, che prima della guerra stava per diventare il terzo esportatore mondiale, dovrebbe esportare solo 10 milioni di tonnellate, secondo l’USDA.

Secondo Sébastien Abis, ricercatore associato presso l’Institut de relations internationales et stratégiques (Iris), dal 2018 la Turchia è il principale cliente di grano della Russia, seguita dall’Egitto: questi due Paesi rappresentano il 40% delle esportazioni russe. Seguono Iran e Siria. L’esperto sottolinea che il grano russo sta facendo progressi costanti sul mercato delle esportazioni e si sta ritagliando uno spazio tra i clienti tradizionali, dall’Europa occidentale al Maghreb e all’Africa subsahariana.

Secondo l’Istituto africano per gli studi sulla sicurezza (ISS), nel 2020 il commercio totale tra Russia e Africa ammontava a circa 14 miliardi di dollari, rispetto ai 295 miliardi di dollari con l’Unione europea, ai 254 miliardi di dollari con la Cina e ai 65 miliardi di dollari con gli Stati Uniti. Inizialmente incentrato su energia e armi, questo commercio si è esteso sempre più alle materie prime agricole, in particolare al grano.

Sebbene il grano non sia un alimento base nella maggior parte dell’Africa, rimane un’importante fonte di calorie in molti Paesi, in particolare nei centri urbani, dove la mancanza di pane può portare rapidamente a rivolte.

Secondo uno studio dell’IFPRI (International Food Policy Research Institute), tra il 2019 e il 2021, il grano destinato all’Africa subsahariana rappresenterà in media circa il 18% delle esportazioni annuali totali di questo cereale da parte della Russia. I volumi, pur non essendo enormi, non sono insignificanti: 3,9 milioni di tonnellate di grano russo nel 2022-23 (poco meno del 20% delle importazioni di grano della regione, ma in calo rispetto ai 4,5 milioni di tonnellate del 2021-22).
La Russia, che ha intensificato le promesse di forniture a basso costo all’Africa, “non ha compensato” il calo delle esportazioni ucraine, che si sono più che dimezzate a 701.000 tonnellate nel 2022-23, sottolinea lo studio. Il Corno d’Africa, la Liberia e il Madagascar sono tra i Paesi più dipendenti dalle importazioni di grano russo.

Meloni: “Sicurezza alimentare cruciale, sarà priorità Presidenza italiana del G7”

Per tre giorni Roma sarà “la capitale mondiale della sicurezza alimentare“. Sono le parole usate dalla premier, Giorgia Meloni, nel suo intervento alla giornata inaugurale del Vertice Fao sui sistemi alimentari. Un appuntamento che cade in uno dei momenti particolarmente delicati per equilibri economici, sociali e geopolitici globali, per la scelta della Russia di uscire dagli accordi per far partire il grano ucraino dal Mar Nero. Se Mosca non dovesse ripensarci, a rischio ci sarebbero milioni di persone. “La sicurezza alimentare è cruciale”, dice la premier, Giorgia Meloni. “Bisogna fare in modo che le persone abbiano l’opportunità di stare nel proprio Paese, questo è anche il vero significato della sovranità alimentare – continua -: il diritto di tutte le persone di poter scegliere il proprio modello produttivo e il proprio modello alimentare”.

Per Meloni il tema sarà “una priorità anche nell’agenda del G7 durante la nostra Presidenza, il prossimo anno“, ma esorta le grandi nazioni a cooperare, investire e innovare, perché “solo finanziando in modo massiccio” le azioni per garantire cibo (di qualità) per tutti “si può arrivare a dei cambiamenti veri, radicali nel sistema alimentare”. E in questo senso “la collaborazione con le istituzioni finanziarie internazionali è un elemento cruciale per l’implementazione di progetti agricoli”. L’Italia farà la sua parte, con un progetto sull’agritech che sarà sviluppato a Napoli: “Un centro di ricerca strategico” che “svilupperà nuove tecnologie, partendo dal settore aerospaziale e ne studierà le applicazioni nel campo agricolo“.

Altro argomento chiave è rimettere a posto le ‘falle’ del sistema alimentare. Compito non facile, perché “mentre cerchiamo di combattere ancora con le conseguenze della pandemia e ricostruire i flussi mondiali, la guerra di aggressione russa in Ucraina ha creato dei disagi sui prezzi, scatenando l’inflazione in tutto il mondo – spiega Meloni – e ovviamente a farne le maggiori spese sono le nazioni più vulnerabili meno ricche, soprattutto al Sud del mondo“. La premier non usa giri di parole: “Questa guerra ha esacerbato problemi già esistenti come la sicurezza alimentare, soprattutto in molte nazioni africane, già messe alla prova da lunghi periodi di siccità“. Meloni ricorda il Piano Mattei del governo italiano: “Lo spirito è stabilire un modello di cooperazione non predatorio”, perché “una relazione più forte tra i Paesi verso una produzione più sostenibile può essere un’opportunità da cogliere”.

Del resto, ricorda, “la sicurezza alimentare è sempre stata una delle linee guida più strategiche della nostra politica estera, un’area prioritaria della cooperazione italiana allo sviluppo ed è diventata una delle maggiori sfide della nostra epoca in questo mondo così interconnesso“. E’ urgente, dunque, “collaborare con tutte le altre nazioni nel mondo per sostenere” l’Africa e “creare la loro prosperità“. Motivo per il quale “mi aspetto unanimità su un accordo per un’azione concreta“. Una riflessione in armonia con le parole del direttore generale della Fao, Qu Dongyu, secondo il quale “di fronte alle crescenti incertezze e alle molteplici crisi, dobbiamo intraprendere con urgenza questa trasformazione per soddisfare le grandi aspettative che abbiamo dai nostri sistemi agroalimentari“. E l’organismo delle Nazioni Unite vuole “sfruttare gli acceleratori trasversali”, concentrandosi su quattro aree chiave: scienza e innovazione, miglioramento delle capacità dei dati, aumento dei finanziamenti pubblici e privati mirati e coordinati e creazione di meccanismi di governance dei sistemi agroalimentari inclusivi. Perché “per liberare il pieno potenziale dei sistemi agroalimentari è necessario concentrarsi su questi acceleratori, per ridurre al minimo i compromessi e massimizzare le sinergie“, conclude Qu.

Nel pomeriggio di ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto al Quirinale il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, alla presenza del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il capo dello Stato sottolinea quanto il Vertice Fao “sia particolarmente importante in questo periodo e in questo momento“, con la “quasi la coincidenza di tre grandi eventi – conclude Mattarella -: la conferenza sui sistemi alimentari, che è in corso, a breve la 70esima sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite e poi in settembre il summit sullo Sviluppo sostenibile”.

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Mosca annuncia la fine dell’accordo sul grano. Onu: “Milioni di persone ne pagheranno le spese”

Fine degli accordi del Mar Nero. La Russia ha annunciato di non essere disposta a rinnovare l’intesa – in scadenza il 17 luglio – sull’esportazione di grano ucraino, cruciale per le forniture alimentari mondiali. E la conferma è arrivata a poche ore dall’attacco ucraino che ha parzialmente distrutto per la seconda volta il ponte strategico che collega la Russia alla penisola di Crimea, annessa nel 2014.

Firmata nel luglio 2022 con Russia e Ucraina sotto l’egida della Turchia – Paese facilitatore – e delle Nazioni Unite e già rinnovata due volte, la ‘Black Sea Grains Initiative’ mira ad alleviare il rischio di carestia nel mondo assicurando, nonostante la guerra, l’immissione sul mercato di prodotti agricoli ucraini. Garantendo la sicurezza del traffico merci nel Mar Nero in partenza dai porti ucraini, l’accordo, che richiede l’ispezione delle navi da parte dei rappresentanti dei quattro firmatari, ha consentito l’esportazione di quasi 33 milioni di tonnellate sin dal suo inizio, il 1 agosto 2022, principalmente grano e mais.

Ma il Cremlino ha ignorato gli appelli che si sono moltiplicati negli ultimi giorni per il rinnovo dell’accordo, spiegando che la decisione “è definitiva”. Tuttavia, il ministero degli Esteri, ha rilanciato la palla: “se le capitali occidentali apprezzano davvero l’iniziativa del Mar Nero“, allora dovrebbero prendere “seriamente” in considerazione “l’adempimento dei loro obblighi e rimuovere effettivamente i fertilizzanti e i prodotti alimentari russi dalle sanzioni”. Solo quando si otterranno “risultati concreti, e non promesse e rassicurazioni”, la Russia sarà pronta a prendere in considerazione il ripristino dell’accordo. E il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è detto convinto che il suo “amico Putin” voglia ripensarci.

Immediata la replica dell’Onu, che attraverso il Segretario generale Antonio Guterres, ha spiegato che “centinaia di milioni di persone stanno affrontando la fame” e saranno proprio loro a “pagare il prezzo” dello stop all’accordo. Per Save the children saranno “milioni di bambini in più in tutto il mondo” a soffrire maggiormente.

L’ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha accusato Mosca di “prendere in ostaggio l’umanità“, mentre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, insieme a Londra, Parigi e Berlino, ha definito “cinica” la decisione russa e ha spiegato che l’Unione europea “sta lavorando per garantire la sicurezza alimentare per le persone vulnerabili del mondo e le corsie di solidarietà continueranno a portare i prodotti agroalimentari dall’Ucraina ai mercati globali”.

La questione, ha invece assicurato il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, sarà affrontata al vertice sulla sicurezza alimentare che si terrà a Roma il 24 luglio, ma in ogni caso “siamo già al lavoro per soluzioni alternative”. E per la premier, Giorgia Meloni, la decisione della Russia di interrompere l’accordo del grano “è l’ulteriore prova su chi è amico e chi è nemico dei paesi più poveri”. Riflettano –  ha detto – i leader di quelle nazioni che non vogliono distinguere tra aggredito e aggressore. Usare la materia prima che sfama il mondo come un’arma è un’altra offesa contro l’umanità”.

L’Ucraina, da parte sua, ha dichiarato di voler continuare a esportare il suo grano attraverso il Mar Nero, con o senza la firma dell’accordo da parte di Mosca. “Non abbiamo paura”, ha detto il presidente Volodymyr Zelensky.

Sul fronte economico, con la mancata proroga dell’accordo, mancheranno dai mercati mondiali 32,8 milioni di tonnellate di grano, mais e olio di girasole che sono partiti dai porti Ucraini del Mar Nero nell’anno di attuazione dell’intesa. Secondo i dati elaborati da Coldiretti, l’intesa è stata “anche per fronteggiare il pericolo carestia in quei 53 Paesi dove secondo l’Onu, la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. Un pericolo quindi anche per la stabilità politica proprio mentre si moltiplicano le tensioni sociali ed i flussi migratori, anche verso l’Italia”.

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A rischio il ribasso dei prezzi di pane e pasta con lo stop della Russia all’accordo sul grano

“La Russia non vede alcuna ragione per estendere l’accordo sul grano ucraino”, ha annunciato il ministro russo degli Esteri Serghei Lavrov. Fra poche settimane dunque non dovrebbe essere prorogata l’intesa sui cereali provenienti dal mar Nero, che era stata firmata lo scorso anno per garantire gli approvvigionamenti nei Paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia ed evitare carestie che potessero spingere i flussi migratori.

Il prezzo del grano, in seguito alla dichiarazione di Mosca, è schizzato di quasi il 10% per poi passare in negativo, anche perché i timori sull’offerta da parte dei principali produttori mondiali si sono attenuati: le piogge nel Midwest degli Stati Uniti hanno cancellato le preoccupazioni che le condizioni di siccità avrebbero danneggiato il raccolto imminente, recuperando le aspettative di forti livelli di produzione nel prossimo anno di commercializzazione. Tutta merce che sostituirà eventualmente quella ucraina in Italia.

Secondo Coldiretti le importazioni di frumento da Kiev sono aumentate del 326% per un quantitativo pari a oltre 115 milioni di chili nel primo trimestre 2023. Una sorta di invasione che ha fatto crollare del 30% le quotazioni del grano tenero nell’ultimo anno, su valori che sono scesi ad appena 26 centesimi al chilo. Prezzi che – secondo Coldiretti – non coprono i costi di produzione.

Solo il 55% dei prodotti agricoli che hanno lasciato l’Ucraina dopo l’accordo hanno raggiunto i Paesi in via di sviluppo, come quelli del Nord Africa e dell’Asia, come emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati del Centro Studi Divulga sui prodotti agricoli partiti da agosto 2022 a febbraio 2023 dai porti di Chornomorsk (36,4% del totale), Yuzhny (35,8%) e Odessa (27,8%). La Cina con ben 5,2 milioni di tonnellate di prodotti agricoli tra grano, mais e olio di girasole, pari al 21,5% sul totale, è il Paese che ha beneficiato di più dell’accordo. La Spagna con 4,1 milioni di tonnellate di prodotti e la Turchia con 2,7 milioni di tonnellate di prodotti salgono comunque sul podio, ma l’Italia con 1,76 milioni di tonnellate si colloca al quarto posto. Nonostante questo i prezzi di pasta e pane sono lievitati, mentre quelli del grano sono precipitati. Una contraddizione che ha smosso il ministero del made in Italy e mister Prezzi, i quali hanno avviato indagini conoscitive per provare a scovare eventuali speculazioni.

I pastai si difendono, ad esempio, sostenendo che i listini erano saliti perché la merce comprata mesi fa aveva quotazioni più elevate di quelle attuali, per tanto i prezzi al consumo dovrebbero calare man mano che i prodotti ‘cari’ saranno esauriti e il fabbisogno sarà rimpiazzato con materia prima più economica. Lo stop al grano ucraino tuttavia rischia di frenare questa tendenza positiva per l’acquirente finale. Il grano nuovo, fa sapere Coldiretti Puglia, è pagato 330 euro a tonnellata, un prezzo che non copre neppure i costi di produzione. Stesso discorso in Sardegna, dove sempre l’associazione territoriale spiega che a queste quotazioni un agricoltore ci perde 200-300 euro a ettaro, mettendo a rischio la continuità aziendale e, in ultima istanza, lo stesso prodotto made in Italy. Servirebbe dunque una remunerazione maggiore per gli agricoltori, in questo caso però non si avrebbe nessun ribasso sul costo finale di pasta o pane. Comunque sia difficilmente i produttori potranno aspirare a incassare di più, dato che la quantità di frumento proveniente dal Nord America abbatterebbe le quotazioni all’ingrosso.

Un cane che si morde la coda, dunque, dove agricoltori e consumatori italiani sembrano essere quelli che pagheranno di più questi ribaltamenti del mercato, nati dall’abolizione dei dazi sul frumento ucraino.

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L’Ue prepara il secondo pacchetto di aiuti per l’import del grano da Kiev

La Commissione europea lavora a un secondo pacchetto di aiuti per i Paesi confinanti con l’Ucraina, dopo che Polonia, Ungheria e ora anche Slovacchia hanno deciso di chiudere le frontiere all’import di grano e altri cereali in arrivo da Kiev.

Lo scorso 20 marzo la Commissione ha proposto un primo pacchetto di aiuti pari a 56,3 milioni di euro finanziati dalla riserva agricola per tre Paesi: 29,5 milioni di euro alla Polonia, 16,75 milioni di euro alla Bulgaria e 10,05 milioni di euro alla Romania, dandogli la possibilità di integrare questo sostegno fino al 100% con fondi nazionali che ammonterebbero a un aiuto finanziario totale di 112,6 milioni di euro per gli agricoltori interessati. “Ora stiamo valutando un secondo pacchetto, ma è ancora in discussione”, ha dichiarato la portavoce della Commissione Ue per l’agricoltura e il commercio, Miriam García Ferrer,, senza però fornire ulteriori dettagli sulle risorse che potrebbero essere mobilitate e per quali Paesi.

Questa volta potrebbe riguardare più Stati membri oltre a Polonia, Bulgaria e Romania. “Siamo consapevoli che ci sono anche altri Paesi che possono essere colpiti, è importante sottolineare che stiamo prendendo in considerazione l’impatto di questo aumento delle importazioni sui Paesi in prima linea”. Prima Polonia e Ungheria, ora anche Slovacchia. Salgono a quota tre i Paesi europei ad aver annunciato di aver chiuso le frontiere al grano e altri cereali in arrivo dall’Ucraina. E Bruxelles è “in contatto con le autorità competenti dei Paesi che hanno annunciato queste misure e con le autorità di Kiev per capirne lo scopo e la loro base legale, perché non abbiamo chiarezza di questo punto”, ha dichiarato la portavoce.

Da quando l’invasione della Russia ha bloccato alcuni porti del Mar Nero, grandi quantità di grano ucraino sono finite nei Paesi confinanti dell’Europa centrale, a volte rimanendo bloccate lì a causa di colli di bottiglia logistici. L’accumulo di grano e cereali nei silos ha avuto per mesi ripercussioni sulle vendite per gli agricoltori locali, con una svalutazione del prezzo dei beni agricoli. Non solo Polonia, ma anche altri Paesi dell’Europa centrale come Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria stanno lamentando la stessa pressione dell’aumento del grano in arrivo da Kiev per essere trasferito in altre parti del mondo.

Varsavia è stata la prima capitale ad annunciare sabato di aver varato un pacchetto – ribattezzato scudo agricolo contro la guerra – con una serie di azioni per sostenere gli agricoltori polacchi dagli effetti di questo eccesso di importazioni, che prevede tra le altre cose l’acquisto comune di grano immagazzinato in silos e di vietare l’importazione di alcuni prodotti agricoli in Polonia. Poco dopo è seguito lo stesso annuncio di Budapest, a cui si è aggiunta questa mattina anche la Slovacchia.

La nostra reazione a questa situazione potrebbe essere drastica, ma questa è una decisione per questi momenti, quando c’è una guerra, quando dobbiamo proteggere i polacchi, il mercato polacco, l’agricoltore polacco. Questo è il nostro dovere”, ha motivato il nuovo ministro polacco dell’Agricoltura, Robert Telus. Proprio le tensioni sociali e le proteste degli agricoltori hanno portato nelle scorse settimane alle dimissioni del precedente ministro Henryk Kowalczyk costrette dalla crescente pressione degli agricoltori che per settimane hanno protestato in tutto il Paese minacciando di bloccare anche i valichi di frontiera.

Contatti in corso tra Bruxelles e le Capitali che hanno agito in questi termini, dal momento che azioni unilaterali nel contesto della politica commerciale non sono ammesse. Durante il briefing con la stampa, la portavoce ha ricordato che l’area commerciale è competenza esclusiva dell’Unione europea e quindi viene gestita a livello comunitario. “Per questo azioni unilaterali da parte dei Paesi Ue nel quadro della politica commerciale non sono consentite”, ha spiegato, senza però entrare nel merito degli strumenti in capo alla Commissione europea per rispondere a queste azioni.

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Grano, Mosca: Estensione dell’accordo si complica. A Ginevra incontro con l’Onu

Il rinnovo dell’accordo sul grano si complica. Sergei Lavrov inizia a preparare il terreno per un nuovo braccio di ferro con la comunità internazionale a pochi giorni dalla scadenza del patto che ha permesso la ripresa delle esportazioni di cereali dai porti ucraini, nonostante l’offensiva di Mosca.
Se l’accordo è attuato a metà, allora la questione della sua estensione diventa piuttosto complicata“, è l’affondo del ministro degli Esteri russo, secondo il quale le clausole destinate a favorire la Federazione non sarebbero state attuate “affatto“.

La ‘Black Sea Grain Initiative’, il nome ufficiale dell’accordo, deriva da un patto siglato il 22 luglio che ha contribuito ad alleviare la crisi alimentare globale causata dall’attacco russo all’Ucraina. Vitale per le forniture alimentari globali, l’accordo è stato rinnovato a metà novembre per i quattro mesi invernali e scade il 18 marzo.

Il prossimo 13 marzo a Ginevra si tengono nuove consultazioni sull’accordo, al quale parteciperà anche la delegazione interdipartimentale russa, con i rappresentanti delle Nazioni Unite. Ieri il segretario generale, Antonio Guterres, ha lanciato un nuovo monito da Kiev: estendere l’accordo è “cruciale“, ha ricordato, invitando a “creare le condizioni per utilizzare al meglio l’infrastruttura di esportazione“. L’intesa ha permesso di sbloccare 23 milioni di tonnellate di grano dai porti ucraini. L’accordo “ha contribuito ad abbassare il costo globale del cibo e ha fornito un’assistenza cruciale alle persone che stanno pagando un prezzo pesante per questa guerra, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo“, ha precisato il capo delle Nazioni Unite.Il grano e i fertilizzanti ucraini e russi sono “essenziali per la sicurezza alimentare globale e per i prezzi dei prodotti alimentari“, in un contesto di inflazione diffusa in molti Paesi del mondo.

Martedì l’Ucraina ha invocato l’impegno della comunità internazionale per mantenere aperte le rotte marittime del Mar Nero e, al vertice del G20 di inizio marzo, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha cercato la mediazione con la Russia nel tentativo di far andare avanti i negoziati. Mosca, da parte sua, sostiene che la parte dell’accordo che avrebbe dovuto consentirle di esportare fertilizzanti senza le sanzioni occidentali non viene pienamente rispettata. “I nostri colleghi occidentali, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, dicono pateticamente che non ci sono sanzioni su cibo e fertilizzanti, ma questa non è una posizione onesta“, scandisce Lavrov. Di fatto, spiega, “le sanzioni vietano alle navi russe che trasportano Grano e fertilizzanti di entrare nei porti appropriati e vietano alle navi straniere di entrare nei porti russi per prendere questi carichi”. “Il prezzo dell’assicurazione per le navi – fa sapere – è quadruplicato a causa delle sanzioni“.

Meloni al G20: “Un successo”. Usa disposti ad aumentare forniture gas

Il missile caduto in Polonia, provocando due vittime, entra di prepotenza nel vertice del G20 a Bali. Ma non distoglie comunque l’attenzione dagli altri temi caldi sul tavolo. Primi fra tutti, l’energia e il grano. E la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nella conferenza stampa conclusiva prima di ripartire per l’Italia, spiega che “il G20 si è svolto in una situazione internazionale molto complessa”, nella quale “c’erano gli ingredienti perché si traducesse in un fallimento, invece mi pare di capire che è stato un successo”. Soprattutto sul tema dell’energia, di cui la premier ha parlato nel bilaterale con il presidente Usa Joe Biden che “ha offerto la sua disponibilità ad aumentare le forniture di gas, ma ovviamente rimane aperta la questione dei prezzi. Stiamo lavorando per una soluzione, posto che le aziende che forniscono il gnl sono private“.

Una buona notizia in vista della prossima legge di Bilancio che, come ormai noto dopo gli annunci delle ultime settimane, avrà appunto nelle misure per fronteggiare la crisi energetica, sia dal punto di vista degli approvvigionamenti, sia dal punto di vista della ricaduta sui cittadini e la programmazione futura, la parte più consistente. Secondo quanto riferisce il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a margine del G20, la manovra sarà al tavolo del Consiglio dei ministri già lunedì prossimo. “Dobbiamo fare presto“, spiega il responsabile del Mef.

E la sicurezza energetica, insieme a quella alimentare, entra nella dichiarazione conclusiva del vertice. I leader sostengono infatti l’urgenza di trasformare e diversificare rapidamente i sistemi energetici, di promuovere la sicurezza e la resilienza energetica e la stabilità dei mercati, accelerando e garantendo transizioni energetiche “pulite, sostenibili, giuste, accessibili e inclusive e flussi di investimenti sostenibili. Sottolineano poi l’importanza di garantire che la domanda globale di energia sia soddisfatta da forniture energetiche accessibili. Ribadiscono l’impegno a raggiungere l’azzeramento delle emissioni di gas a effetto serra a livello globale intorno alla metà del secolo, tenendo conto degli ultimi sviluppi scientifici e delle diverse situazioni nazionali. Per quanto riguarda l’accordo sul grano, invece, il G20 loda gli accordi di Istanbul, firmati il 22 luglio, sul trasporto sicuro di grano e prodotti alimentari dai porti ucraini e il Memorandum d’intesa tra la Federazione Russa e il Segretariato delle Nazioni Unite sulla promozione dei prodotti alimentari e dei fertilizzanti russi sui mercati mondiali. Sottolinea l’importanza della loro “piena, tempestiva e continua attuazione” da parte di tutte le parti interessate. Bene anche, si evidenzia nel dossier, le corsie di solidarietà dell’Ue e le donazioni russe di fertilizzanti agevolate dal Programma alimentare mondiale.

C’è poi l’impegno per sostenere i Paesi in via di sviluppo per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. In linea con il tema della Presidenza indonesiana del vertice – ‘Riprendersi insieme, riprendersi più forti’ – i leader guardano ad azioni coordinate per promuovere un’agenda per una ripresa globale “forte, inclusiva e resiliente e per uno sviluppo sostenibile che produca occupazione e crescita“.

Photo credit: Palazzo Chigi

Volodymyr Zelensky

Il presidente ucraino Zelensky al G20: “Estendere a tempo indeterminato l’accordo sul grano”

L’accordo sul grano esteso a tempo indeterminato e per altri due porti ucraini, oltre a Odessa. E’ l’appello di Volodymyr Zelensky, in videocollegamento con il G20. Lui, però, si rivolge al ‘G19’, escludendo la Russia dai grandi della Terra, riuniti a Bali, in Indonesia. Il presidente ucraino al vertice detta anche le sue proposte di soluzione alla guerra. Un decalogo, che va dalle garanzie di sicurezza nucleare, alimentare ed energetica al rilascio di tutti i prigionieri, passando per il ritiro delle truppe russe. “Pretese” che Mosca, nelle parole del ministro degli Esteri Sergey Lavrov, considera “irrealistiche e inadeguate“: “Tutti i problemi nella risoluzione della questione ucraina li crea Kiev, che rifiuta categoricamente qualsiasi negoziato“, denuncia nel suo intervento, in rappresentanza della Russia.

Il più grande raduno di leader mondiali dall’inizio della pandemia si apre infatti senza Vladimir Putin. Di ritorno da Kherson, città dell’Ucraina meridionale appena riconquistata dall’esercito, Zelensky è tra i primi a intervenire, davanti alla platea del primo panel, su sicurezza energetica e alimentare. Il suo piano per portare la pace e “salvare migliaia di vite” è “non fidarsi della Russia”, né tollerare “alcuna scusa per il ricatto nucleare” di fronte alle “folli minacce” di Mosca. Quindi, propone di estendere sine die l’accordo che consente le esportazioni di grano ucraino. Il negoziato, stipulato a luglio sotto l’egida della Turchia, che ha permesso la consegna di oltre 10 milioni di tonnellate di grano, scade venerdì e Mosca ha lasciato dubbi sulle sue intenzioni, sollevando timori per nuove carestie.

L’invasione dell’Ucraina non è all’ordine del giorno ufficiale del G20, ma domina l’incontro, perché preoccupa e acuisce le divisioni tra l’Occidente che sostiene Kiev e altri Paesi, guidati dalla Cina, che si rifiutano di condannare Mosca. L’accordo è al centro anche del bilaterale tra il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il turco Recep Tayyip Erdogan: “Biden – spiega la Casa Bianca – ha espresso il suo apprezzamento a Erdogan per gli sforzi compiuti per rinnovare l’Iniziativa per il grano del Mar Nero, che entrambi hanno concordato essere stata fondamentale per migliorare la sicurezza alimentare globale in mezzo alla guerra della Russia e che l’Iniziativa deve continuare“.

Ospitando l’evento, il presidente indonesiano Joko Widodo chiede nel suo discorso di apertura la “fine della guerra“: “Non dobbiamo dividere il mondo in campi diversi. Non dobbiamo permettere che il mondo cada in una nuova guerra fredda”. L’Indonesia, che ospita il vertice, aveva messo in guardia dall’aspettarsi il tradizionale comunicato congiunto, ogni virgola del quale viene intensamente negoziata per evitare di turbare qualcuno. Ma lunedì sera è stato raggiunto un accordo tra i negoziatori su un testo comune. Secondo una fonte occidentale, il documento descriverà l’invasione dell’Ucraina come una “guerra“, usando quindi un termine respinto da Mosca che parla di “operazione speciale” per “denazificare” l’Ucraina. Ma darà anche a ciascun Paese un certo margine di manovra nella sua posizione.

Gli occhi sono puntati sulla Cina. Xi Jinping si è avvicinato a Putin alla vigilia della guerra, formando un fronte comune contro quelli che descrivono come “disegni egemonici occidentali”. Pechino si è rifiutata di condannare l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio e respinge le sanzioni occidentali. Nell’incontro con il leader cinese, il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto a Xi Jinping di interferire con Putin per convincerlo a tornare al “tavolo dei negoziati“. Lunedì Biden, nel suo primo incontro faccia a faccia con il leader cinese dalla sua elezione, aveva ottenuto l’accordo sul rifiuto di qualsiasi uso di armi nucleari in Ucraina. L’Occidente vorrebbe che il G20 dichiarasse esplicitamente la sua opposizione a questo rischio di escalation.